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1. God, rest my soul


"Come può sopravvivere un amore

di due anime legate da un fato maledetto?

Come possono due ombre essere l'una la luce dell'altra?

L'amore non è concesso ai cattivi,

ma agli innocenti,

privi di condanne da scontare.

E il cattivo che proverà il desiderio d'amare

ammetterà di essere

colpevole.

Colpevole di aver amato."

Guilty: drunk in love


12 ottobre 2022

Lavinia

Sono stanca.

Ogni mio sforzo è inutile. Sono un disastro che cerca di apparire normale per non spaventare i passanti. È difficile rimanere composti quando dentro si è tutto tranne che ordinati, quando dentro vorresti soltanto nasconderti e mai più uscire.  Perché vivere è più difficile che morire, e io non ho mai chiesto di essere viva. Non ho mai chiesto nulla di tutto questo, a dire il vero.

Eppure, mi ritrovo intrappolata in un guscio senza via d'uscita. Un guscio troppo stretto, troppo poco ospitale e troppo soffocante. Mi ritrovo intrappolata in me stessa e non c'è mostro peggiore.

Apro il bidone della spazzatura, afferro il sacco dell'immondizia e lo butto al suo interno. Il vociare dei ragazzini in fondo al viale mi arriva alle orecchie.

"Hey, bella, ti va se ci divertiamo dopo?" sghignazza uno di loro.

Li ignoro. Mi volto e mi dirigo verso il negozio. Sfilo il camice da lavoro blu, prendo il mio zaino e spengo le luci.

Ogni giorno è uguale a quello precedente.

Chiudo a chiave la porta e mi dirigo verso la strada principale. Le luci della città illuminano le vie, mentre i negozi pullulano di persone. Il freddo mi congela il naso e le prime gocce di pioggia iniziano a bagnarmi il volto. Cerco un piccolo riparo nella pasticceria di dolci in fondo alla strada. Mi avvicino, ammaliata dalle torte esposte in vetrina. Tutte compatte, belle e graziose.

Io... quando ho iniziato a marcire così tanto?

Indico alla pasticcera la torta bianca a destra. "Una fetta alla vaniglia, grazie"

"La mangia qui o la porta via?"

"La porto via".

Quando ho iniziato a spegnermi?

"Posso avere un sacchetto?" chiedo alla commessa.

Quando ho smesso di vivere?

Pago il conto ed esco. La pioggia è diventata più violenta. Accanto a me un padre copre la figlia con il suo ombrello e corrono insieme verso l'auto. Prendo un profondo respiro.

È diventato pesante persino respirare.

Cammino con l'acqua che mi bagna i capelli e i vestiti, attorno a me ampi ombrelli colorati si estendono per tutto il viale, alcuni in condivisione con più persone e altri soli.

Se ci fosse la possibilità di resettare, di ricominciare...

Mi fermo di fronte al ponte della città che affaccia sul mare. Il vento mi scompiglia i capelli e la pioggia mi bagna la pelle. Tiro fuori dal sacchetto la fetta di torta e ne assaggio un pezzetto.

... non lo farei.

"Tanti auguri, Lavinia" mormoro. "Tanti auguri a me".

Una lacrima mi percorre la guancia.

Non lo farei perché l'unica cosa che voglio ora...

Appoggio la fetta di torta a terra assieme allo zaino. Salgo sulla spondina di ferro con la pioggia che mi graffia la pelle. Con le mani tremanti chiudo gli occhi.

... è scomparire.


Arthur

Oggi il tempo fa proprio schifo. La pioggia è irruenta, di questo passo si allagheranno intere abitazioni. Osservo dal finestrino la gente che corre ai ripari.

"Sembra che sia destinato a piovere ancora per giorni" mi comunica Jeff, l'autista.

"Proprio un bel casino" commento. Il ponte della città, solitamente affollato di turisti, ora è vuoto. D'altronde chi starebbe sotto alla pioggia con un tempo così pericoloso? Il mio cuore sussulta alla vista di un'esile figura che si erge traballante sopra alla sponda affacciata sul mare. Ma cosa sta facendo?

"Jeff, rallenta" ordino.

"Qualcosa la preoccupa?"

Indico la ragazza in lontananza. "Quella ragazza..."

"Non vedo nulla".

"Ferma la macchina".

"Ma, signorino Arthur, piove –"

Lo fulmino con lo sguardo. "Ho detto: ferma la macchina".

Jeff accosta immediatamente. Spalanco la portiera e mi precipito verso di lei.

"Non c'è nessuno lì, signorino Arthur! Dove sta andando??"

Mi avvicino da dietro. Ha il cappotto marrone completamente bagnato e una lunga treccia bionda che le scende lungo la schiena. Trema per il freddo.

"Ti conviene scendere". Le mie parole non ricevono alcuna risposta. Tiro fuori il telefono per chiamare la polizia.

Di questo passo finirà per scivolare giù.

Con cautela faccio un passo in avanti, un altro e un altro ancora, fino ad arrivarle vicino. Allungo il braccio verso la sua schiena, ma mi sfugge di mano. Si getta di colpo sotto al mio sguardo impotente. Il fiato si ferma in gola e il telefono mi cade dalle mani.

No!

Con la mano scavalco la sponda di ferro, mi tuffo dietro di lei senza pensarci due volte. Sprofondo tra le onde violente di un mare in tempesta. L'acqua mi congela le ossa, ma la paura di obbliga a nuotare il più veloce possibile. Trattengo il fiato e nuoto disperatamente alla sua ricerca.

Non la trovo, cazzo. Mi manca l'aria.

Torno in superficie e prendo un lungo respiro prima di immergermi di nuovo. Mi immergo ancora più in profondità e scorgo la treccia bionda galleggiare e sprofondare sempre più in basso.

È lei.

Nuoto verso la sua direzione, non è cosciente. La afferro per i fianchi e mi spingo verso la superficie con il fiato sempre più corto e con il freddo che mi penetra fino alle ossa.

Manca poco, ci sono quasi.

Arrivo in superficie e prendo un lungo respiro, il suo corpo è stretto contro il mio petto. Mi trascino di peso verso la riva, reggendola saldamente a me. Tossisco un paio di volte, la pioggia non aiuta. La trascino dalle spalle in riva alla sponda, la stendo a terra e la osservo. Impallidisco di fronte al colorito bluastro della sua pelle. Sembra non avere un goccio di sangue in corpo. Mi guardo intorno: non c'è anima viva qua sotto. Le controllo il polso.

Non sento battere. Mi metto sopra di lei e con le mani intrecciate, inizio a premere sul petto ripetutamente.

"Forza, forza..." sospiro. 1,2, 3 e 4... "Qualcuno ci aiuti! Qualcuno ci aiuti!" grido.

Il volto le diventa sempre più pallido, le labbra hanno un colorito bluastro e il corpo è gelido.

"Oh cielo!" un senza tetto si avvicina a me, sconvolto. Sbianca quando collega la situazione. "Si è... buttata giù?"

"Chiami i soccorsi, subito!" grido con il fiato in gola. Si tocca le tasche e tira fuori il telefono. "Pronto, c'è una ragazza incosciente... siamo sotto al ponte della città, c'è un ragazzo che le sta facendo il massaggio... si  è buttata, penso".

È talmente esile, che ho paura di spezzarla se vado avanti a massaggiare. Cosa ti ha spinto a compiere un gesto così estremo... perché hai fatto questo? Tossisce un paio di volte, corruga le sopracciglia e dell'acqua le esce dalla bocca.

Mi fermo.

"Mi senti?" la scuoto dalle spalle senza ricevere alcuna risposta. Le tocco il collo e tiro un sospiro di sollievo quando sento il flebile battito del suo cuore pulsare sotto alle mie dita. Il suono della sirena mi fa scattare in piedi: mi sbraccio a più non posso, urlando a squarciagola.

"Qui! Siamo qui!"

I soccorritori ci vedono. Accostano sulla riva e scendono dall'ambulanza. Due di loro prendono la barella, mentre uno porta sulla schiena uno zaino. Mi tempestano di domande a cui non so dare risposta.

"È allergica a qualcosa?"

Le posizionano la maschera dell'ossigeno sul volto prima di caricarla sulla barella.

"Non lo so..."

"Quanti anni ha?"

"Non ne ho idea... io non la conosco" faccio qualche passo indietro, il medico inizia ad auscultarle il petto con il fonendoscopio. "L'ho vista buttarsi giù dal ponte e ho tentato di fermarla, ma non ci sono riuscito".

Scuote la testa negativamente. "Deve venire con noi. Avremo bisogno della sua testimonianza in ospedale".

Annuisco.

Un soccorritore mi porge una coperta sulle spalle. Il tremore mi percuote, non mi ero neanche accorto del freddo o di avere i vestiti completamente bagnati. Il senzatetto ci fissa da lontano, con le mani fa il segno della croce mentre si allontana spaventato. Salgo dal retro dell'ambulanza e mi siedo. I soccorritori trascinano la barella fino all'interno. Chiudono le porte e collegano la ragazza a dei monitor. Uno di loro inizia a iniettarle dei farmaci in vena.

L'ambulanza sfreccia rapidamente tra le strade della città, mentre il suono della sirena mi percuote i timpani. In meno di cinque minuti arriviamo in ospedale. Due infermieri ci accolgono all'entrata, un rapido scambio di informazioni tra gli operatori e siamo subito all'interno del pronto soccorso. Si fermano alla postazione prestabilita e iniziano ad attaccarle addosso dei cavi, dei fili e una flebo. Uno di loro con una forbice le taglia la maglia, mentre l'altro tira la tendina, impedendomi di vedere ulteriormente.

Rimango con il fiato sospeso.

"Venga da questa parte, prego" un'infermiera mi fa accomodare su un lettino. Mi avvolge il braccio con il bracciale della pressione, mi prova la temperatura e segna ogni parametro su una cartella bianca.

"Io sto bene, dovrei chiamare..." tocco le tasche dei jeans, ma mi accorgo di aver fatto cadere il telefono prima di buttarmi in acqua. Ottimo, dovrò prendere un taxi per tornare a casa.

Alzo lo sguardo su di lei. "Posso chiedervi se avete dei vestiti o qualcosa che possa indossare per tornare a casa?"

"Abbiamo solo i camici ospedalieri. È meglio se si fa venire a prendere da qualcuno, se abita lontano".

Sfila il bracciale della pressione e lo ripone su un tavolino. "Le facciamo firmare dei documenti e poi può andare". Si volta ed entra in uno stanzino, scomparendo dalla mia visuale.

Proprio quello che mi mancava. Se scoprono che sono in ospedale, finirò nei casini. Non posso rimanere qui.

Mi alzo in piedi e senza farmi vedere da nessuno, sguscio via dall'entrata principale, mimetizzandomi con la folla. Ha smesso di piovere, fortunatamente, ma i vestiti bagnati non aiutano. Il freddo mi congela le ossa, i brividi mi percuotono. Di questo passo finirò per ammalarmi. Sul ciglio della strada scorgo un taxi che mi affretto a raggiungere.

Salgo e mi allaccio la cintura. "Via della Pace, 92".

"Si è preso tutta la pioggia, è stata una brutta giornata?" il tassista mi porge il cartone di fazzoletti da davanti.

Li afferro, accennando un piccolo sorriso. "Grazie, sì... è stata una giornata particolare".

Rivolgo un ultimo sguardo all'ospedale. Nella mia mente abita una sola figura: la ragazza dalla treccia bionda, fredda e vuota.

Appoggio la testa al finestrino e il sonno mi avvolge completamente.  Galleggio tra gli attimi di panico e le onde violente contro cui ho lottato. Il volto pallido e senza vita di una ragazza che non conosco mi tormenta. Non mi dà scampo.

*

"Signorino, signorino... siamo arrivati".

Sbatto le palpebre un paio di volte, il tassista mi osserva preoccupato. "Sta bene?"

"Sì, mi scusi. Mi sono addormentato. Quanto le devo?"

"Sono 20 dollari".

Tocco le tasche dei pantaloni e tiro fuori il portafogli. Le carte sono zuppe d'acqua, le banconote non sono più utilizzabili... come ho fatto a non pensarci prima? Alzo lo sguardo su di lui e con un piccolo sorriso imbarazzato, tento di scusarmi.

"Ho solo queste" gli mostro le banconote ormai bagnate.

Scuote la testa, sospirando. "Non posso accettarle così ridotte".

Un lampo mi attraversa la mente. "Salgo a casa e le cambio, mi dia solo un attimo... si fidi".

Mi osserva per qualche secondo, indeciso se credermi o meno, alla fine annuisce debolmente. Tolgo la cintura e apro lo sportello. Come ci sono finito in questa situazione? Se Edoardo lo scoprisse, riderebbe di me all'infinito. Non appena metto piede fuori dal taxi, corrugo le sopracciglia in un'espressione confusa.

Ma dove sono finito?

Mi avvicino al finestrino del tassista. "Scusi, è sicuro di aver messo la via giusta?"

"Questa è via della Pace, 92" mi mostra il telefono con la mappa satellitare. È impossibile, è assolutamente impossibile. Cosa vuol dire? Osservo con il cuore in gola il palazzo che si erge di fronte a me. Qui c'era l'ingresso del palazzo... non c'è mai stato questo edificio. E poi dove sono finite le guardie reali?

"Scusi, ma il palazzo reale??"

Il tassista mi rifila un'occhiata scocciata. "Ma di cosa sta parlando?"

"Del palazzo dove abita il Re".

"Quale Re?" ride. "L'acqua ti ha dato alla testa, ragazzino. Se non hai i soldi basta dirlo, ti porto in centrale e si arrangeranno loro con te".

La confusione mi invade. Com'è possibile? Dove sono finito? Come fa a non sapere del Re? Come fa questa via a non coincidere con il palazzo in cui sono cresciuto?

Lavinia

Perché sono ancora viva? Perché non smetto di sopravvivere? Perché la gente mi guarda con commiserazione? Perché sono obbligata a sentire le solite stupide parole di qualche strizza cervelli? Perché dev'essere tutto così... vuoto.

L'infermiera mi rimuove l'ago dal braccio, il bruciore mi fa sussultare. Mi porge dei documenti prima di consegnarmi la lettera di dimissione.

Indica con il dito la parte finale. "Firma qui. È un peccato che il ragazzo che ti ha salvata non c'è più".

Aggrotto le sopracciglia, mentre firmo velocemente. "Chi?"

"Il biondino dai tratti raffinati ti ha tirata fuori dall'acqua" prende i fogli dalle mie mani. "Era tutto fradicio, doveva compilare dei moduli, ma non l'ho più trovato".

Il ragazzo che mi ha salvata? È colpa sua quindi.

Scendo dal lettino, i capogiri mi obbligano a stare ferma per qualche secondo. I medici che passano nei corridoi mi sorridono, ma nei loro sguardi leggo solo commiserazione. So cosa si stanno dicendo. So come mi stanno ritraendo. Ancora.

Devo andarmene da qui.

"Lavinia, lo sai che avresti bisogno di essere ricoverata. Stai firmando contro il parere medico..." l'infermiera mi porge la cartella clinica. Il suo monologo prosegue per dei minuti che a me sembrano infiniti. Ho lo stomaco vuoto, la testa pesante e il fiato che sembra volermi fuggire via il più possibile. L'unica cosa che desidero è andare via da qui. Scappare. Non sarei mai dovuta sopravvivere. Quel ragazzo non avrebbe mai dovuto salvarmi... questo non doveva succedere.

Vengo accompagnata all'esterno da un operatore. Il mio passo è ancora lento e traballante, la quantità d'acqua che ho inghiottito mi fa sentire pesante e allo stesso tempo debole. Scorgo il portone d'uscita e tiro un sospiro di sollievo.

"Stia attenta, signorina. È una ragazza giovane, non vale la pena morire... così".

Non vale la pena morire?

Con la solita bravura, maschero il dolore con un sorriso così perfetto che stento io stessa a riconoscermi. "È stato solo un incidente – mento – Sono scivolata con la pioggia, non preoccupatevi".

Mi volto ed esco dall'ospedale. Ha smesso di piovere, nell'aria è rimasto solo un agghiacciante gelo. L'insegna dell'ospedale è l'unica scritta che illumina il buio che mi circonda. Devo continuare a fingere, devo continuare a respirare... devo continuare a camminare.

L'immagine delle onde violente che mi colpiscono e mi inghiottiscono, il sapore dell'acqua che mi impedisce di respirare e il freddo che non smette di congelarmi. L'acqua che mi invade i polmoni, che mi obbliga a smettere di pensare e che cancella ogni traccia di me. Ero in pace, leggera e senza timori.
Non capisco perché devo avere una vita che non ho mai desiderato.

Non capisco perché continuo a tornare in vita.

Lo sfarfallio dell'insegna attira la mia attenzione, come a volermi cacciare il più presto possibile da un male imminente.
Percepisco di avere lo sguardo di qualcuno addosso. Alzo il capo verso destra, ma non c'è nessuno. Mi volto verso sinistra e scorgo la figura di un ragazzo che avanza con fermezza verso la mia direzione. Dei ricci biondi gli decorano il volto, metto a fuoco la sua immagine mentre si avvicina. Stringo gli occhi in due fessure.

Chi è?

La postura elegante e il passo deciso, la sua altezza mi obbliga ad alzare il volto man mano che si avvicina. Si ferma a un paio di passi da me. Il viso lungo e sottile è in contrasto con il fisico muscoloso e atletico. Gli occhi a forma di mandorla hanno il colore del miele e uno scintillio pieno di vita che mi abbaglia. Il naso rivolto verso l'alto aumenta quel senso di raffinatezza che emana. Nonostante i tratti siano eleganti e privi della minima imperfezione, i suoi abiti sono completamente bagnati.

Un momento...

"Il biondino dai tratti raffinati ti ha tirata fuori dall'acqua"

È lui?

Un'ondata di vento mi colpisce.

È lui quel ragazzo.

Fermo di fronte a me, mi scruta con estrema attenzione prima di parlare. "Sono il ragazzo che ti ha..."

Faccio un passo indietro.

"Uccisa" sussurro.

Qualcosa dentro di me voleva che scappassi. Qualcosa dentro di me stava cercando di mettermi in guardia. Dallo sfarfallio dell'insegna, al vento che ha iniziato ad aumentare.

Ogni cellula del mio corpo è in allerta e non ne comprendo il motivo.

Non capisco: perché ho il fiato corto?











Lucciole💜✨

Quanto mi era mancato dirlo?
Tantissimo

Benvenute/i in Guilty⚔️🫧
I traumi che vi darà questa storia non li potete neanche immaginare.
Ma va bene così.

Tenetevi pronti, perché non avete idea di quanti scleri vi faranno passare🦋

Prossimo capitolo: sabato🫧

Love you all

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