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5. Fantasmi e ricordi

Ero pensieroso mentre rigiravo tra le mani la lama mistica che mi aveva lasciato quello sconosciuto diverso tempo prima.
Non l'avevo mai più rivisto e qualcosa mi diceva di tenere tutti all'oscuro riguardo a quella strana arma.

Stavo cercando un modo di far combaciare quella particolare lama con la polsiera nascosta che aveva costruito Alex tanti anni prima.
Avrei dovuto cogliere un nemico come Estamael di sorpresa e ucciderlo con un solo colpo, perché in uno scontro diretto non avrei avuto scampo.

«Così non ci riuscirai mai, sei sempre stato incapace con questa roba manuale» affermò qualcuno, facendomi sobbalzare.

Ero nella camera di un lussuoso hotel di Los Angeles ed ero da solo.

Riconobbi Alex "seduto" sulla scrivania dove stavo trafficando e feci un sospiro di sollievo.

«Non dovresti comparire così! Bussa e fai casino come fanno gli altri cazzo di fantasmi!» brontolai, mollando il mio lavoro per poi fissarlo.

Lo spirito mi fece un largo sorriso.

«I fantasmi devono fare paura, no?» scrollò le spalle e poi fisso quello che stavo combinando con l'attrezzatura che aveva costruito.

«Un fantasma che spaventa un vampiro? Cosa cazzo è una specie di barzelletta creepy di cattivo gusto a tema sovrannaturale?» domandai, rilassando anch'io il viso, distendendo le labbra in un sorriso.

Ero lieto del fatto che ogni tanto potessi parlare con lui. Era l'unico defunto che conoscevo a essere riuscito a diventare uno spirito buono.

«Non ho molto tempo, ma posso dirti come fare quella roba» indicò il materiale vicino a me.

«Pensavo mi odiassi per la storia di Simon» dissi, sapendo di avere sempre i minuti contati con Alex.

«Non ti odio. Lui non è stato mandato dove sono io. Aveva qualcosa di sbagliato, hai provato in tutti modi a scusarti, a ritornare suo amico. Il rancore, la rabbia e l'odio condannano un'anima. Non sono d'accordo con la tua scelta, ma forse sarebbe stato peggio se avessi fatto a modo mio. A volte sapere certe cose cambia la prospettiva di tutto» affermò solenne il fantasma, rimanendo sospeso a fluttuare nella stanza.

«Se lui avesse saputo tutto e mi avesse ascoltato, non mi avrebbe costretto a fare quello che ho fatto. Credo sia stata l'uccisione più dolorosa che abbia mai fatto. Io... uccido le persone, è la mia natura. A volte godo nel farlo, a volte mi dispiace, certe volte non provo nulla» mi sfogai con uno strano nodo alla gola.

«La morte ti segue da quando eri umano, forse il tuo destino è quello di salvare più persone di quelle che hai spedito all'altro mondo; io credo nella teoria della compensazione» affermò Alex, voltandosi verso di me.

«Se scavo in alcuni ricordi, penso a vedere le cose sotto un'altra prospettiva... completamente diversa» dissi, pensieroso,fissando un punto fermo davanti a me.

«Mentre lo fai mettiamoci al lavoro, non so quanto tempo posso restare ancora» tagliò corto Alex, indicando la polsiera e la lama magica.

«Rob ti ha detto qualcosa?» lo ignorai, cambiando tono.

«Non lo vedo da parecchio, questa cosa mi preoccupa.» mormorò lo spettro flebilmente.

Alex era il mio unico contatto con il Parallelo e solo tramite lui potevo sapere il destino delle anime dei defunti che conoscevo, il mio vecchio amico era sparito da molto perfino dal Paradiso. La cosa non faceva stare tranquillo nessuno di noi.

«Mettiamoci al lavoro, ho bisogno che quest'arma funzioni» conclusi, infine, aspettando le sue istruzioni.

Firenze, Italia

Dicembre 1870

Nonostante fosse pomeriggio, il cielo era già scuro e io stavo recuperando alcune cose per mio padre all'emporio di Ernesto, un suo fidato amico commerciante.
Mentre l'uomo baffuto mi parlava, fui distratto da una scena che avrei preferito evitare.

Teresa era a braccetto con Nicola e stavano ridendo per qualcosa.
Erano due settimane che non li vedevo e pensavo mi stessero evitando.
Mi piaceva passeggiare con lei, conversare e averla vicina e lui era il mio più grande amico, di conseguenza mi sentii tradito del fatto che loro mi avessero escluso in quella maniera.

Non prestai molto caso a Ernesto e lo salutai velocemente mettendomi alle calcagna di quei malfattori.

Li vidi infilarsi in un vicolo e, schivando i passanti, continuai il mio inseguimento fino a che, poco dopo, restai basito.

Le loro labbra si incontrarono e io rimasi dietro al muro freddo e ruvido del cortiletto a osservare quella scena.
Ci ero rimasto male: Teresa mi piaceva molto, ma non ero mai stato abbastanza audace da provare a baciarla e probabilmente Nicola era stato più sveglio di me.

Avrebbero potuto avvertirmi della loro tresca, invece nelle ultime settimane mi avevano evitato. Non era stato corretto nei miei riguardi.
Tornando verso casa il più in fretta possibile, pensai al fatto che mio padre mi aveva sempre detto che le persone prima o poi deludono.
Cosimo, il padre di Nicola, aveva tradito il mio dopo una ventennale amicizia, soffiandogli alcuni clienti con offerte più vantaggiose sui prestiti in banca.
Avevano sempre collaborato prima di quel momento.

Quella notte un rumore mi fece svegliare, sembrava che qualcosa battesse sulla mia finestra.
Teresa era sgattaiolata fuori al buio così tardi solo per venire da me.

«Che diavolo fai? Guarda che è pericoloso a quest'ora» affermai sottovoce dalla finestra.

«Apri di più e allontanati, vai sul letto» mi rispose, sussurrando e gesticolando vistosamente per farsi capire.

Non seppi perché l'ascoltai subito, nonostante fossi iracondo nei suoi riguardi.
Feci pochi passi e andai all'indietro fino a sedermi sul letto.

Dopo un minuto che stavo fermo immobile, la vidi fare capolino dalla finestra per poi richiuderla e fare un sospiro.

«Ti sei arrampicata?» le domandai, stranito.

«Più o meno...» rispose lei, passando i palmi sulla veste ampia e scarlatta.

«Non ci vediamo da un po', scusami, ma ho avuto da fare» continuò con un lieve sorriso.

«Già... con Nicola, immagino» brontolai senza controllarmi.

«Lui ha il suo fascino, ma perché accontentarsi di uno solo di voi? Siete amici, no? Potete anche condividere» disse, prendendomi una mano mentre avvicinava il suo viso al mio.

Mi gelai sul posto e non mossi un muscolo.

«A che gioco stai giocando?» le chiesi, serio e impassibile.

Come poteva anche solo pensare che io cedessi a una cosa del genere? Doveva essere solo mia, non c'era spazio per Nicola.
Nonostante tutto, lui era arrivato per primo e io ero di troppo, ma non era stato giusto con me.
Aveva preferito la nuova arrivata al suo amico d' infanzia, mi aveva imbrogliato e non era stato onesto e sincero con me.

«Non dirti nulla è stata una sua idea. Voleva che ci vedessimo solo io e lui. Ma ho anche pensato a te, molto spesso. Quel giorno che ci siamo incontrati al mercato e mi hai aiutato con la spesa è stato il migliore da quando sono arrivata qui» sussurrò vicino al mio viso, mordendosi un labbro.

I suoi occhi scuri parvero inghiottirmi.

«Non posso mettermi in mezzo fra voi. Lui è mio amico...» cercai di dire, mentre la sua mano mi accarezzava una guancia e il suo viso era attaccato al mio.

«Credi che lui al tuo posto mi rifiuterebbe?» domandò sensualmente sulle mie labbra, sfiorandole con le sue.

Non dovetti neanche pensarci troppo.
No, lui non lo avrebbe mai fatto, era come suo padre... prima o poi mi avrebbe pugnalato alle spalle. In qualche modo lo aveva già fatto.
Mi aveva fatto avvicinare a Teresa, senza mettere in chiaro le cose.
Ora ero cotto di lei e non avrei dovuto esserlo visto che si vedeva con lui.

Le mie labbra s'incontrarono con quelle di lei e le sue mani mi tennero il viso accarezzandolo con le lunga dita affusolate.
I capelli di Teresa erano sotto la presa dei miei palmi e cercai la lingua senza pensare al contesto.

Avevo desiderato molto quel momento e ora me lo stavo godendo al massimo.
Il bacio fu lungo e lento: le nostre bocche danzarono fino a quando non sentii la stanchezza sul palato e quindi mi staccai.

Il mio sguardo si fissò in quelle iridi scure.
Sobbalzai quando sentii bussare alla porta della mia camera.

«Con chi stai parlando? Va tutto bene?» tuonò mio padre, attendendo una risposta.

Teresa mi fece cenno di fare silenzio e poi andò verso la finestra, mi disse di aprire la porta.

«Arrivo, padre! Un secondo ...» brontolai, fingendomi addormentato.

Lasciai che Teresa scavalcasse la finestra e poi aprii la porta restandovi appoggiato.

«Si deve essere aperta la finestra per del vento, non vi preoccupate» finsi, con espressione serena.

«Mi sono spaventato, credevo fosse entrato qualcuno e che ti stesse minacciando. Ci sono dei demoni di notte in questa città. Stai attento!» si congedò poi, andando via e lasciandomi chiudere la porta.

Corsi alla finestra e guardai giù, ma non trovai Teresa, era stata molto scaltra e speravo in cuor mio che la storia dei demoni fosse solo una cazzata inventata da mio padre per non farmi uscire la notte.

Forse avrei dovuto dargli ascolto.


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