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Vacillare

   Matteo

Ho sempre avuto paura di essere felice io. Fin da quando ero bambino ho sempre cercato di scappare da questa sensazione, ed in realtà mi è venuto anche bene perché forse felice davvero non lo sono mai stato. La felicità è pericolosa, arriva, si fa assaporare e poi corre via, lasciandoti in bocca solo il ricordo del suo dolce gusto. E quel ricordo è difficile da lasciar andare, perché ti manca e vorresti sentirlo di nuovo tuo, ma il più delle volte non basta desiderarlo per farlo tornare. Ed è brutto vivere solo del ricordo che ti lascia, perché piano anche quello si fa sempre più labile tanto che ti chiedi se davvero tu lo abbia vissuto.
Questo è quello che ho sempre pensato della felicità, perché io ero piccolo quando sono stato felice e quella felicità l'ho pagata cara. È bastato poco in fondo, un lavoro perso, un padre diventato alcolizzato e le botte ricevute senza meritarle davvero. È quello è stato solo l'inizio, perché poi è arrivata una notte, buia come tante, che si è portata via chi in questo mondo non ha fatto in tempo ad esserci. Si è portata via un padre che padre in fondo non lo è mai stato. È bastata una notte a portarsi via la mia infanzia e a lasciarmi la paura di esserlo di nuovo felice.

Ma poi quel giorno a scuola la felicità deve aver deciso di far incrociare il suo cammino con il mio. E così mi ha scontrato di nuovo e i miei occhi hanno visto lei. Alexandria. Il suo sorriso, i suoi occhi azzurri ed il mare che avevano dentro. E ho provato, ho cercato di evitarla, limitandomi a guardarla da lontano, a non toccarla per paura che una volta raggiunta scappasse via. Ma anche questa volta è bastata una notte, una notte che le ha portato via la sua di felicità ed io non potevo sopportare l'idea di vedere la mia Alexandria spegnersi. Così mi sono avvicinato perché volevo ridarle il sorriso, volevo vederla di nuovo felice e non è stato facile perché troppe cose hanno tentato di impedirmelo. La felicità ha voluto farmi sudare ogni singolo sorriso che sono riuscito a regalarle, ma alla fine me lo ha permesso di raggiungerla, me lo ha permesso di amarla la mia Alexandria, me lo ha permesso di farla felice davvero. E anche io ho lasciato che Alexandria mi raggiungesse, che mi amasse e la sua felicità è stata la mia. E per un attimo me lo sono dimenticato che la felicità una volta raggiunta scappa via, lasciando solo il suo ricordo dietro di sé. E di nuovo è bastata una notte, una maledetta notte a portarsela via.

Ed io l'ho odiata la felicità, l'ho odiata, perché non l'avevo chiesta, lei ha deciso di tornare a bussare alla mia porta, lei non mi ha lasciato scelta se non quella di viverla, lei che poi è andata via lasciandomi solo. È vigliacca la felicità, perché se non lo fosse non sarebbe scappata, non avrebbe permesso che il sorriso della mia Alexandria si spegnesse di nuovo. Non avrebbe permesso ad un auto di investirla ed alla sua famiglia di piangere ancora.

Ed io, sono un vigliacco come lei perché non sono rimasto, sono scappato, di fronte al dolore io sono fuggito. Non ho avuto la forza di restare e guardarlo negli occhi. Non ne sono stato capace. Non potevo. Ho chiamato Claudio e quando lui e mia madre sono arrivati non hanno avuto bisogno che parlassi, mi hanno guardato e hanno capito. Ho lasciato che fossero loro ad avvertire la madre di Alexandria e la piccola Elena. Io non avrei mai potuto farlo, non avrei mai potuto vedere gli occhi di Elena riempirsi di terrore e lacrime, non avrei mai potuto spiegarle che non ero stato in grado di mantenere la promessa che le avevo fatto, non avrei mai potuto dirle che Alexandria starebbe stata bene. E non avrei mai potuto dire a sua madre che la causa di tutto ero io, che la colpa era mia se il suo incubo peggiore era tornato prendendo con sé la cosa più importante della sua vita, sua figlia.

E sono scappato via, non ho permesso a mia madre di abbracciarmi, non meritavo la sua comprensione o il suo calore, non meritavo nulla io. Non ero stato in grado di proteggere la mia Alexandria, avevo permesso che le facessero del male ancora, che la portassero lontano da me. Avevo permesso che lei pagasse per colpe che non erano sue, ma soltanto mie.

Un incidente, questo avevano detto, ma non era stato così ed io lo sapevo bene. L'avevo capito quando dalla macchina vidi scendere Riccardo con la fronte spaccata ed il sangue scendere fino a imbrattargli tutta la camicia. Aveva gli occhi spenti, vacui, persi chissà dove. E poi c'era lei, la mia Alexandria, stesa a terra inerme, non si muoveva, forse non respirava neanche più. Il suo viso era pieno di piccole ferite, aveva il labbro spaccato ed il suo braccio sinistro era piegato verso dietro in modo innaturale. Corsi da lei, avevo paura di toccarla e mi limitai a chiamarla, ma lei non rispondeva. Le accarezzai piano i capelli e continuai a chiamarla, ma lei non sentiva, non si svegliava, non poteva. Continuai finché non mi trascinarono via, i medici dell'ambulanza dovevano prendersi cura di lei, ma io vedevo sempre i suoi occhi chiusi.
I poliziotti mi parlavano, mi chiedevano cosa fosse successo, ma io non li sentivo, era come fossi solo lì su quella strada, solo Alexandria nei miei occhi.
Ma bastò un attimo, una voce appena percettibile che diceva "Non volevo" a svegliarmi. E l'unica cosa che percepii fu un dolore e una rabbia salirmi dentro quasi fino a farmi soffocare. E non pensai, ma mi buttai addosso a Riccardo e iniziai a colpirlo. Lui se ne stava lì, fermo, senza difendersi, e se fosse servito avrei fatto addormentare lui pur di far svegliare lei. Ma nonostante non fosse possibile, nonostante non servisse, io non riuscivo a fermarmi, non lo vedevo neanche Riccardo e se non fosse stato per i poliziotti avrei continuato ancora e ancora....
La rabbia verso di lui, era rabbia verso me stesso, perché era tutta colpa mia, Riccardo era me che voleva punire, era a me che voleva far del male. Ma io non gli ho dato peso e non sono stato in grado di proteggerla Alexandria.
Era colpa mia perché se non mi fossi allontanato per raggiungere l'auto non sarebbe successo nulla, lei sarebbe rimasta accanto a me a sorridermi e dirmi che tutto sarebbe andato bene. Ma niente poteva andare bene se i suoi occhi fossero rimasti chiusi...

E in ospedale io non potevo restarci, nessuno era riuscito a dirmi come stesse lei, in fondo io non ero nessuno, ma stava male, era chiaro fosse così. E io lì dentro non respiravo e quando corsi via non mi fermai fino a quando non raggiunsi di nuovo il luogo dove la nostra notte era iniziata e finita. Salii in macchina e partii, sapevo benissimo dove stavo andando e questa volta l'avrei trovato il coraggio, questa volta non mi sarei fermato. C'era una persona che dovevo affrontare, che da sempre mi perseguitava, che da troppo tempo popolava le mie notti. E in questa di notte era giunto il momento di dirglielo che doveva andarsene, che era ora mi lasciasse in pace.

Guidai senza sosta e dopo tre ore finalmente vidi il cancello nero davanti a me. Era chiuso, era ancora notte, ma non mi importava, scavalcai ed entrai. Iniziai a camminare nel buio, solo la luce di qualche candela ad illuminare i miei passi. Mi fermai solo quando la vidi. Non ero mai stato qui, ma quel nome inciso sopra il marmo non me lo sarei mai dimenticato.

Mario Rossi

"Ciao papà, alla fine sei riuscito a portarmi qui da te. Sei stato bravo, ma bravo davvero, perché nonostante tu non ci sia più non hai mai smesso di esserci, ed io non voglio. Non voglio che tu ci sia, non più. Devi andartene e devi farlo davvero, tu e tutto il male che avete fatto. Io di te non ho altro che il ricordo di quella sera maledetta, delle tue mani che picchiano me e poi la mamma fino a farla svenire. E lo so, lo so che tu stai ancora cercando di punirmi papà. Ma io ero un bambino e tu non sei stato un padre per me e lo ammetto, quella notte quando sei andato via ho sperato con tutto me stesso che non tornassi più e tu lo hai fatto. E da allora non ho mai smesso di sentirmi in colpa per questo e il tuo ricordo mi ha sempre inseguito. Abbiamo cambiato città e per un po' sono stato bene, c'era Claudio e lui sì che è stato un padre per me, lui si che c'è sempre stato. È venuto alle recite a scuola, agli allenamenti, alle partite di calcetto, mi ha regalato il motorino, mi ha insegnato a guidare. E lo sai qual è stata la cosa migliore che ha fatto per me? Ha ridato il sorriso a mia madre, lo stesso che tu le avevi tolto. Eppure non sono mai riuscito davvero a chiamarlo papà, tu me lo hai impedito, perché ogni volta che ci provavo mi ricordavo che quello che mi aveva dato la vita eri tu e non lui. E ti ho odiato tanto per questo e forse non meritavo un padre come Claudio io, perché avevo desiderato che tu sparissi, e questo non mi rendeva tanto diverso da te. E in questa notte come in quella di tanti anni fa non sono riuscito a proteggere chi amo, perché tu come Riccardo mi avete ferito dove fa più male ed io l'ho permesso ad entrambi. E vi odio. Vi odio" urlai iniziando a tirare calci alla lapide di marmo.
"Mi hai sentito? Ti odio"

Improvvisamente sentii qualcuno prendermi per le braccia e tentare di fermarmi "Matteo basta, non è colpa tua" la voce di Claudio mi raggiunse forte, così come le sue mani che mi intrappolarono il viso per costringermi a guardarlo "Niente di tutto questo è colpa tua hai capito? Tu non sei come lui, io lo so, ti conosco. Ti ho cresciuto" e mi strinse forte, in un abbraccio che non gli avevo mai concesso.
"Si invece io non l'ho protetta, ho lasciato che lui la investisse e ora lei è....."
"Non è morta Matteo. Alexandria sta lottando. E lui ormai non puoi più farti del male." E quelle parole mi diedero il respiro che non sentivo più
"Mi dispiace Claudio, mi dispiace tanto, tu sei stato il padre che lui non è mai riuscito ad essere"
"Andiamo via da qui Matteo. Non è questo il tuo posto adesso. Alexandria ha bisogno di te. È lì che devi essere, accanto a lei"
"Non so se ne sono capace"
"Si che lo sei, e quando vorrai cedere ci sarò io a tenerti in piedi"
"Grazie...papà" ed in quel momento si che lo sapevo, mio padre era sempre stato lui.

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