Ti aspetto
Matteo
Era passata una settimana da quella sera, una settimana in cui non avevo voluto né rispondere alle chiamate né ai messaggi di Alexandria. Era anche passata da casa, me lo aveva detto mia madre e poi anche Claudio. "Era dispiaciuta" "non ha voluto dirci nulla" "si vedeva che stava male" "Matteo cosa è successo?"
Queste le domande che i miei mi ponevano, ma io non avevo mai risposto a nessuna. Ero sempre stato bravo a tenermi tutto dentro e anche se ero più silenzioso del solito, più irascibile e sempre scuro in volto i miei non mi fecero più domande dopo i primi giorni.
Forse stavo esagerando, anzi, sicuramente lo stavo facendo, ero consapevole fosse così, ma ogni volta che prendevo in mano quel maledetto telefono o passavo sotto casa di Ale, mi sembrava di sentirla la sua voce e di vederli i suoi occhi mentre mi gridava che io non ero stato in grado di proteggerla, che non ero stato in grado di proteggere mia madre. E me lo sono ritrovato lì il senso di colpa contro il quale avevo sempre combattuto, che mi portavo dietro fin da bambino e che lei mi aveva di nuovo scaraventato addosso. E lo aveva fatto come se fosse nulla, come se gridarlo solo perché arrabbiata la giustificasse, ma non era così, lei aveva voluto ferirmi perché si sentiva ferita per non aver saputo di Riccardo prima, perché non glielo avevo detto ed ero andato da lui. Ed io la capivo, Dio se la capivo, quel ragazzo le aveva fatto solo del male, fin da subito, per punire me o forse solo per punire sé stesso, ma lei era stata al centro, non volendo, di questa guerra, che solo vinti aveva avuto ai suoi piedi.
Sapevo che tutto questo le avrebbe fatto male ancora e di nuovo, ma io dovevo parlare con lui, dovevo vederlo in faccia e capire se di quel bambino cresciuto con me fosse rimasto qualcosa, o se invece quello che per anni avevo considerato il fratello che non avevo mai avuto fosse ormai perduto.
E quando l'ho incontrato io non ero mica pronto a quello che ho visto. Riccardo era lì, il bambino cresciuto con me era lì davanti a me e di quel ragazzo che negli ultimi mesi aveva preso il suo posto non c'era traccia, non più almeno.
Quel ragazzo che mi trovai davanti non era lo stesso che aveva investito la mia Alexandria, quel ragazzo era lo stesso che giocava con me a calcetto, che mi passava i compiti di matematica, che aveva convinto mia madre a mandarci soli al nostro primo concerto a 16 anni, compagno nelle sbronze, nelle notti brave tra pub e discoteche e nei primi approcci, disastrosi, con le ragazze.
Vederlo di nuovo lì, dopo aver passato mesi a chiedermi che cosa gli fosse successo mi fece salire una rabbia incontrollata.
Perché cavolo non l'aveva capito prima che far del male agli altri non era la soluzione al suo non sentirsi mai all'altezza?
Perché cavolo non si era fermato prima di provocare tutto questo?
Dopo, solo dopo l'aveva capito che lui doveva affrontarli i suoi demoni.
Sapevo della madre, del nonno, di tutto, di quanto si odiasse per non essere stato in grado di essere come loro si aspettavano, sapevo di quanto fosse cresciuto senza una famiglia vera, solo rimproveri su rimproveri, ma davvero tutto questo bastava a giustificarlo?
Avevo fatto quello che potevo per lui, l'avevo fatto entrare nella mia famiglia per farglielo sentire il calore di una casa, volevo lo sentisse anche lui che cosa significasse, forse però tutto quello gli aveva solo ricordato ciò che lui non aveva mai avuto e questo lo ha portato a covare la rabbia che gli è esplosa dentro. Io lo consideravo mio fratello e gli volevo bene, anche quando aveva iniziato a fare lo stronzo non lo avevo allontanato, non davvero almeno. Ma lui aveva già scelto di cadere ed io non glielo potevo impedire, solo che mai mi sarei aspettato che questa sua caduta avrebbe rischiato di portarmi via la cosa più importante.
L' amore.
Alexandria.
E nonostante quella notte io il ragazzo che avevo sempre considerato mio fratello l'avessi rivisto, non sapevo mica se sarei mai stato in grado di perdonarlo, c'è un limite al male che si può perdonare giusto? Forse lui l'aveva raggiunto.
Ma se tutto ciò mi tormentava tanto forse le risposte alle mie domande non erano poi così scontate, forse non volevo davvero trovarle, soprattutto se queste avessero potuto in qualche modo portarmi via la persona più importante.
La mia Alexandria.
Erano giorni che provavo a dimenticare le parole che le avevo sentito dire, ma erano infime e tornavano sempre.
Perché diamine doveva essere così difficile?
Erano solo parole, lei non le pensava davvero.
Lei sapeva la mia storia, sapeva del mio senso di colpa, di mio padre, di mia madre, di Laura, ero stato proprio io a raccontarle tutto.
Lei era lì, aveva visto le mie lacrime, il mio dolore, aveva toccato il senso di colpa che mi tormentava, mi aveva stretto, mi aveva amato e inconsapevolmente aiutato. Non pensava davvero quello che aveva detto, non era possibile ed io lo sapevo, eppure faceva un male pazzesco lo stesso.
Le parole di Alexandria mi avevano ferito, perché aveva toccato dove sapeva avrebbe fatto male. Era stata la rabbia a guidarla e anche se non lo voleva davvero io non riuscivo a dimenticare. La ferita che un graffio sul cuore lo aveva lasciato bruciava ancora.
Ma un modo lo dovevo pur trovare, questa cavolo di ferita avrebbe smesso di far male.
Forse mi serviva solo del tempo per poi vederlo ciò che era importante davvero.
Io l'amavo Alexandria.
Questo doveva essere più importante.
Questo mi avrebbe dovuto riportare da lei già da giorni.
Si ferisce per rabbia.
Si perdona perché l'amore è più importante.
Deve esserlo.
Io ero stato ferito.
Ero stato arrabbiato.
Ero in grado di perdonarla la mia Alexandria?
Forse la risposta l'avevo sempre avuta, perché lei era l'amore.
E l'amore è più importante.
Mi serviva lei vicino, solo così quelle parole le avremmo dimenticate, solo lei poteva essere l'acqua ossigenata che avrebbe dato sollievo alla mia ferita che di bruciare non voleva smettere.
Per andare a prendere questo amore dovevo alzarmi, lo sapevo, eppure volevo stare un altro po' seduto sui gradoni del centro sportivo dove io e Riccardo giocavamo a calcetto. C'era la mia infanzia là su quel campo verde, che si era preso i miei sorrisi, le mie corse, le mie fatiche, le mie sconfitte, le mie rivincite. Era lì che avevo imparato l'amicizia, era lì che avevo imparato ad accettare le sconfitte, perché il calcetto me lo aveva insegnato che l'importante è dare tutto, impegnarsi, giocare come si sa e si può fare, poi a volte si perde lo stesso, ma alla fine non sarà per colpa nostra ma perché il pallone è tondo, proprio come il mondo, oggi si vince e domani si perde.
Era sul quel campo che iniziai a capire che io ero stato bravo, mi ero impegnato tanto, avevo dato tutto, ma mio padre aveva preferito lo stesso l'alcol a me, a mia madre, ma nonostante questo era lui la sconfitta che non avevo mai voluto accettare, ed è stato lì che il dolore per quello che aveva fatto divenne rabbia.
Ma in quel momento davanti al mio campo mi rendevo conto di aver sbagliato, lui non meritava neanche la mia rabbia, aveva fatto la sua scelta ed era arrivato il momento di fare la mia.
In realtà forse io la mia scelta l'avevo già fatta, quando da bambino mentre ero in campo, mi giravo per cercare lo sguardo di Claudio e un'emozione mi cresceva dentro tutte le volte che lo trovavo. Ero felice, perché lui era lì, sempre, nonostante io lo trattassi male, gli parlassi poco, lui era lì. Ha resistito, non mi hai mai mollato, non mi ha mai ferito, mi ha cresciuto, è stato mio padre, una figura fondamentale di cui dicevo di non aver bisogno ma che volevo disperatamente accanto.
E lui c'era stato.
Lui era la mia scelta.
"Chissà perché ogni volta che ti cerco è sempre qua che ti trovo" la voce di Claudio mi colse impreparato.
Mi scappò un sorriso
"Forse perché mi conosci meglio di chiunque altro"
"I tuoi silenzi mi danno sempre tutte le risposte che cerco " ribatté lui.
"Ne hai avuti tanti da me, mi spiace"
"Non scusarti, lo sai che non ci si deve scusare per quello che si è" mi corresse subito.
"Anche se quello che ero ti ha ferito?" gli domandai.
"Tu non mi hai ferito Matteo, io ho sempre saputo che nei tuoi silenzi non c'era odio per me ma per lui" e ancora una volta la sua risposta mi dimostrava quanto lui mi conoscesse, quanto mi capisse.
"Però questo è a te che l'ho fatto pagare. Ti ho tenuto a distanza"
"Ma io non ti ho permesso di allontanarti troppo" disse mettendomi una mano sulla spalla.
"Eh no mi sei stato sempre addosso, hai rispettato il mio silenzio ma ci sei sempre stato. Mi hai cresciuto come una padre avrebbe fatto" e "ti voglio bene" ma questo lo pensai soltanto.
"Tu sei stato il figlio che non ho cercato ma che ho scelto"
"Tu il padre che non mi aspettavo ma che è arrivato"
"Quello che per te ci sarà sempre" e lo sapevo che era vero, lui non avrebbe mai scelto l'alcol al posto di suo figlio.
"Lo sai che da piccolo mentre giocavo mi giravo spesso a vedere se tu eri seduto qui, su questi gradoni a guardarmi. Non te l'avrei mai detto ma speravo che tu ci fossi" e il mio segreto di bambino uscì finalmente allo scoperto. Lui sorrise alle mie parole.
"Te l'ho già detto, il tuo silenzio mi ha sempre dato le risposte che cercavo"
La sua presa sulla mia spalla si fece più salda e dopo un attimo di silenzio la sua voce mi raggiunse di nuovo.
"Perdonalo Matteo"
"Chi?" domandai
"Tuo padre"
"Lui non era mio padre. Tu lo sei"
"Ma tu perdonalo lo stesso"
"Ha fatto cose per le quali il perdono non esiste" lo guardai duro.
"Ma tu lo devi fare per te non per lui. Perdona lui e perdonerai te stesso"
"Non posso farlo. Non posso dimenticare" risposi secco.
"Perdonare non è dimenticare, è andare avanti lasciando andare i sassi che ci fanno stare fermi"
"Non posso"
"Si che puoi, non vuoi" ribatté lui sicuro molto più di me.
"Perdonare lui mi farebbe..."
"Perdonare Riccardo" finì lui la frase per me.
"Loro non capirebbero" dissi guardandolo negli occhi
"Laura ha già capito, lo sai. Lei è andata avanti grazie a questo" ed era vero Laura aveva trovato la forza che a me mancava. Si era rialzata e stava vivendo la sua seconda possibilità al meglio.
"Alexandria non lo farebbe ed io non posso perderla" buttai fuori la paura che non volevo ammettere.
"Non la perderai" e mio padre, quello vero, quello che c'era sempre stato, mi porse una lettera, la "Sua lettera".
"Questa è arrivata stamattina, credo dovresti leggerla" la lasciò sui gradoni accanto a me e si alzò.
Era una lettera della mia Alexandria.
Forse era arrivato il momento di riportarla vicino dopo giorni in cui la volevo lontano.
Le sue parole erano per me e questa volta lo sapevo che non mi avrebbero ferito...
Ciao Matteo, sono giorni che non ti vedo e non ti sento e non c'è minuto in cui non mi chieda come tu stia o che cosa tu faccia. So che questa lontananza sono stata io a causarla, ma credimi quanto ti dico che non penso una parola di quello che le mie labbra sono state in grado di far uscire. Io ero solo ferita, arrabbiata, delusa e stanca, sono stati mesi terribili e venire a sapere di Riccardo tramite la sua lettera è stato il colpo che non mi aspettavo ma che mi ha vista crollare. Stavo per riprendere in mano la mia vita dopo quel maledetto incidente che l'aveva fermata e credevo davvero di essere pronta per farlo, ma evidentemente non è così. Ero convinta di poter andare avanti senza pensare più a quello che era successo, volevo evitarlo e dare la colpa ad uno sconosciuto mi aveva reso tutto più semplice, non avrei mai dovuto vederlo, non avrei mai dovuto farci i conti davvero. Invece è stato Riccardo e con lui io i conti dovrò farli davvero, lui non è uno sconosciuto qualunque, uno che posso evitare solo non vedendolo, lui era tuo amico, lui era tuo fratello, quello che non hai mai avuto. Sono stata egoista me ne rendo conto, perché se io avevo il diritto di sentirmi ferita, delusa e arrabbiata anche tu lo avevi ed io a questo non ci ho pensato, non davvero almeno.
Sono stata assente per parecchio tempo e dopo ho lottato per cercare di ricominciare a vivere e tu mi sei stato sempre accanto. Non hai dormito, non hai mangiato, hai trascurato la scuola nonostante questo sia il tuo ultimo anno. Scappavi sempre da me, mi leggevi i libri, ascoltavi la musica con me e parlavi, lo facevi perché eri convinto che io potessi sentirti. E la sai una cosa? Io credo di averti sentito, perché se mio papà è stato l'amore che mi ha portato ad aprire gli occhi, tu sei stato l'amore che mi ha impedito di chiuderli davvero.
Mi hai vista piangere, ricominciare a parlare e a camminare, mi hai vista sorridere e quando cadevo eri sempre lì pronto a tirarmi su con te.
Ma di come sei stato tu non mi hai mai fatto parola, ma lo sapevo che dentro qualche dolore ti stava devastando, ma ho scelto di ignorarlo, avevo paura di non essere in grado di affrontarlo, invece avrei dovuto farmi coraggio e affrontarlo con te.
Tu dovevi andare da Riccardo lo so, tu gli vuoi bene e questo legame che vi ha unito ora è il tuo tormento. Sei diviso a metà Matteo, sei diviso tra amore e odio e io lo capisco perché mi sento esattamente come te.
Torna da me Matteo e cercheremo di unire le nostre metà d'amore così che l'odio non l'abbia vinta e non ci divida.
Io voglio starti vicino, qualsiasi cosa tu voglia fare, io voglio farla con te.
Mi sento persa se tu non ci sei e non è vero che tu non mi hai protetta, io mi sono sempre sentita a casa tra le tue braccia, tu sei il mio posto sicuro, quello dove nessuno può entrare eccetto noi.
Tu mi hai insegnato l'amore e lo hai fatto fin da quando ti sono sbattuta addosso a scuola nel corridoio.
Mi hai amata perché sono io, una ragazze tra tante ma per te unica e speciale, non so ancora perché tu mi abbia scelta ma non smetterò mai di ringraziarti per avermi trovata e mai lasciata.
Mi manchi Matteo.
Ti amo.
Ti aspetto.
Tu sei la mia luce nel buio.
Non dimenticarlo.
Mai.
La tua Alexandria.
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