Offese e partenze...
Come stavo? Non lo sapevo neanche io. Credevo davvero sarei riuscita a stare meglio, credevo davvero che il peso che avevo nel cuore si sarebbe alleggerito, e per qualche istante era stato così. Con Matteo vicino avevo avuto davvero la sensazione di riuscire a respirare di nuovo e ancora, ma era durata così poco quella sensazione che mi chiesi se in realtà fosse mai stato davvero così. Mi sentivo persa e senza forze, non sapevo quanto ancora avrei retto.
I giorni successivi a quel pomeriggio li passai a casa, finsi di star male e non andai neanche a scuola, mamma non mi fece domande, ma sembrò credere al fatto che non stessi bene, che poi non era neanche una bugia. Stavo male, si vedeva, o almeno credevo si vedesse. L'unica cosa che mi faceva stare meglio era Elena, la mia sorellina meravigliosa, lei ogni giorno sembrava stare meglio e io adoravo vedere il sorriso sulle sue labbra, era così spontaneo, semplice, spensierato, era una ventata d'aria fresca guardarlo comparire sul suo volto.
Elena si accorse che qualcosa non andava ed una sera mentre giocavo con lei mi disse: "È tornato di nuovo il tuo sorriso triste" e io non seppi che cosa risponderle perché aveva ragione, ma non riuscii a spiegarglielo il perché era tornato.
Sicuramente era stata anche colpa mia, della mia incapacità di perdonare Matteo, della paura che mi ferisse di nuovo e del poco coraggio che avevo dimostrato, ma io davvero non riuscivo, stavo male per lui eppure non ce la facevo, e questo mi faceva essere ancora più arrabbiata con lui, perché se non avesse fatto quello che aveva fatto, io non sarei scappata via e forse non sarei stata male come stavo.
Elena dopo quella frase non disse più nulla quella sera, si limitò a giocare con me, ma una volta arrivata l'ora di andare a letto mi chiese se poteva dormire con me e io acconsentii.
Mi strinse fortissimo, io feci altrettanto e prima di addormentarsi mi disse: "Non importa se Matteo ti ha fatto soffrire, ci sono io qui con te e ti voglio tantissimo bene" quelle sue parole mi fecero emozionare, era una bambina stupenda ed io una sorella fortunata. Ero felice di avere lei, la mia piccola stella che mi mostrava la luce lì dove non ne vedevo abbastanza.
Il mattino dopo quella sera decisi di tornare a scuola, non potevo stare chiusa dentro evitando tutti. Vanessa e Riccardo mi avevano chiamato spesso in quei giorni, ma io non avevo risposto, non avevo voglia di sentirli e magari ascoltare le loro parole su Matteo e quanto fosse sbagliato per me, stavo già male, non avevo bisogno di qualcuno che me lo ricordasse.
La scuola mi sembrava così vuota ormai, era piena di persone ma io non ne vedevo neanche una davvero, le lezioni non mi attiravano più, ascoltavo disattenta, ero distratta e la maggior parte del tempo lo passavo guardando fuori dalla finestra, osservavo il cielo sempre più spesso ricoperto da nuvole, rispecchiavano me ed il mio stato d'animo, erano grigie, presagivano tempesta.
Vanessa quella mattina mi tirò in continuazione delle gomitate per ridestarmi dai miei pensieri, ma io di voglia ne avevo davvero troppo poca. Durante l'ora di Italiano notai il prof lanciarmi qualche occhiata sfuggente, io di solito ero sempre attenta nelle sue ore, ma anche quelle iniziarono a sembrarmi un' inutile perdita di tempo.
Quando suonò la campanella il professore mi richiamò: "Un attimo Alexandria, devo parlarti."
Non ne avevo nessuna voglia, ma dovetti per forza acconsentire. Mi guardò per qualche istante poi iniziò: "Mi dispiace vederti così distratta, senza voglia, ci sei, ma in realtà non ci sei davvero. Ti ho vista guardare fuori per tutto il tempo con lo sguardo perso, sei spenta Alexandria e non va bene, alla tua età dovresti sorridere, dovresti sfidarla questa vita. Non lasciarti schiacciare, reagisci."
"Non credo di averne la forza e onestamente neanche la voglia" risposi sinceramente. Io ero solo stanca.
"Hai passato un momento terribile, un dolore che non dovrebbe arrivare mai così presto, forse dovresti provare a parlarne con qualcuno."
"Qualcuno chi? Uno strizzacervelli?" Chiesi irritata e alzando il tono della voce, non ero pazza e io stavo meglio, ma suo figlio aveva rovinato tutto, era colpa sua.
"Se vuole sapere la verità io sto così per colpa di Matteo, suo figlio mi ha ferita e la colpa è tutta sua e di nessun altro se ora sto più male di prima" gridai alzandomi e correndo verso l'uscita.
Come cavolo si permetteva a dirmi quello che doveva fare? Era solo il mio professore, non si doveva impicciare di fatti che non lo riguardavano.
Uscita dal cancello di scuola mi trovai davanti un gruppetto di quattro ragazze, le riconobbi subito, giravano sempre intorno a Matteo e Riccardo. Avevano uno sguardo truce e sembravano vestite tutte uguali, gonna nera che più che coprire scopriva, calze color carne a mostrare gambe perfette e stivaletti tacco dodici per sembrare più grandi, per fortuna indossavano maglie di colore diverso, almeno quello. Si avvicinarono a me camminando all'unisono, la ragazza che stava al centro del gruppetto, Alissa mi pare si chiamasse, aveva capelli biondi corti e due occhi verdi che sembrava volessero incendiarmi, la ragazza alla sua destra invece aveva capelli neri lunghi legati in una treccia e gli occhi dello stesso colore, le altre due alla sua sinistra erano gemelle, avevano capelli rossi e occhi verdi. Sul fisico non avevo nulla da dire erano tutte e quattro davvero belle, fisico asciutto, gambe lunghe e sottili. Sapevano di essere ammirate da tutti e se la tiravano un sacco per questo, guardavano tutti dall'alto in basso, come se gli altri rispetto a loro contassero meno di zero.
Non mi piaceva come mi stavano guardando, ma ero talmente nervosa che non me ne preoccupai troppo, qualsiasi cosa volessero avrei risposto a tono.
"Eccola qui la povera cucciola indifesa" disse Alissa la bionda.
"Che cosa volete?" risposi rabbiosa.
"Nulla, solo dirti che è tutta colpa tua. Matteo è stato espulso e tu ne sei responsabile" e mi indicò con il dito.
"Non è colpa mia, ma di quella scritta."
"E perché? Quella scritta diceva solo la verità, tuo padre è morto perché aveva bevuto e non guardava dove andava" a quelle parole non ci vidi più e andai contro di lei tirandole uno schiaffo, lei mi spinse in risposta e io caddi a terra, mentre le altre tre ragazze stavano per avvicinarsi, una voce le fermò.
"Che cosa state facendo? Lasciatela stare" due braccia mi cinsero le spalle e quando mi girai gli occhi azzurri di Matteo mi stavano fissando preoccupati, mi aiutò ad alzarmi, ma una volta in piedi mi allontanai da lui.
"Dopo tutto quello che ti ha fatto la difendi anche? Sei stato espulso per colpa di questa finta ingenua, ti ha usato e gioca sia con te che con Riccardo. È solo una piccola arrivista e p......."
"Non aggiungere una parola di più Alissa" le disse Matteo avvicinandosi con sguardo duro: "Non sai niente di niente tu. Non ti puoi permettere di parlarle così, lei è molto meglio di tutte e quattro voi messe insieme e ora fatemi il favore di girare i tacchi e andarvene."
Alissa arrabbiata come non mai mi rivolse uno sguardo di fuoco e disse: "Va bene come vuoi, mi dispiace tanto per te Matteo, difendila pure. E tu cara Alex ricordati che non finisce qui" girarono i tacchi e se ne andarono.
Matteo mi guardò e la sua espressione da dura divenne dolce: "Stai bene? Mi dispiace per loro, sono invidiose e riescono solo a dire cattiverie"
"So bene come sono fatte quelle lì, ti ringrazio per avermi aiutata" non seppi che altro dire, c'era un silenzio assordante tra di noi.
"Devo dirti una cosa Alexandria" mi guardò con un'espressione strana.
"Te ne vai finalmente" mi girai e Riccardo era dietro di noi.
"Stai zitto tu Riccardo" rispose Matteo alzando la voce.
"E perché dovrei? È vero. Tua madre dopo l'espulsione vuole portarti in un'altra scuola, in un'altra città. Avanti diglielo"
Cosa? Se ne andava? Ecco perché non aveva provato neanche ad avvicinarsi in questi giorni, si preparava a partire. E poi perché avrebbe dovuto preoccuparsi di avvertirmi o di sistemare le cose, che gli importa a lui? Tanto sarebbe andato via.
Mentre Matteo si avvicinò con fare minaccioso a Riccardo, io sentii la rabbia riappropriarsi di me, mi avvicinai a loro, presi per mano Riccardo e gli dissi: "Per favore accompagnami a casa" Matteo mi guardò incredulo e dispiaciuto, forse lo avevo ferito ma anche lui lo aveva fatto con me.
Riccardo non se lo fece ripetere due volte e stringendomi la mano ancora più forte mi accompagnò fino al suo motorino. Prima di salire mi girai verso Matteo, era ancora lì che ci stava osservando, ci guardammo un istante, poi mi girai, salii sulla moto e me ne andai con Riccardo con il cuore che con il suo battito mi diceva che forse quello era stato il mio più grande sbaglio....
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