Mancanze
Alexandria
Il mio compleanno era arrivato, avevo raggiunto la maggiore età, avrei dovuto essere felice, credo, ma mi mancava qualcosa per esserlo per davvero.
Diventare maggiorenni vuol dire poter guidare, bere, si diventa adulti si dice, inizia il nostro cammino verso le scelte e le responsabilità, quello che faremo da questo momento in poi condizionerà tutto il resto della nostra vita.
Ma davvero basta un numero per dirci quando si diventa grandi? Davvero a diciotto anni siamo in grado di scegliere, decidere cosa sia più giusto per noi? Siamo davvero in grado di assumerci le nostre responsabilità?
In realtà non sapevo davvero cosa rispondere a queste mie domande, forse no sarebbe stata l'affermazione più giusta. Non basta un numero a dire che siamo adulti, è tutto quello che viviamo a plasmarci e a volte la vita non aspetta di vederci grandi per fare iniziare il nostro cammino verso le scelte e le responsabilità.
Quando si ha la nostra età non si vede l'ora di raggiungere la maggiore età, si sente il profumo della libertà avvicinarsi, si aspetta quel giorno con ansia, si pensa alla macchina da poter guidare, ai posti da visitare, agli esami da sostenere, alla direzione che vorremmo prendere, all'università da scegliere, al lavoro che vorremmo fare e alla persona che vorremmo essere.
Io non sapevo che persona fossi e di certo ancora non sapevo chi sarei diventata, ma ero sicura della persona che non volevo essere.
Non volevo essere una persona pronta a ferire pur di difendersi, a far soffrire perché sofferente, a far star male chi mi stava vicino solo perché io di star male ero stanca, ma non sapevo come fare per non sentire più il dolore che mi urlava dentro.
Ed i miei diciotto anni non erano come li avevo immaginati, non ero eccitata, non ero in ansia, non ero entusiasta e soprattutto non avrei mai pensato di doverli festeggiare senza mio padre.
Lui sicuramente la risposta a tutte le mie domande l'avrebbe trovata, lui avrebbe saputo come mandarlo via il dolore, l'avrebbe preso lui pur di risparmiarlo a me.
Mio padre sarebbe stato felice oggi, sarebbe stato contento per me, emozionato e spaventato perché la sua bambina non era più tanto piccola, stava crescendo e presto avrebbe preso la sua strada, quella che forse l'avrebbe portata fisicamente lontana da lui ma mai lontana dal cuore.
Papà avrebbe voluto vedermi diventare grande, avrebbe voluto vederla la ragazza diventare donna.
Diceva sempre che il mio diciottesimo compleanno non l'avrei dimenticato e che da lì in poi la mia strada sarebbe stata in salita ma bellissima, ma allora lui non poteva saperlo che la mia salita sarebbe cominciata prima. Non poteva saperlo che lui non sarebbe stato qui a festeggiare con me e che il mio diciottesimo compleanno l'avrei ricordato per la sua assenza.
In quei giorni sentivo terribilmente la sua mancanza e la sua bussola l'avrei portata sempre con me, sarebbe stato come avere lui accanto pronto ad indicarmi la strada se mai l'avessi persa.
Lui non avrebbe mai voluto mancare ad un appuntamento importante per me e me lo ricordavo ancora quello che mi disse questo stesso giorno di un anno prima: "Alexandria per i tuoi diciotto anni partiremo tutti e quattro. Voglio portarti in un posto nuovo, è importante conoscere il mondo, le persone, diverse culture, diversi modi di essere e di pensare. Viaggiare è una delle cose più belle che tu possa fare, cresci, impari, vivi"
Ed io, all'epoca solo preoccupata di non poter avere la festa che avevo sempre sognato gli risposi: "Papà non posso non festeggiare con gli amici però"
"Allora partiremo dopo la festa, ma lo faremo. Scegli un posto che ti piacerebbe tanto visitare e noi ci andremo" disse lui entusiasta molto più di me.
E allora pensai ad un posto che fin da piccola avrei da sempre voluto vedere.
"L'oceano papà, voglio vedere l'oceano, voglio sentirmi piccola di fronte a lui e grande nei sogni che mi permetterà di fare. L'oceano sa di infinito e io voglio sentirlo il suo profumo"
"Allora andremo in Australia, lì l'oceano potrai ammirarlo davvero e ti farò visitare uno dei posti più belli al mondo. Uno di quelli che tutti dovrebbero vedere. La barriera corallina"
"E che Australia sia allora"
Poi mio padre si alzò dal divano dove eravamo abbracciati pensando al viaggio che avremmo fatto e prese un calendario con un pennarello.
"Da oggi inizierai a segnare con una x tutti i 365 giorni che mancano al nostro viaggio, anzi..." si interruppe e segnò con una x il 17 gennaio " 364, uno l'ho tolto io"
Da quella sera del mio diciassettesimo compleanno ogni mattina segnavo con una x i giorni che passavano e che ci dividevano dal nostro viaggio. L'avevo fatto sempre, tutti i giorni fino a quella sera di maggio in cui mio padre a casa non tornò più.
Dalla mattina dopo smisi di tenere il conto, non ci sarebbe stato più nessun viaggio da fare e nessun giorno da aspettare. Mio padre non c'era più e quel calendario mi ricordava solo tutti i giorni che avrei dovuto vivere senza di lui. Non riuscii più a guardarlo e lo buttai via.
Io il mio compleanno non lo stavo aspettando e non avrei neanche voluto festeggiarlo, l'unica cosa che avrei voluto era fare quel viaggio, ma era un desiderio che non si sarebbe mai avverato e la sola persona che avrei voluto vicino in quel giorno era lontana. Forse mi odiava, forse no, ma non era con me e la colpa era solo la mia.
In quei giorni mi ero allontanata da tutti, ero tornata a scuola ed erano stati tutti carini con me, forse anche troppo. Per fortuna c'era Isabella altrimenti avrei potuto fare una strage. Se c'era una cosa che non sopportavo era l'ipocrisia e vedere fare i premurosi persone con cui a malapena mi scambiavo un saluto, che non mi sopportavano o che fino a poco prima non sapevano neanche chi fossi mi faceva davvero arrabbiare. Perfino Alissa e le sue amichette, scontata la sospensione, si erano preoccupate di farmi sapere quanto avessero pregato per me e la mia situazione, mi avevano addirittura fatto le loro scuse con tanto di occhi lucidi.
Mi ero limitata a sorriderle e quando si era allontanata, Isabella era scoppiata a ridere dicendo che ora le "galline" erano diventate più simili a dei pulcini.
Lei aveva cercato in tutti i modi di farmi distrarre, di non farmi pensare ma era inevitabile che i miei occhi cercassero Matteo. La mattina quando arrivavo non lo incrociavo mai, in corridoio durante la ricreazione neanche, Isa aveva saputo che a scuola entrava sempre dopo il suono della campanella, quando tutti erano già dentro, mi stava evitando ed io non avevo il coraggio di andare nella sua classe, sapevo che lì l'avrei trovato.
Isabella diceva che avrei dovuto farlo, che questa situazione non poteva continuare e che eravamo due stupidi nel perdere tutto questo tempo, secondo lei dovevamo chiarirci non evitarci, ci amavamo é quello era importante, avevamo passato cose peggiori di quella e allontanarsi in quel momento era da pazzi.
Ma pare che noi normali non lo siamo mai stati.
Quella mattina decisi di aspettare vicino al portone d'ingresso della scuola, mi appoggiai spalle al muro in modo che chi entrava non potesse vedermi e una volta suonata la campanella non mi mossi.
I corridoi si svuotarono in un attimo e dopo cinque minuti sentii dei passi salire le scale. Ero sicura fosse lui, alzai lo sguardo e lo vidi entrare, non si accorse di me e mi passò accanto veloce, sentii il suo profumo colpirmi le narici e chiusi gli occhi un momento, mi era mancato da morire il suo odore, quello che riconoscerei sempre e che non sentivo ormai da troppo tempo.
In realtà non era passato tanto da quella notte e dalla mia lettera, ma a me sembrava sempre troppo. Ogni giorno senza di lui era un giorno perso ed io non potevo più perdere niente.
Aprii gli occhi prima che fosse tardi, lasciai il muro e velocemente cercai di raggiungerlo, lo afferrai dal braccio senza dire nulla, lui sì girò di scatto liberando il braccio dalla mia presa bruscamente, ma quando si accorse fossi io la persona che l'aveva trattenuto si bloccò e fissò i suoi occhi azzurri su di me.
Avevo aspettato tanto il momento in cui me lo sarei trovato di fronte e avevo pensato una ad una le parole che avrei voluto dirgli, ma averlo lì mi fece dimenticare ogni cosa.
Esisteva solo lui di fronte a me, esistevano solo i suoi occhi che non mi guardavano da troppo tempo e dentro i quali riuscivo a vedermi sempre. C'erano solo le sue mani che non mi stringevano ed il cui tocco su di me mi era mancato ogni giorno. C'erano le sue labbra che mi ricordavano il sapore di ogni nostro bacio, le uniche in grado di ridarmi il respiro che mi si era bloccato nel petto.
Non riuscivo a dire nulla, le parole di uscire non ne volevano sapere, il cuore correva come un matto ed era il segno che io solo con lui vicina riuscivo a sentirmi viva.
Sentii le lacrime bagnarmi gli occhi e scendere piano sulle mie guance, non avrei voluto farlo, non avrei voluto piangere, volevo che lui mi vedesse forte, sicura di me nel dirgli e nel dimostrargli quanto il mio amore fosse vero, senza dubbi e senza ombre.
Invece non fiatai, lo fissai soltanto, sperai che le mie lacrime gli dicessero tutto quello che avevo dentro, che gli mostrassero quanto mi era mancato, che gli sussurrassero di tornare da me perché era lui quello di cui avevo bisogno, era lui il senso del mio mondo. Lui che c'era sempre stato, lui che mi aveva salvato.
Matteo allungò le sue mani verso il mio viso e cercò di portarsi via le mie lacrime con le dita.
Io portai le mie mani sulle sue e le strinsi forte, avevo paura che da un momento all'altro se ne sarebbe andato di nuovo.
Lui si avvicinò piano ed ad ogni suo passo il mio cuore perdeva un battito.
Si fermò solo quando la sua fronte si appoggiò sulla mia.
"Basta lacrime Alexandria, non posso vederti piangere"
"Scu-s..." Matteo mi mise un dito sulle labbra e non mi permise di dire nulla.
"Lo so" mi sussurrò soltanto.
Chiuse gli occhi e le sue mani si staccarono dal mio volto e mi avvolsero la vita stringendomi forte.
La sua bocca si poggiò lentamente sulla mia e le nostre labbra che tanto si erano mancate e desiderate iniziarono a muoversi come fossero una sola, le nostre lingue si intrecciarono per non staccarsi più.
Il sapore di quel nostro bacio era dolce, ma intenso, aveva il gusto di quella mancanza che si è sentita a lungo e che non si riesce a sopportare più. Era un misto di amore e passione, quella che ti resta appiccicata addosso senza volersene andare mai, quella che arriva inaspettata e ti travolge come un mare in tempesta.
Ed io era stata travolta da questo ragazzo che aveva il mare negli occhi e la tempesta nel cuore e non volevo e non potevo fare a meno di lui, mi si era appiccicato addosso senza volersene andare mai, era arrivato inaspettato e la tempesta che aveva nel cuore ora era la nostra.
Si era preso tutto di me ed io di lui, lo amavo come non credevo possibile e le sue braccia erano l'unico posto dove potevo stare, l'unico posto che mai avrei voluto lasciare, quello dove niente ha più senso se non io con lui.
Era il mio senso Matteo, la mia casa, il mio rifugio, il mio cuore. E senza il cuore non si può mica vivere.
E in quel corridoio deserto stretti forte l'uno all'altra io e Matteo stavamo ricongiungendo i pezzi di noi per formare quell' intero che eravamo stati dal primo in giorno in cui i suoi occhi entrarono nei miei senza uscirne mai.
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