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L' incontro

Alexandria

"Sei pronta?" Mi domandò Matteo prendendo la mia mano nella sua una volta davanti al cancello di ferro nero ancora chiuso.
"Sinceramente? Non credo di esserlo davvero. E tu?"
Si limitò a rispondermi con un semplice movimento della testa e no, neanche lui lo era.
Guardai i suoi occhi azzurri cercando lì la forza per fare quello che sapevo di voler e dover fare, ma che mi spaventava da morire. Gli occhi di Matteo però mi facevano intravedere la mia stessa paura e capii che anche per lui stare lì non era affatto semplice, forse era anche più difficile che per me.
Oltre quel cancello c'era suo fratello. Un legame che si era creato non per via del sangue ma per scelta. Una scelta che era avvenuta da bambini, forse troppo piccoli ed immaturi per riconoscerne il vero significato, ma l'affetto che si era creato tra loro era nato lì, correndo dietro ad un pallone tra sorrisi, dispetti e grandi sogni.
Alla fine il ragazzo che c'era dietro quel cancello era poco più di un estraneo per me, mi aveva fatto più male di quanto potessi credere ma in realtà il dolore stava consumando anche lui, era sé stesso la persona che odiava e questo lo aveva portato ad odiarlo il mondo che gli girava intorno.
E l' odio lo aveva portato a ferire me, ma ancora di più la persona meravigliosa che avevo accanto, per lui vedere quello che considerava suo fratello distruggere per distruggersi doveva avergli causato un dolore ed un senso di colpa difficili da dimenticare.
Dovevo essere io a fare il passo, io lo avevo portato lì ed io stretta al suo braccio sarei entrata lì dentro, da quel fratello che si era scelto, per affrontarlo tutto l'odio che ci aveva quasi distrutto.
"Andiamo" mi sentii dire e suonai.

Quando il cancello si aprì entrammo dentro il giardino e vidi Riccardo uscire sul portico. Mi fermai un istante e lo osservai; Aveva i capelli biondi più lunghi dell'ultima volta che l'avevo visto, gli si intravedevano le ciocche ricce, era più magro, teneva le mani nelle tasche dei jeans, il volto era bianco e aveva occhiaie scure intorno ai suoi occhi verdi in cui non riuscivo più a vedere quella sicurezza, strafottenza e superiorità che mostrava sempre, erano spenti, forse vuoti.
Matteo strinse più forte la mia mano nella sua e ricominciammo a camminare, ad ogni passo il mio cuore accelerava il battito, ero nervosa, non sapevo con esattezza cosa provassi ad averlo davanti agli occhi. Pensavo la rabbia mi avrebbe portato ad aggredirlo, ma non era così, più mi avvicinavo, più lo guardavo e più pena provavo.
Quando arrivammo abbastanza vicini Riccardo abbassò lo sguardo e si spostò, andando a sedersi sul divanetto in vimini del portico, io mi fermai, ma ancora una volta Matteo mi tirò con lui e ci sedemmo sul divanetto di fronte a Riccardo.
Tra di noi si venne a creare un silenzio assordante pieno di cose da urlare, ma spaventati all'idea di farle uscire fuori.
Riccardo non riusciva ad alzare lo sguardo da terra, io non osavo lasciare la mano di Matteo e lui non smetteva di osservare quel ragazzo con cui era cresciuto.

Chiusi gli occhi, presi un respiro e cercai di fare ciò per cui ero venuta...
"Io...io...Son...Sono venuta qui perché avevo bisogno di vederti, di capire, di  parlarti, di perdo..."
"No" la voce decisa di Riccardo mi bloccò.
"Tu non devi fare proprio niente, io devo. Devo pagare, mi devo scusare, anche se "scusa" non sarà mai abbastanza per quello che ho fatto" e strinse gli occhi come se ricordare quel che aveva fatto gli provocasse un dolore intollerabile.
Per un momento vederlo in quel modo mi fece pensare che finalmente anche lui sapeva cosa si provasse, quanto male facesse trovarsi ad affrontare un dolore inaspettato, che ti toglie il sonno e le forze, che vuole mangiarti dentro senza mai darti respiro.
"Io non voglio le tue scuse, voglio capire come tu abbia fatto, come sei arrivato ad un passo dal togliermi la vita e voglio che mi guardi mentre me lo dici " ora lo stavo fissando Riccardo, ma lui non osava fare altrettanto.
"Io...Io...Io...non posso, non posso darti quello che stai cercando" e le sue mani uscirono dalle tasche per strofinarsi ininterrottamente contro i suoi jeans.
"Certo che puoi, anzi, tu me lo devi, me lo devi per farmi andare avanti, per consentirmi  di lasciare la rabbia alle spalle, per non odiarti, per aiutarmi a perdonarti"
"Tu non devi perdonarmi, io non lo merito il tuo perdono"
"Tu no, ma io ho bisogno di farlo e tu devi lasciarmelo fare" mi alzai in piedi di scatto e tentai di avvicinarmi a Riccardo per  costringerlo  a guardarmi, ma appena lo sfiorai, lui si scostò brusco e alzandosi si allontanò da me.
"Non posso...io..io...non posso farlo. Mi...mi... dispiace"

"Ti dispiace?" fu la voce di Matteo a raggiungermi dura. "Ti dispiace?" si alzò e raggiunse Riccardo che si era rifugiato spalle al muro.
"Eri tu il primo a volere che lei venisse qui, eri tu quello che voleva parlarle di persona, e ora? Ora sai dire solo "mi dispiace"? L'hai quasi uccisa e sai dire solo questo?"
Riccardo portò le mani sulle orecchie e iniziò a muovere la testa a destra e sinistra quasi a non voler sentire.
"Ma che razza di vigliacco sei eh?" Matteo lo afferrò per la maglietta.
"Tu glielo devi, hai capito? Starai qui a sentire quello che lei vuole dirti, le darai le risposte che  sta cercando e no, non te lo meriti il perdono, ma Ale non è te, ha forza sufficiente per affrontare ciò che hai fatto e tu glielo permetterai, hai capito?" Cercò di scuoterlo strattonandolo, ma Riccardo non rispondeva, continuava solo a tenere gli occhi serrati e a muovere la testa con le mani su di essa e a sussurrare "non posso, non posso, non posso"
A vederlo così mi fece quasi tenerezza, sembrava un bambino terrorizzato con un tormento grande che non riusciva a scacciare e che lo divorava dall'interno.
"Tu non puoi, tu devi vigliacco" e Matteo gli afferrò le braccia per costringerlo ad ascoltare.
"No, non posso" gridò Riccardo allontanando Matteo con una spinta.
"Sì, sono un vigliacco hai ragione, ma come fai a non capire? Io non ci riesco, pensi che non vorrei darle quello che cerca? Pensi che non vorrei lei si scordasse di me e andasse avanti con la sua vita? Io non dormo la notte da quel maledetto giorno, ogni volta che chiudo gli occhi rivedo tutto e darei qualsiasi cosa per tornare indietro, ma non posso" e Riccardo finalmente rivelò i suoi occhi verdi pieni di lacrime pronte a farsi vedere.
"Non posso darle risposte che neanche io conosco. Io non lo so perché ho fatto quel che ho fatto, io non volevo, non volevo farle del male, volevo solo spegnermi fuori così come lo ero dentro" e le sue lacrime amare iniziarono a segnarli il volto.
"Come posso ascoltarla, parlarle, se non riesco a guardarla? Io mi vergogno di quello che sono diventato, non riesco a guardarmi allo specchio senza provare ribrezzo per me stesso, non posso accettare che lei mi perdoni perché sono imperdonabile, che lei mi guardi perché io la sporchi di nuovo con i miei occhi, pieni di odio. Lei non lo merita. Io invece si, mi merito l'odio, la rabbia, gli incubi e tutto quello che di peggio questa vita mi riservi. Io non sono nessuno e nessuno non può essere perdonato, perché nessuno non esiste, nessuno è un vigliacco, nessuno non sa amare, nessuno sa solo far male, nessuno vorrebbe non esistere, vorrebbe essere dimenticato e non ricordato. E se potessi io cancellerei la mia vita per impedirmi di toccare la tua" e Riccardo portò i suoi occhi su di me, solo per un attimo, ma bastò questo per farmi vedere come le sue lacrime fossero solo lo sfogo per il suo cuore ferito che non smetteva di sanguinare.

"Io non sono quello che hai visto, quello che ti ho mostrato, io non so cosa o chi sono, forse un mostro, non lo so, e non so se lo capirò mai, ma una cosa posso dirtela. Ho sperato ogni giorno che tu ti svegliassi, ogni mio respiro era legato al tuo e se tu non avessi riaperto gli occhi, non so se io avrei trovato il coraggio di continuare a fare  lo stesso con i miei. Ora tu sei sveglia, stai bene e devi andare avanti senza pensarci più a me, io mi merito tutto, gli incubi, il dolore, il disprezzo, il tormento che ogni notte mi toglie  il respiro, non il perdono, non l'amore che non ho mai saputo cosa fosse"
Sì girò verso Matteo e continuò: "Tu eri mio fratello, io ti invidiavo, invidiavo la tua famiglia, volevo essere come te, ma come facevo a dirtelo? Non ho mai avuto la forza di essere sincero e ho sbagliato perché alla fine quell'invidia mi ha divorato dentro e ti ho fatto cose che non avrei mai voluto,  che mio fratello non si meritava affatto e non riesco a trovare pace per questo, ho perso l'unica persona che mi ha mostrato cose fosse l'affetto"
Ed il pianto si fece più forte, singhiozzava Riccardo davanti ai nostri occhi. Si portò di nuovo le mani sulla testa e si piegò sulle ginocchia.
"Per favore, andate via, io non posso guardarvi, voi non potete perdonarmi, io non sono nessuno, non sono niente"
E vederlo lì a terra, con la testa tra le mani, il pianto disperato che non riusciva a controllare mi fece aprire gli occhi su quanto Riccardo fosse spezzato dentro, distrutto dal senso di colpa, solo, smarrito, sembrava un bambino perduto.
E guardarlo mi fece riflettere sul fatto che io stavo bene, lui mi aveva ferita ma non distrutta, io avevo la mia vita, la mia famiglia, Matteo, potevo guardare avanti con entusiasmo, invece lui non aveva niente. Solo un grande vuoto che non gli lasciava respiro, era stato bruciato da una famiglia che non era mai esistita, il suo tormento riuscivo quasi a toccarlo.
Io non meritavo ciò che mi era successo, ma forse neanche Riccardo meritava tutto quel dolore e quel vuoto che voleva portarselo via.
Quello che mi era successo si era sommato alla sua vita schiacciandolo ed io guardandolo non riuscivo a pensare che era così che doveva essere per lui, nessuno, neanche lui, si meritava di vivere così.
Eravamo giovani, troppo per pensare che non ci fosse possibilità per noi, che non ci fosse speranza.
L' irrimediabile ci aveva sfiorato, ma non aveva vinto, aveva vinto la vita. La mia. E volevo e potevo lasciare andare, volevo e potevo perdonare, volevo e potevo mostrare a Riccardo, bambino perduto più che ragazzo, un po' di speranza, un po' di luce nel buio che lo stava tormentando.

"No, tu puoi guardarci e noi possiamo perdonarti" dissi avvicinandomi e inginocchiandomi davanti a lui.
"No, non è vero. Non è possibile. Non lo capisci?"
"Sì che è possibile, lo sto facendo e tu me lo lascerei fare, ne ho bisogno.
Tu ne hai bisogno"
Gli afferrai le braccia e gliele allontanai dalla testa e lui me lo lasciò fare.
"Guardami Riccardo" gli dissi decisa.
Lui tentennò un attimo, poi alzò il viso tenendo però gli occhi chiusi.
"Guardami" gli ripetei ancora.
Lui strizzò gli occhi e finalmente lì aprì. Erano verdi e le lacrime li rendevano ancora più lucidi.
Sembrava stremato, vittima di una guerra che non sapeva come fare a vincere.
"Tu mi hai fatto molto male, ho perso quasi due mesi della mia vita per quel maledetto incidente, ma guardami...Ora sto bene, sto bene. Sono felice. E se io ce l'ho fatta, puoi farcela anche tu. Non hai motivo per non farlo. Io sono sveglia e sto vivendo, sto amando, sto crescendo, puoi farlo anche tu.
Qualcuno mi ha detto che perdonare porta solo amore, ed è vero sai? Io ce l'ho qui accanto e spero che oggi, qui, tutto questo possa essere un nuovo inizio anche per te"
Lo abbracciai, lui mi strinse forte, le sue lacrime e i suoi singhiozzi avevano il sapore del pentimento, del senso di colpa, del dolore provato e provocato, dell'amore desiderato ma lontano, del perdono non sperato ma arrivato.
"Non...non...non volevo. Scus...sa...scusa....Perd...perdonami"  cercava di parlare ma il pianto glielo impediva.
"Lo so, lo so Riccardo" ed ebbi l'impressione che in quel momento, nonostante i singhiozzi, nonostante le lacrime, lui stesse trovando un po' di respiro e forse anche un po' di pace.

Restammo qualche minuto in quel modo finché
all'improvviso sentii la mano forte di Matteo poggiarsi sulla mia spalla e su quella di Riccardo, mi scostai da quell'abbraccio e guardai il mio ragazzo negli occhi, capii subito solo guardandolo che aveva bisogno anche lui di affrontare, di perdonare, di lasciare andare.
Mi spostai e mi allontanai di qualche passo, Riccardo si alzò, cercò di asciugare il volto rigato di lacrime con le maniche della maglia e guardò Matteo che stava proprio di fronte a lui.
"Tu eri parte della mia famiglia, lo sei sempre stato, sapevi tutto di me ed io di te, avrei dovuto accorgermi di ciò che ti stava succedendo, ma tu avresti dovuto parlarmi, non chiuderti dentro e fare finta di essere altro da ciò che per me sei sempre stato"
Riccardo abbassò gli occhi a terra ancora.
"Io non so chi ero o cosa sono ora"
Matteo poggiò entrambe le mani sulle sue spalle.
"Non è vero, tu sei quel ragazzo cresciuto con me che faceva a botte per difendermi quando io ancora non sapevo farlo da solo. Tu sei quel bimbo che dormiva con me e mi accendeva la luce ogni volta che mi svegliavo dopo un incubo dove il mostro era mio padre. Tu sai quello che eri e puoi diventare quel che hai sempre sperato di essere"
"Tutto questo ormai è passato, ero solo un bambino all'epoca e ancora la vita non mi aveva macchiato l'animo"
"Riccardo" e il mio ragazzo lo scosse bruscamente "hai fatto una cosa che non potrò mai dimenticare, ho passato mesi d'inferno tra passato e presente e tu ne conosci il motivo, tu sapevi da dove venivo e ciò che avevo vissuto.
Questi mesi mi hanno riportato lì, nel passato da cui sono sempre fuggito, ma questa volta l'ho affrontato, tu mi hai costretto a farlo e ora so che è arrivato il momento di lasciarlo andare"
Riccardo portò le sue mani sulle braccia di Matteo quasi come se avesse paura che quel ragazzo, quasi fratello lo lasciasse solo nel vuoto in cui stava annegando.
"Tu eri mio fratello" e alzò lo sguardo.
"Tu devi ritrovarti e non sarà affatto semplice, ma sei mio fratello, non per sangue, ma per scelta, fai parte della mia famiglia, ricordalo, perché io non l'ho dimenticato mai"
E Matteo e Riccardo si unirono in un abbraccio che era il ricordo di un legame perduto ma mai dimenticato. Un legame che per scelta si era creato e che forse poteva rinascere sulle macerie di quello che era stato.
Non c'erano più parole da dire, non c'era più alcuna rabbia da urlare, nessun odio da scacciare.
C'era il perdono che aveva portato amore e  quell'abbraccio tra fratelli che si erano scelti me lo stava mettendo davanti agli occhi.
C'eravamo noi, ragazzi segnati ma vivi, c'era quell'abbraccio che poteva essere il nostro nuovo inizio, che poteva essere tutto.

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