Casa...
Ho sempre creduto non mi servisse tenere un diario, la reputavo una cosa da bambini ed io ormai non lo ero più. Ho sempre pensato che scrivere, buttare giù le mie sensazioni, i miei pensieri, le mie emozioni, fosse una cosa che non faceva per me, non ne ero in grado e forse non lo sarò mai. Solo che dopo l'incidente di mio padre il mio mondo si era capovolto, avevo una tristezza dentro, una rabbia, mi sentivo sola e scrivere mi era sembrato l'unico modo per riuscire a sfogarmi e per sentire vicino chi vicino a me non lo era più.
Non riuscivo a parlarne e scrivere era il mio modo per farlo. Ognuno ha un suo modo di dire le cose ed io in quel diario avevo trovato il mio.
Mamma mi guardava spesso scrivere, ma non diceva mai nulla, forse lo sapeva cosa stavo facendo, a chi stavo scrivendo o forse no. Non mi ha mai chiesto nulla.
Era diventata silenziosa mamma.
Avevo sempre avuto un rapporto speciale con papà e lei ne era felice, era contenta di vederci così, sapeva che c'erano cose che a lei non dicevo ma a lui si, ma ho sempre parlato anche con lei.
Avevamo un bel rapporto, era lei che sapeva benissimo cosa mi piacesse da matti e cosa odiavo da morire, era lei che mi ha sempre accompagnato in giro per negozi come un'amica, è da lei che ho preso il colore degli occhi, lei mi ha trasmesso la passione per il pallone. Si proprio il pallone. Mamma è sempre stata una gran tifosa del Milan. Diceva sempre che era stata colpa dello zio Luca, suo fratello, che fin da quando era piccola l'aveva sempre costretta a vedere le partite con lui e a giocare con i suoi amici, finché anche lei non si è appassionata.
Sono stata con lei un paio di volte allo stadio a vedere qualche partita, ma poche, perché purtroppo abitiamo lontano da Milano, però ogni volta che c'era qualche partita importante la vedevamo insieme anche a casa. Ci mettevamo sul divano e festeggiavamo ad ogni gol, mentre ci arrabbiavamo invece ad ogni gol sbagliato, ad ogni passaggio mancato o rigore non dato. Papà ci guardava divertito e a volte un poco sconcertato per le nostre urla, si domandava spesso come era stato possibile che lui che di pallone non aveva mai capito nulla, avesse sposato una tifosa sfegatata come mamma.
Si punzecchiavano sempre ed era divertente vederli.
Elena non capiva molto di calcio, come papà, ma ogni volta che esultavamo lei si univa a noi tra la disperazione di papà che si copriva le orecchie per non sentirci.
Ridevamo troppo per le sue facce buffe.
Tutto questo però non c'era più. Niente più uscite. Niente più grida. Niente più risate. Con mamma non parlavamo più, ci limitavano alle cose semplici. Cosa mangiamo, come va a scuola, aiuta Elena con i compiti.
Quel primo giorno di scuola quando tornai a casa mamma era già dentro. Quando mi vide mi chiese: "Alexandria com'è andata a scuola?"
"Bene" dissi e lei fece solo un cenno di assenso con la testa esortandomi ad andare a controllare cosa stesse combinando Elena.
Una volta non avrebbe fatto così. Mi avrebbe riempito di domande e, cosa più importante, si sarebbe preoccupata del mio stato d'animo, delle sensazioni provate a stare di nuovo tra tutta quella gente e sotto i loro sguardi pieni di compassione.
Ma non lo fece e neanche io lo feci con lei. Ormai il nostro rapporto si limitava a domande e risposte secche. Niente discorsi troppo lunghi. Nessuna domanda che potesse portare a parlare di papà. Niente.
Andai da Elena e la trovai indaffarata a frugare tra i miei cd con molta concentrazione. Le chiesi cosa stesse facendo e con espressione corrucciata, indicando gli scaffali della mia scrivania dove non poteva arrivare, mi rispose: "Cercavo il disco di papà, quello del cantante che gli piaceva tanto, quello che canta la canzone che papà dedicava sempre a te, a me e alla mamma. La voglio ascoltare prima di addormentarmi. Ma io non arrivo lassù."
Rimasi interdetta per un attimo, erano passati 4 mesi e quella canzone non l'avevamo sentita più.
A Elena piaceva ascoltarla, era nata con quelle note ed era sempre felice dopo, andava in giro con il sorriso e gridava che noi eravamo i grandi amori di papà.
Posai le mie cose e presi il lettore mp3 dallo zaino.
"Vieni Elena te lo faccio ascoltare da qui con le cuffie. È tardi per prendere lo stereo, disturberemmo tutti e poi è troppo grande."
In realtà avevo paura che mamma potesse sentirci, credo che si sarebbe arrabbiata. Lei non ce la faceva proprio a sentire quel CD di papà. Non più.
Presi Elena e la portai in camera sua, l'avvolsi nelle coperte e mentre le stavo sistemando le cuffie mi chiese:
"Ale pensi che mamma prima o poi ascolterà insieme a me di nuovo questa canzone? Prima lo facevamo sempre."
Era piccola Elena, era una bambina però non era stupida, ma io non potevo darle la risposta che desiderava.
"Non lo so Elena" risposi sincera.
"Allora l'ascolti tu con me?" Mi chiese guardandomi con i suoi piccoli occhi neri a cui non si poteva negare nulla.
Mi stesi accanto a lei che mi regalò un sorriso di quelli belli, di quelli sinceri che solo i bambini sanno fare, un sorriso di quelli che ricordava papà.
L' abbracciai forte e premetti il tasto play....
"A te che sei, semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore"
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