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Andremo insieme

Alexandria

Era tardi, mi trovavo stesa sul letto a fissare il soffitto pieno di stelle, erano finte ma con la luce spenta restavano solo loro ad illuminare la notte.
Dormivano tutti tranne me, il sonno  non voleva proprio saperne di venire a farmi visita, ripensavo agli ultimi giorni trascorsi in compagnia di Laura e della sua famiglia, erano stati davvero meravigliosi, ci eravamo tutti divertiti tantissimo e nemmeno per un secondo la mia mente aveva pensato agli ultimi mesi, ma in quel momento il tempo per la nostra piccola vacanza era quasi finito ed era arrivato il momento di tornare a casa e non avevo potuto fare a meno di tornare lì dove il mio tempo si era fermato per un po'.
Osservai Matteo che dormiva nel letto accanto al mio, il suo volto era così rilassato che un piccolo sorriso mi si formò sulle labbra, allungai una mano e gli sfiorai delicatamente prima il volto e poi i suoi ricci tutti spettinati. Avrei tanto voluto baciarlo ma lo avrei svegliato e sicuramente avrei svegliato anche il piccolo Alessandro.
Stavamo tutti e tre nella sua stanza, aveva insistito talmente tanto che sia io, sia Matteo dormissimo con lui che Laura e Luca erano stati costretti a mettere accanto al letto a castello un altro letto. Per fortuna avevano una poltrona già pronta a fare da letto e misero quella senza dover fare troppi spostamenti per tutto il piano.
Così ora eravamo in tre in una stanza, i maschietti dormivano nel letto a castello ed io sul letto accanto a loro.

Erano stati giorni pieni, Alessandro aveva voluto che Matteo ed io lo andassimo a vedere agli allenamenti di calcetto, giocava nei pulcini nella squadra della città, il suo ruolo era l'attaccante ed era anche bravo per essere piccolo.
Durante la partita in allenamento aveva segnato due gol e tutte e due le volte appena la palla entrò in porta si girò verso di noi tutto felice. Laura e Luca ad ogni gol avevano alzato la voce per esultare, forse pure troppo visto che Alessandro si avvicinò due/tre volte per dirgli di farlo a bassa voce, in quel modo li sentivano tutti e dopo i suoi amichetti lo avrebbero preso in giro.
Non c'era niente da fare quel bimbo era davvero adorabile, certo sapeva essere anche molto capriccioso, dopo l'allenamento, per esempio, avevamo deciso tutti di andare a cena fuori e lui si era fissato con il Mc Donald's, i genitori avevano fatto di tutto per convincerlo che era più buona la pizza, ma niente, non ne aveva proprio voluto sapere.
Ci avevamo messo un'ora buona a convincerlo del fatto che la pizza era molto meglio, gli raccontai addirittura di quel pomeriggio in cui io ed Isabella grazie all'aiuto di Elena l'avevamo cucinata e lì sembrò stesse per cedere, ma lui acconsentì solo a condizione che io mi sedessi accanto a lui e che dopo la cena, anche se eravamo in inverno, potesse mangiarsi il gelato.
E così era successo, avevamo mangiato la pizza tutti insieme e Luca ci aveva parlato di quando da ragazzo grazie all'università era riuscito a studiare per tre mesi in Australia, a Sydney.

Ci aveva parlato del clima, in estate, ad agosto, quando saremmo andati noi non avrebbe fatto molto caldo perché lì sarebbe stato inverno, ma ci aveva detto che comunque le temperature sono miti non fredde.
Ci consigliò anche alcuni luoghi da visitare, in particolare disse di andare al Sydney Harbour Bridge, il ponte ad arco che collega il Central Business District, la zona degli affari, con la parte settentrionale della città, dal vivo a detta di Luca è uno spettacolo meraviglioso.

Ci parlò della Sydney Opera House, la struttura famosa per essere stata costruita come se fosse la vela di una barca, ci raccontò che una sera mentre si trovava lì vide le luci  dell'Opera House accendersi e rimase bocca aperta, quella sera si colorarono di rosa ed illuminarono tutta la zona circostante.

Ci disse che dovevamo assolutamente andare alla Bondi Beach, una delle spiagge più belle di Sydney, ci raccontò essere lunga un kilometro e  contornata da due grandi scogliere ai lati,  lì aveva visto un sacco di ragazzi pronti a sfidare l'oceano con la loro tavola da Surf ed era sempre lì che aveva conosciuto un ragazzo del posto, Mike si chiamava, lui era un surfista e provò anche a dargli qualche lezione ma con risultati imbarazzanti, Luca ci disse che voleva provare anche lui ad imparare ma tre mesi erano troppo pochi per farlo davvero.

Quella sera scoprii che era stato Luca a far venire l'idea a Matteo di andare in Australia, con i suoi racconti del posto lo aveva incuriosito e sapendo quanto fosse importante per me decise di farmi questo regalo.
Anche Matteo si era fissato con il surf e le onde ma era pazzo se credeva lo avrei fatto surfare davvero. Troppo pericoloso.

Quel sabato la serata fu piacevole, era impossibile non stare bene in  compagnia di Laura,Luca ed Alessandro, era bello ascoltarli e a loro piaceva raccontarsi, Laura ci disse della sua esperienza lavorativa
Si era laureata in scienze della comunicazione e dopo la laurea aveva trovato lavoro presso un giornale locale, solo che dopo la nascita di Alessandro preferì stare a casa ad occuparsi di lui, non aveva rimpianti, suo figlio e la sua famiglia era tutto ciò che aveva sempre desiderato ed era felice così.

La domenica Matteo mi portò a visitare i luoghi della sua infanzia, mi fece vedere la scuola materna che frequentò da piccolo, mi portò al parco dove la domenica andava con i genitori, passammo accanto al palazzo dove abitava quando era piccolino, la casa in cui non erano mai più tornati.
I suoi ricordi erano sbiaditi ormai, era troppo piccolo quando lasciarono questo posto, eppure nei suoi occhi intravidi nostalgia mista a tristezza mentre camminavamo lungo la città in cui era nato. Era normale pensai, lì non era stato felice per tanto, ma nello stesso tempo aveva mosso lì i suoi primi passi, era lì che aveva imparato a cadere e rialzarsi, era lì che era nata e cresciuti sua madre e Claudio, quel posto possedeva le sue origini.

Guardandolo dormire accanto a me quella notte mi domandai quanto dovesse aver sofferto a vedere un padre ubriaco che se la prendeva con la madre e lui, piccolo, impotente, ad osservare senza poter fare nulla, a subire le botte di un uomo che si era irrimediabilmente rovinato e stava per trascinare la sua famiglia con lui. Mi domandai che cosa dovesse aver provato lui quando poi capii che cosa il padre aveva fatto quella notte in cui non tornò più a casa.
Me lo immaginai ragazzino a caricarsi di un senso di colpa non suo, a tatuarsi una M sul braccio per non scordarselo mai il dolore provato, lui piccolo e forte a lottare contro il fantasma di un padre che padre non era stato mai.

E inevitabilmente mi ritrovai a pensare a me, al mio incidente e a tutto il passato di Matteo che come un macigno gli era tornato addosso, di nuovo di notte e di nuovo da una persona importante per lui, quasi un fratello.
Forse fino a quel momento non ci avevo mai davvero pensato, ma Matteo doveva aver rivissuto tutto di nuovo quella notte. La paura, l'impotenza, il terrore di perdere chi ami, il senso di colpa, la rabbia, il dolore, tutto.
Non avevo mai pensato a come doveva aver vissuto lui quel mese senza di me, sapevo era stato ogni giorno accanto a me e sapevo anche che la sua vita si era fermata come la mia. Doveva aver odiato chi ci aveva fatto questo, così come era successo con suo padre e deve aver sperato di non doverlo fare più, di poterla trovare anche lui la felicità e quando i miei occhi si sono aperti deve averla vista vicina, ma io sapevo che mancava qualcosa a questa nostra vita ritrovata.
Dovevamo lasciare andare.
Dovevamo lasciare andare la rabbia, l'odio, il dolore. Quest' ultimo sarebbe sempre stato parte di noi a ricordarci quello che era stato, ma noi dovevamo vivere quello che sarebbe venuto.

Decisi di alzarmi e andare a prendere un bicchiere d'acqua, non ne potevo più di pensare e pensare.
Scesi le scale cercando di fare il meno rumore possibile e una volta in cucina mi avvicinai al ripiano per cercare la bottiglia dell'acqua.
"Alla tua destra, sul ripiano della cucina, ho messo l'acqua" una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare.
"Scusami non ti volevo spaventare" mi girai verso la voce e vidi Laura accanto alla finestra che guardava fuori.
"No, scusami tu non volevo disturbarti"
"Non mi disturbi" disse lei "non riesci a dormire?" 
Feci un cenno negativo con la testa.
"Neanche io" rispose lei.
Ci fu un attimo di silenzio, non sapevo che dire, in realtà era la prima volta che mi trovavo da sola con lei e avevo notato che il suo sguardo aveva un velo di tristezza. Era strano, in questi due giorni era stata sempre sorridente e serena.
"Vieni, andiamo a sederci sul divano di là visto che non riusciamo a dormire"
La seguii in salotto dopo aver preso l'acqua e ci accomodammo sul divano.

"Brutti pensieri?" Mi chiese all'improvviso.
"Più o meno" risposi un po' titubante.
"Anche io ne ho un po', possiamo condividerli se ti va"
Non sapevo se volevo farlo però, insomma lei forse poteva capirmi più di ogni altro, eppure avevo un po' di timore a parlargliene.
"Inizio io" disse come se mi avesse letto nel pensiero.
"Tredici anni fa come oggi mi sono risvegliata dal coma, dopo più di un anno dall'incidente finalmente riuscii a svegliarmi e ogni anno da allora non riesco mai a dormire in questo giorno. Dopo che dormi per tanto tempo non hai più voglia di farlo e anche se sono passati tanti anni, oggi non voglio chiudere gli occhi"
La capivo benissimo, era davvero strano, anche io nonostante fossi stata in coma per quasi un mese, niente in confronto ad un anno, soprattutto all'inizio facevo fatica a dormire, anche se più passava il tempo più andava meglio.
"Anche a me capita spesso, a volte ho paura a chiudere gli occhi, ho paura che se lo faccio poi non mi sveglierò e ho paura di sognare la notte dell'incidente"
"È normale Alexandria, è successo pochi mesi fa, anche a me succedeva all'inizio, ma fidati che con il tempo andrà meglio e tornerai a sognare la notte" aveva un tono di voce dolce, rassicurante.
C'era però una domanda che volevo farle, ma non sapevo se fosse il caso, avevo paura di riportare in superficie ricordi dolorosi.
"Mi dispiace per quello che ti è successo tanti anni fa"
"Non dispiacerti, ora io sono felice e sto bene, questo è importante, rialzarsi è stato importante"
"E tu sei stata così forte e coraggiosa nel riuscire a farlo"
"Anche tu lo sei stata Alexandria" mossi la testa in senso di dissenso
"Non è così, io non sono forte e neanche coraggiosa"
"Ti sbagli, io ti vedo qui accanto a me, e vedo una ragazza che è stata ferita ma che si è rialzata per riprendere in mano la sua vita" disse guardandomi negli occhi.
"È stato grazie a Matteo che ce l'ho fatta, lui mi ha sostenuta sempre" lei sorrise alle mie parole.
"Matteo è un ragazzo straordinario e ti ama così come tu ami lui, lo vedo da come vi guardate, da come vi cercate anche se lontani, dall' attenzione che mostrate l'uno verso i gesti dell'altro"
"Anche tu e Luca vi amate, si vede allo stesso modo" era bellissimo che dopo quattordici anni fosse ancora così.
"Anche lui ha aiutato me come Matteo ha fatto con te, lui mi ha ridato vita, anche se sveglia ero spenta prima di incontrarlo"
La capivo così bene, anche io dopo la morte di papà mi sentivo persa e spenta e sebbene le nostre perdite erano state diverse, il vuoto ed il dolore lasciati dentro al cuore li avevamo provati entrambe e pesavano come macigni.
"Come lo hai superato il dolore?"le chiesi finalmente
"Non l'ho superato Alexandria, ho imparato a convivere con lui"
"E come hai fatto?"
"Non lo so, credo il tempo mi abbia dato una grossa mano, prima mi sembrava quasi di non riuscire a respirare, ma ogni giorno in cui mi alzavo, anche se a fatica, andavo avanti, finché il respiro è tornato regolare e il dolore un sottofondo appena accennato ma sempre presente, poi è arrivato Luca e non serva ti dica cosa è stato per me"
No, non serviva me lo dicesse, lo sapevo bene, l'aveva accesa, le aveva ridato respiro, era diventato il suo nord, la sua luce nel buio.
"Tu sei riuscita anche a perdonare chi ti aveva fatto tanto male, non so come hai fatto e anche se dici che anche io sono forte e coraggiosa non è vero perché io non riesco a farlo" lasciai che le mie paure uscissero, ero stanca di loro.
"Alexandria, non devi pensare che il perdono farà stare meglio chi ti ha fatto questo, ma devi pensare a come farebbe stare te. Io ti posso dire che il perdono si è portato via la rabbia, la frustrazione, quell'odio che mi stava mangiando dentro. Lo sai? L'odio stava consumando me e poi che senso avrebbe avuto? Io volevo stare bene,volevo vivere e per farlo dovevo lasciarli andare via"
Lasciare andare, potevo farlo? Volevo farlo? Credo di sì, perché anche io volevo vivere, non volevo che la mia rabbia mi consumasse dentro.
"Lui ha detto che non voleva, che gli dispiace, che non era in sé, che stava così male da voler spegnersi, non voleva farlo a me" e Riccardo ritornò tra i miei pensieri.
Forse lo potevo perdonare, forse era vero, non voleva farmi male.
"Alexandria io non voglio intromettermi e non posso decidere per te, ti posso dire che Riccardo è solo un ragazzo bruciato dalla vita, che non ha avuto famiglia, che ha conosciuto solo il disprezzo. Lo so perché Liliana mi ha sempre parlato di lui e di Matteo e del legame che avevano e non voglio giustificarlo, non c'è giustificazione per questo" si fermò un istante prima di continuare
"Ma?" Le chiesi.
"Ma forse tu puoi dargli una possibilità di andare oltre quello che ha sempre conosciuto, puoi dargli la speranza che non ha mai visto, puoi mostrargli che c'è anche l' amore, non solo il disprezzo che conosce bene"
Io potevo fare tutto questo?
"Non credo di avere tutto questo potere"
"Alexandria, il perdono è un dono grande, porta solo amore, a me lo ha fatto, mi ha portato Matteo e Liliana, non negare e non negarti questa possibilità"
Io non l'avevo mai vista così, pensavo solo che perdonare avrebbe significato cancellare quello che era stato ed io non volevo farlo, volevo andare avanti ma non dimenticando e non volevo che neanche Riccardo dimenticasse, non lo meritava. Ma il perdono non avrebbe cancellato niente, non avrebbe fatto dimenticare nulla, mi avrebbe solo consentito di andare avanti, di lasciare andare, di essere felice e forse potevo lasciare che anche Riccardo lo facesse, potevo dargliela una possibilità di essere qualcun'altro rispetto a ciò che era stato e forse Laura era questo che voleva dirmi.

"Credo che ora è meglio tornare a letto, tra un po' sarà mattina, anche se non riusciamo a dormire almeno potremo riposare un po' " mi sorrise lei.
"Grazie" sussurrai a bassa voce.
"Non c'è niente per cui mi devi ringraziare, ora andiamo"

Salita in camera, volevo solo stare tra le braccia di Matteo così mi stesi piano nel suo letto, proprio accanto a lui.
Dovevo aver fatto meno delicatamente del previsto perché Matteo si svegliò.
"Alexandria che succede?"
"Niente voglio stare qui con te"
Lui si spostò per farmi spazio e sollevò le coperte per avvolgermi in esse e mi abbracciò stretta.
"Me lo dici cos'hai?"
"Mi piace stare così"
"Anche a me, ma ti conosco bene ormai e so quando hai qualcosa, ti si legge in faccia" e mi alzò il mento con la mano per guardarmi negli occhi.
"Mi accompagni?"
"Dove?" Chiese stupito.
"Quando torniamo a casa voglio andare da Riccardo" lui si irrigidì un po' a quel nome.
"No Alexandria"
"Sì invece"
"Ascoltami non devi farlo per me va bene? Te l'ho già detto, per me tu sei importante, non mi interessa di nient'altro e non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi solo per me"
"Ma io lo faccio per me"
Lui mi guardò sorpreso.
"Sì Matteo, ho bisogno di farlo, ho bisogno di lasciare andare via la rabbia, ho bisogno darmi e di dare una possibilità di andare oltre, ho bisogno di amare, il resto voglio lasciarlo andare"
"Alexandria io non ti chiederei mai di..."
Non gli feci finire la frase, lo bloccai mettendogli un dito sulle labbra.
"Matteo, sono sicura di ciò che dico e voglio farlo, per me. E anche tu devi farlo, lo sai, anche tu hai bisogno di lasciare andare, di perdonare e andare oltre la rabbia, oltre quello che è stato. Lui era tuo fratello e tu gli vuoi bene" non rispose Matteo, si limitò a guardarmi e basta, sapeva che avevo ragione ed io sapevo che lui aveva bisogno quanto e forse più di me di farlo.
Mi avvicinai e gli lasciai un leggero bacio sulle labbra, gli accarezzai i ricci ed il volto e lo guardai negli occhi.
"So che questo ti spaventa, sono spaventata anche io, ma ci andremo insieme"
Lui mi prese la mano e la intrecciò alla sua.
"Sempre insieme"

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