6.2
Venerdì 27 aprile 2018
Caterina era rimasta a casa due giorni, mi era arrivato infine un messaggio da parte del mio terrore. Alesia mi scriveva che Caterina stava prendendo molto male questa cosa dei meme e io dovevo (grassettato dovevo) assolutamente darle una mano per superare questa crisi, ovviamente aveva tenuto per ultima l'informazione che lei non poteva muoversi da casa e che però sentiva che bisognava assolutamente intervenire in quel momento, e quindi mi aveva imposto di andare a suonare il campanello della mia vicina e cercare di tirarle su in qualche modo il morale per farla tornare a scuola almeno l'indomani in una condizione presentabile.
Mi ricordo ancora perfettamente quali erano state le sette bestemmie che avevo detto dopo aver sentito il suo vocale, nonostante questo ero sceso di sotto ed avevo fatto i venti metri di marciapiede e suonato il campanello. mi aveva aperto lei, non sembrava nascondere lacrime fresche ma era sbattuta. Molto.
«Ehi Cate».
«Ciao, Daniel».
«Sei giù, mi sa».
«Si sono un po' giu, ma lun...».
«"Lunedi torno"».
«Si».
Stavo sinceramente strippando. Lei non si rendeva conto di cosa mi provocava fisicamente e di quanto mi torturava psicologicamente. Io ero abituato a gente che al massimo calciava in porta al posto di passare, dal vivo o a Fifa, gente che su Thiscrush la scoprivi dopo sette secondi. Certo mi sembrava di avere la gente che mi stava addosso, che mi stressava, fai questo fai quell'altro, ma anche in quei momenti mi rendevo conto piuttosto bene che avevo una vita cazzutamente lineare dove lo sforzo mentale maggiore era guadagnarsi un metro di vantaggio per girarsi palla al piede o per girarla in porta di testa, mi rapportavo con gente mediamente così, tutt'al più con problemi di cuoricini alla foto sbagliata. Non sapevo un cazzo di tipe fragilissime che la gente bullizzava online perché mioddio avevano mandato in giro le proprie tette peraltro sode da far paura. Internet era pieno di tette meno sode di quelle e di ragazze orgogliose di averle e appunto lei avrebbe dovuto essere...
«Orgogliosa».
«Cosa?».
Lo avevo detto sul serio. "Daniel sei un coglione" avevo subito pensato.
«Devi essere orgogliosa».
«Daniel ma che stai dicendo?».
«Orgogliosa sì, ho detto "orgogliosa", si, ho detto... proprio quello».
«E perché dovrei essere orgogliosa? Non mi sento orgogliosa ad essere bersaglio di commenti e meme».
«Quelle sono scemenze, sono cose che lasciano il tempo che trovano, tutto questo succede per invidia, l'invidia passa».
«Ma quale invidia? Questo trattamento lo riservano a qualsiasi ragazza: bella, brutta, magra, grassa. Non è questione di invidia è questione che va così sempre, e io ci sono finita nel mezzo perché sono stata anche una stupida».
Aveva fatto una pausa, aveva detto più parole in quella frase che in tutto il tempo in cui avevamo fatto casa scuola e scuola casa. Vabbè che in quei momenti c'era Alesia che parlava per tutto lo spaziotempo.
«E non riesco a uscirne perché mi sembra di aver tradito il modo in cui sono sempre stata. Come se improvvisamente avessi deciso di essere un'altra».
Delle volte non ce la fai a tenere proprio tutto nascosto. Lei aveva parlato, si era un minimo aperta, ti sentivi in dovere di fare anche tu la tua parte.
«Ho visto i meme in costume, non ti avevo mai vista in costume del nuoto. Ho visto i costumi mentre li stendevi. Ma non te li avevo mai visti addosso».
Imbarazzo.
«Sai d'estate non giri molto e, ecco, è da un pezzo che non ti vedo in giro. In estate».
«Quindi?».
«Quindi non hai fatto un torto né a te stessa né a nessun altro, sono gli altri che forse dovrebbero guardarsi dentro e vedere dove hanno sbagliato. Insomma non voglio ridurre tutto al corpo ma caspita non sei certo tu che dovresti nasconderlo».
Girava in felpa dell'Adidas e tuta del nuoto anche in quel periodo in cui le temperature erano ormai più che miti. Chiunque avrebbe capito che aveva un problema con il suo corpo, a meno che non fosse una testimonial dell'Adidas.
«Quindi la gente può passarsi le mie foto perché non sono cicciona o secca e senza seno? Ma stai scherzando?».
«No, non ho detto questo».
«Si».
«No, ho detto che devi esserne orgogliosa. Che sei una bella tipa, e se tu avessi anche più orgoglio...».
«Quindi il corpo va bene, ma la testa no».
«Oddio non essere orgogliosi di sé stessi non vuol dire essere malati di mente cazzo Cate!».
Si era ritratta. Io ero pieno.
«Cazzo Cate, cazzo cazzo cazzo ma tu sei brava a scuola, sei brava a nuoto, sei figa. Esci dal loop di merda che questa cosa ha reso la tua vita invivibile».
«Ti sembra facile stare dentro questa pelle? Dover lottare tutti i giorni con gli sguardi, le risate, le battute quando passi perchè ti allontanano dal tuo corpo? Io sono fuori dal mio corpo, mi hanno sfilato dal mio corpo e tutti i giorni me lo sbattono in faccia».
«Ma fregatene, sai perchè? Perchè ti sbattono in faccia il fatto che non sono capaci di apprezzarti. Fregatene e pensa al lato bello della vita, che di lati brutti in giro ce ne sono già troppi. Ora ti abbraccio».
Si era irrigidita.
«Non posso abbracciarti?».
«Si».
Ma non si era mossa.
«Quindi mi tocca fare tutto, ho capito».
Non ho molta dimestichezza con gli abbracci disinteressati, diciamo che ho sempre puntato ad abbracciare le ragazze per portare a casa qualcosa, se le abbracci disinteressatamente o pensano male, oppure si fanno i film. In quel caso potevo abbracciare per portare a casa qualcosa, ma non l'avevo fatto, avevo stretto lei semplicemente perchè ne aveva bisogno, non proprio come un compagno di squadra dopo che hai perso una finale, ma quasi.
Non avevo mai avuto nemmeno dimestichezza con persone in difficoltà, con gente che sentiva il mondo remargli veramente contro, non che finisce i giga mentre ascolta Ultimo che gorgheggia. Era rigida, contratta su sé stessa, in guardia come quando vai a vedere un horror e sai dalla musica che sta per succedere qualcosa di horror. Poi aveva mollato, rilassandosi di poco, ma era già qualcosa, non aveva parlato, non aveva pianto, eravamo semplicemente rimasti così.
«Domani torni».
«Si, torno».
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