Capitolo 5
Pedalavo con tranquillità, i capelli scompigliati dal vento e il rumore fastidioso della catena vecchia in sottofondo ai miei pensieri. Ripercorsi mentalmente i fatti avvenuti il giorno prima, il secondo giorno di scuola.
La mattina era trascorsa lentamente, avevo desiderato che passasse in fretta per poter arrivare alla lezione di inglese. La motivazione sincera per la quale non vedevo l'ora di fare quella materia era il lavoro in coppia: da un lato mi entusiasmava il fatto che la prima opera da analizzare fosse "I promessi sposi", romanzo che avevo già letto e che amavo; dall'altro l'idea di rivedere Nicholas mi rendeva nervosa ed agitata, come prima di un compito importante. Non gli avevo ancora perdonato il fatto che mi avesse chiamato "fiorellino", ma d'altra parte, non avrei potuto tenere il broncio per sempre.
Come il primo giorno, avevo lasciato vagare lo sguardo nella mensa, dopo aver riempito il vassoio -pur sapendo dove fossero i miei amici- e avevo cercato Nicholas. Non fui stupita di non vederlo seduto a nessun tavolo. Forse l'avrei rivisto in classe.
Rod mi aveva tenuto un posto vicino a sé e, come pattuito, mi aveva raccontato il motivo che lo aveva rattristato il giorno prima. Altro non era che un problema di cuore. Mi aveva spiegato che durante arte aveva parlato molto con la sua cotta delle medie, Rosy, e che lei gli aveva confessato di provare qualcosa per lui già dal terzo anno della scuola media. Il problema, mi aveva spiegato, era che aveva legato tanto l'anno precedente con Denise. Ancora ricordo quando lei lo prendeva a braccetto, mentre io me ne stavo in disparte ad osservarli, un moto improvviso di gelosia che mi attanagliava lo stomaco.
Ora lui non sapeva cosa fare e mi aveva chiesto aiuto, pur sapendo quanto non sopportassi sia l'una che l'altra.
«Uhm, suppongo che se ti dicessi che la cosa migliore da fare sia interrompere il contatto con entrambe non saresti d'accordo». Lui mi aveva guardato alzando un sopracciglio.
«Ecco, appunto» avevo detto scuotendo la testa. Non avevamo fatto altro che parlare del suo problema per tutta l'ora di pranzo, ma almeno non si era ricordato di dovermi chiedere spiegazioni riguardo al motivo della mia tristezza e così avevo evitato di dirgli una bugia. Non che non sapessi mentire, anzi, ma se potevo cercavo di evitarlo.
Nell'ora di inglese il mio compagno di banco era assente. Mi ero sentita sollevata ed allo stesso tempo demoralizzata, una combinazione alquanto strana, seppur vera.
L'ora di spagnolo invece l'avevo trascorsa chiacchierando con Cor e ci eravamo date appuntamento davanti alla scuola, per entrare insieme in palestra.
Il pomeriggio infatti avevo fatto il primo allenamento di pallacanestro ed era andato tutto bene, anzi, più che bene. Avevamo conosciuto gli altri componenti della squadra di basket femminile, la Lionest. Il coach ci aveva spiegato qual era l'obbiettivo di quell'anno: battere la squadra che da dieci anni a quella parte non faceva altro che stracciarli e che quindi dovevamo allenarci duramente tre volte la settimana.
Dato che non ci aveva detto il nome della squadra avversaria, io glielo avevo chiesto, incuriosita.
Il coach Stricte aveva arricciato le labbra e mi aveva lanciato uno sguardo truce. «Invincible. Il nome della squadra è Invincible». Un nome, una garanzia.
Sistemai la bici nell'apposito spazio e mi diressi verso quella grande struttura che consideravo un po' casa, una giornata alquanto normale si prospettava di fronte a me.
Camminavo lungo il corridoio della scuola, le piastrelle lucide riflettevano l'immagine di una ragazza con i capelli raccolti in una treccia scomposta, una felpa larga, rossa con cappuccio ed un paio di leggins neri; il tutto accompagnato da delle All Star bianche alte. Quella ero io.
Senza rendermene conto mi ritrovai in classe e subito i miei occhi cercarono quelli di Nicholas, che non tardarono a mostrarmisi.
Solo dopo qualche secondo, quando interruppi il contatto visivo mi accorsi della presenza di qualcuno seduto accanto a lui. Qualcuno che non ero io.
Una ragazza con occhi plumbei e capelli lisci del mio stesso colore sistemati su un'unica spalla mi fissava. Era la ragazza seduta fra Allyson e Katelyn in mensa quella mattina! La vidi girarsi appena verso Nicholas e sussurrargli qualcosa all'orecchio. Lui annuì, quindi la ragazza si rigirò verso di me e mi guardò nuovamente da capo a piedi, stavolta con una smorfia di disgusto dipinta sul suo viso perfetto.
Con un coraggio che non so dove trovai, la squadrai anche io imitando la sua espressione disgustata, per poi andarmi a sedere nel posto vuoto in primo banco.
«Ciao» salutai il ragazzo seduto accanto a me.
Lo vidi sussultare, come colto alla sprovvista nel sentirsi rivolgere la parola.
«C-ciao» balbettò, senza distogliere lo sguardo dal quaderno che aveva di fronte.
Mi fece ridere questa sua timidezza; la trovai carina. «Guarda che non ti mangio mica. Ho mangiato a sufficienza a pranzo» scherzai e lo vidi accennare un sorriso.
«Sono Eri. Suppongo tu sia il ragazzo che era assente ieri e il giorno prima ancora» . Però Eri, che spirito di osservazione!, pensai.
«Già» rispose, senza presentarsi a sua volta. Rimasi ad aspettare che continuasse lui la conversazione, invano. Era sicuramente uno di quei ragazzi abituato ad essere ignorato dalle persone del sesso opposto.
Mentre giocherellavo con la penna e cercavo di resistere alla tentazione di girarmi, arrivò il professore.
Passarono circa cinque minuti da quando si fu seduto a quando alzò lo sguardo verso di noi, gli occhiali da lettura in bilico sulla punta del naso.
«Oggi siete tutti» constatò e in un attimo la sua espressione prese un cipiglio arrabbiato quando guardò il fondo della classe.
«Signorino Green, può, per cortesia, raccogliere le sue cose e raggiungermi qui?» domandò e vidi Nicholas che stava per protestare, ma, al contrario di ciò che mi aspettavo, si trattenne e fece quello che il professore gli aveva chiesto.
Quindi il signor Collins si rivolse al mio timido compagno di banco. «Sarebbe così gentile da lasciare libero il suo banco per andare a sedersi vicino alla signorina...» lanciò un'occhiata al registro «Scarlett?» concluse, riportando lo sguardo sul diretto interessato.
Il ragazzo fece ciò che gli fu chiesto e si andò a sedere, seppur con un certo imbarazzo accanto alla "strega".
Così, il professore si rivolse a Nicholas con un sorriso forzato.
«Si sieda pure al suo nuovo posto». Lo disse come sottintendendo al fatto che sarebbe stato il suo banco per il resto dell'anno.
La lezione iniziò e Nicholas non proferì parola fino a quando ormai mancavano dieci minuti alla fine dell'ora, i quali ci erano stati lasciati liberi per poterci accordare tra di noi per i lavori in coppia.
«Allora» iniziai, ma fui subito interrotta dal mio compagno di banco.
«Io non ho nessuna intenzione di lavorare con te» sentenziò con una tale freddezza da lasciarmi senza parole.
«Ma che cosa ti ho fatto?!» quasi urlai.
«Mh, non lo so di preciso» fece finta di pensarci su, «credo sia colpa tua se sono finito qui».
«Ma ti è dato di volta il cervello?! L'unico a cui devi dare la colpa sei tu o, al massimo, dalla a quella gallina che ti stava accanto. Avrebbe potuto essere presente la prima lezione, così tu saresti finito in coppia con lei ed ora io non mi troverei in quest'assurda situazione» dissi tutto d'un fiato.
A quel punto la campanella suonò ed io uscii per prima dalla classe senza voltarmi indietro. Non potevo credere a quello che era appena successo; quel ragazzo aveva molti problemi, soprattutto riguardanti il fatto di voler fare solo ciò vuole e di non apprezzare il fatto di essere contraddetto. Insomma, come potevo non stargli simpatica senza aver fatto assolutamente niente. E come se non bastasse, ora mi toccava lavorare da sola per il resto dell'anno. Fantastico.
Stavo attraversando velocemente l'ultimo tratto di corridoio che mi separava dalla classe di spagnolo quando sentii una mano afferrarmi un braccio.
Mi girai per vedere chi fosse e con mia grande sorpresa e contrarietà mi trovai davanti l'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.
Strattonai il braccio per cercare di liberarmi, non ottenendo alcun risultato.
Lo guardai con occhi che sembravano di fuoco. «Cosa vuoi?» gli chiesi, cercando di reprimere l'istinto di tirargli un pugno.
«Scusarmi» rispose Nicholas, sorprendendomi.
«Cosa?» gli domandai di nuovo, pensando di aver sentito male.
«Voglio chiederti scusa per come ho reagito prima in classe» spiegò; «quindi, scusa» pronuncio l'ultima parola con un filo di voce, come se gli costasse un certo sforzo.
Io gli rivolsi uno sguardo interrogativo, aspettandomi che dicesse qualcosa, magari rassicurarmi che quei suoi sbalzi d'umore erano del tutto normali; ma lui mi ignorò, si girò e se n'è andò, lasciandomi in mezzo al corridoio, incapace di dare un senso a quella situazione.
Spazio autrice:
Scusate se non ho postato alcun capitolo in quest'ultimo periodo. Avevo assolutamente bisogno di prendere una pausa da tutto.
Spero che il capitolo vi piaccia!
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