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Capitolo 4

Non avevo più rivolto la parola a Nicholas da quando mi aveva chiamato in quel modo; quando mi poneva una domanda io non gli rispondevo, lasciavo che il mio silenzio parlasse per me. Ad un certo punto si era arreso e nemmeno lui aveva più cercato di parlarmi.
Meglio così, avevo pensato.
Per quanto riguardava il lavoro che avremmo dovuto fare assieme, ci avrei pensato l'indomani mattina.

Camminavo su una stradina acciottolata che conduceva alla casa di Rodney, inciampando nelle piccole buche che si riempivano di acqua quando pioveva, ma che in quel momento erano vuote e secche, al contrario dei miei occhi quel giorno.
Non ero mai stata una ragazza così sensibile. Quando sentivo il bisogno di sfogare la rabbia, la paura, l'impotenza, mi allontanavo da tutti e lasciavo che qualche lacrima mi rigasse il volto, prima di ricompormi e indossare nuovamente la maschera da dura che mai toglievo in presenza di qualcuno. Ma da quando avevo incrociato per la prima volta lo sguardo di Nicholas mi ero trasformata in una nuvola, che al minimo sbalzo di temperatura avrebbe fatto piovere.

Non avevo aspettato che Rod mi raggiungesse perché avevo bisogno di tempo per pensare, quindi gli avevo inviato un messaggio in cui c'era scritto che non si sarebbe dovuto preoccupare e che avrei raggiunto casa sua a piedi. Lui mi aveva risposto con un "ok".
Sapevo che, una volta arrivata a casa sua, avrebbe preteso delle spiegazioni, ed io sarei stata costretta a mentirgli inventandomi una bugia abbastanza credibile sul momento. Non volevo che pensasse che delle frivolezze potessero ridurmi così.

Quando ero piccola e da ragazza, molti mi avevano preso in giro per il mio strano nome, chiedendomi da che pattumiera i miei genitori l'avessero tirato fuori. Io non mi ero mai abbassata al loro livello rispondendo a tono, ma li avevo soltanto ignorati.
Comunque avevo sempre odiato il mio nome e lo odio tutt'ora.

Mamma un giorno mi aveva spiegato la sua etimologia.
«Il tuo nome deriva dal corrispondente greco "Erianthe" che vuol dire "che ama i fiori". Quando sarai grande capirai perché abbiamo scelto di chiamarti così».
Il problema era che non lo avevo ancora compreso il motivo per il quale io non avevo un nome normale.
Inoltre, non sapevo se Nicholas mi avesse chiamato fiorellino solo per infastidirmi o magari perché sapeva il significato del mio nome.
Comunque non ebbi tempo per pensarci ulteriormente poiché ero arrivata di fronte al cancello della casa di Rod. Suonai il campanello e feci un passo indietro.
La porta del cancello si aprì con uno scatto e, contemporaneamente, anche quella di casa, lasciando intravedere la figura del mio amico.
Era un ragazzo alto, capelli neri come l'universo ed occhi azzurri come il pianeta di Nettuno. Un bel ragazzo per il quale avevo avuto una cotta alle elementari, ma che poi si era trasformata in un amore fraterno. Infatti, lui era per me il fratello che non avevo mai avuto.

«Entra». Lo disse con voce piatta e, senza aspettare che io arrivassi alla porta, rientrò in casa. Aggrottai la fronte; non era da lui comportarsi in quel modo.
Lo raggiunsi e, quando varcai la soglia della porta, lo vidi seduto sul divano con il telecomando in mano mentre faceva zapping, senza prestare veramente attenzione  a ciò che trasmettevano in ogni canale.
Mi andai a sedere accanto a lui e poggiai la testa sulla sua spalla. A quel gesto si irrigidì un poco, per poi rilassarsi e poggiare a sua volta la testa sulla mia.

«Mi vuoi dire cosa ti è successo? Stamattina eri così solare» gli chiesi con dolcezza.

«Non ne voglio parlare in questo momento» bofonchiò, scegliendo finalmente di guardare NCIS.

«Tu, invece? Perché te ne sei andata? Potevo darti un passaggio in bici, ma non ti ho vista per strada». Si mise a sedere composto e mi guardò negli occhi.

«Ho preso la nostra stradina alternativa», accennai un sorriso e lui fece lo stesso, ricordandosi del giorno in cui l'avevano trovata. Costeggiava la strada principale, ma era immersa nella fitta boscaglia, e solo due ragazzi avventurosi come noi avrebbero potuto scoprirne l'esistenza.

«Quindi?» domandò, visto che non avevo ancora risposto alle sue domande.

Io scossi la testa. «Neanche io ho voglia di parlarne» risposi e capì che non era il caso di insistere.

Guardammo tutto il pomeriggio cartoni animati per bambini, ridendo spensierati e facendo battute sul modo di vestire dei vari personaggi. Il momento in cui avevo riso di più era stato quando aveva commentato il fatto che gli animali, per rispondere al telefono, non lo mettevano mai vicino al loro orecchio ma lo appoggiavano alla guancia. Aveva persino imitato la faccia di un coniglio, portandosi alla guancia il mio cellulare e facendo finta di stare telefonando al sua amico Talpa.

Quando arrivò il momento di salutarci, mi accompagnò alla porta e mi strinse in un abbraccio da orso.

«Domani ti spiego» sussurrò al mio orecchio ed ero sicura che sottintendesse al fatto che anch'io gli avrei spiegato tutto il giorno dopo, a scuola.

«Ok» gli risposi io, controvoglia. Sciolsi l'abbraccio e mi diressi verso la macchina rossa ferma dall'altra parte della strada, dove mia mamma stava aspettando, seduta al posto del guidatore.

«Ehi tesoro, com'è andato il primo giorno di scuola?» chiese, mentre io mi allacciavo la cintura.

«Bene» mentii, con la fronte appoggiata al finestrino.

«Sicura?» domandò sospettosa. «Hai una faccia...» commentò, lanciandomi un'occhiata di sfuggita prima di tornare a guardare la strada.

«No, ma che scoperta. Sai, credo che ce l'abbia anche tu, una faccia» replicai con una certa dose di sarcasmo nella voce. Non sopportavo quando insisteva su qualcosa, pur sapendo che il suo interlocutore avrebbe preferito che lasciasse perdere.

Sbuffò, accennando un sorriso, ma tornò subito seria dopo aver visto l'espressione sul mio viso. «Ascolta, lo so che quando si entra nel periodo dell'adolescenza si fa più fatica ad aprirsi con i propri genitori -sappi che sto parlando per esperienza personale- però cerca di fare uno sforzo. Io e tuo padre vogliamo solo aiutarti. Ma se non ci dici cosa ti turba non potremmo mai consigliarti».

Il problema era che non riuscivo ad aprirmi con loro. Era come se ci fosse un baratro tra di noi: se io avessi fatto un passo avanti, sarei caduta e loro pure.
Così preferivo stare dal mio lato, il più lontano possibile dal bordo e fare in modo che anche loro facessero lo stesso.

                                                        ^ ^ ^ ^ ^

Tutti stavano dormendo mentre io ero distesa sul letto a leggere, i gomiti appoggiati al materasso e i capelli spostati su una spalla. Stavo ascoltando la musica con le cuffie, quando sentii qualcosa toccarmi timidamente la spalla. Sobbalzai e mi girai di scatto. Era mia sorella.

«Maddi! Quante volte te lo devo ripetere! Devi bussare prima di entrare in camera mia!» sibilai tra i denti e la sentii bisbigliare uno "scusa". Quando guardai l'ora vidi che erano le undici.

«Che cosa ci fai in piedi a quest'ora? E soprattutto in camera mia?» le chiesi, cercando di non sembrare troppo dura, vedendo che era sconvolta.

«Io...ho fatto un brutto sogno» mi confessò a voce così bassa che faticai a capire ciò che mi aveva appena detto.

«Ok e...?» la incitai.
«Voglio dormire con te. Così puoi scacciare tu i mostri cattivi, se tornano». A queste parole la presi per i fianchi e me la misi in grembo stringendola forte, per farle capire che con me sarebbe sempre stata al sicuro.
I suoi occhi verde giada mi fissavano, pieni dell'innocenza che hanno i bambini a quell'età. Maddison aveva capelli lisci neri, lunghi fino alle spalle e un naso piccolo. Nessuno, vedendoci assieme, avrebbe mai pensato che eravamo sorelle. Ero io quella che non assomigliava a nessuno della famiglia. Quando l'avevo fatto notare ai miei genitori, mi avevano risposto semplicemente che ero speciale. Ma ricordo che quando l'avevano detto il loro sguardo si era fatto all'improvviso cupo, come se un ricordo, da tempo represso, avesse fatto capolino nella loro mente, invadendola come nebbia.

Misi Maddison sotto le coperte, quindi andai a spegnere la luce ed un attimo dopo anch'io ero sotto le lenzuola.
«Ora cerca di dormire. E se qualche mostro cercherà di farti male ci sarò io qua con te pronta a tirargli una padellata in testa» dissi riuscendo a strapparle un sorriso.
Qualche minuto dopo il suo respiro si fece più regolare e si addormentò.
Io la seguii nel mondo dei sogni, pronta per proteggerla da qualsiasi cosa avesse ostacolato il suo cammino.

    

Nota dell'autrice
Scusate se ci ho messo parecchio tempo per pubblicare questo quarto capitolo, ma avevo molte interrogazioni e verifiche questa settimana.
Spero vi piaccia! ❤️

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