Capitolo 10
«Che cosa ti è saltato in mente Nicholas?». Ci fu lo scricchiolio di qualcosa, una sedia probabilmente, ed il rumore di una serie di oggetti che venivano spostati o riposti in ordine con violenza.
«Lo sai meglio di chiunque altro che non bisogna portare gli umani nel nostro mondo. È pericoloso per noi, oltre ad esserlo per loro. Non puoi capire quanto tu mi abbia deluso quando ti ho visto varcare il confine con in braccio una ragazza umana».
«Zio, gliel'ho già detto e ridetto che Eri, questa ragazza, non è umana. Sa che non farei mai niente che possa mettere in pericolo il nostro popolo». Al mio nome fui sul punto di destarmi, ma ero come in uno stato di dormiveglia: abbastanza sveglia da riuscire a percepire suoni e rumori, ma con il corpo in uno stato di paralisi.
«Meus populus ante...».
«...omnia venit. Lo so zio. Ma mi ascolti: quando le ho detto che questa ragazza ha sprigionato una potenza tale da disintegrare tutto ciò che le stava attorno, non stavo mentendo. Se fossi stato qualche metro più vicino non sarei qui a raccontarglielo».
Si sentì qualcuno bussare alla porta.
«Avanti». Un fruscio precedette il rumore di un paio di passi.
«Re Phos, è richiesta la vostra presenza al Focolare».
«Dite che arrivo non appena mi sarà possibile», replicò l'uomo.
Una porta si chiuse e si sentì qualcuno emettere un sonoro sbuffo. Passarono alcuni istanti, non saprei dire con precisione quanti, ma abbastanza da farmi immaginare di essermi sognata tutto.
«Zio...», cominciò Nick.
«Basta così. Mi attendono per iniziare il consiglio».
Re Phos uscì dalla stanza sbattendo violentemente la porta. I rumori che sentii dopo ciò erano confusi ed indistinti. L'unico ricordo che ancora adesso rievocarlo mi provoca uno stato di ansia, è il terrore che scese su di me quando qualcuno mise una mano sopra i miei vestiti, proprio sul cuore, un vuoto aveva cominciato a nascere al centro del mio petto e si era espanso in tutto il mio corpo, finché anche l'ultima cellula non fu assorbita.
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Il risveglio fu uno dei peggiori che avessi mai avuto: era come se fossi diventata più sensibile ad ogni movimento. Le ossa sembravano essere state sostituita da dei pezzi di ferro gelidi, i muscoli a contatto con quella freddezza ribollivano, cercando di compensare in qualche modo il freddo prodotto da essi.
Guardandomi intorno, mi resi conto di trovarmi in un ufficio. Rosso, questo colore veniva ripreso da ogni oggetto presente in quella stanza. Se non fosse stato che il rosso era uno dei colori che più gradivo, mi avrebbe intimorito.
Gli unici mobili presenti erano una libreria, un divano ed una sorta di comodino addossati alle pareti prive di quadri.
Al centro vi era una scrivania in mogano rosso ed una poltrona anch'essa dello stesso colore.
Durante il dormiveglia aveva udito voci rabbiose scontrarsi fra loro in una lotta all'ultima parola. Ero sicura che una di quelle voci appartenesse a Nicholas, mentre l'altra sembrava essere di un certo re Phos.
Con movimenti cauti e misurati mi mossi verso la porta e creai uno spiraglio fra essa ed il suo stipite. Vidi un corridoio percorso da un tessuto scuro, in contrasto con delle paresti relativamente chiare.
Nessuna presenza, nessun respiro, nessuna voce. Presi coraggio e richiusi la porta dietro di me, appoggiandomi ad essa e continuando a muovere la testa in entrambe le direzioni. Avevo l'imbarazzo della scelta: alla mia destra il corridoio si estendeva finendo per perdersi con l'oscurità e a sinistra il buio lo divorava.
Cominciarono a tremarmi le mani, la fronte imperlata di sudore freddo, il diaframma che si espandeva ad ogni mia inspirazione.
Cominciai a camminare, ma subito presi a correre, ignorando il dolore, cercando una via d'uscita a quel tunnel infinito.
Ad un certo punto intravidi quella che dopo scoprii essere una guardia. Veniva nella mia direzione a passo veloce, ma non si era ancora accorta di me poiché mi ero fermata subito ed ero riuscita a nascondermi dietro una specie di pianta grassa.
Appena mi sorpassò ricominciai a correre più veloce di prima, l'adrenalina che scorreva anch'essa rapida nelle mie vene.
«Ehi, tu! Fermati subito!». La mossa più intelligente da fare sarebbe stata fare quello che mi era stato ordinato, ma siccome la razionalità mi aveva abbandonata in quel lasso di tempo, non avevo proprio pensato che un uomo grande e grosso come lui sarebbe riuscito a raggiungermi.
Mi prese per le braccia e, con facilità sorprendente, mi sistemò su una sua spalla.
«Puoi scalciare quanto vuoi, non cambierà la situazione», chiarì il gigante che mi aveva caricato su di sé.
Agli occhi di quelli che incontrammo durante il tragitto -tre in tutto, vestiti allo stesso modo del mio sequestratore, come se stessero per prendere parte ad un torneo medioevale- sarà parso strano, vedermi urlare e scalciare in continuazione, ma quando ci guardarono non osarono fare domande.
Arrivammo ad un portone ricoperto d'oro; esso risplendeva come una stella, sembrava quasi emettere fuoco.
Il gigante diede tre violenti colpi contro il portone e fece un passo indietro.
Si aprì uno spioncino ed un occhio dall'iride nera ci osservò.
«È in corso un'assemblea. Per il momento vi è impossibile entrare», ci informò con fare perentorio.
«Non fare tante storie Rufus e fammi entrare a meno che tu non voglia che butti giù la porta. E sai benissimo che ne sarei capace», replicò con voce minacciosa il gigante.
Lo spioncino venne richiuso e si sentì lo schiocco di molte serrature.
«Bel caratterino», commentai sottovoce. La guardia emise un grugnito, ma non si scompose. Io non mi arrischiai a tentare la fuga in quel momento, pensando che in ogni caso avrei solo peggiorato la situazione.
Il grande portone dorato si aprì e un caldo quasi soffocante mi investì facendomi tossire e serrare gli occhi.
Il gigante mi fece scendere dalla sua spalla e trattenendomi per le braccia mi fece camminare fino a raggiungere la prossimità di un tavolo circolare.
«Re Phos, ho trovato questo essere mentre correva lungo i Corridoi Principali», spiegò la guardia.
Vidi una persona alzarsi dalla sedia più grande e raggiungerci. Il re di questo strano posto portava una corona con una miriade di rubini incastonati, aveva una barba nera incolta, dei baffi simmetrici che si arricciavano sulle punte, una protuberanza sull'addome ed una statura poco più del doppio di uno gnomo da giardino.
Si limitò a guardarmi negli occhi per alcuni secondi. Le palpebre che si chiudevano e riaprivano lentamente, le iridi che sembravano percorse da lingue di fuoco.
«Guardia, vada a chiamare mio nipote», ordinò all'uomo alle mie spalle.
Aspettammo per un periodo di tempo a me infinito, saziato con sguardi accusatori da parte del re e mie occhiate lanciate di sfuggita nella sua direzione.
La guardia e Nicholas arrivarono portando con loro una folata di vento caldo, che rese le mie guance più in sintonia con i colori che mi circondavano.
Ruotai la testa di lato e vidi che anche Nicholas aveva le gote arrossate, non saprei dire se per il troppo calore o per un qualche altro motivo.
«Nipote, mi puoi brevemente spiegare per quale motivo la qui presente», fece una pausa, quasi come se provasse disprezzo nel nominarmi, «umana, non è rimasta rinchiusa nel mio ufficio?». Inspirò profondamente, congiungendo le mani sopra la pancia. Alla parola "umana" un brusio aveva iniziato a diffondersi nella stanza e tutti gli occhi mi squadravano, quasi fossi un quadro di un artista sconosciuto esposto in una mostra.
«Quando ancora era addormentata, sono andato a prendere una boccata d'aria. Dev'essere uscita in quel lasso di tempo. Poi sono tornato e ho trovato la stanza vuota, così sono andato a cercarla», spiegò Nicholas con lo sguardo fisso in quello dello zio. Quest'ultimo si girò verso il gruppo di persone alle sue spalle e alzando una mano per richiamare l'attenzione su di sé parlò.
«Suppongo voi abbiate capito che un'umana abbia varcato il delicato confine, il quale separa il loro mondo dal nostro. Ebbene non è finita qui: secondo una balzana idea di mio nipote questa ragazza appartiene al nostro di mondo».
Alcune risate si diffusero fra la piccola folla, ma subito si interruppero quando videro Nicholas percorrere la distanza che lo separava dallo zio.
«Mi permetta di andare dall'oracolo. Vedrà che la sua sentenza confermerà la mia ipotesi».
Re Phos sembrò prendere per un attimo in considerazione l'idea, poi però fece un passo indietro e scosse la testa.
«Rinchiudetela in una cella. Mediterò sul da farsi più tardi».
«Ehi!», urlai quando la guardia mi prese per le braccia. Fino a quel momento ero rimasta in silenzio cercando di capire dove mi trovassi e cosa di preciso fossero loro, ma ora un pensiero più urgente si fece strada nella mia mente.
«Non ho fatto niente, io! Lasciatemi andare! Giuro che non proferirò parola se lo fate», supplicai presa dalla disperazione.
Re Phos fece una smorfia mentre girava la testa e mi guardava con delle scintille di fuoco negli occhi. Nessuno mi aveva mai guardata con così tanto disprezzo negli occhi.
«Portatela via».
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