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17. Riflessione ~ M. pov

Fatua andò a rifugiarsi nella casetta insieme a Noodle e Stu. Russel non disse nulla, mi guardò storto e andò ad affacciarsi alla loro finestra.

Aveva ragione. Ho fatto davvero cose terribili in passato, a chiunque mi capitasse sotto tiro, specialmente a quel martire mezzo fuso, e chissà quanto altro male avrei ancora fatto in futuro. Ma non potevo farci niente, ero fatto così. Un bastardo dal passato tragico e pieno di ingiustizie, che mi hanno portato ad essere quello che sono oggi. Mio padre non mi ha mai amato, mia madre nemmeno l'ho mai vista, e se l'ho vista ero troppo piccolo anche solo per ricordarmene. Non ci sono scuse per come mi sono comportato con Stu per tutti questi anni. I coma, le torture, tutte le volte che l'ho menato senza motivo ... nei momenti in cui lo facevo, stavo alla grande. Il problema era il prima e il dopo. Tornavo a stare ... male. Beh non proprio malissimo, ma sentivo uno certo disagio ogni volta che divagavo troppo con la mente, e picchiare quel fragile agnellino blu era l'unico sfogo gratificante, insieme al bere e fumare.

"Mi sa che mi tocca spiegarle tutto ... e per bene anche ... a quella stupida".

Non so perché ma nei suoi confronti mi sentivo davvero strano. Probabilmente era inferiorità, e facevo fatica ad ammetterlo. Lei era un angelo caduto, in parte demone, carina e ribelle. Io un mortale, un umano schifoso. Di certo non avevo chance, ma il fatto che entrambi avessimo un debole per l'altro ci fregava alla grande. Non ero sicuro di dove volevo arrivare con lei, ma non volevo nemmeno starmene con le mani in mano. Dopotutto mi aveva salvato la vita e anche su questo aveva ragione: non sapevo essere riconoscente.

Spostai gli occhi su cyber-Noodle, il mio capolavoro. La costruii quando la vera Noodle inscenò la sua morte ed io ai tempi avevo bisogno di protezione, o a quest'ora sarei già bello che andato. Schiacciai il pulsante del telecomando che avevo in tasca e lei, come se avessi parlato, fece cenno di sì con la testa e tornò a mettersi in carica. Quella scatoletta le tagliava l'energia delle "batterie" che le avevo installato, e le lasciavano pochi minuti prima di spegnersi. Inizialmente non capiva e tentava spesso di farmi fuori per questo, ma dopo averglielo spiegato una decina di volte, sapeva dove andare e come fare per mettersi in carica. Magari fossero così anche i cellulari d'oggi. O qualsiasi altra cosa.

Portai anche l'altra mano in tasca e andai fino in camera mia, per togliermi i vestiti zuppi di dosso, poi tornai fuori, davanti alla piccola ma accogliente casetta. Avevo indosso un altro maglioncino a collo alto, stavolta nero e nel metterlo avevo lasciato penzolare fuori il mio bel crocifisso rovesciato. Jeans neri e un'altro paio di stivali più o meno simili a quelli di prima.

Esitai a bussare alla porta, ma mi convinsi in poco tempo e battei le nocche contro il legno bianco. Non ci fu risposta, solo Noodle che venne ad aprire con un'espressione triste e dispiaciuta in volto. Raramente la vedevo così, di solito sorrideva sempre. Ripensandoci, dopo l'incidente dell'isola fluttuante aveva poco da sorridere, almeno per quei tempi. Ma stavolta era diverso. Si erano cambiati i vestiti, sia Noodle che quel fessacchiotto di 2D che stava steso sul letto con gli occhi socchiusi. Fatua stava guardando nell'armadio di Noodle, si era tolta le scarpe e stava per togliersi anche la felpa, ma si fermò dal farlo non appena mi vide.

Guardò il mio petto per pochi secondi con sguardo accigliato, poi tornò ad ignorarmi. Aveva notato la croce di San Pietro, accidenti. Dubito le facesse piacere, ma cavolo se era cattiva. Non degnarmi nemmeno di uno sguardo. Nessuna donna poteva resistermi, nemmeno un dolce angelo come lei. Senza fiatare andai a sedermi al tavolo, a braccia incrociate e lo sguardo basso. Alle mie spalle gli occhioni bianchi e vitrei di Russel che supervisionavano la stanza. Noodle iniziò a cucinare, Fatua andò in bagno e ne uscì con indosso una larga maglietta presa in prestito dalla ragazzina ai fornelli, e un paio di jeans aderenti che lasciavano svolazzare la t-shirt colorata in modo alquanto interessante. Si sedette all'altro capo del tavolo e basta. Nessuno diceva una parola. Nessuno che guardava negli occhi qualcun'altro.

"L'ho fatta grossa stavolta eh?" - domandai a me stesso. Non era vero che non mi importava di loro. Fatua aveva ragione. Quei tre individui erano la mia famiglia che io stesso mi ero creato. E loro mi apprezzavano nonostante le pochissime cose buone che avessi fatto. Che poi, erano tutte fatte con una certa strategia. Io non sono buono, sono maligno per natura, come dicevano alcuni. Fare buone azioni non è da me: ma se proprio devo farle perché necessarie, le faccio e basta, seppur con riluttanza. Quel che va fatto, va fatto. Ma spiegare tutto questo ad alta voce agli altri e dire la seconda magica parolina che Murdoc Niccals stipava nel suo vocabolario segreto tanto gelosamente, era impossibile, contando che il giorno prima ne avevo già detta una. Quindi che fare? Esplodere di rabbia all'improvviso o cercare di spiegare la situazione? La prima opzione, per quanto allettante, non faceva al caso mio, la seconda mi sembrava solo ... impossibile. Chiedere scusa a tutti i presenti sarebbe stato troppo umiliante, fuori dalla mia portata.

Dopo un po' Noodle si allontanò dai fornelli e 2D si alzò dal letto, strisciando con i piedi fino al tavolo, dove la ragazzina aveva già posizionato due piatti fumanti e dall'aspetto invitante. La più piccola poi mi guardò e con la coda dell'occhio mi indicò un piatto poggiato sul bancone, segno che dovevo alzare le chiappe e andare a prendermelo da solo. La cosa mi faceva arrabbiare giusto un pochino, ma nulla che non potessi trattenere. Mi alzai e presi il mio pranzo, per poi tornare seduto dov'ero. Noodle accese la tv per coprire il silenzio che aleggiava ed i suoi occhietti a mandorla, insieme ai due bulbi neri di quel baccalà belloccio, si puntarono sullo schermo, tristi e consapevoli di starmi ignorando.

Ma Fatua invece no. Lei stava guardando me. Anche io la guardavo. A lungo andare, quando il mio piatto fu vuoto e non ebbi nulla con cui distrarmi, rivolsi l'attenzione alla tv. Questo perché non ce la facevo più a guardarla. Non riuscivo a guardare nessuno di loro o a regge quegli occhi fiammanti. Credo fossero i cosiddetti "sensi di colpa". Difficilmente una cosa del genere riusciva a far tentennare uno come me, ma stavolta era diverso perché c'era lei a far da giudice. E gli occhioni inquietanti del gigantone alle mie spalle. Ero riuscito a far perdere la fiducia che la band riponeva in me (che era già abbastanza poca da principio) e far arrabbiare l'angioletto con le corna che in meno di ventiquattro ore mi aveva fatto perdere la testa. Mi odiavano tutti, come sempre.

Ma stavolta non riuscivo a sopportarlo! Ed era per colpa sua!!

Scattai in piedi e uscii da lì, quel silenzio non riuscivo a sopportarlo! Camminai velocemente senza voltarmi indietro. Mi diressi verso il faro e mi rifugiai al suo interno, salendo in cima. Nel farlo ripensai a Fatua. L'avevo baciata, e non era stato affatto male. Ed un altro bacetto non mi sarebbe dispiaciuto. Il fatto che mi avesse salvato la pellaccia dopo quella caduta contribuiva, in qualche modo. Ancora ripensavo alla stupida dinamica del mio "incidente": ero scivolato nel buio a metà tragitto, sulle scale. Avevo ancora qualche livido addosso ma nulla di grave. Se non fosse stato per lei sarei morto là sotto senza che nessuno se ne fosse accorto. E la richiesta che le avevo fatto la sera prima ... gli ero grato anche per quello. Non era del tutto vero il fatto che volessi la sua protezione ventiquattro ore su ventiquattro, principalmente era perché ... sentivo il mio letto freddo e vuoto. Con lei accanto invece era stato diverso.

Ma comunque, in quel momento volevo scordarmi di tutto, far respirare un attimo il mio cervello e prendermi una pausa da tutti quei casini. Salito in cima al faro mi affacciai di fuori. Sul corrimano circolare che cingeva la cima del faro c'era Cortez, il mio corvo. Cazzo se era un bell'uccello. Piume nere come la notte, ali da far invidia alle aquile e il gracchiare tipico, ma melodioso per i miei timpani, dei corvi di Londra. Cazzo se mi mancava Londra.

Mi avvicinai al pennuto e gli carezzai le piume, e come al solito non si mosse di un centimetro. Si faceva accarezzare solo da me, la bestiolina, se qualcuno ci provava finiva sempre male. Come quando Noodle tentò di dargli da mangiare, poveretta. Le morse un dito e il segno andò via dopo più di una settimana. Però non era cattivo, semplicemente preferiva me agli altri. Forse perché da lui non mi sono mai aspettato nulla. E come avrei potuto? Era un corvo. Era davvero bizzarro come fosse riuscito a sopravvivere per tutti questi anni, e bizzarro anche come non abbia trovato la cosa strana prima di allora.

Tornai dentro, mi sedetti su una sdraio che era lì nei paraggi, afferrai un paio di vettovaglie che erano sparse in giro e stappai una bottiglia di rum. Ne avevo sempre qualcuna da qualche parte sull'isola. Iniziai a mangiare quelle schifezze e a sorseggiarla rum, facendo arrivare la sera.

Iniziai a prendere in considerazione varie cose, tra cui quella che, forse, sarebbe stato meglio se quel finto demone mi avesse divorato l'anima, con o senza l'abbattimento del Boogieman. Dopotutto non sarei mancato a nessuno, avrei fatto solo un piacere a tutti quelli che nella loro vita avevano avuto la disgrazia di conoscermi. Avevo deluso tutti, di nuovo, come al solito. Avevo voltato loro le spalle, infischiandomene della loro salvaguardia. Avevo fatto loro del male. Perché ero ancora in vita?

"Dopo questa volta, non mi perdoneranno di sicuro" - ammisi a me stesso - "Nemmeno lei".

Tanto valeva aspettare l'arrivo del Boogieman e farla finita una volta per tutte.

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