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Yunho

Quella mattina mi svegliai a causa di un forte rumore assordante. Conoscevo quel suono, mi era stato detto che cosa fosse e che cosa significasse e quando il mio cervellò riuscí a trovare cosa volesse dire scattai subito a sedere e attivai ogni mio senso: era un allarme.

Appena aprii gli occhi e mi guardai attorno mi resi conto del fatto che i miei compagni fossero nella mia stessa situazione: capelli scompigliati, viso arrossato e espressione assonnata a causa della notte appena trascorsa. Sentii delle voci dal fuori di quella tenda e l'attimo dopo fui in piedi, alla ricerca delle mie scarpe per uscire di lì.

«Dannazione!»imprecai quando passarono più di venti secondi di ricerca, sentii i pesanti passi delle persone fuori che iniziavano ad essere più rumorosi, quindi stavano aumentando e stavano anche andando più veloci rispetto a prima. Avvertii il panico iniziare a crescere dentro di me e sapevo che stavo soltanto perdendo tempo in quel modo, ma non sapevo come altro fare.

«Jeong porca puttana lascia perdere e vieni via!»sentii l'ultimo ragazzo dirmi prima di uscire dalla tenda e lasciarmi esclusivamente da solo, girai la testa per una attimo verso l'uscita e poi sospirai, riportando l'attenzione al punto che stavo mettendo a soqquadro. Questo fino a quando non intravidi i lacci neri degli scarponi, allora iniziai a tirarli verso di me e l'attimo dopo li presi in mano, infilandomeli il più velocemente possibile ai piedi.

Non appena fui in piedi accorsi fuori la tenda e ciò di fronte al quale mi trovai di fronte era il panico assoluto: gente che correva da destra e sinistra, urla e grida degli uomini spaventati che non capivano cosa stesse succedendo e il fatto che a breve sarei stato uno di loro mi metteva ancora più paura di quella che avevo già.

Scattai anche io, non sapendo nemmeno cosa fare e guardandomi attorno per i primi istanti, poi vidi alcuni generali parlare fra loro e dare degli ordini ad altri uomini, perciò mi avvicinai a loro nella speranza di scoprire almeno qualcosa.

«Signore...»provai a chiamare uno di loro ma nessuno mi degnò nemmeno di uno sguardo e semplicemente continuavano a urlare sentenze e a muovere le mani da un lato all'altro per indicare diverse direzioni, anche se era chiaro come il sole che anche loro non sapevano come comportarsi. Tutto quello che stava accadendo era nuovo, mai era successa una cosa del genere da quando ero all'accampamento e sinceramente non sapevo nemmeno di cosa trattasse esattamente.

Suoni di colpi di pistola, grida e il terrore negli occhi di qualsiasi persona incontravo. Non volevo dirlo, e nemmeno immaginarlo in realtà, ma sembrava proprio che fossimo sotto attacco anche se di chi mi era ancora impossibile capirlo.

«Signore, che sta succedendo, che dobbiamo fare?!»provai ancora avvicinandomi maggiormente ad uno di loro, quello che mesi addietro mi aveva congedato e mi aveva permesso di tornare a casa, e soltanto in quell'istante sembrò rendersi conto della mia presenza.

«Jeong tu cerca di scappare e basta, ancora non ci è chiaro cosa sta succedendo!»cercò di spiegarmi anche se io ora ero ancora più confuso di quello che ero prima. Non sapevo cosa fare, dove andare, non c'era una via di fuga o qualsiasi altra cosa. Non era possibile per me e per nessuno di noi fare nulla se non vivere nel panico e correre via da non sapevamo nemmeno cosa.

Sbuffai e continuai a guardarmi attorno, cercando qualche faccia conosciuta, ma senza i miei amici non riuscivo a trovarne nessuna: in quel momento sentii la mancanza di Yeosang, Hongjoong e Seonghwa piú di qualsiasi altra cosa.

Erano giorni che mi mancavano loro e anche gli altri, ma semplicemente cercavo di non pensarci e di andare avanti, dicendomi ogni mattina al mio risveglio che avevo fatto la cosa migliore per tutti. San e Jongho ora potevano riavere le cene di famiglia con i miei genitori come prima, senza che si creasse quella sorta di disagio a causa mia e della mia relazione; Wooyoung ora poteva tornare a parlare con la famiglia di Mingi senza più sentirsi in colpa per non aver parlato prima ed aver ammesso la verità; Mingi poteva tornare ad essere il solito con tutti, a sorridere e ad essere felice con sua sorella.

E Misun? Beh, lei anche sicuramente stava molto meglio ora senza di me, dopotutto non ci voleva un genio per capire che quello che avevamo portava soltanto dolore a chi avevamo attorno, vorrei soltanto non aver mai accettato quella volta di stare insieme a lei e non aver ceduto ai miei stessi sentimenti.

Presi a correre, provavo a non scontrarmi con nessuno ma in quel momento mi sembrava quasi impossibile da fare. Tutto appariva non fattibile, qualsiasi cosa mi passasse per la testa sembrava cosí difficile da fare nonostante nemmeno avessi la più pallida idea di quello che volevo fare davvero. Forse era perchè il mio cervello in quel momento non era in grado di formulare dei pensieri sensati e probabilmente non lo sarebbe stato fino al momento in cui non sarei riuscito ad avere un ordine o qualcosa di concreto da fare.

Girovagai in tondo, ascoltando le parole degli uomini che, come a me, erano nel panico più totale e non sapevano cosa fare quanto me.

«Dobbiamo prendere delle provviste!»

«Dobbiamo nasconderci!»

«Cerchiamo un posto sicuro!»

«Abbiamo bisogno di armi!»

«Qualcuno verrà ad aiutarci?»

Quelle erano le cose più frequenti che udivo e, più le ascoltavo e più non riuscivo a capire quale fosse la priorità in quel momento. La protezione? Il cibo? La sopravvivenza? Oppure trovare qualcuno in grado di darci una mano?

Alcune tende ormai erano rase al suolo, atre erano spaccate e altre stavano volando via a causa del vento che ora le trascinava con più facilità visto che a causa del caos non erano più puntellate al pavimento di terra.

E poi, come se finalmente soltanto un pensiero si fosse fatto strada nella mia testa, riuscii a capire cosa fare in un momento come quello: raggiungere la cabina dove tenevano tutte le radio e, di conseguenza, tutti i nostri telefoni, poteva essere un primo passo per far capire cosa stesse succedendo a qualcuno che potesse essere in grado di aiutarci davvero.

Allora presi a correre verso quella direzione, non mi importò andare addosso agli altri, in quel momento il mio obiettivo era solo quello: trovare un dannato modo per avere un aiuto. Quando vidi il capanno delle radio mi fermai e mi chinai un attimo per prendere fiato, poi mi feci avanti e andai dentro. Notai che al suo interno ci fossero diversi uomini che stavano cercando di comunicare tramite le radio, andavano avanti e indietro per trovare una dannata soluzione.

«Che ci fai qua dentro?!»mi venne urlato contro da un uomo in tenuta, il quale iniziò ad avanzare verso di me con un espressione accigliata, tanto che in un altro momento avrei chiesto scusa e mi sarei dileguato, ma non in quello.

«Voglio aiutare, trovare un modo per ottenere dell'aiuto, signori, e...»ma non mi venne permesso di terminare la frase che venni sbattuto contro una delle pareti e un braccio mi fu sotto la gola, impedendomi di parlare.

«Sei una dannata spia?!»ancora mi urlò l'uomo prima che qualcun'altro si rendesse conto di ciò che stava succedendo e lo tirasse via da me. Capii che non avevo modo di aiutare ma qualcosa dovevo farlo: trovare il mio telefono. Sapevo che era lí dentro, tutti i cellulari erano tenuti in quel posto e sotto chiave, in modo tale che nessuno di noi potesse usarli. Voltai la testa da un lato e poi dall'altro, guardando in ogni angolo mentre i due davanti a me stavano parlando, o anzi, urlando tra di loro ed altri erano troppo impegnati per accorgersi della mia presenza.

Scorsi un armadietto in metallo con un'anta aperta da cui riuscivo chiaramente a vedere uno scatolone trasparente e, per mia fortuna, moltissimi cellulari al loro interno: se fossi stato ancora più fortunato, probabilmente io essendo tornato al campo da poco avrei potuto trovare il mio telefono in cima alla "montagna".

Allora feci uno sprint, mi indirizzai verso quel posto, ignorando le grida degli uomini che mi dicevano di fermarmi. Arrivai davanti ad esso e lo aprii maggiormente prima di prendere la scatola e facendola cadere per terra, fregandomene del colpo che avrebbero potuto prendere gli apparecchi elettronici e che avrebbero potuto facilmente rovinarli.

Come avevo pensato il mio cellulare si trovava proprio sopra agli altro, perciò lo afferrai e corsi fuori dal capanno, sentendo chiaramente dei passi che mi seguivano, probabilmente appartenenti agli uomini che erano lí dentro e che avevano cercato di fermarmi. Mentre correvo schiacciai il pulsante di accensione e, quando fui sicuro che fosse di nuovo attivo, mi fermai in mezzo alla strada per fare ciò che avevo voluto fare da quando mi ero svegliato: far sapere a tutto il mondo che cosa stesse succedendo.

Ma non riuscii a fare l'altro perchè l'attimo dopo un pugno in faccia mi fece cadere per terra e sbattere la nuca contro quello che mi sembrò un sasso.

E poi, buio totale.

Sono certa che una cosa del genere non potrebbe mai succedere ma mi serviva qualcosa di sconvolgente

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