2. LUI
Un filo di fumo usciva da una torretta del castello. L'odore mi bruciò le narici. Il cuore prese a battere all'impazzata. Cercai di calmarmi, di non pensare, di non vedere le fiamme che lampeggiavano davanti a me, bruciando le mie retini e tutti i miei sogni. Perché in quel modo avevo bruciato la mia vita. Il progetto di diventare una regista. I miei amici. Winny. Inspirai a fondo, ma l'odore diventò più pungente. Nauseabondo. Naturalmente era solo fantasia, nulla di più, anche se sembrava incredibilmente reale. Non sarebbe successo nulla, non sarebbe...
-Sei pallida-
Sussultai. C'era qualcuno vicino a me. Sbattei le palpebre, strappata dall'incubo. Una ragazza dai folti capelli ramati mi sorrideva. Gli occhi scuri le brillavano.
-Scusa, ma ti ho vista ferma qua... sei nuova, vero?- piegò di lato la testa.
Annuii piano. Da dove era uscita? Indossava un maglione grigio e una gonna a pieghe. La divisa della scuola. Una studentessa quindi.
-Allora hai bisogno di qualcuno che ti mostri come funziona qua!-
L'idea non mi sembrava così terribile, soprattutto visto gli sguardi che molti mi lanciavano. E non erano sguardi amichevoli. Certo, dovevo sembrare strana. Pallidissima, esile, con una felpa rosa fosforescente che non era neppure della mia taglia. Sì, dovevo sembrare proprio strana.
-Per di qua- disse la ragazza, tirandomi amichevolmente per un lembo della felpa -la direttrice ci parlerà nella Sala, ci deve fare il discorso di apertura-
-Di apertura?- le feci eco e la seguii.
-Proprio così, ama ascoltarsi- scosse i capelli, facendomeli finire in faccia. Occhi, naso, perfino bocca. Mi passai una mano sul viso per spostarli, mentre lei parlava. -Ogni anno è lo stesso discorso, che poi la maggior parte di noi praticamente vive qui-
-Vive qui?- sgomitai tra gli studenti.
-Oh sì, i casi difficili, quelli che non hanno genitori a cui tornare... o hanno genitori che non li vogliono... ehm, qui siamo tutti casi... difficili- mi lasciò la felpa e sgusciò via.
-Com'è questo posto?- arrancai per raggiungerla.
-Non male... l'importante è abituarsi... in molti non si abituano, le regole sono, ehm, leggermente severe-
-Quanto esattamente?- domandai, seguendola verso una rampa di scale. Saltellai per non cadere.
-Oh, lo vedrai- salì i gradini, a due a due, il passo rapido, voltandosi ogni tanto lo sguardo verso di me. -Vieni?-
-Certo- afferrai la mia valigia e inspirai a fondo. Mi aspettava una salita impervia.
-Vuoi una mano?- mi chiese la ragazza, ferma in cima alla rampa, senza però dare segno di voler scendere.
-Non ti... pre...ccu... pa... re- biascicai, i denti stretti dalla fatica. Il primo gradino parve traballare sotto la suola della mia sneaker. Inspirai, l'aria che bruciava i polmoni come fuoco.
-Sembri affaticata- commentò la mia nuova compagna di scuola, sempre senza muoversi. Se era tanto preoccupata per me non poteva scendere ad aiutarmi? Mi costrinsi ad avanzare di un altro passo, la valigia che mi trascinava giù. I muscoli tiravano. Un gruppetto di ragazzi mi passò accanto senza degnarmi neppure di uno sguardo. Io strinsi ancora i denti e...
Sentii la valigia sfuggirmi di mano. Contrassi le dita per trattenerla, ma non ci riuscii. Il bagaglio scivolò e... non sentii lo schianto. Guardai giù. Lo teneva tra le mani un ragazzo alto, statuario, un dio greco sceso dall'Olimpo. Okay, forse esageravo. Forse la stanchezza mi faceva vedere cose che non c'erano. Eppure... c'era qualcosa di stranamente familiare in lui. Mi spostai di lato per poterlo vedere in viso. Era il ragazzo dagli occhi verdi!
-Di chi è questa?- urlò, la mascella tesa.
-È mia- scesi un gradino, le gambe molli.
Il giovane alzò lo sguardo e... la mia valigia gli sfuggì di mano e colpì i gradini con un tonfo. Io trasalii, il cuore impazzito. Lui mi fissò. La luce del sole faceva brillare il suo viso. Sentii le gambe tremare. Era come se il tempo avesse perso consistenza. Il giovane si mosse. Seguii i suoi movimenti, lo sguardo incollato a ogni suo gesto. Afferrò la mia valigia, salì, mi si fermò davanti. Il cuore mi schizzò in gola. Potevo sentire il calore del suo corpo. E la cosa mi turbò. Fissai i suoi lineamenti e questi si scolpirono in me.
-La prossima volta stai più attenta- posò la valigia davanti a me, si voltò e scese le scale. Non mi mossi. Non ci riuscii. Le mie gambe erano diventate rigide. Non aggiungeva altro?
-Lascialo stare- mi sussurrò all'orecchio la mia nuova conoscente -nessuno vuole avere a che fare con lui- e mi trascinò via, le lunghe dita aggrappate al mio braccio.
-Perché?- afferrai la valigia e la seguii.
Non ottenni risposta. Mi lasciai condurre in corridoi identici. Pareti tappezzate di rosso, dorato o blu. Quadri raffiguranti donne arcigne o brutti cavalieri. Pavimento pieno di buche. Mi chiesi cos'avesse potuto rovinarlo in quel modo.
-Lo so che Woodville sembra un po' in decadenza- mi spiegò la mia nuova amica -ma non è poi così brutto- mi tirò a destra -a me piace- mi spinse a sinistra.
-Stiamo andando da qualche parte in particolare?- evitai un ragazzo con uno zaino sulle spalle. Continuavo a pensare al giovane dagli occhi verdi.
-Certo! Ogni nuovo anno bisogna assistere al discorso-
Oh certo, il discorso.
La ragazza non parlò, ma mi spinse dentro una stanza. Fui abbagliata dalla luce proveniente dal lampadario di cristallo. Sbattei le palpebre più volte prima di vedere la donna appoggiata al caminetto. Indossava un maglione grigio e una gonna in tinta. I capelli neri con strisce bianche se ne stavano stretti in una crocchia. La vecchia governante di un romanzo dell'ottocento, ecco chi sembrava.
-La preside- mi sussurrò la ragazza vicino a me.
Beh, non aveva un bell'aspetto. Mi trasmetteva una certa inquietudine.
-Adesso comincerà con i suoi assurdi discorsi-
Annuii. Dov'era finito il ragazzo dagli occhi verdi? Avrei tanto voluto...
Eccolo! Scivolò dentro la sala da un altro ingresso. Flessuoso ed elegante. Dovette abbassarsi per passare sotto l'arco.
-Benvenuti a Woodville- la voce della preside mi graffiò i timpani e mi riportò alla realtà -nessuno giunge qui se non ha fatto qualcosa... e dovete sapere che ci sono delle regole-
Un brusio percorse la stanza.
-Silenzio!-
Tutti si zittirono.
-Le regole sono semplici... e non possono essere trasgredite- il tono della direttrice era rigido, non ammetteva repliche. Mia sorella l'avrebbe definita una donna terribile. E forse la era per davvero. -Prima regola: si devono indossare le divise che vi sono state consegnate, senza eccezioni... e non voglio vedere nemmeno una ragazza truccata- rese gli occhi piccoli, due fessure -seconda regola: non si esce dalla propria stanza di notte- tamburellò con ledita contro l'aria -terza regola: alle otto viene servita la colazione, alle dodici il pranzo, alle diciotto la cena, se non vi presentate non mangiate-
Nessuno parlò. Il ragazzo con gli occhi verdi soffocò uno sbadiglio.
-Voi non siete qui in vacanza... voi dovete rimediare a ciò che avete fatto... dovete dimostrare di essere buoni... sempre che gente come voi possa esserla- fece una smorfia, come se non ci credesse -tre errori e vi spedisco in riformatorio, un riformatorio vero!-
Il silenzio calò nella stanza. Erano tutti immobili, gli sguardi che volavano in giro, tutti... tranne lui. Se ne stava appoggiato al muro, il viso inclinato, ciocche scure gli scivolavano sulla fronte e sulle guance. Non sembrava spaventato. Era l'esatto contrario. Sorrideva. Un sorriso languido e storto. Lo stomaco mi si strinse. Il respiro mi mancò. Le ginocchia mi divennero molli. Mi stavo ammalando? Mi costrinsi a distogliere lo sguardo.
-E ora potete andare- dichiarò la preside, gelida.
La mia nuova amica mi diede una leggera gomitata. -Inquietante, vero?-
Lì tutto era inquietante. -Leggermente- sì, sembrava una buona risposta.
-Io comunque sono Beatrix- si presentò la ragazza, con un sorriso.
-Carrie- le risposi. Forse lei avrebbe potuto darmi delle informazioni su quell'odioso giovanotto... o almeno lo speravo. -Chi è quel giovane?- chiesi in un sussurro.
Beatrix mi lanciò uno sguardo strano, come se fosse indecisa se dire o meno tutto. Mi sforzai di sorridere, sembrando amichevole. Le persone adorano aiutare le persone sorridenti. -Lui è Harry- disse piano -ma è meglio evitarlo-
-Perché?-
-Perché... credimi, non è il tipo per te- e mi afferrò per il braccio, avvicinando le sue labbra al mio orecchio, come se temesse che qualcuno la sentisse parlare -non è il tipo per nessuna- mi trascinò con sé, non permettendomi di controbattere.
Riuscii a parlare solo quando fummo nel corridoio. -Perché non è il tipo per nessuna?-
-Ci sono molte voci su di lui- Beatrix si guardò in giro.
-Tipo?-
Fece una smorfia. -Del tipo brutte... assassino- aggiunse a bassa voce.
Assassino. Quella semplice parola rimbombò dentro di me. Un assassino. No, erano certamente solo voci prive di fondamento.
-Vive qua... è uno di quelli che non ha altra casa che Woodville, uno dei casi persi-
Woodville. Un luogo oscuro. Il luogo in cui finivano i ragazzi che combinavano qualche guaio. Come me. Solo che io in realtà non avevo fatto nulla.
-Ora però basta parlare di Harry... che stanza ti hanno assegnato?-
-La dodici- mormorai. Era scritto nella mail che mi era arrivata a casa una settimana prima .
-Ti posso accompagnare, so dov'è- disse, allegra.
Mi sembrò un'ottima offerta. Non volevo certo rischiare di perdermi in quel luogo infelice. Prima di seguirla mi voltai e vidi Harry. I suoi occhi verdi erano fissi su di me. Una vertigine mi avvolse. Deglutii. Il mondo esplose. Fu solo la voce di Beatrix a riportarmi alla realtà. La seguii, la certezza di uno sguardo verde che mi bruciava la pelle.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Cosa ne pensate di questo capitolo?
Ultimamente sono stata assente dalla piattaforma. Cercherò di recuperare :)
A presto!
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