Capitolo 2
La squadra si chiamava Vipers ed era composta da ragazze toste ma gentili che creavano un ottimo team, affiatato e determinato.
Ann le conobbe qualche giorno dopo il suo incontro con l'allenatore Sanders: l'inizio scolastico era dato davvero bene e la ragazza si sentiva molto più ottimista della prima volta che aveva udito il nome di quella piccola cittadina.
Pranzó con sua madre, nell'ufficio del vicepreside, e le raccontò ciò che voleva fare.
«Perché no? Sei un'ottima giocatrice. La squadra può imparare da te» commentò con tono orgoglioso da mamma, dando un ultimo morso al suo panino al tacchino.
«Tu sei di parte. Magari sono così brave che non avranno bisogno di un'altra giocatrice» replicó Ann, decisamente più realista di Linda.
«Paul mi ha detto che i Vipers concorreranno per il torneo nazionale. Quindi è ovvio che ti vorranno in squadra, soprattutto dopo che tu avrai fatto vedere a tutte quanto sei abile» affermò la signora Westmore, bevendo un sorso di aranciata.
«Va bene, va bene» borbottó Ann, con lo stomaco improvvisamente chiuso.
La ragazza allontanò da sé il panino alle verdure e lo incartó di nuovo. L'avrebbe mangiato in seguito, se la coach Sanders avesse affossato la piccola speranza che le aleggiava nel cuore.
«Meglio che vada» aggiunse, mettendo l'involto nello zaino e schioccando un bacio a sua madre.
«In bocca al lupo, orsacchiotto» le auguró la madre, usando il soprannome che le riservava fin da quando era piccola.
Ann alzò gli occhi al cielo, anche se segretamente le piaceva che sua madre la chiamasse così: la faceva sentire amata e le scaldava il cuore.
La giovane giunse in palestra quasi in punta di piedi. Lasciò la sua borsa sulla soglia della porta e si incantó a guardare la squadra giocare: erano rapide e coordinate. La divisa blu, con la scritta Vipers in bianco, le faceva assomigliare a un gruppo di maschiacci, ma bastava soffermarsi un poco di più sui loro movimenti, aggraziati e potenti allo stesso tempo, per capire che si trattava di un team formattato da ragazze.
La coach Sanders urlava consigli e ordini che venivano puntualmente eseguiti con successo.
I Vipers rappresentavano un ingranaggio ben oliato e Ann si fece prendere dall'ansia.
Come poteva pensare di essere brava quanto loro?
«Ciao, Ann. Alla fine, hai deciso di venire» la salutò il coach, dando alle ragazze cinque minuti di pausa.
La giovane sobbalzó con fare colpevole e fissó lo sguardo a terra prima di parlare.
«Sì, io... Scusi. Non volevo disturbare gli allenamenti» farfuglió un po' in imbarazzo, rialzando gli occhi da terra.
Sanders le rivolse un lieve sorriso e le mise un braccio sulle spalle, in segno di rassicurazione. Camminarono fianco a fianco finché non raggiunsero la squadra, che si stava riposando.
«Ragazze! Lei si chiama Ann e si è appena trasferita nella nostra città. Oggi si allenerà con noi» annunciò la donna, attirando l'attenzione di tutte.
Una ragazza con i capelli neri e lunghi, chiusi in un paio di trecce, si fece avanti e le strinse la mano. Possedeva una presa decisa e forte, cosa che piacque molto ad Ann.
«Ciao. Io sono Kathy, il capitano dei Vipers» si presentò con voce formale e un poco diffidente.
«Ann Westmore» disse la giovane, realizzando che stava stringendo la mano alla figlia del coach.
Si somigliano davvero molto...
«Pronte per tornare in campo?» gridò Sanders, battendo le mani due volte.
Kathy prese la palla da basket e si mise in posizione. Un'occhiata e il resto della squadra si dispone nel campo. Una ragazza dai capelli corti e biondi si mise vicino ad Ann per marcarla dopodiché la coach fischió una lunga volta e il gioco ebbe inizio.
A metà partita, dopo una marea di canestri, Ann riprese il controllo della palla, che le fu prontamente rubata da Kathy. La giovane le sferró una gomitata nello stomaco, una scorrettezza che il coach non fece notare: il capitano della squadra attese una mossa da parte della nuova arrivata, che reagì riprendendo la palla e andando a canestro un'altra volta.
«Bravissima! Così si fa!» esclamò l'allenatore, applaudendo il canestro fenomenale di Ann.
Le ragazze avevano le divise impregnare di sudore quando Sanders fischió due volte, segno che la partita era finita: Ann e Kathy avevano fatto il maggior numero di canestri.
La prima era stanca ma davvero felice mentre la seconda si sentiva più che altro irritata. Cioè, la nuova arrivata le piaceva però non poteva permettersi di farsi rubare il posto da capitano.
«Che te ne pare, Ann?» chiese la coach alla ragazza, che si stava asciugando il sudore dalla fronte.
Non aveva portato abiti di ricambio, ma sapeva che sua madre l'avrebbe aspettata fuori dalla palestra quindi sarebbero andate subito a casa così poteva farsi una doccia e togliersi la puzza di sudore e basket.
«Magnifico» esclamò la giovane, con un sorriso ampio e sincero in volto.
«Allora, entrerai in squadra?» domandò Sanders, mettendosi le mani sui fianchi in attesa di una risposta.
«Io... certo. Ci sto» rispose Ann, cavalcando l'onda della gioia che l'aveva invasa tornando a giocare a basket.
«Ottimo! Benvenuta nei Vipers!» disse la coach, battendo le mani, molto contenta dell'ultimo acquisto della squadra.
Le ragazze acclamarono Ann e l'abbracciarono a turno con il cameratismo tipico delle persone che praticavano sport di squadra. Kathy fu l'ultima e dovette inghiottire un brutto commento prima di potersi avvicinare ad Ann e riuscire a stamparsi in viso un sorriso convincente.
Quando uscirono dalla palestra, trovarono la vicepreside Westmore che le attendeva: il coach Sanders si era ritirata nel suo piccolo ufficio mentre la squadra voleva festeggiare l'arrivo di una nuova compagna con una festicciola.
«Mamma» la salutò Ann, con calore e affetto «Sono entrata in squadra!»
Linda era contentissima per sua figlia. Aveva gli occhi che le brillavano e le guance rosse sia per lo sforzo fisico che per l'emozione che stava traboccando dal suo cuore.
«Non avevo alcun dubbio» replicó la donna, davvero molto fiera di Ann.
«Noi andiamo a festeggiare, vicepreside Westmore. Ann può venire?» chiese Kathy, dopo essersi presentata.
Linda scrutó ogni membro dei Vipers, indecisa se dare il consenso, però non vedeva nulla di male in una piccola festa fra ragazze.
«Saremo a casa di Debbie» aggiunse il capitano della squadra e la tazza in questione alzò la mano «Suo zio fa lo sceriffo.»
Quello fu il particolare che fece decidere Linda, che annuì con un cenno del capo.
«A casa per mezzanotte e niente alcool» raccomandó a sua figlia per poi abbracciarla «Sono fiera di te, orsacchiotto.»
«Ti voglio bene, mamma» sussurró la giovane in risposta.
Nessuna di loro due poteva immaginare cosa sarebbe accaduto quella sera.
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