9. Nuovi Compagni
Le due pietre cozzando tra loro continuavano a produrre lievi scintille, che tuttavia non attecchivano sulla legna che era riuscita a raccogliere dopo aver catturato un serpente del deserto e averlo infilzato con il proprio pugnale.
La ragazza aveva annodato le numerose treccine che componevano la sua capigliatura in una coda fermata con un bastoncino ritrovato in giro e il suo viso nella penombra era a tratti illuminato da quegli schizzi di fuoco, che mettevano in risalto la sua espressione infastidita e impaziente.
Infastidita per il vento che si era alzato e per il fatto che, sebbene avesse posizionato la legna da ardere in una zona protetta e apparentemente perfetta, non riusciva a dar vita neppure alla più lieve fiammella.
Impaziente perché del suo compagno di viaggio non aveva più saputo nulla, ormai il sole incendiava con i suoi ultimi raggi le dune e la tenda che aveva eretto alla perfezione in poco tempo.
Finalmente una scintilla più grossa riuscì ad accendere una lieve fiammella, che si sbrigò subito a proteggere dal vento per farla crescere, esultando tra sé e sé.
Aveva fame e quel misero serpentello sarebbe dovuto bastare per lei e il suo compagno di viaggio, disperso chissà dove nell'oasi, che sebbene fosse la più grande di certo non costituiva un labirinto.
- Viso pallido...- sbuffò, avvicinando lo spiedino improvvisato al fuocherello e sentendo lo sfrigolio della carne - Immaginavo di dovergli fare da balia...-
Improvvisamente percepì un rumore ravvicinato. Alcuni passi svelti che scivolavano attutiti dalla sabbia e dalla vegetazione. Si portò una mano alla cintura pesante, accarezzando l'elsa del proprio pugnale e tendendo le orecchie.
Ancora quel suono.
Scattò in piedi estraendo la lama e fermandola a pochi centimetri dalla gola di Gideon, il quale aveva alzato una mano. La ragazza sentì un formicolio lungo tutto il braccio, mentre le sue dita continuavano a stringere l'arma, senza tuttavia riuscire a muoversi.
I suoi occhi si puntarono in quelli di ametista del giovane, mentre quest'ultimo con un semplice gesto elegante aveva soffocato con la sabbia il fuoco che la sua compagna aveva acceso con fatica e tanto lentamente.
Poi a un nuovo cenno della sua mano la ragazza riprese possesso del suo corpo, fendendo l'aria di fronte a sé e voltandosi per fulminarlo con uno sguardo: - Dov'eri finito? Perché hai spento il fuoco? Sai quanto ci ho messo ad accenderlo, mentre tu ti divertivi a fare l'esploratore?!?
Il ragazzo si limitò a raccogliere lo spiedo con il serpente mezzo cotto e ad arricciare il naso: - Mi dispiace aver interrotto il tuo tentativo culinario di avvelenarmi, ma davvero abbassa la voce. Non siamo soli.
Zahira avrebbe voluto rispondergli nuovamente a tono, ma il suo volto era serio e i suoi occhi preoccupati. Stava succedendo qualcosa che non aveva previsto.
- Cos'hai visto? - afferrò lo spiedo, staccando un pezzo di carne cotta e mangiandolo senza problema sotto gli occhi esterefatti di Gideon - E per la cronaca è delizioso!
Gideon aveva analizzato la situazione durante il lento tragitto di ritorno, dopo aver osservato attentamente il perimetro dell'accampamento dei demoni, e ora si chiedeva se quello che aveva in mente fosse un buon piano di salvataggio o un suicidio assicurato.
Eppure non aveva alcuna scelta e non ce l'avrebbe mai fatta da solo.
Gli occhi di Zahira parevano aver colto il senso del suo silenzio e i sentimenti che gli avevano attraversato lo sguardo nell'arco di pochi secondi.
Incertezza.
Riflessione.
Dubbio.
Così, decifrando da sola la situazione, raddrizzò la schiena e gli diede le spalle, afferrando la propria sacca da viaggio e rovistandoci dentro vi trovò un secondo pugnale, dalla lama più sottile e tagliente del suo, in grado di trapassare senza difficoltà i punti più sottili e lasciati scoperti da qualsiasi armatura.
Capace di far morire dissanguata una persona nell'arco di poco tempo.
Se lo soppesò tra le dita, prima di tornare a guardare il sacerdote e alzarsi nuovamente in piedi: - Lo sai usare?
- No, non sono nato per uccidere.
Quelle parole la sorpresero.
Poi le sue dita si strinsero ancora di più intorno all'elsa, mentre il suo sguardo diventava serio.
- Nessuno è nato per uccidere, eppure esiste la guerra ed esistono i demoni.
Gideon scosse la testa, scoprendosi il braccio sinistro dalla lunga manica grezza della casacca: un elaborato simbolo circolare a spirale con delle rune dorate era stato impresso sulla sua pelle chiara e in qualche modo, Zahira se ne accorse, emanava luce.
Una luce tenue, ma calda come una flebile fiammella pronta a spegnersi da un momento all'altro, ma resistente nella sua determinazione di continuare ad ardere.
- Un tempo esistevano solo Sacerdotesse della Dea Luminosa, ma esse si estinsero con la caduta del Regno Dimenticato, dodici anni fa con l'Ultima. Il suo spirito visitò in sogno il mio maestro, discendente dalla loro stessa razza e gli trasmise questo simbolo sulla fronte e il dono dell'Incanto, prima sconosciuto ai maschi del suo popolo. Gli disse che i figli baciati dalla Dea avrebbero proseguito nel suo Culto, intoccati dai demoni, puri di cuore e senza le cicatrici di alcun male. - gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto rivolti al cielo, si volsero a guardarla - Puri, senza mai poter macchiarsi di sangue, Zahira.
La ragazza alzò un sopracciglio, determinata: - E dov'è adesso la tua "Dea"? Lei non si sta macchiando di sangue, mentre la sua gente muore? Quale divinità ti proibisce di versare sangue, quando lei stessa lo richiede? Perché non ha difeso il suo popolo, invece che distruggerlo? Sono tutte leggende. Io credo nei fatti e in ciò da cui posso ricavare insegnamenti. E per quanto ho visto... Nulla rimane puro in una guerra.
Il ragazzo non disse nulla, limitandosi a osservarla mentre si infilava il pugnale in un laccio stretto alla coscia.
Aveva solo diciassette anni.
Non aveva mai visto cosa fosse la guerra, ma conosceva la continua lotta per la sopravvivenza attraverso il deserto e le rare città disseminate e disperse.
E capiva il suo punto di vista, senza condividerlo.
-Ho un piano.
Quelle tre parole catturarono nuovamente l'attenzione di Zahira, che si stava già apprestando a smontare la tenda.
- Ma dobbiamo aspettare ancora un po' - aggiunse, tornando a guardare il cielo, trapunto di stelle, mentre il vento glaciale della notte lo faceva rabbrividire - Anche se so che la pazienza non è la tua miglior virtù...
- Farò ciò che devo per salvare Ismin, sarò anche paziente se è necessario. - lo interruppe, determinata - Ora parla, Sacerdote.
La nuova stanza che gli fu assegnata era esattamente come se l'era immaginata: il soffitto roccioso formava una cupola naturale e levigata dall'acqua e dall'umidità, il pavimento ricoperto da piastrelle di un tenue azzurro ormai rovinate dal tempo accoglieva da una parte un letto spartano, comodo per alcune ore, ma non abbastanza da passarvi un'intera notte, una scrivania occupava l'altro lato della stanza, con una sedia soltanto e null'altro.
Sicuramente era meglio della cella che lo aveva accolto inizialmente, ma Artù si dovette sforzare di non ridere. Da quando il comando era stato affidato interamente a sua sorella la Cittadella aveva subito drastici cambiamenti sia nell'accoglienza sia nelle protezioni.
Le creature delle Montagne Indefinite avevano siglato una nuova alleanza ancora più stretta e ferrea, grazie al rispetto che li legava a quella guerriera, e per lui non era stato facile eludere la loro sorveglianza sul confine, e aspettare la sentinella dei Ribelli.
Si passò una mano tra i lunghi capelli d'oro che gli erano scivolati davanti, dopo essersi sfilato il mantello e averlo posato sulla sedia con un sospiro.
Era da molto tempo che non se lo toglieva, sempre in viaggio senza sosta, aveva deciso di tornare conscio del rischio. Il mantello era una protezione e l'unico compagno di viaggio che avrebbe mai potuto avere. Aveva dovuto seminare i demoni che gli erano sempre alle calcagna, celando la sua vera identità.
Un Menestrello solitario e povero, i cui unici averi erano costituiti dal proprio strumento e dalla sua stessa intelligenza.
Ecco come appariva e si presentava.
Non era esattamente una maschera, poiché fin da giovane aveva nutrito una certa predisposizione per il canto, la musica e le leggende...ma ormai si sentiva appesantito da tutto ciò.
- Mio Signore...- una voce femminile lo ridestò dai propri pensieri, ancora fermo ad accarezzare il proprio mantello - Il Generale mi ha chiesto di condurvi alla Fonte del Respiro, per rifocillarvi.
L'elfo rimase interdetto per l'appellativo con il quale era stato appena chiamato.
Era passato il tempo in cui gli altri gli si rivolgevano con quel termine e non sapeva come sentirsi. Malgrado la indubbia nobiltà del proprio animo e del proprio sangue, ormai quel modo di rivolgersi a lui gli suonava immeritato. Si era ripromesso di tornare a considerarsi tale solo dopo aver portato a termine tutto ciò che aveva in potere per porre fine alla guerra che tergiversava nelle terre da troppo tempo.
Si voltò, rivolgendo un sorriso gentile alla ragazza ferma sulla soglia, con i lunghi capelli bruni raccolti e un semplice vestito verde: - Grazie.
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma capiva che negarsi a quella tradizione sarebbe stato inutile e non auspicabile in una situazione come quella. Così seguì la giovane lungo il corridoio dalle pareti composte da radici intrecciate che inalavano linfa dalla terra e dalla roccia, pulsanti di vita.
Quell'unico luogo, quel rifugio per ogni ribelle che desiderasse la pace e la fine del dominio dei demoni, era ciò che più gli ricordava casa in quello stesso istante e appena se ne rese conto provò una stretta all'altezza del cuore
Sapeva benissimo che per lui, non vi sarebbe mai stata una casa a cui tornare.
In pochi minuti si ritrovò a osservare una grotta dalle pietre trasparenti che emettevano una lieve luce calda e luminosa. Il calore che invadeva quel posto era emanato da sbuffi di fumo agli angoli di una grossa pozza di acqua calda tanto trasparente da poterne vedere il fondale. Sette colonne trasparenti congiungevano la cupola imperfetta e rocciosa del soffitto alla pietra levigata dall'acqua del pavimento e Artù rimase affascinato da quel posto, esattamente come la prima volta che l'aveva visto.
La ragazza gli tolse la maglia e gli sfilò i calzari, sebbene lui avesse provato a sottrarsi.
Ma era la tradizione nei confronti degli ospiti illustri.
Nei confronti della Stirpe.
Le mani delicate ed esperte della fanciulla gli spalmarono una crema aromatica composta da erbe curative e refrigeranti, che gli rilassarono i muscoli e gli trasmise una sensazione di leggerezza e sollievo.
Quella sostanza aveva delle proprietà non solo curative, ma anche protettive.
E Artù conosceva molto bene le piante, riusciva a riconoscerle anche solo dalla fragranza.
Non appena quel lieve e fugace momento terminò, lasciò che la giovane si congedasse, ricambiando il suo inchino.
Le gote morbide di lei assunsero una lieve sfumatura rossa che riuscì a intravedere solo per un istante, prima che uscisse.
L'elfo si volse verso l'acqua e vi entrò lentamente, sorridendo, finché non si trovò cinto da essa fino alla vita. Si passò una mano tra i capelli tirandoli indietro e inalando il vapore acqueo che riempiva quel luogo incantato, dominio assoluto del suo elemento.
Elemento che da molto gli era stato negato.
La terra arrida del deserto, il continuo viaggio che si era imposto e la fuga dai demoni gli rendeva impossibile un incontro tanto lungo e riflessivo.
A lui che adora meditare e che in quell'atto si sentiva completamente a contatto con quel mondo che ormai era perduto.
- Per quanto hai intenzione di restare lì a guardarmi, Luke? - Non si voltò neppure, percepiva con nitidezza la presenza di un'altra persona oltre a lui e sapeva anche di chi si trattasse.
- Non sei cambiato, a quanto vedo Artù.
Un uomo comparve da un angolo semi-oscuro, un sorriso accennato sul bel volto segnato dalle battaglie, i capelli chiari leggermente bagnati e le braccia tese che strinsero il suo ospite come quelle di un fratello.
- Quando Sydney mi ha detto che eri tornato non ci potevo credere! Per quanto ti fermerai, amico mio?
- Sono tornato perché era tempo, solo lui sa quanto mi vorrà concedere...
Il Generale Skindar lo osservò, corrugando la fronte, meditabondo:
- I tuoi enigmi sono sempre così ambigui, non hai perso neppure questa abitudine...
Artù osservò mestamente il suo vecchio amico, sapendo di non poter rivelare più di quanto non gli avesse detto.
- Te ne sei andato, lasciandoci soli a combattere e con sola un'enigmatica frase che ancora adesso non sappiamo come interpretare...
- Eppure ora sono tornato, portandovi cambiamenti che neppure immaginavo... Ma dobbiamo aspettare, perché il momento non è ancora maturo e l'orizzonte incerto. Ormai, non spetta più a noi decidere.
Quelle nuove parole turbarono ulteriormente l'uomo, che osservò il giovane immergersi totalmente in acqua e scomparire alla sua vista.
Un brivido lo percorse da capo a piede.
Aspettare... Da quanto tempo stavano aspettando?
Il sangue che era stato versato gli sussurrava ogni notte una sola parola, una supplica che lui non poteva ancora concedere a quelle anime immolate troppo presto per quella stessa causa.
Pace.
- Caleb, mi senti?
Quella voce...
La testa gli continuava a pulsare, mentre le sue orecchie percepivano quelle parole come se fossero state gridate da lontano, ovattate e quasi soffocate, gli pareva che provenissero da un altro mondo. Ma dal tono e dal suono capiva perfettamente di chi si trattasse e che si doveva riscuotere da quel torpore che gli aveva oscurato i sensi.
Aprí lentamente gli occhi, mettendo a fuoco i propri vestiti, gli stivali impolverati e la terra argillosa che lo circondava. Un terreno umido, troppo fertile per le dune desertiche, ma poco umido e propenso a vegetazioni più rigogliose...
Terra di oasi.
Lentamente alzò il capo, cercando di resistere ai capogiri causati dalla ferita, che era certo di aver riportato a seguito dello scontro. L'ambiente in cui si trovava era semibuio, a malapena illuminato dai residui di una brace posta al centro di quella che aveva identificato come una tenda dalla pesante stoffa che lo circondava.
Inoltre una lieve luce traspariva dall'alto, segno delle primi luci dell'alba.
Il secondo senso che tornò in vigore fu il tatto e la coscienza delle proprie articolazioni. Le braccia legate indietro contro un palo piantato saldamente a terra, la circolazione che faticava a far fluire il sangue alle mani. I muscoli della schiena indolenziti e contratti.
Cercò di muovere le braccia e le corde si strinsero ancora di più, facendolo gemere per il dolore: - Dannati demoni...
- Caleb, è inutile agitarsi... il dolore aumenta soltanto...
E finalmente mise a fuoco il proprio amico, nella sua medesima situazione, ma un metro più distante. I lunghi capelli chiari sporchi di sabbia e il viso sporco di sangue nero.
Sangue di demone.
Avevano dato filo da torcere ai demoni, ma essi li superavano numericamente e il segnale di aiuto era stato disfatto immediatamente dalla tempesta di sabbia causata dagli zaarak.
Avevano compreso fin da subito che avrebbero perso.
- Come ci tireremo fuori da qui?- Ringhiò a bassa voce, studiando la situazione. Ma prima che il suo compagno potesse rispondergli uno spiraglio di luce si aprí facendo entrare tre figure.
Un demone e altri due prigionieri.
Due ragazzi vestiti con panni grezzi delle tribù nomadi, che cercavano di ribellarsi inutilmente.
- Sciocchi umani, cercare di rubare a noi demoni... Il vostro popolo è buono solo cotto! - Gracchiò la voce acuta e gutturale del demone, mentre legava l'umano più basso alle spalle di Caleb e spingeva con un pugno allo stomaco a terra l'altro.
Una risata terribile fuoriscí dalle labbra inesistenti di quella creatura spregevole, e il ragazzo dietro di Caleb cercò di morderlo, facendogli fare un passo indietro con un ringhio e guadagnandosi un manrovescio sul viso. Una volta che anche l'altro fu legato dietro a Leolyn, il demone uscì lanciando un occhiataccia ai due Ribelli.
- Questi due volevano rubare le vostre bestie...
- Non chiamare bestia il mio Axan! Non è neppure lontanamente simile a te!- Ribatté Caleb, ma tutto ciò che ricevette in risposta fu una risata sguaiata.
Leolyn, invece, stava osservando il modo in cui i due nuovi arrivati si stavano scambiando uno sguardo di intesa. Non sembravano preoccupati per la situazione e aveva notato che il loro modo di porsi non era tipico dei ladri. Inoltre nessuna delle Tribù Nomadi avrebbe mai rubato, avevano codici di onore e morale ferrei.
Ma questo ovviamente i demoni non lo sapevano.
Il ragazzo dietro di lui spalancò le dita di una mano e un calore improvviso gli lambì la pelle, lasciandolo interdetto, mentre l'altro riusciva a far sgusciare i polsi sottili fuori dalle corde spesse e rigide.
Certo, i demoni di quella razza non erano noti per il loro acume, ma non distinguere un semplice essere umano da uno dotato di poteri era un errore troppo evidente.
Caleb li guardò, sorpreso: - Chi siete? Cosa volete fare?
- Mi pare ovvio ciò che stiamo facendo...- ribatté quello di fianco a lui, tirando fuori un pugnale e liberandolo dalla corda - Vi liberiamo.
L'altro attirò a sé le ultimi braci di fuoco accendendo una fiamma abbastanza ampia da illuminare perfettamente il lavoro del primo che aveva parlato. Stava tagliando la corda di Leolyn, mentre Caleb si massaggiava i polsi, scattando in piedi.
Una volta liberi Leolyn si guardò intorno, cercando la propria arma, ma senza trovarla.
- Hanno legato tutte le vostre cose sulle vostre cavalacature, qui fuori. Il mio nome è Gideon, sono un Sacerdote della Dea Luminosa...
Quelle parole lasciarono basiti i due guerrieri, mentre l'altro spiava dalla fessura della tenda la situazione all'esterno: - Non abbiamo tempo, il sole sorge rapidamente e il piano deve essere attuato al più presto.
Gideon annuì dividendo il fuoco in due fiamme, la mano ferita gli bruciò ma strinse le labbra con coraggio: - Siamo dalla vostra parte, ognuno per diversi motivi... Comunque ora come ora immagino voi non abbiate armi.
- Non servono sempre, se si ha una buona tecnica. - ribatté pragmatico il giovane elfo biondo, avvicinandosi all'uscio della tenda e sorridendo - Quanti sono?
- Cinque. Uno sorveglia i vostri shuren, due la tenda e gli altri due stanno dormendo...- espose il compagno di Gideon, estraendo un pugnale lungo e sottile e porgendolo - Se vi servono armi, ho questo...
Caleb lo prese, facendoselo girare abilmente fra le dita: - Un giocattolo, ma presumo mi debba accontentare. Spostati, ragazzino...
- Caleb. - lo richiamò Leolyn - Stai parlando con chi ti ha appena liberato. Siamo compagni, ormai.
- Voglio solo che questa situazione finisca in fretta. Abbiamo una missione da portare a termine.
- Anche noi.- Intervenne Gideon.
- Allora cosa stiamo aspettando? - Sbuffò impaziente, spostando di lato i due e senza esitazione uscì fuori, mentre il suo compagno alzava gli occhi al cielo e due corpi finivano ai loro piedi.
Due demoni dalle gole sgozzate.
- Mi dispiace che tu debba assistere a una cosa del genere, Milady...
Zahira sgranò gli occhi, guardando l'elfo sorriderle dispiaciuto e baciarle la mano. Era il primo ad averla riconosciuta come ragazza e, inoltre, quel contatto la disorientava, come quegli occhi cristallini attenti e dolci, inadatti a una situazione del genere.
- Dobbiamo muoverci. - Bisbigliò risoluta la voce del giovane guerriero dagli occhi scuri.
- Già. - concordò il Sacerdote, facendo scorrere il suo sguardo da Leolyn alle gote improvvisamente arrossate di Zahira - Non possiamo aspettare un momento di più.
La ragazza si scostò di scatto, annuendo e strinse tra le dita il proprio pugnale dalle rune brillanti e antiche.
Pronta a usarlo.
*Angolo Autrice*
Mi dispiace per la lunga attesa e, forse, per la lunghezza esagerata del capitolo...ma volevo sdebitarmi per l'attesa.
Spero di non aver appesantito questo capitolo...nel caso, i prossimi saranno ben più corti.
Grazie per averlo letto e spero vi sia piaciuto!
Un abbraccio Jess💕
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