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2. Salvataggio


Demoni.

Zahira non ne aveva mai visti di quel tipo, quelli che facevano razzie nel deserto erano ben più piccoli anche se ugualmente feroci, assaltavano le carovane con l'aiuto delle tenebre o gli accampamenti dei pellegrini alla ricerca di oro, cibo, qualche nemico ostile all'Impero o di catturare alcune tribù legate alla Resistenza.

A volte si avvalevano anche soltanto di una scusa per seminare paura, distruzione e poter liberare completamente la loro indole crudele contro chiunque a loro piacimento. Non esisteva alcuna legge che li potessero fermare, si erano autonominati padroni di ogni cosa da quando avevano istituito l'Impero Demoniaco, dopo la Caduta, e non esisteva alcuna giustizia che tutelasse tutti gli altri popoli soggiogati.

La ragazza li aveva visti di sfuggita durante un mercato, in una città ai confini tra il Grande Deserto e le terre dei Popoli Pallidi, mentre inseguivano un uomo dal lungo mantello nero e il volto celato sotto al cappuccio.

Aveva intravisto occhi chiarissimi per un secondo prima di udire il vociferare di un nome appartenente a un fantasma. Aveva pensato che facesse parte della Resistenza e per un attimo avrebbe voluto poterlo aiutare, ma il suo clan si teneva sempre a debita distanza da tutto ciò che potesse attirare le mire dei demoni e, come al solito, si erano sbrigati a lasciare quella città.

Non era stato per vigliaccheria, ma per puro spirito di sopravvivenza, ciò che permetteva alla tribù di muoversi e vivere ancora nella più completa libertà, seguendo le proprie leggi, quelle del Deserto Vorace, senza destare sospetti e rischiare di essere attaccati dalle legioni demoniache che spadroneggiavano ovunque. Loro non possedevano nulla e il nulla non sarebbe mai interessato a quelle creature bramose di avere e poter distruggere ogni cosa.

Un enorme boato esplose poco distante da lei, facendolo rinsavire da quei pensieri e portandola a cercare di ragionare in fretta.

Levò lo sguardo notando che in quel momento, strattonata dal vento impetuoso, non era di fronte a creature che potesse affrontare, erano ben più grossi dei demoni di quella volta. Non aveva neppure un'arma se non un pugnale che teneva nascosto sotto la tunica, ma non avrebbe scalfito neppure di un centimetro la corazza di quell'essere, per non parlare degli altri quattro.

"Levati piccolo selvaggio" le ringhiò nella testa una voce cavernosa, che la fece urlare di dolore "Se ci tieni alla tua patetica vita"

Zahira strinse i denti, chinandosi per estrarre il corto pugnale di metallo, la cui lama era intarsiata da piccole rune. Se si fosse trattato di un animale feroce, conficcando l'arma nella sua carne le rune lo avrebbero fatto svenire il tempo sufficiente per farla scappare, ma con tutta probabilità in quel particolare frangente non avrebbe funzionato.
Inoltre erano cinque, mentre lei una sola con un unico pugnale e priva di alcun piano.
Che cosa diavolo le era saltato in mente?!

"Questa è la tua risposta, figlio del Deserto Vorace?"

Zahira raddrizzò la schiena, osservando l'essere da dietro il velo, leggermente infastidita. Non le importava di sembrare un maschio, anche con i capelli lunghi intrecciati, la sua corporatura e la sua magrezza le rendevano le forme più simili a quelle di un ragazzo, priva delle curve sensuali di una donna. Ma se doveva morire, avrebbe preferito almeno essere riconosciuta come una ragazza.

Questo dimostra solo quanto poco conoscano la natura umana di coloro che hanno sottomesso e che usano come giocattoli.

Studiò la creatura che aveva di fronte con ancora più attenzione: la corazza gli ricopriva la schiena lasciando scoperto il basso ventre morbido e la nuca, gli occhi piccoli e ravvicinati la fissavano neri e lucidi, senza espressione. Quello che le stava parlando nella mente era il più grosso, aveva un sigillo sulla fronte.

Era un simbolo nero che probabilmente legava gli altri a lui.

Zahira era sempre stata attratta dalla magia, ma nelle sue terre era inconcepibile anche solo parlarne, l'Impero l'aveva vietato. Tuttavia aveva sempre trovato un modo per trarne informazioni, come ascoltando le leggende, per esempio.
Una volta, durante una notte senza luna, era giunto al loro accampamento un giovane uomo.

Non ne aveva mai visto altro uomo con quei colori: aveva la pelle chiara come la sua, ma lunghi capelli biondi, che nascondeva sotto a un turbante verde scuro, i suoi occhi erano stanchi e saggi di un verde brillante nella notte più buia. Colori inusuali anche per il popolo dei Visi Pallidi. Ismin l'aveva obbligata a stare con le altre donne, ma Zahira era riuscita lo stesso a sgattaiolare via, travestita da uomo, e si era nascosta ad ascoltare. Il giovane era un racconta storie e aveva narrato di fatti leggendari, compresi i sigilli magici. Essi potevano essere spezzati, cancellati, attraverso armi magiche che dovevano dividerli, o per lo meno così dicevano le leggende.
Zahira aveva ascoltato tutto con attenzione.

E ora al ricordo cercò di capire cosa servisse quel sigillo sulla loro fronte e, soprattutto, se il racconto del Viso Pallido potesse essere veritiero.

Ma in quel momento una lunga coda squamosa le arrivò a pochi centimetri da una gamba, facendole perdere l'equilibrio e rotolare in mezzo alla sabbia.
Provò a rialzarsi, ma cercarono nuovamente di colpirla e lei rotolò su un lato per evitarli.
Scattò in piedi, dando un calcio a una coda e respingendola più in là. Evitò un altro colpo scivolando tra le gambe di un demone e arrivandogli alle spalle.

Si passò una mano sullo stivale, notando che le squame glielo avevano aperto sulla punta e le avevano graffiato le dita.

Ottimo.

Il demone cercò di nuovo di attaccarla, ma Zahira schivando per l'ennesima volta il colpo prese una decisione e passò nuovamente tra le gambe del demone col sigillo sulla fronte. Prese la rincorsa e si diede la spinta per arrampicarsi sulla spalla della creatura tra le pieghe rugose e la corazza metallica che la ricopriva, partendo da una gamba.

L'impatto la lasciò senza fiato per un istante, ma la determinazione e quella nuova energia la spinsero ad afferrare un appiglio qualsiasi su quella pelle secca e rugosa, per evitare di finire nuovamente nella sabbia, schiacciata.
Doveva spezzare il sigillo.

Mise delicatamente tra i denti il manico del pugnale e iniziò a scalare il demone, cercando di evitare i colpi e di non scivolare a ogni oscillazione brusca.
A un certo punto sentì un grido da parte di una di quelle creature maledette. Abbassò la testa e notò il sacerdote, in piedi traballante sulla sabbia che tracciava strani simboli sulle proprie mani, e che voltandole sui demoni facevano partire fiotti di luce e di fuoco.

Per un attimo rimase spiazzata da quella visione, non aveva mai visto una vera magia in vita sua. Ma quello non era il momento giusto per rimanere imbambolata lì.

Zahira raggiunse la nuca dell'energumeno e prese in mano il pugnale, rigirandoselo tra le dita prima di conficcarlo al centro di un simbolo nero. La pelle era dura come il cuoio, dovette imprimere tutta la sua forza per andare in profondità e fare un taglio che dividesse in due il simbolo. Quando estrasse la lama, sporca di una sostanza densa, un fumo nero iniziò a uscire dalla ferita, e lei si dovette scostare di scatto, scivolando sulla pelle viscida e cadendo.

Lanciò un urlo, cercando di aggrapparsi alle squame, graffiandosi le mani, ma il demone si stava disfando, come anche gli altri.
Si stavano rimpicciolendo.

Zahira cercò di cadere in piedi, ma le ginocchia le cedettero e soffocò un grido di dolore per la botta, mentre il vento si abbassava e qualcuno le si posizionava di fronte: una lunga gonna scura impolverata.
Alzò lo sguardo per vedere degli strani bagliori, prima che tutto diventasse buio...

E svenne.

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