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15. Tra Lame, Unguenti e Tracce


Zahira non aveva mai visto niente del genere: al centro della stanza vi era una donna velata, la figura risultava brillare di luce propria grazie ai raggi lunari che si riflettevano su quei veli chiari e trasparenti come a voler incantare l'occhio di ogni spettatore in quella stanza.
Sembrava un miraggio di luce e purezza che contrastava vividamente col luogo che la circondava. Eppure allo stesso tempo i suoi gesti erano quasi di una sensualità e nudità cruda che le faceva andare in fiamme le guance.
Era un miscuglio strano che non riusciva a comprendere totalmente, ma si fidava della sensazione di calma che l'aveva percossa appena aveva incrociato quegli occhi scuri e caldi.

Inoltre era quasi sicura che Caleb sapesse cosa stesse facendo e che non fosse un caso se erano lì ad aspettare. La leggerezza con cui quella donna si muoveva era un incanto per gli occhi e una sorta di magia per i movimenti leggiadri che faceva.
Non era elegante o raffinata.
Ma era sensuale e dolce.
Vedeva con nitidezza la figura esile e slanciata, i movimenti sinuosi del bacino e delle mani che disegnavano cerchi e arabeschi fluidi nell'aria, rimanendo quasi sempre velata e mai totalmente esposta agli sguardi altrui.

La musica era ritmata e ronzante, forte, richiamava il deserto e i canti delle carovane che lo attraversavano. Nella tribù di Zahira c'erano diverse danzatrici, ma nessuna emetteva quella sorta di luce che pareva visibile solo ai suoi occhi.
La donna diede un colpo d'anca ruotando su se stessa e finì il suo ballo in un silenzio assorto e inaspettato.

Un secondo dopo uno scroscio di applausi, mani battute sui tavoli di legno con anche le pinte di birra invasero la stanza.

- Dobbiamo andare. Ora. - Caleb le prese un braccio per attirare la sua attenzione.
- Cosa? Dove? Non dovevamo aspettare qui che...- La confusione trapelava dalla sua voce incerta, mentre si alzava in piedi senza neppure aver toccato il suo bicchiere dal liquido scuro.

- Fai come ti dico, dobbiamo andare sul retro, sta per succedere qualcosa qua dentro... e non possiamo aspettare ancora.- Gli occhi del guerriero saettarono rapidamente sulla figura che scendeva dal bancone che aveva appena utilizzato come palco e al quale una figura muscolosa e alta parecchi metri si stava accostando con andatura claudicante.

Il suo viso si fece severo e scuro per un istante.

La creatura aveva grosse spalle nerborute ricoperte da una leggera peluria rossiccia striata di nero, il viso era seminascosto da una folta capigliatura unticcia che gli ricadeva spiovente sul viso arcigno.
Una cicatrice percorreva il petto scoperto del demone, su cui erano evidenti le bruciature per la cauterizzazione fatta da un guaritore maldestro, probabilmente dalle dita tremanti per la paura. Le mani erano grosse e callose, istruite alla violenza e inadatte al tocco della dolcezza, ma si allungarono lo stesso verso la dama velata, mentre rivolgeva la sua voce ringhiante alla medesima.

Zahira notò la mano di Caleb avvicinarsi pericolosamente alla spada che teneva sulla schiena e che si intravedeva appena dal mantello, mentre sentiva la voce della donna levarsi limpida:
- Vi conviene non toccarmi, sono sotto la protezione del Principe ed egli vuole che nessuno mi si avvicini.
Il demone grugnì, ma fece un passo indietro, lasciandola passare, sebbene a nessuno sfuggì un basso ringhio: - Non vorrei mai disonorare la mia pelle con la puttana di Memnoch...

Caleb strinse i pugni, digrignando i denti come se egli stesso fosse stato offeso in prima persona :

- Tu!

Tutti gli occhi della taverna si spostarono immediatamente su di loro, mentre Zahira avrebbe solo voluto tappargli la bocca e trascinarlo fuori per le orecchie, facendosi minuscoli come polvere per passare inosservati.
Leolyn si era raccomandato diverse volte a questo proposito prima di lasciarli entrare da soli e all'inizio aveva creduto che si stesse riferendo proprio a lei. Invece no.
Parlava con il suo compagno di viaggio, abile guerriero, addestrato a ogni situazione... Ma evidentemente incapace di controllare la propria impulsività.
Zahira era disarmata e se Caleb avesse deciso, come ormai era palese a tutti, di iniziare una rissa con quella sottospecie di gigante grottesco, lei non sarebbe mai riuscita ad aiutarlo.

- Stai parlando con me? - Ghignò divertito il mostro, fronteggiando a sua volta il ragazzo dai folti ricci scuri spettinati. Ora che gli era praticamente a un passo si rese conto che doveva essere alto circa due metri, e dalla stazza poteva anche trattarsi di un mezzo gigante o di un Demone Superiore.

- Sì, vedi altri orchi nei paraggi?

Zahira sgranò gli occhi a quel insulto, i demoni odiavano essere paragonati agli Orchi, che venivano considerati esseri inutili adatti solo a cibarsi di creaturine insignificanti come gnomi o il piccolo popolo dei boschi e delle steppe, e noti prevalentemente per la loro bruttezza.

- Come mi hai chiamato? - Ringhiò il demone, mostrando i denti lunghi e seghettati che fuoriuscivano dalle labbra carnose e nere. Gli occhi lucidi si riempirono di rabbia e di rosso, mentre Caleb faceva un ulteriore passo avanti, le braccia distese e rilassate lungo i fianchi, come se improvvisamente fosse totalmente a suo agio.

- Oltre che brutto come gli Orchi sei pure sordo come loro? Così facendo non fai altro che avvalorare le mie parole...

Qualcuno infondo alla stanza rise, battendo un boccale di metallo contro il tavolo, seguito da altri.
La figura velata se ne stette in silenzio a fissarlo, scuotendo il capo, e Zahira non capì se fosse un gesto di incredulità o di esasperazione. Ovviamente quei due si conoscevano, ma la ragazzina non comprendeva a pieno perché Caleb si stesse comportando in quella maniera.

- Tira fuori la spada, umano, vediamo se ti divertirai ancora dopo che ti avrò tagliato via le orecchie e la lingua! Nessuno può insultare Ftuman Il Colosso e andarsene illeso!- Ruggì il demone prendendo dal proprio fianco una grossa ascia dal filo tagliente e dal manico di pelle.
- Ok, se vincerai tu, Ftuman Il Colosso, avrai la mia lingua e le mie orecchie. Potrai giocarci o mangiartele, come preferisci. - Caleb sorrise divertito da quel soprannome, incrociando le braccia al petto e osservandolo con attenzione - Ma se vincerò io dovrai scusarti con la danzatrice velata e non entrare mai più qui dentro.

Ftuman rise sommessamente, scuotendo i capelli unticci e guardandolo di sbieco: - Stai ponendo le condizioni per la tua sconfitta, ragazzino. Pensa a sopravvivere piuttosto!

Il giovane scosse la testa, estraendo due corti pugnali dalla cintura di metallo che teneva stretta in vita. Avevano la lama a doppio taglio: da una parte seghettata per incidere a diversi livelli la carne e provocare una ferita frastagliata, causando un'emorragia interna; dall'altra il filo era regolare e dritto, serviva a tagliare di netto le arterie e a provocare una ferita profonda e liscia, difficilmente curabile.

Le lame non erano d'argento o d'acciaio, ma di un colore bronzeo pallido con venature di ambra trasparenti e luminose. Zahira sapeva che era il Metallo dei metalli, o così lo chiamavano le Dodici Tribù del Deserto Vorace, ma il suo vero nome era in Lingua Sacra e loro non erano in grado di pronunciarlo.

- Tu pensa a combattere! - Sorrise il guerriero, mentre i suoi occhi scuri brillavano di una nuova energia, unica e inebriante.

L'urlo fu attenuato dal fazzoletto che avevano dovuto mettergli in bocca e che i suoi denti forti stavano stringendo in una morsa ferrea e sofferente, ma il dolore rimase estenuante e vibrante per tutto il suo corpo. Una patina di sudore gelato gli imperlava la fronte pallida, mentre il ferro rovente gli si posava sulla ferita, riempiendo la stanza dell'odore acre di carne bruciata.

- Resisti, la ferita si stava infettando e il fuoco serve a disinfettarla totalmente...- Gli spiegò Leolyn, posandogli delicatamente un altro pezzo di stoffa bagnato per cercare si abbassare la febbre che gli stava bruciando dentro e annebbiando la vista.

Il giovane elfo ringraziò mentalmente la cura con cui la loro spia li aveva fatti accompagnare in un luogo sicuro, riconoscendo la gravità della situazione. Il guaritore che si stava prestando ad aiutarli era una persona fidata e, inoltre, non sapeva veramente chi stesse aiutando.
L'anonimato non era una novità a Knaabor, molti ne usufruivano per sopravvivere, poiché chi sapeva troppo finiva pugnalato alla schiena in qualche vicolo con lo scopo di farlo tacere per sempre.

- Finito. - esordì il piccolo guaritore, un nano non più alto di un metro e trenta con una folta e ispida barba bruna e gli occhi neri velati da un paio di occhiali impolverati e spessi - Gli consiglio assoluto riposo per almeno tre giorni.

- Tre giorni?- l'elfo sgranò gli occhi - Non c'è un modo per muoverci prima?

- So che una ferita del genere sembra poco grava, ma ha perso molto sangue e nella sua condizione non so se riuscirebbe a sostenere le fatiche di un viaggio sotto al sole e in mezzo al Deserto Vorace. - Lo avvertì il nano, dopo aver legato bene la benda ed essersi allontanato per lasciare il ferito a riposare.

- Non sarebbe un viaggio troppo lungo, ci vorrebbe un giorno e mezzo di marcia al massimo. Non c'è un modo per limitare i danni e proseguire?

Il nano sospirò, facendo scorrere il proprio sguardo nella piccola stanza che avevano utilizzato come infermeria. Era ospitale, totalmente fatta in legno, una rarità in quella città di pietra e ossa, con un profumo di aromi, spezie ed erbe medicamentose che gli ricordava casa sua. Era lì che in ogni stagione riusciva a trovare tutte le erbe che gli servivano per curare i suoi pazienti e doveva molto ai padroni di casa.

Quelli che gli stavano di fronte erano amici dei proprietari e per questo avrebbe trovato una soluzione. Ai nani non piaceva avere debiti, o almeno a quelli che mantenevano ancora in auge la loro specie, come lui.
Si avvicinò al tavolo di lavoro pieno di ogni sorta di erbe, accostando un piccolo sgabello in legno di noce, su cui si arrampicò velocemente su. Si sgranchì la schiena e accese il fuoco sotto a un'ampolla di cristallo, versandovi all'interno un liquido trasparente, ma denso e schiumoso.

- Ho un unguento che può aiutarvi, se davvero il viaggio sarà così corto, basterà applicarlo almeno tre volte al giorno e uno di notte. Ma appena arriverete alla vostra meta vi consiglio di farlo riposare e visitare nuovamente da un guaritore...- Gli spiegò, aggiungendo dei fiori dai petali intensi di un giallo vivido e una radice spezzettata di timo selvatico.

- Grazie, mastro nano!

Per un attimo il guaritore levò lo sguardo confuso su Leolyn, sbattendo lentamente le palpebre. Erano anni ormai che nessuno gli si rivolgeva con tale tono e appellativo in un posto come quello.
Osservando il giovane di fronte a sé cercò per l'ennesima volta di negare ciò che i suoi anziani occhi riuscivano ancora a cogliere perfettamente: la pelle chiarissima e priva di imperfezioni, gli zigomi alti e ben delineati, la bocca rosata dalle labbra sottili ed eleganti, e infine gli occhi.
Quegli occhi leggermente a mandorla dalle folte ciglia scure in contrasto con i capelli di oro pallido e il colore vivido, di un azzurro cielo intenso e trasparente, troppo perfetto per essere umano.

E la sottile striscia di stoffa che gli fasciava la testa, stringendogli le orecchie sotto i capelli morbidi?

Erano stati tutti segnali di una sola cosa.

Il nano deglutì a fatica, rendendosi conto di chi stesse aiutando per davvero. Se lo avessero scoperto lo avrebbero ammazzato. No, prima lo avrebbero torturato fino a farlo impazzire e poi lo avrebbero impiccato in piazza, davanti a tutti, o squartato vivo pubblicamente. Eppure l'altro era un semplice essere umano, aveva visto distintamente le orecchie e i segni sulla sua pelle...
Leolyn lo osservò incerto, sapendo di essersi tradito con la sua caratteristica gentilezza non consona alla città e ai tempi in cui si trovava, ma qualcosa gli diceva che non li avrebbe traditi.
Infatti il nano riprese la preparazione del suo unguento con altrettanta attenzione.

- Voi... Avete capito tutto?
- Non so di cosa tu stia parlando, ragazzo. Sto solo facendo il mio mestiere, il resto è superfluo.- rispose burbero il nano, deciso una volta per tutte a ignorare gli ordini dei demoni - Il mio compito è salvare vite, non mandarle al patibolo.
Leolyn sospirò grato di quel gesto, per poi osservare l'orologio a pendolo posto lì accanto. Erano passate circa due ore da quando si erano separati e gli sembrava strano che i suoi compagni non fossero ancora arrivati.

Chiuse gli occhi e pregò la Dea Luminosa affinché Caleb non stesse facendo quello che, purtroppo, sospettava.

- Patetici!

Un leggero ghigno compiaciuto comparve visibile anche sotto al cappuccio del suo mantello, mentre osservava gli aculei bianchi che spuntavano dalla sabbia dorata e che componevano la Grande Traversata.

Avevano perso tempo a dare una sepoltura ai cadaveri dei Maledetti, e questo comportamento li aveva rallentati e resi più patetici ai suoi occhi privi di pietà.

Seppellire i nemici era stato davvero un gesto stupido.

Zavarock toccò le tracce di sangue che avevano sporcato la roccia bianca durante lo scontro e da cui mentalmente riuscì a ricostruire i vari passaggi del combattimento. Dovette riconoscere che chiunque fosse stato era una persona davvero abile nello scontro corpo a corpo.

- Uno era armato di spada - sfiorò con le dita un taglio abbastanza profondo e annerito dal fuoco, che aveva scalfito la roccia in diversi punti - Con una lama spessa e ampia a doppio taglio, incantata sotto l'elemento del fuoco...-

Raccolse un pezzo di freccia da terra.
Le piume erano candide e soffici, come quelle dei cigni, ma più sottili e piccole. Analizzò il legno con attenzione, provando a piegarlo e a fletterlo con le dita abili: era una freccia perfetta, equilibrata in ogni sua parte con enorme maestria.

- Un elfo... Oh, un elfo ribelle nelle nostre terre! Che meraviglia!- sorrise divertito, sebbene il tono di voce grondasse disprezzo da ogni parte. Estrasse un'altra freccia, ma questa volta intera, ancora conficcata nel cadavere di un demone-ossa di grosse dimensioni - Kebet, prendi! Useremo la sua stessa freccia per ucciderlo!

L'Avdaq lo osservò con leggero sgomento: alla luce delle torce accese il sorriso bianchissimo del Favorito era così largo ed evidente tra le ombre da risultare inquietante e subdolo come non lo era mai stato.
La luna argentea alta e piena nel cielo li guardava con insofferenza e distacco, domandandosi annoiata chi fosse il dio che era stato capace di creare esseri simili, così ripugnanti e feroci, senza anima.

- Questo è sangue vergine...- Zavarock era già andato oltre e osservava una macchia marrone di liquido sanguigno condensato e asciutto. Provò a toccarlo, ma le dita gli bruciarono come se avesse sfiorato un fuoco incandescente.
Lanciò un urlo, indietreggiando e digrignando i denti per la sorpresa e la rabbia.

- Una Consacrata? - la parola gli tremò tra le labbra, mentre gli occhi dell'Avdaq cercavano conferma in quelli del Favorito con sgomento crescente - Impossibile! Sono state sterminate tutte! E persino gli uomini... Tre giorni fa hanno attaccato l'ultimo tempio, uccidendo il Maestro Sacerdote...-

- Ma ne è scappato uno... Il suo apprendista!- Zavarock lo interuppe, ma non sembrava spaventato come il compagno, anzi!
Ecco l'occasione che aspettava!
Era quella dolce scia di sangue che avevano sentito da così lontano, un sangue puro e sacro che non poteva essere ignorato o nascosto!
Se avesse portato da Baar non solo i Ribelli, ma anche l'unico allievo superstite dell'Antica Dottrina avrebbe ricevuto un riconoscimento e avrebbe posto fine all'ultimo barlume di magia luminosa del mondo!

- Dobbiamo avvisare il Padrone! Se scoprirà cosa c'è in ballo e falliremo ci scorticherà vivi!- Kebet storse la labbra, terrorizzato, ma lo sguardo del suo compagno gli fece capire che le sue parole sarebbero state ignorate.

- Noi non faremo niente del genere. Sappiamo quanti sono e sappiamo sicuramente dove si saranno rifugiati con un ferito sulle spalle. Non sprecherò un occasione del genere per le tue inutili paure! Metti in marcia gli altri, arriveremo prima dell'alba a Knaabor e li cattureremo. - ordinò il Favorito, facendo segno di accelerare il passo - Di certo in una delle nostre città un elfo e due uomini non passeranno inosservati!

Ma non aveva calcolato neppure per un'istante una quarta presenza, come se non contasse davvero. Eppure quella esile e inaspettata figura non sarebbe mai dovuta essere sottovalutata in quella meniera.

Perché avrebbe sorpreso tutti.
Presto o tardi, meravigliando persino sè stessa.

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