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11. ...e per la guerra!


Il deserto con le sue dune granulose e dorate aveva da poco iniziato a cedere il posto a una distesa di rocce biancastre che spuntavano come denti acuminati di un'enorme creatura quasi totalmente sepolta nella terra, pronta tuttavia da un momento all'altro a chiudere le sue fauci su ogni possibile pellegrino che osasse avventurarsi fino a lì.

Gli occhi scuri del giovane cavaliere seguirono il filo dell'orizzonte con attenzione, osservando le Montagne Indefinite con una certa premura. Voleva tornare a casa il prima possibile, mostrare al Generale di aver adempiuto perfettamente alla propria missione e rivedere i suoi amici.

Voleva accertarsi che stessero tutti bene.

Era questa la maggior preoccupazione di tutti coloro che erano nati e cresciuti nella Fortezza dei Ribelli quando partivano in missione: speravano ardentemente che una volta giunti avrebbero trovato tutto come avevano lasciato e non distrutto dalla furia dei demoni.
Caleb non era nato esattamente tra quelle mura spoglie e quelle radici protettrici, era giunto lì quando stava per compiere cinque anni e il suo primo compleanno tra quelle mura lo aveva festeggiato in mezzo a un accampamento improvvisato, al freddo dell'inverno.

Insieme a Leolyn.

Alzò lo sguardo in direzione del compagno che stava raccontando come fosse riuscito ad avvicinare il suo shuren, un rito tradizionale per i guerrieri di quelle Terre, ma a loro era stato estraneo fino al giorno del sedicesimo compleanno di Leo.
Leolyn aveva tre anni in più di lui, ed era stato uno dei primi a essere sottoposto al rito guerriero degli indigeni che abitavano le Montagne Indefinite. Sorrise appena al ricordo.

L'aspirazione di Leolyn non era mai stata di diventare un cavaliere, ma le circostanze avverse e la necessità avevano mutato i suoi progetti futuri in modo irreparabile. Aveva un indole opposta alla sua, per lui era stato ben più difficile abituarsi al nuovo mondo in cui la sua infanzia era piombata dall'oggi al domani, senza preavviso. Ma l'aveva accettata, sforzandosi di diventare forte e di essere ciò che serviva e non ciò che avrebbe voluto.

Lo si vedeva anche dal suo atteggiamento, che quella guerra non gli apparteneva e che il suo animo era propenso al sorriso e alla pace.
Infatti, mentre Caleb si trincerava in un silenzio assorto, che tuttavia pareva non intaccare la sua ospite, il suo amico si era perso nei meandri dei ricordi, illustrando situazioni divertenti per intrattenere il sacerdote che sedeva alle sue spalle.
Sentì la ragazza dietro di sé spostare leggermente il peso sul fianco destro, chinandosi per vedere meglio qualcosa in lontananza.

Zahira non era mai stata così vicina al confine del Deserto Vorace e si sentiva in qualche modo spaesata. Anche la temperatura stava cambiando mano a mano che si inoltrava verso la loro meta.
- Dici di far parte di una delle tribù nomadi del deserto, eppure hai la pelle anche più chiara della nostra e i capelli rossi...- le fece notare il cavaliere, lanciandole un'occhiata diffidente - Sei sicura di essere chi dici?

Se quella domanda le fosse stata posta giorni prima, la sua risposta sarebbe stata immediata e anche un po' scocciata. Non era il primo che gliela rivolgeva, quando visitavano i villaggi degli uomini bianchi tutti la confondevano per una di un altro villaggio. E lei ogni volta si era sempre indignata.
Alla fine era solo un po' più chiara, poteva nascere un po' diversa, no? Come certi mercanti del popolo bianco che a forza di scottarsi la pelle somigliavano a uno di loro... Invece, ora, sapeva che c'era un vero motivo per il quale era così diversa. Il vero problema era che neppure lei sapeva quale fosse, o meglio... Non sapeva chi fosse.

L'unica che aveva tutte le risposta giaceva morente nella tenda dei guaritori del suo clan, lottando contro il veleno di demone che le si ramificava in tutte le vene del corpo, fino a stringerle i polmoni e il cuore in una morsa mortale. La sola idea della sofferenza che Ismin stava subendo le fece digrignare i denti.

Stava soffrendo ogni ora che passava, sempre di più, quasi fino a farla impazzire e questo la sapeva perché i guaritori gliel'avevano riferito prima di partire. Il veleno dei demoni avrebbe dovuto ucciderla nell'arco di ventiquattrore, ma la forza interiore che stava dimostrando di avere l'avrebbe tenuta in vita per sette giorni. Tutti se n'erano stupiti.
Tutti tranne Ubel.
Ormai erano in viaggio da due giorni, ne mancavano cinque prima che fosse tutto inutile.

Cercò di scacciare quei pensieri dalla mente e si ritrovò a incrociare lo sguardo di Caleb, attento a ogni suo movimento, ancora in attesa di una risposta: - Sono Zahira, tutto ciò che ti occorre sapere è che ti ho liberato e ti ho salvato la vita.
- Ce la saremmo cavata lo stesso, ragazzina...
- Legati come dei salami e senza armi?- gli fece notare sarcastica - E mi chiami "ragazzina", tu? Quanti anni hai, eh?

- A volte non è un fattore di età, ma di esperienze. La gente come me è obbligata a crescere in fretta per tenere la gente come te al sicuro. Le Tribù sono sotto la protezione della Fortezza dei Ribelli delle Montagne Innevate, anche se non lo dicono in giro. Saprai sicuramente il motivo. E ti dico questo nel caso non lo sapessi. - gli occhi scuri gli guizzarono nuovamente in direzione delle alture all'orizzonte - Se stai cercando risposte, le troverai sicuramente lì. E anche se non cerchi guai... Vale la medesima cosa.

Zahira osservò il profilo del cavaliere di fronte a sé, perplessa. Non sapeva di alcuna alleanza, ma non era una novità. Le manovre burocratiche erano affidate all'assemblea dei Sette Clan, che avveniva una volta al mese, e in cui ovviamente nessuna ragazza era mai stata ammessa. Inoltre, andare in giro a vantarsi di avere un qualche legame con i ribelli avrebbe voluto dire cercare di essere uccisi o perseguitati dai demoni, e le Tribù stavano ben attente a mantenersi al margine, a osservare senza far nulla per schierarsi. O così aveva creduto fino a quel momento, poiché se erano sotto la protezione dei Ribelli voleva dire che qualcosa facevano per sostenerli. La ragazza che fino a quel momento aveva pensato che quella missione avrebbe coinvolto solo la cura per Ismin, ora si ritrovava a pensare che ormai stava conoscendo segreti che avrebbero cambiato totalmente la sua posizione e la sua visione del suo clan.

- Comunque ho diciotto anni.

Quella nuova informazione la distolse per l'ennesima volta dai suoi pensieri, mentre Caleb si detergeva alcune gocce di sudore dalla fronte, osservando le rocce di fronte a loro con interesse. Erano così bianche da ricordare le ossa che talvolta Zahira trovava durante i loro pellegrinaggi alla ricerca di oasi e luoghi sicuri per la notte. I resti delle carcasse di chi si perdeva nel Deserto, le cui ossa venivano spolpate dagli animali e da altre creature peggiori avevano il medesimo biancore, quasi irreale. Gli occhi scuri del giovane cavaliere scintillarono, mentre fermava il proprio shuren.

- Leolyn! Vieni qui, mi è parso di vedere qualcosa...- Sguainò lo spadone a doppia lama, rune magiche brillarono incise sulla lama, mentre faceva cenno a Zahira di tenere le redini di Axan. La giovane le afferrò saldamente, stando attenta a non tirare troppo e osservò il ragazzo scivolare giù dal suo destriero, i ricci capelli scuri agitati da un lieve vento improvviso, che portava con sé un odore forte di carcassa e di carne in decomposizione.

Un tanfo che le fece venire la nausea, ma si sforzò di non vomitare. Nel frattempo Leolyn si era fermato avanti e aveva seguito con occhi attenti la traiettoria dello sguardo di Caleb, perplesso. Sgranò gli occhi prima di far abbassare con un gesto della mano il sacerdote di lato ed evitare una freccia:

- Dannazione, è un imboscata!

Gideon a causa dello spostamento improvviso perse l'equilibrio e cadde nella sabbia, finendo a pochi centimetri dagli zoccoli scalpitanti dello shuren bianco, che lo aveva ospitato fino a pochi secondi prima, mentre Axan si ergeva sulle zampe posteriori lanciando un lungo verso che Zahira interpretò come il suo ringhio di battaglia.

Le mani della ragazza afferrarono più saldamente i finimenti con una fermezza inaspettata, mentre con l'altra estraeva il proprio pugnale. Caleb strinse i denti, facendo ruotare in modo impressionante l'enorme arma che aveva in mano, come se fosse stato un bastoncino leggerissimo, invece che una letale arma per uccidere, lunga due braccia e larga una mano. Sollevò intorno a sé una nube di sabbia tanto spessa da coprirlo, mentre le ossa di fronte a loro prendevano vita.

Si stavano muovendo davvero.

La ragazza si trattenne dal lanciare un urlo, quando vide che erano dei demoni umanoidi, la pelle color sabbia si era perfettamente mimetizzata, eppure lo scheletro fuoriusciva da essa come aculei appuntiti e biancastri, percorrendo le lunghe braccia smisurate, la schiena ricurva e foravano la pelle del cranio calvo e liscio, scendendo sulla fronte, il naso era costituito da un foro da cui si vedeva la cartilagine, mentre le labbra erano inesistenti, una sottile linea leggermente obliqua. Erano creature alte tre braccia, completamente nude con tessuto epiteliale che univa gli arti superiori smisurati al corpo muscoloso e orripilante.

Una di quelle creature spalancò le braccia, aprendo al col tempo la bocca. File e file di denti acuminati si protesero verso il volto di Caleb, mentre una lunga lingua grigiastra usciva, stringendosi intorno al collo della sua vittima. Il ragazzo si stupì nel vederla attorcigliarsi intorno al collo di Zahira, poi digrignò i denti: - Sono io il tuo avversario, schifoso verme!

La creatura lanciò un urlo terribile, mentre la lama le tagliava la lingua, e Caleb le dava un calcio al petto facendola finire rovinosamente a terra. Zahira riprese a respirare, con gli occhi sgranati, toccandosi il collo. Non si era neanche resa conto di cosa fosse successo, un minuto prima si era preoccupata per il compagno, il minuto dopo stava soffocando e aveva perso la presa sul pugnale. Fece indietreggiare Axan, cercando tra la sabbia la propria arma, con sguardo febbrile, prima di vedere Leolyn avvicinarsi in modo rapido brandendo arco e freccia, puntando dritto verso di lei. Non fece in tempo a dire nulla, che l'oggetto che aveva pensato fosse stato scagliato contro di se si conficcò alle sue spalle, provocando un ringhio gutturale di dolore.

- Zahira, prendi!- Gideon le lanciò da terra il pugnale, proprio un secondo prima che un demone la facesse cadere dalla cavalcatura e rotolare nella sabbia.

La ragazza strinse la presa sull'elsa, prima di conficcarla al centro del cranio del demone di fronte a sé, provocando un zampillo di sangue nero e bollente, che le finì addosso, e una scarica di energia, che lo fece rimbalzare all'indietro, contro un altro demone.

Quanti erano? Non avevano tempo di contarli, e lei aveva già il fiatone e usato la sua arma. Levò lo sguardo, per osservare il sacerdote recuperare le redini di Axan, che tuttavia continuava ad agitarsi, colpendo demoni con i possenti zoccoli scuri. Leolyn incoccava con abilità e una rapidità sovrumana le proprie frecce a pochi metri di distanza. Zahira osservò i capelli d'oro liberi e le orecchie a punta che svettavano fiere, come a voler sfidare quei demoni e chiunque volesse sterminare la sua razza. Era bellissimo, il suo shuren si muoveva senza l'ausilio di indicazioni manuali, pareva fosse così in sintonia con il suo padrone da non aver bisogno di ordini.

Ogni freccia era un nemico in meno.

La ragazza cercò di tirarsi su per aiutare in qualche modo i suoi compagni, ma un demone le fu subito addosso, facendola finire nuovamente a terra e facendole sbattere la testa. Mille scintille rosse di dolore le esplosero dietro le palpebre serrate per il colpo, mentre digrignava i denti trattenendo un urlo. Era un demone dello stesso tipo che era emerso dalla sabbia, non come quello di prima, con la pelle rossa e i simboli neri che gli si arrampicavano sulla pelle.

Solo in quel momento, con le sue fauci spalancate di fronte a sé, notò che aveva gli occhi come quelli delle mosche, ed ebbe un moto ulteriore di disgusto. Il suo alito sapeva di rancido, putrefazione e sangue. Cercò di levarselo di dosso premendo su quegli occhi con le mani, e la creatura lanciò un urlo, alzandosi di scatto, proprio un istante prima di essere tagliata a metà da un possente spadone dai simboli fiammeggianti.

Caleb le tese una mano, corrugando la fronte: - So che ti ho detto che a volte le armi non servono, ma in questo caso è meglio di sì... Più che altro perché fanno davvero schifo!

Rinaan era una terra rigogliosa, da sempre governata da sovrani giusti e combattenti valorosi.

L'ultima discendenza era nata dall'unione di questi due rami fondamentali del suo governo. Inizialmente era stata una di quelle storie d'amore combattute e impossibili, il primogenito della famiglia regale non avrebbe mai potuto sposare una semplice guerriera, che per quanto si fosse fatta valere durante la guerra contro l'Usurpatrice, che tentava da anni di impadronirsi del Trono, e avesse salvato la vita stessa del principe, di fatto non era che una semplice ragazza, persino più grande di lui e priva di alcuna goccia di sangue nobile nel sangue.

Eppure l'amore aveva prevalso e avrvano sconfitto tutte le battaglie che erano state affrontato insieme, per poi sbocciare in tre meravigliosi figli che portavano nel loro sangue la prova dell'amore e della nobiltà di cuore, che era riuscita a prevalere su quella del sangue e della stirpe.

La base della pace nel regno di Rinaan era costituito da alleanze tra creature, la prima tra tutte era sempre stata quella sancita tra la famiglia regale e il Regno Dimenticato, e che era sopravvissuta a tutto, anche alla Caduta diversi anni prima. Avevano continuato a sostenere i Ribelli, gli unici che si erano retti contro i soprusi della razza oscura, e cercato di difendersi dall'invasione dei demoni.

L'isola di Rinaan era accessibile solo da due vie: o il porto delle terre dei Visi Bianche, cioè dal regno di Freyarn o dai portali, antichi passaggi magici, che erano stati in parte distrutti dallo stesso popolo di Rinaan per evitare di essere attaccati dai demoni.

Sapevano che se fossero rimasti neutri al conflitto sarebbero stati lasciati stare, le loro terre erano rigogliose e ricche di creature magiche, ma di fatto la maggior parte degli abitanti erano inoffensivi e badavano solo alla loro terra e il popolo era costituito da Senzapoteri, perciò sarebbero stati gli ultimi ad essere conquistati, eppure l'Alleanza e un rapporto d'amicizia li legava profondamente ai Ribelli.

Ma le cose non sarebbero potute durare così per sempre, ormai sostenere i Ribelli era divenuto rischioso e difficile. Parecchie navi mercantili dirette alle coste di Freyarn non avevano fatto più ritorno ed erano passati mesi dalle ultime notizie che avevano ricevuto a loro proposito.

E una di queste navi aveva trasportato una persona troppo preziosa per essere ignorata. Non potevano più limitarsi ad aspettare, e non potevano più credere al fatto di essere intoccabili, finché sostenevano i Nemici dell'Impero Demoniaco.

Sydney lesse attentamente la lettera appena giunta, le gambe accavallate sulla sedia intrecciata tra roccia e rami, nel proprio studio, e lontana da occhi e orecchie indiscrete. Luke continuava a camminare di fronte alla sua scrivania, gli occhi limpidi persi nei mille pensieri che lo turbavano dalla conversazione avuta con Artù fino a quelle notizie funeste e inaspettate.

E del elfo dagli occhi verdi gli venne in mente in quello stesso istante: - Dovremmo chiamare Artù? In fondo lui potrebbe essere stato a Porto di Alaghia.- indicò il punto sulla mappa appesa alla parete - Potrebbe aver sentito qualcosa... Quanti mesi sono passati?

- Sei. - la voce del Generale era incolore, mentre analizzava la grafia raffinata eppure disordinata di Andrea del Vento, prima di posare la preziosa carta sulla scrivania e sospirare - Hai ragione, credo che dovremmo proprio chiamarlo. Ora che è tornato potrebbe aiutarci e poi lui potrebbe essere interessato ancora più di noi. Se davvero sono riusciti a sbarcare e Artù era nei paraggi, lui sarebbe stato l'unico a cui si sarebbero rivolti...

- Se lui stesso avesse deciso di farsi trovare da loro...- Le fece notare il cavaliere, prima di uscire dalla stanza con un lieve inchino e un sospiro, sospiro che gli giunse come un eco di quello di Sydney.

L'elfa si alzò, andando lentamente verso l'armadio posto su un lato del suo studio : una stanza rettangolare piena di scartoffie, prevalentemente lette e ordinate da Luke, armadi con diversi ricordi delle battaglie che aveva combattuto e la presenza di molteplici armi a farle compagnia. Le armi erano quel elemento che non sarebbe mai potuto mancare, erano ciò che rappresentava il suo spirito, capace degli atti più spietati se compiuti a favore della giusta causa. Aveva armi di ogni tipo, dal pugnale più sottile, capace di far morire l'avversario dissanguato, tra le più atroci e irreparabili sofferenze, all'ascia con cui avrebbe potuto porre fine alla vita di qualsiasi creatura con un solo movimento, tagliando di netto una testa.

Ed erano tutte perfettamente lucidate e affilate.

Lei sola si dedicava a queste attività, la rilassavano e la permettevano di riflettere. A stare a contatto con le lame di ogni genere di metallo o materia resistente si sentiva tranquilla, non rischiava di sbagliare o ferire qualcuno. Non era come stare tutto il giorno a contatto con i soldati o la gente comune giunta da lei per chiedere rifugio, cibo e speranza. Le armi non le chiedevano conforto, poteva essere sé stessa, sfogarsi, o semplicemente pensare.

Le armi non ferivano come avrebbero potuto fare alcune parole sbagliate, dette al momento sbagliato.

- Sorellina, mi hai fatto chiamare?

La testa bionda spuntò dalla porta appena aperta, un sorriso gentile sul volto perfetto e intoccato dal tempo. Il ragazzo avanzò nella stanza, guardandosi intorno, pensieroso, prima che il suo sguardo si posasse su una teca che conteneva un arco dal legno chiaro, l'impugnatura era ricoperta da sottili ma resistenti fili d'erba intrecciati con il cuoio, la sottile corda tesa e  fine, pareva quasi invisibile a occhio umano. Proprio lì accanto una faretra conteneva sette frecce dalle piume larghe, di un azzurro cobalto strabiliante e delle sfumature bianche in cima.

Artù si avvicinò lentamente, accarezzando il vetro. Le piume scintillarono appena percepirono la sua vicinanza.

Un lieve sorriso spuntò sul suo viso, simile a quello di un gatto che ritrova il suo giocattolo preferito dopo tanto tempo : - Pensavo fosse andato perduto...

- L'abbiamo ritrovato. - ribatté Sydney, incrociando le braccia e guardandolo attentamente - E credo che dovrai usarlo molto presto. Sai qualcosa di una nave arrivata al Porto di Alaghia che ospitava, insieme a svariate merci agricole e artigianali, anche Sara Eloise di Ranaan, Regina della terra dell'Ovest?

Il viso di Artù si contrasse lievemente, mentre i suoi occhi verdi si ingrandivano lievemente, un istante prima che tornasse serio e li ripuntasse sul suo arco e la sua faretra. Li accarezzò ancora con lo sguardo una frazione di minuto, poi lo rivolse alla finestra alle spalle della sorella, ancora immobile a guardarlo, lievemente appoggiata all'angolo della scrivania.

Doveva aspettare, aspettare ancora.

Eppure per la prima volta in vita sua odiò il suo Occhio che gli faceva vedere il futuro, ma mai ciò che avesse voluto davvero vedere con certezza. Uno dono che in alcun modo avrebbe mai potuto controllare. Odiò non poter rivelare tutto. Odiò il proprio spirito.

Lui non era l'eroe indomito. Era solo un elfo con l'animo da menestrello, il destino negato da principe e un'arma da riprendere in pugno, senza la possibilità di un lieto fine...















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