Il risveglio
Un raggio di sole colpiva da qualche ora il viso di una ragazza profondamente addormentata e rannicchiata in posizione fetale con il lenzuolo attorcigliato al proprio corpo, nonostante le temperature fossero ancora abbastanza alte.
Non aveva mai sopportato dormire senza qualcosa che le coprisse l'orecchio, era un'abitudine che aveva sin da bambina, quando si copriva con le copertine di lana della nonna.
Con il passare degli anni la sua abitudine era rimasta, si sentiva più sicura, non riusciva a prender sonno tranquillamente, altrimenti.
La camera era illuminata solo da quel raggio di sole, il pulviscolo atmosferico vagava in quell'unico fascio quasi come se danzasse.
Di polvere in quella stanza ve n'era molta. Non perché non fosse pulita, anzi. Semplicemente vi erano molti, troppi libri per quello spazio fin troppo ristretto. Libri sulla scrivania in legno bianco, accatastati in un caos scenico, a spirale, libri sulla sedia nell'unico angolo libero della stanza, sotto al letto e ovviamente sulla grande libreria che occupava gran parte di una delle pareti.
Vi era solo una finestra che dava su una via poco frequentata, che in quel momento era chiusa con cura, per non far filtrare la luce di fine agosto, che però, come ogni anno, riusciva ad intrufolarsi in quel piccolo angolo tranquillo di mondo tramite un vecchio lucernario posto proprio sopra al letto della ragazza che stava scivolando lentamente dalle braccia di Morfeo.
Luce mosse lentamente la mano per coprirsi gli occhi, lievemente infastidita da quella interruzione.
<<Dannato...>> Biascicò con la bocca ancora impastata dal sonno. <<Dannato lucernario.>> Sbadigliò per poi iniziare a stiracchiarsi lentamente, con ancora gli occhi semichiusi per evitare che la calma indotta dalla dormita se ne andasse troppo presto.
Un leggero tramestio proveniente dai piani inferiori avvertì la ragazza che probabilmente sua madre l'avrebbe svegliata a breve, con suo grande disappunto.
<<L'estate sta finendo...>> Iniziò a canticchiare leggermente mentre si lasciava scivolare verso un lato del letto e poggiava i piedi nudi sul parquet fresco. <<E io non ho fatto nemmeno la metà dei compiti...>> Iniziò ad improvvisare con un sorriso pieno di auto ironia stampato sul volto. <<Prenderò due in letteratura inglese...>> Continuò sull'aria della vecchia canzone che ogni tanto suo padre cantava appena passato ferragosto. <<E concluderò la quinta in lacrime...>> Borbottò raggiungendo a passi leggeri la sua scrivania, per poi scoppiare a ridere sbalordita dalla sua stessa affermazione. <<Ma a chi la do a bere... io odio la mia scuola>> Sbottò mentre un lampo d'odio le attraversava gli occhi. <<L'ultima cosa che mi verrà in mente di fare è piangere, quando non li rivedrò più.>>
Luce non aveva mai dato colpa ai luoghi per ciò che gli umani facevano su di essi.
Chi mai ha colpevolizzato un fiore tedesco per ciò che il Terzo Reich ha fatto ad innumerevoli persone.
Perciò Luce tendeva a definire la sua scuola come una bella scuola e non mentiva. Il liceo linguistico le piaceva, certo, era difficile. Però lo aveva scelto volontariamente, a lei non pesava studiare le lingue ed i professori erano bravi, gentili e competenti. Severi, senza dubbio, ma a loro non aveva nulla da rimproverare.
Aveva più volte raccomandato la propria scuola a genitori ansiosi per il futuro dei loro pargoli e non se ne pentiva mai.
La sua era stata solo sfortuna, una questione di probabilità.
Più del 50% dei ragazzi in Italia subisce almeno una volta l'anno atti di bullismo e, ironia della sorte, le liceali studentesse sono la tipologia più colpita.
Luce aveva immaginato più volte Dio come un uomo di circa 70 anni, con la barba lunga e grigia, che passava il suo tempo giocando con una moneta. Anche con suo figlio lo aveva fatto, aveva lanciato ed era uscita croce. Luce era solo vittima della probabilità, un uno che andava a sommarsi al numero dei ragazzi vittime di bullismo contati dall'Inps ogni anno.
Un numero come tanti, come i neonati e come le morti, come i suicidi, i disoccupati, gli occupati...
Luce si riscosse da quel torpore che ogni tanto le annebbiava la vista e che la faceva perdere all'interno dei suoi pensieri.
Aveva raggiunto la sedia della scrivania inconsciamente ed aveva iniziato a stringere lo schienale tra le dita che oramai erano bianche dallo sforzo. Lo lasciò andare con uno sbuffo e si diresse verso l'armadio che affiancava la libreria.
Osservò per un attimo le ante per poi tendere la mano per aprirle.
<<LUCE!>> Un grido familiare ma penetrante fece sobbalzare la ragazza che si voltò lentamente verso la botola nel pavimento, che collegava camera sua al resto della villetta, che era in quel momento spalancata e che mostrava il busto di sua madre, per metà arrampicata sulla scaletta che portava alla mansarda, abbastanza arrabbiato per essere solo le dieci del mattino.
<<Ciao mamma>> Rispose al grido Luce, nel mentre che osservava una familiare aura rossiccia attorno al corpo della madre <<Dormito bene?>> Domandò mentre incominciava a spogliarsi i pantaloncini del pigiama lilla per indossarne un paio neri ma decisamente meno lisi.
<<Tu di sicuro>> Mormorò la donna mentre uno sguardo leggermente schifato alla vista di come la camera fosse strapiena rovinava il bel rosso per farlo sfumare in un leggero marroncino. <<Allora, quando ti degnerai di scendere?>> Chiese la donna senza nemmeno aspettare la risposta, mentre con attenzione tentava di scendere all'indietro la ripida scala, unico modo per non spezzarsi il collo.
<<Arrivo subito!>> Urlò di rimando la figlia rimanendo ad osservare il buco aperto ed ormai vuoto con desolazione. Oramai era stata chiamata a rapporto e non poteva ignorarlo e rimanere in camera senza mangiare.
Se qualcuno avesse saputo che Luce Tommasi era in grado di vedere l'aura di una persona probabilmente l'avrebbe spedita con un biglietto per sola andata ad un manicomio.
Luce riduceva le proprie disgrazie a sole costatazioni e numeri. La probabilità le aveva salvato la vita e la sanità mentale molte, moltissime volte.
La probabilità che una persona nasca con un potere del genere? Zero su sette miliardi e rotti, il numero della popolazione umana.
A quanto Google sostiene, si sa, quello che dice Google è legge, nessuno può vedere i cambiamenti di umore di una persona, nel caso delle sfuriate di sua madre, si può solo subire.
Effettivamente, pensandoci, nessuno sano di mente scriverebbe su Google che vede le persone come semafori ambulanti.
Luce osservò ancora l'armadio, spinta da una voglia quasi ipnotica di aprire quelle ante, ma si trattenne e con uno sbuffo irritato si decise a scendere in cucina.
Il corridoio dove la scala sbucava era stranamente silenzioso, ora che l'uragano mamma era passato. Le altre camere della casa, una matrimoniale e una singola erano immerse nel buio per cercare di preservare almeno un minimo di frescura, con scarsi risultati, osservando il termometro.
Luce passò brevemente ed inconsciamente dal bagno, dove l'altra sera, al buio, aveva lasciato una maglia.
Trasalì, non appena alzò malauguratamente lo sguardo. Il bagno era stranamente e fiocamente illuminato, quel che bastava per vedersi riflessa e provare un moto di fastidio e disgusto.
Odiava gli specchi, odiava il proprio riflesso.
Quei capelli marroni cosi anonimi e quegli occhi verdognoli azzurri che non erano nemmeno un colore bello e definito come quelli di sua madre, azzurro cielo.
Suo padre, perlomeno per quel poco che la piccola Luce poteva ricordarsi, le diceva sempre che aveva gli occhi color del mare, del mare pericoloso, del mare in tempesta.
Luce se lo ricordava con una bella aura gialla e calda come il sole mentre lei... lei in quel freddo vetro non aveva mai visto nessun colore attorno al suo corpo.
Nemmeno uno.
_spazio me_
Non scrivevo un romanzo da Bloody tears, speriamo in bene.
白~
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