Il branco
Quante probabilità c’erano di incontrare poco prima dell’inizio del nuovo anno scolastico i suoi aguzzini e proprio in quella situazione particolare?
Un buon 50% si rispose sconsolata Luce, mentre alzava a fatica lo sguardo verso la voce che l’aveva importunata.
La ragazza che le aveva rivolto la parola se ne stava tranquillamente appoggiata alla staccionata di legno, osservandosi le unghie dipinte di nero e tremendamente lunghe.
Gli altri, come aveva imparato a chiamarli Luce già dal primo giorno di scuola, “Il branco”, se ne stava qualche passo più indietro, tutti e cinque con lo stesso sorriso sarcastico stampato sul volto.
<<Allora, non si saluta più?>>
Aveva posto quella domanda con voce atona, spostando lo sguardo nocciola in quello verdognolo di Luce.
Ignorarli sarebbe stato peggio.
<<Ciao Elena>> Disse dopo essersi schiarita la gola, mentre raddrizzava leggermente la schiena ed incrociava le braccia al petto quasi inconsciamente, come se tentasse di difendersi. <<Che ci fate da queste parti?>> Domandò mentre guardava il gruppo dietro la compagna, composto come al solito da maschi ed una sola femmina che la scrutava con uno sguardo carico di ribrezzo.
Una sorta di silenzio assordante e surreale avvolse la scena, prima che lo sciacallo scoppiasse a ridere.
<<Le domande le facciamo noi, fanghiglia, non credere che questa sia una conversazione normale. Io e te non siamo pari e non lo saremo mai.>>
Elena mentre pronunciava quella frase si era raddrizzata lentamente, come un leone che aspetta il momento giusto per ammazzare la sua preda.
Aveva preso a fissarla con i suoi occhi color del legno, mentre si passava una mano tra i capelli leonini dello stesso colore, forse leggermente più scuri.
Ciò che aveva sempre colpito Luce, ma che non aveva mai osato dire, era che il branco aveva un'unica aura dello stesso medesimo colore, il marrone scuro, color fango.
Non sapeva se avessero normalmente dei colori separati, non aveva mai visto quei soliti cinque o sei ragazzi, che la iena si portava sempre dietro come scorta, da soli.
Lei, invece, il suo incubo, la sua carnefice, aveva una delle aure più belle del mondo, di un rosino pallido. Quando le parlava, diventava bianca perlacea, cosa che non aveva mai capito.
La prima volta che l’aveva vista tra i banchi di scuola, quattro anni prima, la sua aura l’aveva quasi colpita come un pugno, cosa che effettivamente le era successo per davvero per mano di un suo tirapiedi quando aveva per sbaglio pestato la cinghia della sua nuova cartella.
Si era presentala a lei come il male incarnato, le aveva detto che lei era venuta al mondo solo per far del male alle persone.
Luce le aveva creduto subito.
L’aura attorno ai ragazzi fremette, si stavano spazientendo. Livio, l’attuale ragazzo di Elena mosse un passo in avanti, poggiandole una mano sulla spalla scoperta grazie alla canottiera leggera e bianca che indossava.
<<Ce ne andiamo?>> Mormorò il ragazzo all’orecchio della iena mentre scoccava uno sguardo sprezzante a Luce che se ne stava ferma a guardarli, indecisa se scappare o restare a subire qualche umiliazione.
<<Non mi sembra che sia in grado di formulare una risposta degna di noi>> aggiunse Mara, la vice al comando, una ragazza piccola e bassa, con la pelle color caffe e gli occhi neri come la pece, nemmeno lontanamente cattivi quanto quelli che fissavano Luce da un minuto buono, come se la stessero soppesando. <<Non che sia mai stata in grado di farlo, neh pozzanghera?>> Si staccò dal gruppo, mentre la sua aura diventava sempre più nera.
Luce strinse la balaustra, conficcando le unghie del legno.
La visione la colpì come uno schiaffo quando le unghie laccate di marrone chiaro di Mara le si conficcarono nel braccio.
Vide Livio, come non riconoscere i suoi capelli rossicci e gli occhi azzurri, mentre si chinava lentamente sul volto della ragazza, erano in spiaggia, di notte, al sicuro da sguardi indiscreti.
Luce osservò inorridita la visione, mentre cercava di capire se ciò fosse già accaduto o se dovesse ancora accadere, ma mentre li osservava rapita i suoi occhi incrociarono quelli della tirapiedi, che si strinsero come due fessure, incattiviti, come se la percepissero.
In un attimo, con un profondo sospiro ed il fiato mozzo per il dolore venne riportata al mondo reale, mentre Mara le aveva lasciato il braccio e ora la guardava schifata, indietreggiando come se avesse la lebbra.
<<Sai, dovresti fare un favore al mondo e morire, rifiuto della società>> Le sibilò riavvicinandosi, come se sapesse ciò che avesse visto, cosa che aveva appurato Luce in anni e anni di visioni era pressochè impossibile.
Li osservò allontanarsi come se niente fosse, come un’onda particolarmente cattiva che ti lascia senza fiato e con una sorta di amarezza residua.
<<Tommasi.>>
Una voce la richiamò all’ordine mentre pensava quasi di essere al sicuro.
Lei stava lì, sistemandosi i capelli come faceva sempre prima di dire qualcosa di cattivo.
Fiera come un leone occupava noncurante una delle due corsie della ciclabile, mentre il branco si stava allontanando verso il centro del paese.
<<Ci si vede a scuola.>> Sghignazzò Elena, per poi voltarsi e ricongiungersi al gruppo.
Luce la osservò da lontano, mentre l’aura rosa le circondava il corpo vestito interamente di bianco e azzurro, per far risaltare l’abbronzatura ambrata.
I capelli le oscillavano sulle spalle nude e per un folle momento la ragazza dagli occhi color del mare pensò che sembravano proprio delle onde in tempesta.
Si riscosse, mentre un ciclista le urlò un rimprovero per essere nel bel mezzo della pista ciclabile. Si spostò di scatto, imboccando le viette laterali che l’avrebbero riportata a casa mentre ancora tremava al pensiero di quello che aveva appena incontrato.
Sarebbe stato meglio per lei che si fosse calmata subito, prima di incappare in un interrogatorio di sua madre. Decise perciò, mentre i suoi piedi si muovevano praticamente da soli, che sarebbe stato meglio deviare per il parco e rimanere lì per ancora qualche tempo.
Attraversò i cancelli quasi di corsa, mentre iniziava ad inerpicarsi per le scalette che l’avrebbero portata sempre più in alto e nascosta dagli occhi indiscreti di qualche bambino o mamma.
Quel parco quasi in verticale era quello che Luce preferiva in tutta la città. Era nato su una specie di montagna, quindi c’erano tornanti e stradine che portavano a delle panchine ed a posti ideali per stare da soli, al fresco ed immersi nella natura.
Si lasciò cadere pesantemente su una panchina che ritenne abbastanza in alto. I capelli che oramai le si erano asciugati con il caldo ancora martellante di fine agosto le cadevano come ricci marcati davanti agli occhi, obbligandola a sbuffare per toglierseli di torno.
La visione le esplose vivida di fronte agli occhi, mente cercava di scuotere la testa per calmarsi.
Rivide i due ragazzi ancor più nitidamente, mentre le due aure si mischiavano formando un colore disgustoso.
Non riusciva a capire perché quella visione le facesse così male, non le era mai successo prima di provare dolore per il Tocco.
Così lo chiamava da bambina di fronte alle poche bambole con la quale giocava.
Il Tocco le permetteva di vedere l’amore della vita di qualcuno.
Era un fenomeno che non aveva un senso logico, accadeva e basta. Luce non aveva mai imparato a controllarlo, semplicemente aveva notato che capitava quando qualcuno le toccava il braccio sinistro.
Dono o disgrazia?
Luce tendeva più verso la seconda. Aveva visto suo padre nelle visioni di sua madre e ciò la rendeva immensamente felice, ma nelle visioni altrui aveva visto anche amanti, ex mariti e persone pericolose, malate.
Un volto femminile, d’un tratto, affiorò nella sua mente.
Lei non aveva mai toccato Luce, nemmeno una volta in cinque anni.
Una stretta allo stomaco, forse di dolore, forse di rabbia, portò la ragazza a cercare di cancellare quel volto dai suoi pensieri, non era affar suo se Livio tradiva la iena.
Si sa, ognuno ha ciò che si merita.
Ed Elena meritava di soffrire moltissimo.
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