8~Cuore ammalato
-Voglio andare a vivere da sola.
-Ma Jessika...! Perché? Non stai bene qui con noi? ...Ti manca qualcosa?
-No mamma, è proprio per questo: voglio essere indipendente; ormai all'agenzia guadagno bene e penso di riuscire a pagarmi un mutuo. E voglio comprarmi una casa in città.
-Così lontano...!? E Virgilio cosa ne pensa? -si disperò Camelia.
-Devo ancora dirglielo. Ma sarà d'accordo.
-Cara pensaci bene. -disse suo padre lisciandosi i baffetti scuri. -Non vorrei che la tua decisione sia troppo affrettata. A parte il mutuo, le bollette e tutte le altre spese, dovrai stare da sola... Di giorno va bene, sarai molto impegnata, ma la notte...
-Ho capito a cosa ti riferisci. Vorrà dire che prenderò un cane... E sapete, non ve l'ho ancora detto ma... è da un po' che non ho più quegli "episodi spiacevoli".
"Episodi spiacevoli". Era così che chiamava i suoi frequenti attacchi di panico. Che lei ricordasse, ne aveva sempre sofferto. Pensò che l'unico modo per convincerli che poteva andare a vivere per conto suo era mentire. Mentre in realtà quasi tutte le notti, quegli episodi ricorrevano puntualmente a tormentarla.
Anche questa volta però l'aveva spuntata. Aveva vinto lei anche perché i suoi genitori -a malincuore- volevano che facesse le sue scelte. Ormai era adulta, più che maggiorenne e perciò non avrebbero potuto opporsi più di tanto.
Era nel cortile della sua nuova casa che aveva conosciuto Romina, una bellissima trentunenne, bruna, alta, sempre allegra e socievole che lavorava in un salone di bellezza. Abitava anche lei sola, nell'appartamento vicino, e con la sua dolcezza infinita era stata capace di creare un legame con Jessika che fino a quel momento non aveva amiche. Le aveva fatto conoscere poi Dante e di lì la loro amicizia era durata nel tempo rafforzandosi ogni giorno di più.
Purtroppo i suoi orribili "episodi spiacevoli" continuavano anche nel suo nuovo appartamento e continuavano a svegliarla quasi tutte le notti, che poi passava in piedi in compagnia del lavoro che si portava a casa. Di questo non aveva parlato con nessuno. Né con Virgilio, con cui stava già da quattro anni, e nemmeno con i suoi nuovi -ed unici- amici.
Anche quella mattina in cui iniziava il mese di novembre, venne svegliata, ma non dagli attacchi di panico.
-Ma volete smetterla?! -esclamò irritata fiondandosi fuori della porta della roulotte.
Erano ormai molti giorni che mancava da Roma e in quel tempo aveva percorso chissà quanti chilometri da un paese all'altro nella scomodissima roulotte di Hego e sua madre. La sera si andava a dormire molto tardi perché, come le avevano spiegato i suoi nuovi "amici", gli artisti di strada dovevano suonare la loro musica a chiunque incontrassero. Quindi fintanto ci fossero persone per strada, erano costretti ad esibirsi, che guadagnassero o meno. Neanche dopo tutti quei giorni la ragazza riusciva ad entrare nel loro modo di pensare. Quello che guadagnavano, spesso non era granché, perciò continuava a chiedersi che senso avesse questa loro missione.
Con uno sguardo minaccioso fulminò i bambini che poco fuori della roulotte giocavano con una palla fatta di stracci logorati e sudici. Questi scapparono via senza che gli dicesse niente e così, soddisfatta, rientrò per dormire ancora un po'. Non fece in tempo a rimettersi sulla branda che sentì bussare. Senza avere la forza di alzarsi sbuffò.
-Avanti! -disse con tono seccato.
Una bambina con il viso simile al colore della palla la fissò con occhi grandi.
-Che c'è! -esclamò Jessika per nulla intenerita da quegli occhi così profondi.
La bambina si guardò le mani, dove spuntava un piccolo fiorellino viola.
-Allora?! -continuò lei ignorando quel gesto.
La piccola Rom aprì la bocca esprimendosi in un quasi perfetto italiano.
-La mamma mi ha sempre detto di donare qualcosa a chi sta male. -disse porgendole il fiore.
-Perché ti sembra che io stia male? -disse sarcastica.
-Sì, ma non sei ammalata. E' il tuo cuore che soffre e sta male.
-Ma guarda un po' se adesso devo farmi psicanalizzare da una bambina! Ok, dammi quel fiore e va a dire alla tua mamma che la ringrazio! -l'assecondò sperando che andasse via immediatamente.
La bambina sorrise allungando il braccino.
-Vorrei tanto dirglielo... ma lei ora non c'è più.
Jessika sfiorò appena il fiorellino quando fu colta da un brivido che le rizzò la pelle.
-...Ho capito bene? -bisbigliò col cuore in tumulto.
-Siamo io e il mio fratellino.
-E tuo padre?
La bambina sollevò le spalle poi si girò e andò via. La ragazza rimase a fissare il fiore rammaricandosi di come l'aveva trattata. Non riuscì più a dormire.
L'ora del pranzo e della cena, pareva il momento più bello della giornata. Ci si riuniva tutti intorno al fuoco, si chiacchierava, si rideva, si scherzava... Qualcuno raccontava barzellette. Qualcuno canticchiava tra un morso e l'altro. A volte c'era abbondanza di cibo, a volte meno. Dipendeva da quanto si era riusciti a guadagnare. Le donne nell'accampamento erano poche. Solo sette, più Jessika. Gli uomini erano invece quindici, circa il doppio, e vi erano ben otto bambini, alquanto assortiti come età. Andavano infatti dai quattro anni fino alla ragazzina più grande che ne aveva undici. Il "duca" scrupoloso come sempre teneva tutto sotto controllo. Era in grado di tenere a bada tutti con una sola occhiata. Anche gli adulti.
A volte Jessika, che non sapeva né cantare, né ballare e né suonare uno strumento, si sentiva inutile. Odiava stare tutto il tempo a far niente e così Drago la incoraggiò a prendersi cura dei bambini. Con riluttanza, tentò di ubbidire e col tempo iniziò a provare piacere, soprattutto quando vide che apprendevano molto facilmente. Così si prese la briga di diventare la loro "maestra", tentando di insegnargli a leggere e a scrivere in italiano. Peccato che per lei la lingua romanì era ancora indecifrabile.
E così mentre quel gruppetto ben affiatato si ristorava tra cibo, risate e chiacchiere, Jessika non poteva fare a meno di guardarli tentando di capire i loro discorsi. Hego terminò il suo boccone, poi le si avvicinò.
-Sto cercando di decifrare il vostro linguaggio... -disse lei scoraggiata. -Ma niente. Incomprensibile!
Hego le sorrise compiaciuto.
-Tu come fai a conoscere così bene l'italiano? -continuò la ragazza.
-Non lo conosco solo io... Qui lo sanno un po' tutti.
-Sì, ma tu lo parli così bene. E' perfetto.
-Io sono nato qui, in Italia.
-Ma davvero? Ecco perché...
-E poi... - si intromise Gabriel, un ragazzone di venti anni. -...Lui è stato avvantaggiato rispetto a noi...
-Cioè? -chiese lei girandosi a guardare Hego che però aveva un'espressione turbata.
-Lascia stare. -tagliò corto il ragazzo fissando Gabriel con un'occhiataccia. Si allontanò poi da loro con una scusa lasciando la ragazza perplessa. Anche Gabriel si allontanò dopo aver fatto l'espressione imbarazzata di chi l'ha combinata grossa. Quella fu la prima volta che aveva visto il viso di Hego così oscurato. Così cupo.
Jessika si rese conto che il "duca" la fissava. Si chiedeva perché; si sentiva quasi in colpa, come se fosse lei la responsabile di quel cambiamento di umore del suo amico. Si avvicinò a Drago.
-Mi sento così strana... -disse con un tono confidenziale. -Siete così diversi da me...
Drago continuò guardarla attendendo che gli spiegasse cosa la preoccupasse.
-Cioè... volevo dire... io... io sono così diversa da voi!
-Capisco cosa vuoi dire. Ma poi... cos'è diversità? Il mondo non è bello proprio perché c'è diversità?
-Sì, ma voi avete un modo di vedere le cose che...
-Cosa ti turba?
-L'altro giorno, ero così seccata dalle grida dei bambini e dal chiasso che facevano mentre giocavano che senza rendermene conto mi sono comportata come una vera strega!
-Strega?
-Sì. Una bambina, Molly, è stata così gentile con me ed io non le ho dato il minimo peso. Poi ho scoperto che non ha i genitori... L'unico punto di riferimento che ha, la sua unica famiglia, è il suo fratellino piccolo! ... Mi sono sentita morire quando l'ho appreso!
-Sbagli a dire così... Tu vedi che Molly è triste?
-A dire il vero... non mi sembra... E' così gioiosa...
-Ecco perché dico che sbagli... Lei famiglia ce l'ha. Siamo noi tutti! Noi siamo i suoi padri e le sue madri, e suoi fratelli e sue sorelle.
Il pensiero di Jessika andò subito ad Hego.
-E lui? ...Parlo di Hego... Lui non ha fratelli e sorelle? ...Voglio dire... carnali.
-No, lui figlio unico.
-E suo padre?
Il "duca" restò immobile a fissare la fiamma rovente che divorava un grosso tozzo di legna appoggiato su altri rami ormai carbonizzati. Quell'espressione, quella strana smorfia di dolore interiore, pareva la stessa che aveva fatto Hego poco prima di allontanarsi.
-Io... -ruppe il silenzio Drago. -Credo che tu... parlare con lui. E' meglio.
-Lo farò.
-Sì ma posso darti consiglio? Ricorda che ragazzo parla con cuore. Anche tu devi parlare con cuore.
-Cosa vuoi dire esattamente?
-Domani mattina io ho incaricato Hego andare fiume non distante da qui. Deve procurare lui cibo, pesce. Va' con lui... E' buona occasione per parlare.
-Sì ma...
-Fidati. Capirai da sola cosa dire.
-Va bene mi fido di te.
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