7~Paura delle emozioni
Quella fu la notte più lunga di tutta la sua vita. Jessika non riuscì a dormire nemmeno un po'. Sperava che arrivasse subito il mattino dopo, così sarebbe potuta tornare in città, a casa sua. Ma poi una casa, ce l'aveva ancora? Mentre sentiva Mirsada dormire con un respiro molto profondo, immaginava di arrivare sotto il suo appartamento e trovare tutto sigillato. Non aveva avuto un attimo di tempo per recarsi in banca e capire cosa fosse successo e cosa fosse quella notifica che aveva ricevuto e temeva di perdere quello che le era costato mesi e mesi di lavoro e straordinari. Ora che ci pensava, non aveva più nemmeno una macchina, o meglio ne aveva "metà". Quanto le sarebbe costato aggiustarla? E soprattutto come, visto che non aveva più neanche un lavoro! A partire da Virgilio, pensò, aveva perduto tutto, una cosa dopo l'altra. Le restava la sua famiglia, i suoi amici e la sua cagna... Ma qualcosa, uno strano sentore, continuava a frullarle nella testa. Quando provava a pensare a loro andava in tilt. Non ricordava nulla e per non impazzire cercava di non pensarci affatto. Mentre tentava di trovare una posizione comoda su quelle molle così prepotentemente sporgenti, sentì una dolce melodia provenire da fuori. Facendo attenzione a non svegliare la sua "compagna di stanza" si diresse all'uscita della roulotte. Lì, vicino al fuoco c'era ancora qualcuno alzato che aveva un violino in mano e con grazia e maestria trasformava l'atmosfera in magia pura. Al suo fianco un altro tizio aprì la bocca permettendo a un suono indistinto e appassionato di fondersi a quello dello strumento a corde. I due si bloccarono vedendola.
-Scusa... Ti abbiamo svegliato?
Jessika spalancò gli occhi, dispiaciuta per aver interrotto quell'incantevole esibizione. Gli sorrise intimidita e poi per scusarsi si avvicinò a loro tirandosi su la tuta che lentamente le scivolava per colpa dell'elastico un po' troppo largo.
-Perdonatemi... Non volevo interrompervi. Ero sveglia comunque.
I due uomini, uno dei quali era quello che arrostiva la carne qualche ora prima, ricambiarono il sorriso, poi la invitarono a sedere.
-Ciao, io sono Maurice... -disse il "cuoco". -...e lui è mio fratello Valentino... dolce ragazza.
-Siete bravissimi. Dove avete imparato a suonare e cantare?
-Sono stati i nostri genitori. Ci hanno dato questa eredità.
-La considerate un'eredità? Come mai?
-Musica tutto per noi. Viviamo di musica. Musica è amore. -disse uno dei due.
-Ci accompagna sempre. -continuò l'altro. -Noi viaggiamo per mondo e musica viene con noi. Lei non tradisce. E' meglio di moglie fedele.
-Non capisco... -disse lei confusa.
-Non puoi capire parole. Puoi capire solo se senti... Musica si sente... Sdraiati lì, su coperta.
-Sdraiarmi? Perché?
-Tu prova. Guarda cielo e ...senti.
Jessika diede retta all'uomo e si mise supina guardando l'immenso cielo stellato. La musica iniziò. Scivolò fuori da quel violino -che pareva piuttosto sfruttato- così dolcemente che era impossibile non esserne coinvolti. Si riversava in modo lieve danzando e invadendo ogni cosa circostante. Si infiltrava tra i rami degli alberi, tra le foglie secche che coprivano il terreno, tra i capelli sottili di Jessika, come una leggera carezza. Per un attimo tutto scomparve e le sembrò di essere sola, sospesa nell'universo. Solo lei e le stelle, solo lei e l'infinito.
Un brivido la fece gemere e per lo spavento si rialzò di colpo restando allibita. La musica, bruscamente si interruppe una seconda volta. I due uomini scossero la testa delusi.
-Di cosa tu hai paura? -chiese Valentino.
-Non so cosa mi sia successo...
-Io so di cosa hai paura. -disse l'altro. -Di emozioni.
E così la ragazza si ritrovò di nuovo sulle scomode molle con tanti pensieri per la testa. Quegli zingari, o per meglio dire Rom, l'avevano trasportata in un altro posto, non capiva dove. Si sentiva diversa. Questo la spaventava però. Non capiva perché, ma quello che aveva provato era qualcosa di indescrivibile, del tutto nuovo per lei.
Finalmente si fece giorno. Jessika fu svegliata da Ingrid che, sicuramente mandata da Mirsada, le stava praticamente sciacquando la faccia. Pensò che non aveva più bisogno di farsi una doccia, vista l'accuratezza del cagnone.
-Acqua? -chiese la voce profonda della mamma di Hego.
-Sì grazie, vorrei lavarmi un po'.
Le porse anche del sapone che servì a darle almeno la parvenza di una persona pulita.
-Città? -continuò Mirsada.
-Sì, sì. Oggi me ne torno in città. Lì ho la mia famiglia, gli amici...
-No capire... -aggiunse la donna sbattendo le ciglia con la sua roca voce mascolina.
-Mamma... papà... Vado da loro. -cercò di essere più chiara Jessika.
A quelle parole rabbrividì presa da un assurdo tremito. La mente la riportò indietro di diverse ore... Le sembrò di rivivere un incubo. Una forte litigata con i suoi genitori, una colluttazione... La porta chiusa violentemente tanto da romperne il vetro. Fu scaraventata poi nella realtà mentre, con il cuore in gola tentava di capire cosa fossero quegli strani, confusi ricordi.
Mirsada la guardò domandandosi cosa avesse poi pensando che fosse strana la lasciò. Jessika si rese conto che ormai quelle che aveva erano delle vere e proprie visioni di qualcosa che era successo in quelle ultime ore, prima che Hego e sua madre la trovassero svenuta e malconcia. Le venne in mente che poteva essere successo qualcosa anche alla sua Akemi e l'assurda sensazione di malessere che sentiva nello stomaco le diceva che aveva avuto una discussione piuttosto violenta anche con Dante e Romina. Più si sforzava di ricordare però, più le aumentava il mal di testa.
Uscì fuori a prendere un po' d'aria e per vedere se Hego fosse nei dintorni. Voleva che l'accompagnasse a Roma, voleva tornare dai suoi genitori e dai suoi amici per capire cosa fosse successo. In quel momento non le importò neppure se fosse presentabile o meno. Affannosamente corse da una roulotte all'altra chiedendo del ragazzo.
-Buongiorno Jè. Dormito bene? -disse lui. La guardò meglio e si rese conto di quanto fosse agitata. -Che è successo?
-Io devo assolutamente tornare a casa.
-Sì, ho già avvisato mia madre che ti ci accompagno io.
-Allora andiamo. Adesso, per favore.
-Sai che dobbiamo fare la strada a piedi, vero?
-Non importa. Andiamo.
La strada, impervia, quasi impraticabile, serpeggiava tra altissimi alberi. Tronchi praticamente infiniti, spogli, vista la stagione ma che quasi nascondevano il cielo che quella mattina era particolarmente terso. Jessika, ammutolita osservava lo scenario circostante convinta che le fosse familiare. Guardò tra il manto di foglie scricchiolanti e marroncine qualcosa che spuntava a malapena. Sì, l'angoletto fucsia di un accessorio che riconobbe immediatamente.
-Il mio telefono! ...Sì, guarda, è il mio cellulare! -lo scoprì celermente da tutto quel fogliame privo di linfa poi il suo sguardo divenne cupo. -E' scarico! Accidenti! Avrei potuto chiamare qualcuno e sarebbero venuti a prendermi con l'auto! -delusa tornò a pensare che forse nessuno sarebbe andato a cercarla perché in cuor suo sapeva che aveva litigato con tutti... Era convinta che i suoi genitori, i suoi amici e forse anche suo fratello, fossero arrabbiati con lei. Pensò che forse l'unico che avrebbe potuto aiutarla sarebbe stato il suo ex.
-Virgilio... -si ritrovò a sussurrare.
-Chi è? Tuo marito, o il tuo fidanzato?
-chiese Hego.
-No... No! -Jessika sospirò. -Lo era... Era il mio fidanzato... Lo è stato per sette anni... Ma ora lui non prova più niente per me... Non verrebbe mai a prendermi.
-Perché dici così? Non si può scordare chi si è amato, no? Un po' di bene te ne vorrà ancora. Ne sono sicuro.
Jessika si voltò a guardare il viso del ragazzo, chiarissimo e che ispirava serenità.
-Come fai ad essere così positivo? Pare che tu problemi non ne abbia! Ma ne hai?
-A cosa ti riferisci?
-Io non sono molto brava ad inquadrare le persone. Pensa, sono stata con Virgilio per ben sette anni e non sono stata capace di capire che razza di persona fosse! Ma tu... Dalla prima volta che ti ho visto mi sei subito apparso un tipo spensierato... Sereno, tranquillo, come se nulla di male di possa toccare... Perché?
-Non lo so. Io sono così e basta.
-Quindi non hai neanche un problema?!
-I problemi li abbiamo tutti. Ciò che conta è l'atteggiamento che si ha verso i problemi. Puoi permettere che ti dominino, oppure tenerli alle tue spalle, dietro di te... dove non puoi vederli. Io faccio così e sto bene. Sono felice.
-Sei molto fortunato. Io non so se lo sono mai stata.
-La fortuna non c'entra. La gioia, la felicità... non sono da ricercare fuori, ma dentro.
-Dentro? Dentro dove?
-Dentro di te sciocchina! -concluse lui dandole un colpetto sulla fronte. Jessika indietreggiò colta di sorpresa da quel gesto e si ritrovò di fronte uno strano fossato. Distratta dal discorso di Hego alzò lo sguardo verso il ponte che lo sovrastava. Una fitta profondamente dolorosa le invase lo stomaco.
-Portami via di qui! ...Non voglio più tornare a Roma! -riuscì solo a dire. Hego la prese per mano e preoccupato la riportò all'accampamento.
Ormai tutto era pronto per la partenza. Jessika chiusa nella roulotte sentiva il vociferare al di fuori di essa. Evidentemente contrariata, Mirsada, parlando in lingua romanì, tentava di dissuadere il figlio. Il fatto che quella gagì dovesse andare via con loro non le andava molto a genio a sentire il suo tono secco e a dir poco infuriato. La ragazza si tappò le orecchie per non provare ancora quella spiacevolissima sensazione di essere rigettata come le era già successo sicuramente il giorno prima. Quel ponte, che aveva visto poco prima, circondato completamente dal muschio e dalla forma che ricordava un arco, le aveva portato alla mente un tragico episodio. Impossibile da credere, assurdo. Eppure era sicura di quello che era accaduto.
Hego entrò un po' frastornato.
-Sono tutti d'accordo... Puoi venire con noi.
-Tutti tranne tua madre.
-No, lei crede che tu poi possa cambiare idea e...
-Lo capisco. Sono solo una gagì per lei, no?
-Credimi, non è come pensi tu. Non ce l'ha con te. Non devi preoccuparti, se hai deciso che verrai con noi, verrai con noi. Ma devi spiegarmi delle cose, ok?
Jessika lo guardò riluttante. Non aveva scelta però. Dopotutto lui la stava aiutando.
-Ok. -si forzò a rispondere.
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