12~Un popolo perseguitato
Hego corse per tutto il bosco preoccupato. Ormai si era fatta sera e il cielo diventava sempre più scuro ed anche una fitta nebbia contribuiva a rendere il paesaggio così offuscato da non riuscire a vedere ad un palmo del proprio naso. Insistentemente ripeté il nome di Jessika, finché da dietro ad un grosso albero riuscì a percepire una vocina.
-Jessika! -esclamò sollevato -...Jè... stai bene?!
La ragazza, rannicchiata un po' per il freddo, un po' per il timore, sollevò appena lo sguardo poi quando lui le si fu inginocchiato di fronte, iniziò a piangere. Senza dire niente, Hego sollevò quel corpo esanime e tornò nell'accampamento.
Distesa sulla sua branda continuò a guardare in alto, dove poteva vedere solo crepe e vernice scrostata. Dall'esterno della roulotte, percepì delle voci. Pareva che tutti fossero lì fuori. I loro ragionamenti erano animati ma rivelavano anche preoccupazione. Il duca si fece breccia tra loro, e con un solo gesto delle mani li disperse. Quando tutti si furono allontanati, entrò dalla ragazza che immobile raccoglieva una lacrima che le era scivolata verso la tempia, finendo tra i suoi chiarissimi capelli.
-Jessika Jessika... -esordì sedendosi sul bordo del materasso molliccio. -...non era ancora successo da quando tu sei con noi... ma è questa dura realtà.
-No... -disse lei con voce tremante. -...no, non l'accetto!
-Puoi anche non accettare ma... non cambia niente. Dove tu hai dolore?
-Qui... -disse lei singhiozzando ancora per il forte spavento e mostrandogli il polpaccio che presentava un taglio.
-Meno male, no profondo, solo in superficie. Passerà presto.
La ragazza lo guardò. Il viso di Drago era sereno o forse solo rassegnato. Le sue parole poi scivolarono fuori trasmettendole tutto ciò che egli provava.
-Storia di nostro popolo, purtroppo, lunga storia di sofferenza e persecuzione. Tu conosci ebrei?
-Sì, sono il simbolo dell'olocausto...
-E tu sapevi che in lager nazisti c'era anche popolo chiamato zigeuner?
-Sì, so che anche gli zingari erano portati nei lager.
-Mio popolo considerato alla stesso modo di ebrei. No degno di vivere e così portato in campi di concentramento dove molti hanno trovato orrore e morte. Molti uccisi in camere a gas. Per tedeschi e anche per molti altri, razza inferiore la nostra e... oggi, ancora così... sembra che noi portiamo ancora triangolo marrone come segno di razza inferiore...
Jessika ripensò a tutte le volte in cui le si erano avvicinati i rom. Si sentì stringere il cuore ricordando a come li aveva classificati anche lei degli esseri inutili e una piaga della società. Ora che viveva con loro, si rendeva conto di quanto si fosse sbagliata, e dopo quello che era successo quella sera, non riusciva proprio a capire come avesse potuto essere così banalmente superficiale.
-Mio padre, morto tanti anni fa, era in campo a Dachau. Ha visto genitori morire di fame e malattia. Ha visto suo fratello torturato da uomini in divisa e anche lui rischiato morte. Si è salvato, sì, ma suo cuore rotto, pieno di tante cicatrici e lividi. Ci raccontava storia della sua famiglia e piangeva, perché uomo è crudele, cattivo, senza pietà. E' morto quando aveva solo 60 anni, perché suo cuore troppo schiacciato da sofferenze, pena... -Drago immerso nei ricordi permise che le lacrime gli rigassero le guance incavate.
-Quando sono diventato grande e hanno affidato a me questa comunità, ho deciso che nessuno di loro doveva soffrire. Ho insegnato ai miei figli, sì, a tutti loro, ad amare e a provare pace nel cuore, perché amore è più forte di qualsiasi cosa. Nessuno deve stare male, tutti uniti. Tutti come grande famiglia.
-Ci sei riuscito... -lo interruppe lei tirando su con il naso.
-Tu credi? -domandò il duca asciugandosi il viso morbido, privo di elasticità.
-E' quello che riesco a percepire stando qui in mezzo a voi.
-Scorderai presto anche tu quello che è successo stasera. Sassi possono ferire carne, ma no cuore.
-Sì ma... Qualcuno è rimasto ferito?
-Solo poco. Abbiamo imparato a correre forte quando vediamo che persone vogliono farci del male.
-Quante volte è successo?
-Oh... così tante che dita della mano non bastano più.
-Ma quello che fate... Non c'è niente di male a portare la vostra bella musica, i balli, i canti... Perché le persone reagiscono così?
-Fanno così quando c'è pregiudizio. Non capiscono che tra noi ci sono uomini buoni che vivono con arte e uomini buoni a nulla che rubano e fanno male. Non capiscono che noi siamo come loro... C'è buono e c'è cattivo. Per loro tutti uguali. Ma persone, non sono tutte uguali, no?
Jessika trovò il coraggio di sollevarsi e mettersi a sedere sulla branda. Lo fissò negli occhi, grandi, anche i suoi scurissimi, come quelli degli altri. Notò la cicatrice che aveva sulla fronte, quasi nascosta dalle profonde rughe dovute all'età piuttosto avanzata dell'uomo. In quel momento gli mancò molto la figura di un padre, ma nello stesso tempo si rese conto che era proprio così che considerava quella persona che ora stava dando tutto se stesso per proteggerla da qualsiasi male esterno.
-Come fai ad essere così saggio? -chiese con ammirazione.
-"Se vuoi essere saggio, ascolta" dice nostro proverbio. Sì, ascolta, osserva. Fermati, e usa il tuo tempo per cose davvero importanti. -le tirò poi un pizzicotto leggero alla guancia. -...e tu stai imparando bene...
Terminò con un largo sorriso, sdentato sì, ma davvero contagioso.
-Hego molto preoccupato per tuo spirito. Credo vuole venire a vedere come tu stai...
-Sì, fallo entrare per favore.
Drago la lasciò. Lei seguì la camminata dell'anziano che arrancava lentamente su di un fianco. Si guardò la ferita al polpaccio. Ora pareva procurare meno dolore di prima. Si alzò dal letto ricaricata di nuova energia quando sentì Hego entrare. Lo guardò con un sorriso sereno. Lui non disse niente. Si avvicinò in un attimo e la strinse a sé lasciandola senza respiro.
-Non deve succedere mai più...! -disse lui sottovoce.
Lei, confusa, non riuscì a dirgli niente perché Hego chiaramente provato, la lasciò lì, uscendo dalla roulotte. La ragazza non riuscì a capire cosa fosse successo. Solo una cosa era certa: l'emozione che aveva provato.
Dopo la spiacevolissima esperienza di essere presi a sassate da uomini stupidi ed ignoranti -la prima per Jessika- l'accampamento si ritrovò di nuovo in viaggio all'alba. Nel passato ne erano già capitate di tutti i colori: per mandarli via, qualcuno aveva tentato di appiccare il fuoco visto che solitamente si stabilivano nei boschi e la legna da ardere di certo non mancava. Spesso scampavano al pericolo uscendone indenni, a volte purtroppo subivano le conseguenze del razzismo sulla propria pelle.
Vesna intenta nel ballo quella sera, non si era nemmeno resa conto che la musica era cessata e così si era ritrovata a portata di tiro di un uomo che non aveva sbagliato il bersaglio, colpendola dritta alla testa. La parte retrostante, poco più su della nuca era ancora esageratamente gonfia il che preoccupava parecchio ai membri della comunità e maggiormente al duca.
Le roulotte sostarono in un paesotto di cui non avevano fatto caso nemmeno a quale fosse il nome. L'agitazione e l'ansia per la salute della ragazza era tanta ed evidente in tutto il campo, dal più grande al più piccolo. Anche Jessika era preoccupata e insisteva affinché fosse portata in ospedale. Notò però una certa riluttanza nei loro visi.
-Perché temporeggiate?! -esclamò rivolgendosi ad Hego. -Qui non c'è un attimo da perdere! Potrebbe avere un ematoma! Potrebbe essere necessario addirittura un intervento chirurgico!
Per uno strano motivo Hego indugiava seppure fosse chiaramente preoccupato.
-Hego! -continuò lei -...potrebbe morire! -il ragazzo spalancò gli occhi poi si diresse verso Drago e tentò di convincere anche lui che era l'unica cosa da fare. Vesna, che riusciva a malapena a camminare fu accompagnata da Jessika ed Hego. I loro tratti somatici avrebbero forse confuso un po' il personale che era di servizio in ospedale e magari non li avrebbero associati ai rom -anche se i loro vestiti parlavano chiaro. Questo per evitare ancora una volta che fossero trattati da semplici scarti e magari anche mandati via.
Finalmente Vesna era nelle mani di persone competenti che, speravano, l'avrebbero curata nel migliore dei modi.
Hego si avvicinò a Jessika con due bicchieri fumanti in mano.
-Caffè?
-Grazie.
-Non prenderci per degli indolenti. -esordì lui come per giustificare l'atteggiamento avuto poco prima. -...abbiamo delle ragioni se facciamo fatica a rivolgerci ad un dottore.
Jessika restò zitta attendendo che fosse lui a darle una spiegazione plausibile.
-Se siamo qui è perché persone stupide e cattive ci hanno preso a sassate mentre semplicemente tentavamo di regalare a qualcuno un po' della nostra arte. E mentre ovviamente, svolgevamo onestamente un lavoro che ci avrebbe procurato del denaro per vivere...
-Giusto.
-Ecco, in ospedale non ci prendono a sassate, è vero... ma... ci trattano proprio come se lo facessero. Questo non ci scalfisce minimamente ormai, ci siamo abituati ma... l'ultima volta che ci siamo stati è successo qualcosa di tremendo. Uno di noi ha perso la vita.
-Oh... mi spiace.
-Questo posto per noi, ha relazione con la sofferenza e con la morte. Tutto qui.
-Capisco.
-Lo evitiamo il più possibile...
-Sì, è chiaro ma a volte non si può evitare.
-Certo, ecco perché siamo qui...
-Cos'è successo? Cioè... ti va di parlarmi di questa persona che ha perso la vita?
Hego sorseggiò il suo caffè facendo attenzione a non scottarsi e chiuse gli occhi, ancora provato da un'intensa emozione che pareva opprimergli il petto. -Mio padre. -disse lui tutto d'un fiato prima che gli passasse il coraggio. Jessika imbarazzata, guardò passare due uomini che trasportavano una barella vuota ed infilarsi, per poi scomparire, dietro una porta grigia, come grigio era quell'ospedale.
-...Anche lui è stato preso a sassate? - sussurrò la ragazza quasi senza voce.
-No. Un uomo l'ha assalito alle spalle e... con un oggetto appuntito... -la voce del ragazzo fu troncata da un singhiozzo soffocato.
-Hego, non immagini quanto mi dispiaccia... -tentò di confortarlo lei anche se sapeva bene di non essere molto brava a farlo.
-Ho temuto per te quella sera... -disse lui ingoiando il singhiozzo che pareva voler restare lì, nella sua gola. -Avevo paura che ti accadesse qualcosa, che ti fossi fatta male...
-Grazie... E' stato tremendo. Avevo veramente paura ma...
-Se fosse successo anche a te...
Jessika fissò ancora una volta i suoi occhi blu. Socchiusi, lucidi che vagavano nel vuoto. Si fermarono poi anch'essi su quelli della ragazza. Lei accennò ad un sorriso affettuoso. Il viso di Hego parve rilassarsi, distendersi fino ad apparire quello di sempre. Quello che trasmetteva pace e serenità. Jessika lo vide poi guizzare in piedi, appena il fondo al corridoio era apparsa una dottoressa dai lunghi capelli rossi raccolti in una coda liscia.
-La ragazza sta bene. -disse con un'insolita dolcezza. -Abbiamo fatto la TAC ma niente di preoccupante. Ha solo un piccolo ematoma che si riassorbirà nei prossimi giorni. Fatela stare a riposo.
Hego esplose in un sorriso liberatorio. La dottoressa aggiunse che di lì a poco l'avrebbero dimessa e appena si fu allontanata il ragazzo, più felice che mai, abbracciò Jessika commosso.
-Grazie. -le disse.
Era la seconda volta che lo faceva -che l'abbracciava- eppure stranamente non le dava fastidio. In quel momento Jessika alzò le sue braccia anche se le parevano più pesanti del solito, e le portò sulla schiena di Hego. Stava ricambiando l'abbraccio! Non ci era mai riuscita, nemmeno con i suoi genitori, con i suoi amici... e nemmeno con Virgilio.
Quel ragazzo le stava insegnando ad amare.
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