8 - Un motivo in più per odiare le sveglie
Ha convocato Faith nel suo ufficio per parlare di arte contemporanea e alla mia richiesta di partecipare al dibattito mi ha liquidata con un: "Continua a lavorare, Evie, non credo che l'argomento possa interessarti". Per chi mi hai presa, Thomas? Pensi che io sia un'ignorante? Grugnisco, furiosa, e mando giù l'ennesima cucchiaiata di gelato alla stracciatella.
La porta d'ingresso dell'appartamento si spalanca. Adam e Christopher entrano in casa con quattro buste della spesa che, subito, vanno a lasciare sul tavolo da pranzo. Li osservo con la coda dell'occhio. Il maggiore rivolge uno sguardo d'intesa al cugino che viene a sedersi accanto a me sul divano. Mi stringo ulteriormente nella mia coperta di pile rossa e ruoto il capo verso la tv, decisa più che mai ad evitare possibili domande sul mio pietoso stato d'animo.
«Chi è l'idiota che ti piace e ti fa stare male?»
Mi volto verso Chris. «Chi ti ha detto che è un idiota?» , mi viene spontaneo difendere il mio capo.
Il poliziotto strabuzza gli occhi. «Quindi, ti interessa davvero qualcuno?»
Torno a mangiare il mio dolce e non gli rispondo.
«Da quando ti piace l'arte?» , si intromette nella conversazione Adam.
Indica con un cenno della testa la televisione che sta trasmettendo un documentario sull'Astrattismo.
«Da quando un individuo pensa che io sia un'ignorante. Voglio dimostragli che si sbaglia e che siamo compatibili» , sbotto.
«Hai ragione, lo siete sicuramente.» Meravigliata, mi volto verso Chris. «Siete due imbecilli» , afferma. Offesa, mi metto seduta e mi preparo a ribattere. «Lui perché non si accorge delle tue qualità e tu perché sei disposta a fingerti un'altra persona pur di interessargli. Dovresti trovare un ragazzo che apprezzi ciò che sei realmente, non un idiota che ti reputa un'ignorante soltanto perché non sei un'esperta di arte contemporanea.»
Prima che possa dire qualcosa, il poliziotto si alza e va a chiudersi nella sua stanza. Sbigottita, mi volto verso Adam che accenna un sorriso.
«Si preoccupa soltanto per te» , afferma.
«Mi ha insultata» , gli faccio notare, irritata.
«Ha sbagliato, se ne accorgerà e ti chiederà scusa» , mi rassicura. «E poi, se può farti stare meglio, credo che tu e Chris abbiate entrambi ragione.» Confusa, inarco un sopracciglio. «Questo ragazzo dovrebbe apprezzarti per ciò che sei realmente, ma nessuno ti vieta di usare qualche trucchetto per affascinarlo e spingerlo ad avvicinarsi a te.» Sorride in modo malizioso. Incuriosita, lo incito a parlare. «Non sarebbe una cattiva idea passare, casualmente, alla mostra d'arte contemporanea che hanno allestito in centro e farti lì qualche foto da postare sui tuoi social. Se questo qualcuno vedesse gli scatti, incuriosito, magari, pensando che abbiate un interesse comune, potrebbe decidere di contattarti e poi, parlando con te, giorno dopo giorno, conoscerebbe la vera Evie e, se è destino che finiate insieme, si interesserebbe a lei.»
«Adam, sei un genio!»
Euforica, scatto in piedi e lascio cadere la coperta sul divano. Poso sul tavolino davanti a me la confezione di gelato e afferro il mio cellulare. Inizio a navigare su Internet e scopro che la mostra citata dal mio coinquilino durerà dal sedicesimo al ventesimo giorno di Novembre. Faccio mente locale e realizzo che oggi, a quanto pare, è l'ultimo giorno dell'esposizione.
Il cuore inizia a battermi forte. Corro verso l'attaccapanni e afferro il mio cappotto blu.
«Dove stai andando?» , chiede il cugino del poliziotto, confuso.
«Ho deciso di seguire il tuo consiglio» , mi limito a rispondergli prima di lasciare l'appartamento.
Mi sfilo dai capelli, mentre mi affretto a scendere la scalinata esterna al palazzo, una matita con cui li avevo legati e me la infilo in tasca. Indosso una semplice maglietta di cotone verde a maniche lunghe, dei jeans e delle scarpette da ginnastica bianche. Non sono molto presentabile, ma a mia discolpa posso dire che avevo programmato di passare il resto della giornata sul divano a soffrire e non ho avuto il tempo di cambiarmi.
Persa nei miei pensieri, a testa bassa, una volta raggiunto il secondo piano, urto il torace di qualcuno e inizio la mia caduta verso il pavimento. Il cellulare mi scivola via dalle mani e precipita al suolo. Un braccio mi circonda la base della schiena e una mano mi si posa sul fianco sinistro. Apro gli occhi e mi ritrovo davanti Léon che sorride, divertito. Mi sta sostenendo. Gli stringo una spalla e mi raddrizzo.
«Continuo a pensare che tu abbia un pessimo equilibrio» , commenta. Irritata, mi libero dalla sua stretta e mi inginocchio per raccogliere il mio telefono che giace a terra accanto al suo. Sono identici. «Ho lasciato cadere il mio cellulare per salvarti, potresti almeno ringraziarmi» , mi ammonisce prima che possa andare via.
«Grazie» , dico con tono glaciale.
Lo sento ridere. Non lo sopporto.
•••
Entro nell'edificio in cui è stata allestita la mostra d'arte contemporanea con il biglietto d'ingresso stretto al petto. La gigantesca stanza rettangolare dai muri bianchi è piena di persone. I quadri sono appesi su sei file di pareti di cartongesso disposte al centro della sala. Il pavimento è interamente coperto da un morbido tappeto rosso.
Mi sento sperduta. Il cellulare, nella tasca del cappotto, inizia a squillarmi. Lo afferro e rispondo.
«Da quando ti interessa l'arte?»
«Léon» , ringhio il suo nome dopo aver riconosciuto la voce. «Da quando hai il mio numero?» , domando a mia volta.
«Da quando tu hai il mio cellulare.»
Delle dita mi toccano la spalla e mi volto. Alla vista del coinquilino di Corey, grido. Chiudo la chiamata e gli strappo via da una mano il mio telefono. Ride, divertito.
«Come hai fatto a trovarmi? Hai parlato con Adam?»
Scuote il capo e ghigna. «Ho controllato la tua cronologia e ho dedotto fossi qui» , ammette.
Spalanco le palpebre. «Hai spiato il mio cellulare?»
Scrolla le spalle. «Soltanto la galleria, che ho chiuso dopo aver trovato una tua foto con un provocante pigiamone di lana rosso con dei pinguini, e i messaggi.» Serro i pugni e reprimo a stento la voglia di schiaffeggiarlo. «Il tuo amico poliziotto ti ha scritto per scusarsi di qualcosa e, ora che ci penso, dovresti nascondere in una cartella le foto che scatti di nascosto in ufficio al tuo capo perché qualcuno potrebbe ritrovarsi fra le mani il tuo telefono e scoprire che hai una gigantesca ed imbarazzante cotta per lui.»
«Ti detesto» , sibilo, arrossendo vistosamente.
«Strano» , sentenzia, prima di circondarmi le spalle con un braccio. «Secondo una certa Leah, hai un debole per i ragazzi strafottenti.» Si morde leggermente il labbro inferiore. «E io appartengo a quella categoria.»
Sbigottita, sollevo il capo per guardarlo negli occhi. «Hai letto tutte le mie chat?» Sorride.
«Forse.»
«Ti denuncerò per violazione della privacy.»
Mi libero dalla sua stretta e affretto il passo per seminarlo. Mi raggiunge con qualche falcata e mi porta nuovamente una mano sulla spalla.
«Comunque, perché siamo qui?» , mi chiede.
«E' affar mio» , rispondo con acidità. «E tu potresti anche andartene» , gli ricordo.
Sta guardando con attenzione qualcosa davanti a noi. «Il tuo affare, per caso, è castano con gli occhi scuri, alto circa un metro e ottanta, solitamente vestito, come ora, in modo elegante e dotato di potere sulla tua situazione lavorativa?»
Ruoto di scatto la testa. C'è Thomas poco lontano da noi. Sta ammirando un quadro. Accanto ha una donna dai lunghi e lisci capelli rossi. Il cuore inizia a battermi forte nel petto. Sento la gelosia divorarmi internamente. Il mio capo si volta verso di noi e la rossa, avvolta in un cappotto color porpora, fa lo stesso. Mi giro a guardare Léon e fingo di non vederli. Afferro una mano del castano e me lo trascino dietro. Cammino con rapidità, intenzionata a raggiungere il piccolo chiosco dotato di posti a sedere che si trova sul fondo della stanza.
«Ragazzina» , mi chiama.
«Fai silenzio» , lo ammonisco, quasi sul punto di piangere.
Stranamente, mi ascolta. Arrivati a destinazione, ci sistemiamo ad un tavolo. Restiamo per molto in silenzio. Sono delusa e non riesco a parlare.
«Vuoi un succo di frutta?»
Sorpresa, sollevo il capo. Se si è intenerito, probabilmente per la prima volta in vita sua, anche lo sbruffone, sono sicuramente in uno stato pietoso.
«No, grazie, Léon.»
Sospira. «Non prendertela per il tuo capo. Probabilmente, quella donna è il suo tipo e non tu. Siete totalmente diversi. Lui è troppo per te.»
Furiosa, faccio incrociare i nostri sguardi.
«Come, scusa? E' troppo cosa per me?»
«E' troppo tutto» , risponde con serietà.
Una lacrima mi riga una guancia e mi affretto ad asciugarmela. Mi alzo in piedi e mi infilo le mani in tasca. Lascio il chiosco, ferita, e ignoro i richiami del castano. Cammino a testa bassa con passo spedito.
Qualcuno urla il mio nome prima che possa abbandonare l'edificio. Mi volto di scatto e vedo Thomas correre verso di me.
«Ti ho cercata ovunque» , afferma. «Che cosa ci fai tu qui?»
Serro i pugni. Non voglio piangere davanti a lui. «In realtà, non lo so. L'arte contemporanea non mi piace affatto. Fai bene a parlare soltanto con Faith e a non coinvolgermi nelle vostre discussioni pensando che io sia un'ignorante perché hai ragione, è così. Non capisco nulla di questi dipinti.»
Gli do le spalle. Chris sarebbe orgoglioso di me. Mi sento soddisfatta. Sto rispettando me stessa. Voglio che qualcuno mi ami per ciò che sono, non per ciò che appaio. Faccio per raggiungere l'uscita, ma Thomas mi prende una mano e mi costringe a girarmi per guardarlo.
«Non ho mai pensato che tu lo fossi. Non ti ho chiamata nel mio ufficio oggi perché non volevo fare brutta figura con te. Non capisco nulla di arte contemporanea. Faith mi ha spiegato qualcosa per prepararmi a questa mostra a cui sono stato invitato da una nostra influente cliente e storica amica della mia famiglia.»
Mi viene spontaneo sorridere e mi tranquillizzo. «Perché ti preoccupa il mio giudizio?»
Abbassa lo sguardo per un istante e si gratta il capo. «Sei circondata da persone incredibili con cui, per un motivo o per un altro, ultimamente passiamo molto tempo insieme. Non volevo sembrare il meno brillante fra tutti.»
«E dove hai lasciato Jessica Rabbit?» Confuso, inarca un sopracciglio. «La tua accompagnatrice» , mi accingo a spiegare.
Inizia a ridere di gusto. «Sei gelosa?»
Avvampo. «Certo che no!» , mento spudoratamente.
«E invece, secondo me, ti piaccio» , afferma con convinzione, sorridendo in modo malizioso.
«Sei tu quello che ha lasciato da sola un'importante cliente e amica di famiglia per venire a cercarmi» , gli ricordo.
Sorpreso, si porta una mano sul torace. «L'ho lasciata da sola soltanto per abbandonare la mostra perché mi stavo annoiando terribilmente» , si giustifica. «Ti ho incontrata per caso» , aggiunge.
«Ti ho cercata ovunque» , lo cito, tentando di imitare la sua voce.
Ridacchia. «Volevo salutare Léon» , afferma. «A proposito, perché era con te? Credevo faceste finta di essere fidanzati soltanto in presenza della ragazza di Christopher.»
Mi porto una mano su un fianco e inclino la testa verso sinistra. «Sei geloso?»
«Certo che no!» , si difende.
Sollevo le mani in segno di resa. «Comunque, Léon puoi trovarlo al bar in fondo alla sala.»
«Non resti qui con lui?»
Scuoto il capo. «La vita è breve. Non posso trascorrere il mio tempo guardando quadri che non mi piacciono. Tornerò a casa e mi metterò a leggere un libro.»
Sorride. «Il tuo ragionamento non fa una piega» , commenta.
«E tu, capo, che farai dopo aver lasciato l'esposizione?»
Si gratta il mento con fare pensieroso. «Andrò a mettere in ordine alcuni documenti nel mio ufficio.»
Sbuffo. «Che noia» , commento, ricevendo un'occhiataccia. «Non c'è qualcosa che ti piace particolarmente?» , chiedo.
Riflette un po'. «Il mare» , risponde.
«La spiaggia di Skegness dista da Nottingham quasi due ore. Se partiamo adesso, torneremo a casa prima che faccia buio.»
«Sei impazzita?» , domanda, divertito e, allo stesso tempo, sorpreso.
«Non mi sembra che tu abbia di meglio da fare» , affermo. Fa per ribattere, ma resta in silenzio quando, istintivamente, gli stringo una mano. Mi guarda negli occhi e mi sfugge un sorriso. «Coraggio, capo» , tento di convincerlo.
Inizialmente titubante, si decide poi ad accettare la mia proposta. «Andiamo, prima che possa cambiare idea.»
•••
Il vento mi fa ondeggiare i capelli. Allargo le braccia e inizio a girare sul posto. Thomas ride e mi affianca. Ha le mani nelle tasche del suo pesante cappotto nero.
«Sei strana» , commenta.
Schiudo una palpebra per guardarlo e mi fermo. «E tu sei troppo rigido» , ribatto.
Mi tolgo scarpe e calzini e affondo i piedi nella sabbia fredda. «Ti prenderai un malanno» , mi ammonisce il capo.
«Dovresti farlo anche tu. Ti sentiresti libero» , affermo.
«Non voglio sentirmi libero» , si difende.
Rido. «Sei così prevedibile» , sentenzio.
Offeso, mi fulmina con lo sguardo. Mi viene in mente una folle idea. Lascio cadere a terra le mie scarpette da ginnastica, mi avvicino a lui e afferro la sua cravatta blu.
«Che stai facendo?» , chiede, confuso, iniziando a guardare le mie dita.
«Ti rendo spensierato contro la tua volontà.» Gli tolgo l'accessorio e indietreggio. Lascio che il cappotto mi scivoli lungo le braccia fino a toccare il terreno. Thomas ride. Inizio a spostare il peso del corpo da un piede all'altro. «Facciamo una corsa» , propongo.
«Facciamo che tu corri e io ti guardo» , mi espone la sua idea.
«Vieni con me o non ti do più la cravatta» , lo minaccio.
Mi avvicino sempre più al mare. Il capo, divertito, sorride. Si toglie la giacca e la lascia cadere accanto alla mia. Felice, inizio a correre. Guardo indietro di tanto in tanto. Thomas fa scivolare a terra l'ultima scarpa e, una volta scalzo, inizia a rincorrermi.
Rido e cerco di procedere il più velocemente possibile.
«Sto per raggiungerti!» , mi urla lui.
Con la coda dell'occhio, lo vedo accelerare. Colta dall'ansia, cerco di accrescere lo spazio fra noi, ma mi affianca e mi circonda la vita con le braccia per sollevarmi da terra e arrestare la mia corsa. Faccio oscillare le gambe in aria.
«Mettimi giù!» , protesto.
Mi carica su una spalla per tornare verso i cappotti.
«Assolutamente no» , afferma. Gli colpisco la schiena con qualche pugno e lo sento ridere. «Sono più forte di te, arrenditi» , mi dice.
«Non è giusto» , sbuffo.
«Lo è. Quando imparerai a difenderti, nessuno potrà più arrestare le tue corse» , sentenzia, divertito.
«Insegnami a farlo.»
Si ferma sul posto. «Stai scherzando?»
«Mai stata così seria in vita mia» , rispondo.
«Non ci andrò piano con te perché sei una ragazza» , cerca di intimorirmi.
«La cosa non mi preoccupa. Dovresti aver paura tu, Thomas. Non ci andrò piano con te perché sei il mio capo.»
Ride e mi mette giù. «Sei un tipetto combattivo» , commenta.
Raggiungiamo i nostri indumenti e lascio a terra anche la cravatta. Il moro mi prende per mano e ci avviciniamo un po' più al mare. Mi porta le dita su entrambe le spalle e mi posiziona esattamente di fronte a lui. Indietreggia e stende le braccia in avanti.
«Prova a farmi cadere» , mi dice. Sembra un compito abbastanza semplice. Mi scaglio contro di lui e provo a portargli una mano sul torace per spingerlo al suolo. Mi blocca prima un polso e poi l'altro. Con un gesto repentino, mi fa voltare e mi schiaccia con la schiena contro il suo petto. Mi circonda le spalle con le sue braccia muscolose per tenermi ferma e poi china un po' in avanti il capo per avvicinare le sue labbra al mio orecchio. «Sei troppo impulsiva» , sussurra. Un brivido mi attraversa la spina dorsale. «Devi mirare al mio piede portante» , mi suggerisce. Mi lascia andare di scatto e mi sfugge un leggero grugnito di frustrazione. Stavo bene a contatto con lui. Mi porto i capelli dietro le orecchie e mi posiziono di nuovo di fronte a Thomas che tende le braccia in avanti, pronto a parare i miei colpi.
Con determinazione, mi avvento contro di lui. Mi blocca una mano, ma riesco comunque a mandarlo a terra colpendolo poco sopra il calcagno con un calcio. Mi lascia andare prima di precipitare al suolo. Vittoriosa, inizio a saltellare sul posto. Thomas mi strattona una caviglia per farmi cadere al suo fianco. Mi porta una mano dietro la schiena per attutire il colpo. Gli rivolgo un'occhiataccia e lui sorride. «Mai abbassare la guardia» , mi insegna.
Mi do lo slancio per rialzami e mi posiziono a cavalcioni su di lui. Gli premo un braccio contro la gola e lui mi guarda con soddisfazione. «Ho vinto io» , affermo.
Ghigna. «Sicura?»
Prima che possa rispondere, mi afferra per i fianchi e ribalta la situazione.
Ride, divertito dalla mia espressione sorpresa. Non ho intenzione di mollare. Sollevo di scatto il ginocchio e lo premo lentamente contro il cavallo dei suoi pantaloni per non fargli male.
«Considerando il fatto che, se avessi voluto, ti avrei fatto soffrire, sì, sono sicura di aver vinto e di avere la situazione in pugno.»
Si morde il labbro inferiore e solleva la testa verso l'alto per poi tornare a guardarmi. «Sei incredibile» , commenta.
«E' un'offesa o un complimento?» Continuo a non capirlo.
Circonda la parte posteriore del mio ginocchio con una mano. Riporta il mio arto a terra e poi inizia a far scivolare le sue dita affusolate lungo il retro della mia coscia fino ad arrivare alla base della mia schiena. Si sporge in avanti e gli stringo una mano intorno al braccio con cui si sta reggendo per non cadermi addosso.
«E' un complimento, ovviamente» , soffia a pochi centimetri dalle mie labbra.
I suoi capelli mi solleticano la fronte. Socchiudo gli occhi quando il suo naso sfiora il mio.
Prima che possa baciarmi, una sveglia impostata sul suo cellulare inizia a suonare. Si allontana di scatto dal mio viso e sbuffa sonoramente. Solleva il capo verso l'alto e stringe la sabbia in un pugno. Apro le palpebre e, preoccupata, gli accarezzo una gota. Abbassa lo sguardo. Ha gli occhi lucidi.
«Thomas, che cosa sta succedendo?» , mormoro. Non risponde. Si alza in piedi e raggiunge il suo cappotto per prendere il telefono. Mi metto seduta e resto in silenzio ad osservare la sua schiena. «Thomas» , sussurro.
Spegne la sveglia e si volta per osservarmi. «Succede che tutto questo è sbagliato, Evie.»
E' diventato improvvisamente serio. Mi alzo in piedi e lo raggiungo.
«Lo dici perché sei il mio capo? Siamo esseri umani, è normale quello che ci sta capitando» , difendo la situazione, delusa.
«Non è sbagliato perché sono il tuo datore di lavoro» , sussurra.
«E allora per cosa?» , chiedo. Si porta le mani sulla testa e chiude gli occhi. «E non colpevolizzarti così!» , gli grido, preoccupata. «Non hai commesso un crimine e non hai fatto del male a nessuno» , aggiungo.
«E se lo avessi fatto, Evie?» Solleva di scatto il capo e punta lo sguardo su di me. Sorpresa, schiudo le labbra. «Vorresti ancora baciarmi, in quel caso?»
Resto per un attimo in silenzio. «Che cosa hai fatto, Thomas?» , domando, spaventata.
Indossa il cappotto e mi dà le spalle. «E' stato uno sbaglio venire qui. Torniamo a casa» , afferma.
«Dimmi che cosa hai fatto!» , urlo.
Non risponde. Si incammina verso la macchina senza voltarsi. Scoppio in un pianto liberatorio. Mi mordo il labbro inferiore con forza per non farmi sentire da lui. Indosso le scarpe, prendo il mio cappotto e lo seguo a testa bassa. Mi asciugo gli occhi con la manica della maglietta prima di entrare in auto. Restiamo in silenzio per tutto il viaggio. Parcheggia la macchina davanti a casa mia. Sono, ormai, le nove e mezza di sera. «Ora, invece, puoi dirmi che cosa hai fatto?»
Scuote la testa senza proferire parola. Guarda in basso. Furiosa, esco fuori dalla vettura senza salutarlo. Sbatto con forza lo sportello alle mie spalle. Thomas riparte soltanto quando mi chiudo dietro il cancello del cortile. Inizio a salire le scale per tornare a casa. Al secondo piano, incontro Léon. Getta a terra la sua sigaretta e la calpesta con un piede per spegnerla.
«Ragazzina impulsiva, che gioia vederti! Il principe azzurro ti ha addirittura riaccompagnata?»
Sul punto di piangere, gli do le spalle e ricomincio a camminare. Non ho voglia di discutere anche con lui. Mi afferra, inaspettatamente, un polso e mi fermo con un piede su un gradino. «Sei scappata via senza darmi modo di spiegare. Thomas è troppo serio per una ragazza allegra come te. E' troppo riflessivo per una persona impulsiva come te. Troppo noioso per te che, con la tua goffaggine, risulti, è dura ammetterlo ad alta voce, divertente. Con tutto, Evie, intendevo questo. Tu sei speciale e lui, invece, banale. Potresti trovare di meglio.»
Scoppio a piangere. Mi giro di scatto e mi tuffo fra le sue braccia. Meravigliato, si irrigidisce. Dopo qualche istante, però, mi porta una mano sulla schiena e le dita libere fra i capelli che inizia ad accarezzarmi. «So che non ti dico mai cose carine, ma questa mi sembra una reazione esagerata, non credi?»
Gli pizzico un fianco e lui sussulta. Sollevo la testa per guardare il suo viso. «Puoi comportarti seriamente almeno questa volta?»
Tiro su con il naso e lui, confuso, mi osserva. Sorride e mi riavvicina al suo torace. «Va bene, ma non farci l'abitudine» , cede.
Non mi chiede nulla e, mentalmente, lo ringrazio. Si limita a lasciarmi sfogare in silenzio e penso che, in fin dei conti, non sia poi così antipatico come vuole far credere a tutti.
-
Salve!
Ho suddiviso questa storia in cinque parti in base a determinati eventi salienti e volevo informarvi che la prima parte si conclude con questo capitolo. Dal nono in poi, tutto cambierà.
Questa volta, non ho nuovi personaggi da presentarvi.
Ci tengo a ringraziare tutti coloro che stanno continuando a leggere/votare/commentare i capitoli.
Alla prossima!
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