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6 - Le statue di cera non parlano

Stanca, chiudo per un istante gli occhi e mi passo una mano sul viso. La matita con cui ho raccolto i capelli in una crocchia sta scivolando via.

«Ti stai impegnando molto.» Sollevo appena il capo e cerco di assumere un'espressione rilassata. Thomas, in piedi a braccia conserte accanto ad uno scaffale, mi osserva e, soddisfatto, sorride. Annuisco e porto nuovamente lo sguardo sul mio foglio. «Puoi anche prenderti una pausa e terminare domani l'inventario del negozio.»

Corrugo la fronte. «Inventario?» , domando. Lascio la penna accanto alla cassa e, per un attimo, mi fermo a riflettere. Mi do un colpetto sulla fronte e poi punto gli occhi sul mio capo. «Non sto facendo l'inventario, ma la formazione della partita di oggi. Adam ha bisogno di una squadra per il torneo di pallavolo che hanno organizzato i professori della scuola.»

Il castano arriccia il naso. «Per quale motivo non ti ho ancora licenziata?»
Mi limito a rispondergli con una scrollata di spalle. Mi volto temporaneamente verso la vetrina e noto, grazie alla trasparenza del vetro, perfettamente lucidato, Faith scendere da un'auto. Alla guida c'è il ragazzo biondo che ho visto l'altra volta con Adam. La mora si stira il cappotto rosso con una mano e poi si dirige verso l'ingresso dell'enoteca. Entra, saluta me e Thomas e si scusa per il ritardo. «Non preoccuparti, Faith. Diversamente da Evie, tu mi dai molte soddisfazioni in ambito lavorativo.»

Il castano mi rivolge un'occhiataccia. Ignoro la sua frecciatina e mi decido a fare una domanda decisamente invadente alla mia collega. Domanda che avrei dovuto porgerle prima. «Ti ha accompagnata il tuo fidanzato, vero?»

Sorrido in modo malizioso e lei aggrotta le sopracciglia.
Dopo poco, però, sembra rilassarsi nuovamente.

«Non stiamo insieme, Evie. Sono single» , mi informa mentre si sfila la giacca.

Mi si accende una lampadina in testa. «Ti piace la pallavolo, Faith? Dovresti venire a vederci giocare, qualche volta. Io e un mio amico abbiamo una squadra. Partecipiamo al torneo della scuola perché sì, lui è un professore. Ed è anche un gran bell'amico. Esteticamente parlando. E' davvero molto carino. Potrei fartelo conoscere, magari, e» , inizio a straparlare.

«Comincia a fare l'inventario o ti licenzio» , sibila Thomas a denti stretti, infastidito dalle mie chiacchiere, interrompendomi. Ci dà le spalle e si dirige verso il suo ufficio.

«Antipatico» , sussurro.

•••

E' ormai pomeriggio inoltrato. Un'intera parte dell'edificio scolastico in cui lavora Adam è stata adibita a palestra e, per questo motivo, diversamente da quella della maggior parte degli istituti della città, è decisamente immensa. Vi si accede passando dal cortile interno. Il parquet chiaro è stato perfettamente lucidato e le pareti celesti le danno colore. La luce che filtra dai grandi finestroni che si trovano in alto illumina il campo da pallavolo, affiancato, nel lato sinistro, dagli spalti e, in quello opposto, da due porte metalliche che conducono ad un corridoio che permette di accedere agli spogliatoi che Adam mi ha descritto, ma che non ho ancora visitato.

«Per quale motivo devi sempre invitarlo?»

Rivolgo, seccata, un'occhiata a Léon e il mio amico professore fa lo stesso.

«Non conosco molta gente, Evie, te l'ho già detto.»

Lo sbruffone dagli occhi verdi, divertito, ammicca nella mia direzione. Roteo gli occhi. Accanto a lui c'è Corey, intento ad allacciarsi le scarpette da ginnastica. Chris è seduto sugli spalti, un po' più in alto rispetto ai due. E' solo e guarda il vuoto. Oggi mi sembra più strano del solito.

«Non potevi inserire un tuo collega in squadra al suo posto?» , chiedo, tornando a concentrarmi su Adam.

«Ogni professore ha una sua squadra» , mi spiega.

Sbuffo. «Siamo cinque. Non ci serve un sesto membro?»

Il ragazzo dai capelli corvini si gratta il mento con fare pensieroso. «Chiederò a Susan la bidella di giocare con noi.»
Mi lascia indietro per dirigersi verso gli altri. Spalanco leggermente la bocca. Non poteva chiamarla prima e lasciare a casa Léon? Gli avrei trovato io un altro giocatore. Scuoto il capo, sconsolata, e raggiungo il resto del gruppo. «Vieni giù, Chris!» , gli urla il cugino.

Il poliziotto, afflitto, a testa bassa, annuisce e ci raggiunge. Mi affianca e io gli porto una mano sul braccio.

«Stai bene?»

Forza un sorriso e fa cenno di 'sì' con la testa. Forse ha semplicemente litigato con Selene.

«Léon e Corey, voi due giocherete contro di noi.» Adam incrocia le braccia al petto. «Ci alleneremo duramente e distruggeremo Patel» , aggiunge.

Patel? «Patel?» , domando, dando voce ai miei pensieri.

Il moro mi rivolge un'occhiata. «Alwyn Patel, il professore di informatica del corso C. Il presuntuosissimo professore di informatica del corso C» , precisa, con una punta di irritazione nel tono di voce.

Mi limito ad annuire ed evito di chiedere altro. Ci schieriamo sul campo e l'ansia inizia ad assalirmi. Non sono mai stata brava a giocare a pallavolo. Lo sport non è esattamente il mio forte. A pensarci bene, nulla è esattamente il mio forte.

«Non agitarti, amore, ci andrò piano con te.»

Corey ghigna. Certe volte ho l'impressione che riesca a leggermi nella mente.

«Io, invece, no.» Léon mi rivolge un'occhiata glaciale.

Intimorita, indietreggio e lascio i miei due compagni di squadra davanti da soli. Il rosso batte per primo. Adam colpisce la palla e la rimanda nel loro campo. Léon salta e schiaccia. Chris allunga un braccio, ma non raggiunge il pallone. Provo a fare due passi verso la palla per non rendere palese la mia incapacità, ma tocca terra e Adam mi rivolge un'occhiataccia. Sorrido in modo innocente e mi scuso. Chris è fermo sul posto. Non degna nessuno di uno sguardo. Sembra perso nei suoi pensieri.
Passa qualche minuto e la squadra avversaria continua a fare punti. Adam è l'unico in grado di colpire il pallone fra noi. E' visibilmente seccato. Mi guardo per un attimo le scarpette e noto che sono slacciate. Dovrei allacciarle. Non voglio cadere e farmi male. In realtà, però, non rischio di cadere. Non mi sto mica muovendo. Sorrido, rassicurata, e sollevo il capo. La palla mi colpisce con violenza in pieno viso. Inizio a barcollare e a indietreggiare. Mi porto una mano sul naso e poi mi accascio a terra. La vista è leggermente appannata. Chiudo gli occhi e mi stendo supina.

•••

«Evie?»

Schiudo lentamente le palpebre. Chris mi sta schioccando due dita davanti al volto. Guardo in alto e mi accorgo di avere la testa sulle gambe di Adam.

«Ti senti meglio, amore?»

Corey, con fare apprensivo, mi porta una mano sulla spalla. Mi aiuta a mettermi seduta e poi si posiziona un gradino sopra di me sugli spalti.

«Che cosa è successo?» , chiedo.

«Léon ti ha colpita» , mi spiega Adam.

Rivolgo al castano, in piedi davanti a me, un'occhiataccia. Lui, in risposta, ghigna. Non sembra minimamente turbato dall'accaduto e la cosa me lo fa trovare più insopportabile, se possibile, del solito.

«Non ti scusi nemmeno?» , domando, inviperita.

Si passa una mano fra i capelli, rigorosamente tirati indietro e tenuti fermi da un po' di gel. «Dovrei?»

Serro i pugni e, per paura di una mia reazione, Chris mi afferra per le spalle, intenzionato a tenermi ferma sul posto.

«Léon» , pronuncia, quasi come se fosse un ammonimento, il suo nome Corey.

Lo spaccone sbuffa. «Scusa, ragazzina, se, nel bel mezzo di una partita di pallavolo, ho intenzionalmente mandato la palla nel campo avversario e, per caso, anche nella tua direzione. Credevo che almeno una volta, per sbaglio, riuscissi a colpirla.»

Sento le guance infuocarsi. Mi alzo di scatto, ma il mio amico poliziotto mi riporta sullo scalino di cemento.

«Gli allenamenti, per oggi, finiscono qui» , si affretta a dire Adam.

•••

Chris continua a guardare l'assurdo programma giapponese che stanno dando in tv e io non allontano nemmeno per un istante la bistecca dal mio occhio nero. Prenderò a calci Léon, uno di questi giorni.
Bussano alla porta. Adam, seduto a tavola, intento a mangiare dei bastoncini di pollo, ci rivolge un'occhiata. Nota che non ci muoviamo minimamente e, sbuffando, si alza e va ad aprire. Ruoto appena il capo e spalanco la bocca, sorpresa, quando noto Thomas. Il moro lo invita ad entrare.

«Hai dimenticato la tua sciarpa in ufficio, Evie, e ho pensato di riportartela.» Mi squadra e fa una faccia schifata. Allontano la fetta di carne dal volto e, in attesa del suo commento, seccata, inclino la testa da un lato. «Che hai fatto all'occhio?»

Sembro un panda, lo so. O Selene con il trucco sciolto.
Evie, non essere cattiva. E invece sì. Non la sopporto. Mi tratta sempre male.

«Non so giocare a pallavolo» , mi limito a dire.

Chris non degna l'amico di uno sguardo.

«E lui, invece, che ha?» , continua a chiedere il mio capo, portando lo sguardo sul poliziotto al mio fianco.

Scrollo le spalle. «Sembra perso nei suoi pensieri da oggi pomeriggio» , mi limito a rispondere.

Thomas annuisce, confuso, senza dire altro. Lascia la sciarpa sul divano, ci saluta e va via.

•••

Chris oggi non si è presentato agli allenamenti. Il mio occhio è ancora nero, ma credo sia normale.
E' il quattordicesimo giorno di Novembre e sono passate meno di ventiquattro ore dall'impatto con la palla.
Adam sta scegliendo un pallone per giocare e Corey, invece, si sta ancora cambiando negli spogliatoi. Léon è seduto accanto a me e si sta avvolgendo una fascia bianca intorno al palmo della mano. Non dico una parola e lui fa lo stesso. Mi limito ad osservarlo. Improvvisamente, la porta della palestra si spalanca. Infastidita dalla luce, mi copro gli occhi. Quando sento il portellone metallico richiudersi, mi volto per osservare chi è appena entrato.

«Non è possibile» , sussurro, sorpresa.

Thomas cammina verso di noi con un borsone blu su una spalla. Ha una mano nella tasca del giubbotto nero e sorride in modo smagliante. Indossa dei calzoncini bianchi che gli lasciano scoperti i polpacci muscolosi e una maglietta aderente del medesimo colore.

«Chris mi ha chiesto di sostituirlo» , afferma ad alta voce per far voltare Adam. «So giocare, non preoccuparti» , aggiunge.

Si volta a guardarmi e, notando il mio stupore, accenna un sorriso.
Serro le labbra e non dico nulla. Non sapevo fosse in grado di giocare. A pensarci bene, non so molto di lui. E nemmeno degli altri. Eccetto di Chris, ma lui lo conosco da anni. Mi sento invadere dalla tristezza. Passo le mie giornate con questi ragazzi e non li conosco a sufficienza. Mi volto verso Léon e deglutisco. Se voglio fare amicizia con tutti, devo fare uno sforzo. Devo perché Léon è compreso nei 'tutti'.

«Quanti anni hai?»

Il castano, sorpreso e leggermente seccato, solleva il capo per rivolgermi un'occhiata. Conosco l'età degli altri, ma non la sua.

«Qualche mese in meno di Christopher.»
Mi limito ad annuire. Quindi, è più piccolo del mio amico di poco. Resto in silenzio per un po' e poi un dubbio mi assale. Come fa a sapere quando è nato Chris? Confusa, glielo chiedo. «Ho personalmente consegnato in segreteria il modulo d'iscrizione della nostra squadra e mi è caduto l'occhio sul suo fascicolo. Era in cima alla lista.»

Non dico più nulla per un po', ma poi torno all'attacco con le domande. «Hai un colore preferito?»

Si passa una mano sul viso. «Mi piace il verde.»

«Cibo preferito?»

Sorride. «Che problema hai oggi, ragazzina?»

Sbuffo. E' sempre così insopportabile. «Mi andava soltanto di conoscerti meglio.»

Ride. «Non potevi studiarti, come fa la maggior parte delle ragazze, approfonditamente i miei profili social e basta? Dovrai pur averlo già fatto, almeno una volta nella tua vita, dopo esserti presa una cotta per qualche povero malcapitato.»

Ritorna ad avvolgersi la fascia intorno alla mano. Ci metto un po' a realizzare ciò che ha appena detto. Quando lo capisco, però, furiosa, scatto in piedi.

«Ti detesto!» , gli grido contro, facendo voltare Adam.

Gli do le spalle e mi allontano da lui. Lo sento ridere e la cosa mi fa arrabbiare ulteriormente. Thomas è sparito. Probabilmente, ha raggiunto gli spogliatoi mentre parlavo con Léon. Corey, intanto, è tornato e, adesso, confuso, mi sta guardando.
Prendo dei respiri profondi per calmarmi. La porta della palestra si spalanca nuovamente e, sebbene avvolta dalla luce, riesco comunque a distinguere la figura di Faith. Meravigliata, sbarro le palpebre. Mi ricompongo e poi corro verso di lei. Le getto le braccia al collo in un moto di felicità e lei, divertita, ride e mi stringe a sé.

«Sono venuta a conoscere il tuo amico» , mi informa.

Sorride in modo malizioso. Gli occhi, in questo momento, mi stanno sicuramente brillando.

«E' lui!» , urlo, voltandomi per indicare Adam che ha la bocca spalancata e sembra paralizzato sul posto.

«E' il ragazzo che ha speso circa duecento sterline in bottiglie di vino» , constata, grattandosi una tempia con fare pensieroso.

«Sì, quello astemio» , l'assecondo io.

Mi rendo conto di ciò che ho appena detto, serro le labbra e deglutisco. Non sto facendo fare una bella figura ad Adam. Inizio a strisciare, lentamente, all'indietro. Mi scontro con qualcuno e mi volto.

«Che stai facendo?»

Thomas, perplesso, mi squadra da capo a piedi. La maglietta bianca a maniche corte gli mette in risalto le spalle e il torace largo. Il pensiero mi distrae e non riesco a formulare una risposta di senso compiuto. Boccheggio e poi, sconsolata, mi dirigo verso il centro del campo. Ho trovato particolarmente attraente il mio capo, fantastico. Non è certo la prima volta che lo faccio, insomma. Non mi era indifferente nemmeno ai tempi del liceo, ma, adesso, la situazione è diversa. E' il mio datore di lavoro. Non devo trovarlo carino.
Faith va a sedersi sugli spalti e Adam prende il comando della situazione. Compone le squadre e ci invita a raggiungere i nostri posti. Squadre identiche a quelle di ieri, per la precisione, con Thomas al posto di Christopher. Batte prima Léon, ma Thomas colpisce la palla e la rimanda nel campo avversario. Riesce a fare punto e io, come Adam, esulto. Corey sembra distratto e meno allegro del solito. Anzi, mi sembra, se possibile, addirittura triste e non ne capisco il motivo, ma, per qualche ragione, questa cosa mi fa preoccupare. Adam manda più volte il pallone vicino al rosso che non riesce mai a prenderlo. Léon, come sempre, è agguerrito. Corey si passa una mano sul volto e abbandona per un attimo il campo dopo essersi scusato con il compagno di squadra. Lo guardo andare via. Raggiunge il corridoio che conduce agli spogliatoi e si richiude la porta alle spalle senza accompagnarla. Sospiro e cerco di non pensarci. Tornerà. Sta bene.
Continuiamo a giocare per un po'. I pantaloncini neri che ho indossato oggi mi stanno bloccando la circolazione sanguigna. Mi vanno un po' troppo stretti.

«Evie, la palla!»

Riconosco la voce di Thomas. Allungo una gamba in avanti e, con grande sorpresa di tutti, riesco a prendere il pallone con un bagher.
Vorrei esultare, ma arrossisco e spalanco le palpebre. Ruoto appena il capo e mi guardo il fondoschiena. Non avevo sentito male. Era uno strappo. E, per essere fiscale, aggiungerei che non era il rumore di uno strappo qualsiasi, ma quello dei miei pantaloncini.

«Devo lasciare il campo.»

Adam, ormai in squadra con Léon, e Thomas si voltano verso di me. Fanno per ribattere, ma mi porto entrambe le mani sul buco dei calzoncini e corro via senza dare spiegazioni a nessuno.
Percorro con rapidità il corridoio e individuo subito la porta dello spogliatoio della ragazze. Si trova esattamente di fronte a quello dei maschi.

«Sì, mamma, sto bene. Salutami i gemelli e non preoccuparti per me.»
Riconosco la voce di Corey. Proviene da una nicchia situata fra l'uscita secondaria della palestra e il punto in cui mi trovo adesso. Allungo una mano verso la maniglia. Non dovrei origliare. «Ti voglio bene anche io e non piangere, non ne hai motivo.» L'idea che la madre del rosso stia piangendo mi rattrista. «Lo so, manca anche a me.» Di chi sta parlando? «Adesso devo andare, i miei amici mi stanno chiamando. Cercherò di venirvi a trovare presto.»

Corey smette di parlare. Cade il silenzio. Allontano le dita dalla maniglia e lascio che la mano mi scivoli lungo un fianco. Cammino lentamente verso la nicchia e poi lo vedo. Corey ha un braccio schiacciato contro il muro e la testa premuta contro di esso. Con una mano spinge in avanti la parete, quasi in un moto d'ira. Preoccupata, mi avvicino a lui e gli accarezzo la schiena con le dita. Spaventato, si volta di scatto. Ha gli occhi lucidi e arrossati. Mi rendo conto dei miei pantaloni strappati, avvampo e mi affretto a coprirmi. Lui si nasconde di nuovo le palpebre con l'arto. «Che cosa ci fai tu qui?»
Si morde con forza il labbro inferiore.

«Perché stai piangendo?»

«Non sto piangendo!» Alza eccessivamente il tono di voce. Mormoro il suo nome. «Non sto piangendo, sono una persona forte e le persone forti non piangono.»

Stringo le dita intorno al suo polso e gli allontano il braccio dagli occhi. Cerca di ricoprirsi subito, ma lo tengo fermo. Lascio per un attimo la presa e gli porto entrambe le mani sulle guance. Sembra sorpreso. Si tranquillizza per un istante.

«Tutti piangono, Corey. Tu non sei un debole.»

Abbassa lo sguardo. «Io non posso piangere, Evie.» Il fatto che mi abbia chiamata per la prima volta con il mio nome mi fa capire quanto la situazione sia effettivamente grave. «Devo fare forza agli altri, non posso cedere.»

«Parlavi di tuo padre, vero?»

Solleva di scatto la testa. Sorpreso, non annulla per un attimo il nostro contatto visivo. Mi porta entrambe le mani sulle spalle con un gesto repentino e si allontana dal muro. Resta in silenzio per un po' e poi una lacrima gli riga una guancia. Mi getta fra le sue braccia e inizia a stringermi con forza. Mi aggrappo al suo torace e affondo le dita nella sua schiena per via dell'energica presa. Soffoca le lacrime contro la mia spalla e io inizio ad accarezzargli i capelli.

«Sei sicuro, Adam? Abbiamo finito per oggi?»

Mi allontano per un attimo da Corey e ruoto il corpo verso il corridoio. Punto di nuovo gli occhi su di lui che abbassa lo sguardo e nota la pietosa situazione dei miei calzoncini. Avvampa e si toglie subito la felpa grigia. Me l'avvolge intorno alla vita e poi mi afferra una mano e, correndo, mi trascina verso l'uscita secondaria della palestra. Ci ritroviamo in un parcheggio deserto. Corey si accascia contro la parete dell'edificio. Si lascia scivolare fino a ritrovarsi seduto e io insieme a lui.

«Oggi sarebbe stato il compleanno di mio padre.» Guarda il vuoto e io, invece, lui. «E' un giorno che passo sempre insieme alla mia famiglia. Mia madre, quest'anno, però, mi ha impedito di tornare a casa. I gemelli hanno il morbillo e hanno contagiato gli altri miei fratelli. Ha paura che possa ammalarmi anche io.»

Stringo con più forza la sua mano, che è ancora congiunta alla mia, e lui si volta a guardarmi.

«E' normale essere tristi e capisco tua madre.»

«Promettimi che non dirai a nessuno che posso essere vulnerabile anche io.»

«Tranquillo, non dirò a nessuno che ti ho visto piangere.»

Strizza gli occhi. «Non mi piace quel termine.»

Mi fermo un po' a pensare.

«Lacrimare?» , propongo. Scuote la testa. «Sudare dagli occhi?» Sorride e fa cenno di 'sì' con la testa. «Mi sembra una scusa assurda» , commento.

«Non fa niente, tanto non dovrai raccontare questa cosa a nessuno» , mi ricorda. Sorrido anche io. In fin dei conti, ha ragione. Sospira. «E tu, invece? Che hai fatto ai pantaloni?»

«Ho preso la mia prima palla» , lo informo con soddisfazione.

Scoppia a ridere e lo colpisco con una gomitata. Continua a ridere di gusto e gli do dei colpetti sul braccio.

«Ho dei pantaloncini di ricambio nello spogliatoio. Va bene se ti presto quelli?»

Estasiata, schiudo le labbra e inizio ad annuire. Ha appena trovato una soluzione ai miei problemi. Come al solito.

•••

Lo spogliatoio maschile è praticamente deserto. E' una stanza rettangolare con delle panche rosse di metallo addossate alle pareti. Una porta conduce alle docce e l'altra, invece, lo collega al corridoio. I muri sono gialli e il pavimento è ricoperto da piastrelle grigie.
Corey richiude la cerniera del suo borsone bordeaux e mi lancia un paio di calzoncini neri.

«Ti aspetto in corridoio.»

Annuisco e lui va via. Si chiude la porta alle spalle e io mi sfilo i pantaloncini bucati. Controllo l'entità del danno e constato che sono da buttare. Li accarezzo e li getto su una delle tante panche.

«Evie?»

Mi pietrifico sul posto e poi, lentamente, mi volto. Thomas, sorpreso, mi osserva. Ha un piccolo asciugamano bianco avvolto intorno alla vita e il torace scoperto. I capelli sono, per la prima volta, abbassati e schiacciati un po' contro la fronte. Alcune gocce d'acqua partono dalla sottile scia di peli che ha fra i pettorali, che si interrompe per ricomparire soltanto sotto l'ombelico, e gli scivolano lungo il torace fino a raggiungere l'evidente e poco coperta arcata epigastrica. Arrossisco vistosamente e sollevo lo sguardo. Ha le labbra leggermente schiuse. E' imbarazzato perché lo sto guardando o perché sono in mutande? Un momento, non ho i pantaloni! Grido e lui chiude gli occhi e si tappa un orecchio con una mano. Con l'altra, invece, continua a mantenersi l'asciugamano.
La porta dello spogliatoio si spalanca ed entra Corey.

«Che cosa sta succedendo?» Mi rivolge un'occhiata e, imbarazzato, assume il colore dei suoi capelli. Si toglie nuovamente la felpa e me la lancia per permettermi di coprirmi. «Torna nella doccia, Thomas» , ammonisce il castano.

Il mio capo, sconvolto, si indica il viso con un dito. «Io? Lei si trova nel posto sbagliato» , gli fa notare.

«Torna nella doccia» , sibila Corey a denti stretti. «E non guardarla» , aggiunge.

«Me la sono trovata davanti e poi è caduto l'occhio anche a te, rosso.»

«Sono in mutande, andate via entrambi!» , urlo, esasperata.

«La ragazzina è in biancheria intima?»

Riconosco la voce di Léon. La porta dello spogliatoio si apre appena, ma Corey si getta contro di essa per richiuderla. Segue un'imprecazione di Léon e un mio sospiro di sollievo.

«Che hai fatto al polso, Léon?» E' Adam a parlare.

«Quel deficiente di Corey mi ha spinto via.» Léon grida. «Non toccarmi, fa male!»

La partita contro Patel si disputerà domani e sì, a quanto pare siamo rovinati.

•••

«Non mi piacciono i musei, Faith.»

La mora sbuffa. Continuiamo a camminare per un lungo corridoio illuminato. Le pareti sono bianche e il pavimento piastrellato anche. Spezziamo il silenzio che regna intorno a noi con le nostre voci.

«Non è un museo qualsiasi, Evie. C'è una mostra particolare, oggi.»

Improvvisamente, sorride. Serra le sue dita intorno al mio polso e mi trascina al suo fianco. Guardo in basso e noto un piedistallo grigio. Sollevo il capo e osservo la statua dai polpacci alla nuca. E' colorata. Sembra una persona.

«Le statue non dovrebbero essere grigie?»

Faith si porta una mano sulla fronte e scuote la testa. «Non quelle del Madame Tussauds.» Annuisco con poca convinzione. «E poi, non è ancora una statua. Stanno soltanto prendendo le sue misure.»

Confusa, aggrotto le sopracciglia. Mi trascina vicino al misterioso individuo. Mi spinge praticamente davanti a lui, cogliendomi alla sprovvista. Sollevo di scatto la testa e mi ritrovo faccia a faccia con Thomas. Ammicca e sorride in modo malizioso. Non ha i vestiti, ma soltanto uno striminzito asciugamano bianco legato in vita.

«Lo so che mi trovi bellissimo, Evie.»

Faith, intanto, è sparita. Indietreggio e mi ritrovo con le spalle al muro. Scuoto il capo energicamente.

«No, non è vero!»

«Mi stai immaginando come una statua.»

«Non è vero!»

«Sì che è vero. Questo è il tuo sogno.» Inizio a prendermi a schiaffi nella speranza di svegliarmi. Si porta una mano sul nodo che gli tiene stretto al corpo il niveo tessuto dalle dimensioni ridotte. «Voglio farti un regalo. Ti mostrerò qualcosa che, da sveglia, potresti non vedere mai.»

Deglutisco e mi porto le dita davanti agli occhi. «Tienitelo! Tienitelo!»

«Tienitelo!»

Apro di scatto le palpebre e mi risveglio con la fronte imperlata di sudore.

«Che cosa?»

«L'asciugamano» , affermo con sicurezza. Un momento. Con chi sto parlando? Mi volto verso la luce alla mia sinistra. C'è Chris con il frigorifero aperto e un bicchiere d'acqua in mano. Corruga la fronte e mi guarda come se fossi pazza. Probabilmente, lo sono. Mi ricompongo e mi metto seduta. Adam, fortunatamente, non si è svegliato. «Che ore sono?» , domando.

Si gratta la nuca. «Circa le tre di notte.»

Sospiro. «Perché non stai dormendo?»

«Potrei farti la stessa domanda» , mi risponde.

Chiude il frigorifero e viene a sedersi ai piedi del divano letto. Beve e lascia il bicchiere a terra.

«Ho fatto un incubo» , spiego. Se incubo può essere definito.

«Ti va di raccontarmelo?» Mi imbarazza il solo pensiero.

«Solo se mi dici che cosa ti sta succedendo in questi giorni.»

Deglutisce e si passa una mano fra i capelli. «Sto benissimo.»

Inclino il capo da un lato. «Ci conosciamo da tanto, Chris. So che qualcosa non va.» Sospira.

«Andate a dormire!» Ci voltiamo entrambi verso la porta della camera di Adam.

Chris fa per alzarsi, ma gli afferro un polso. Rotea gli occhi.

«Vieni nella mia stanza» , sussurra. Annuisco e mi alzo. Lo seguo nella sua camera e mi lascio cadere sul letto di fronte al suo. Il poliziotto si chiude la porta alle spalle e poi si siede sul suo materasso. Si tortura le mani e ha lo sguardo puntato sul pavimento. «Non mi è mai piaciuta la pallavolo» , dice a bassa voce. «Ma mio padre voleva a tutti i costi che ci giocassi. Ha anche provato ad allenarmi, ma senza ottenere alcun risultato. Non ero bravo e non lo sono nemmeno adesso. Volevo soltanto che fosse orgoglioso di me, ma lo deludevo. Smise di venire alle mie partite. Il ricordo mi fa stare male.» Resto in silenzio. «Vorrei che fosse fiero di me. Non lo è mai. Non lo è nemmeno del fatto che io sia diventato un poliziotto.»

«Chris...»

«E non c'è mai a casa, Evie. Non c'è mai stato. Volevo soltanto che mio padre mi amasse e si prendesse cura di me. Desideravo troppo, Evie?»

Pronuncia nuovamente il mio nome, alzando il tono di voce. Gli sfugge un singhiozzo. Si porta le dita fra i capelli e schiaccia la testa contro i palmi delle mani. D'istinto, mi alzo e vado a sedermi accanto a lui.

«Io sono fiera di te, Chris, e di ciò che sei diventato. Dovresti esserlo anche tu, a prescindere da tuo padre. Non so per quale motivo si comporti così, ma posso affermare con certezza che è lui a sbagliare, non il contrario. Hai un animo nobile e sei una persona forte e coraggiosa. La pallavolo non conta.»

Improvvisamente, mi abbraccia. Lo stringo a mia volta. Lo stringo con la consapevolezza che, a modo nostro, come abbiamo sempre fatto in passato, non smetteremo mai di proteggerci a vicenda. Restiamo così per un po'. Restiamo in silenzio. E' lui il primo a parlare.

«E tu, invece, che hai sognato?»

Si allontana un po' da me e mi osserva. Ha ancora le mani strette intorno ai miei polsi. Deglutisco.

«Le statue di cera del Madame Tussauds.» Aggrotta le sopracciglia. «Ognuno ha le sue fobie, non giudicarmi.» Ride.

•••

«Susan la bidella non vuole giocare con noi. Ha visto i nostri allenamenti e ha detto che facciamo schifo.»
Adam continua ad inspirare ed espirare, deciso più che mai a tranquillizzarsi. Con scarsi risultati, ovviamente. Sbircio la situazione dalla porta che collega il corridoio e la palestra. Gli spalti sono pieni di gente. C'è anche Faith. Questa, probabilmente, è la cosa che fa agitare di più il mio amico. O il fatto che la partita sia contro Patel, il suo acerrimo rivale. «Che fine ha fatto Corey?» , squittisce.

No, non si è decisamente tranquillizzato. Léon non può giocare. Ha un polso rotto.

«Sta arrivando, rilassati» , tenta di rassicurarlo Christopher.

Ha deciso di giocare nonostante non sia molto abile in questo sport e la cosa mi rende felice.

«Chris ha ragione, è andato a prendere una boccata d'aria.»

A parlare è stato Thomas. Dopo il sogno di ieri, non riesco nemmeno a guardarlo in faccia senza arrossire. Ormai lo immagino come una folle statua di cera con l'impellente desiderio di denudarsi. La porta sul fondo del corridoio si spalanca. Corey si incammina verso di noi, ma non è solo. Dietro di lui c'è un uomo. Un uomo, a dirla tutta, abbastanza affascinante. Segue il rosso a testa alta. I suoi scarponi scuri fanno rumore. Indossa dei pantaloni neri e aderenti e una camicia del medesimo colore, sbottonata fino al centro del torace, ha una cintura borchiata in vita e dei grandi anelli alle dita che tintinnano ogni volta che si sfrega le mani. Ci raggiunge e si inchina. Sembra abbastanza eccentrico. Senza preavviso, mi afferra una mano e mi sfiora il dorso delle dita con le labbra.

«Laszlo è al vostro servizio.»

Arrossisco, imbarazzata. Sorride mettendo in mostra una fila di denti perfettamente dritti e bianchi. Ci squadra tutti con i suoi occhi chiarissimi. I capelli sono scuri come i suoi vestiti, lisci e leggermente spettinati. La barba incolta gli conferisce un aspetto trasandato, ma ugualmente seducente. Ha un piccolo pendente scuro ad un solo lobo. Sembra, oserei dire, quasi un pirata.

«Lui chi è?» Thomas, curioso, osserva il nuovo arrivato.

«Un abilissimo giocatore di pallavolo. Sostituirà Léon.»

Adam congiunge le mani all'altezza delle labbra e inizia a sorridere con gli occhi che quasi gli brillano per l'emozione.

«Hai visto? Finché c'è vita, c'è speranza» , afferma Chris, dando una pacca sulla spalla al cugino.

«Vuoi soltanto farmi giocare? Mi avevi promesso che avremmo dato fuoco a qualcosa.»

Sbarro le palpebre, sconvolta, e, come me, anche gli altri, eccetto Corey. Mi sembrava fin troppo normale per essere suo amico. Il rosso, imbarazzato, si gratta la nuca.

«E' anche un piromane. E' soprattutto un piromane.» Credo, dal suo sguardo, che Chris stia trattenendo a stento la voglia di ammanettarlo per precauzione. «Ma no, Laszlo, non daremo fuoco a niente.»

L'uomo sbuffa. Chris gli rivolge un'occhiataccia e, subito dopo, si dirige verso il campo con gli altri al seguito.

«Sbrigati, Evie!» , mi chiama.

«Evie?»

Mi volto verso Laszlo che, stranamente, sorride e mi osserva. «Sì, Evie, Evie Gray.»

Scorgo uno strano luccichio nei suoi occhi. «Come mai conosci il mio amico?»

Guardo Corey che si sta sistemando accanto a Thomas sul campo. Si volta verso di noi, dopo essersi guardato un po' intorno, e mi sorride.

«Siamo vicini di casa» , mi affretto a rispondere, sorridendo al rosso di rimando.

Il piromane ridacchia. Confusa, aggrotto le sopracciglia.

«Se il passato e il presente si sono intrecciati, probabilmente, ci rincontreremo anche in futuro.»

«Come, scusa?»

Inizia a dirigersi verso il resto della squadra e lo seguo, in attesa di una spiegazione.

«Il fatto che tu, adesso, non mi capisca, non implica necessariamente che ciò che ho detto non abbia senso.»

Spiazzata, resto ferma sul posto. Adam mi invita a ricompormi perché la partita sta per incominciare.

•••

La partita è finita e sì, Laszlo è davvero un campione. Ha fatto la maggior parte dei punti insieme a Thomas, Adam e Corey. Io e Chris ci siamo limitati a fare numero. Abbiamo, però, perso. Ma di un solo punto. Ci rifaremo sicuramente.
Adam si morde la maglietta e lascia scoperti gli addominali. Una signora, seduta nella parte alta degli spalti, inizia a sventolarsi una rivista davanti al viso mentre l'osserva. Schifata, arriccio il naso.

«Diamo fuoco alla palestra?»

«Se continua così, lo arresto» , ci informa Chris.

«Laszlo, smettila» , lo ammonisce Corey.

«Diamo fuoco a Patel?»

«L'idea mi alletta.» Colpisco la nuca di Adam con uno schiaffetto. «Nemmeno alla sua macchina?» , propone, noncurante del colpo appena ricevuto.

«Adam!» , lo ammonisce il poliziotto. «Non brucerete niente e nessuno» , aggiunge.

Laszlo sbuffa. Corey gli dà una pacca sulla spalla e lo trascina verso gli spogliatoi. Guardo il piromane andare via, turbata dal fatto che non mi abbia dato una spiegazione riguardo alla sua affermazione. Chris e Thomas li seguono. La palestra inizia a svuotarsi.

«Complimenti, ragazzina, hai giocato peggio del solito.»

Non ho bisogno di voltarmi per associare la voce ad un viso. Il sangue inizia a ribollirmi nelle vene.

«Fai silenzio, Léon, o ti rompo anche l'altro polso» , lo minaccio, girandomi per guardarlo.

Scende i gradini e raggiunge me e Adam. Ha il braccio sinistro fasciato. «Credevo volessi fare amicizia» , afferma, fingendosi offeso.

Si porta alcune dita sulle labbra che schiude leggermente per simulare stupore. Cerco di contenere a fatica la mia ira.

«Ragazzi!» Guardiamo tutti verso l'alto. Anche Faith ci sta raggiungendo. Sorpassa Léon e mi affianca. Tende una mano verso Adam e lui, sorpreso, la stringe e sorride. «Comunque, l'altra volta non ci siamo presentati. Io sono Faith.»

«Adam» , dice lui al settimo cielo.

«A prescindere dal risultato, è stata davvero una bella partita. Volevo farti i miei complimenti.»

Sta accadendo realmente? Certo, Evie. Nessuno è sfortunato come te in amore. Tutti si fidanzano e tu, invece, sogni statue di cera. Complimenti. Stai proprio conducendo in modo impeccabile la tua vita.
Mi viene comunque da sorridere. Sono felice per il mio amico. Sono felice per lui, ma poi guardo Léon e mi compare automaticamente sul volto un'espressione schifata.

«Ti piace la pallavolo?» Adam sembra aver preso coraggio.

«Abbastanza, perché?» , domanda lei.

«Perdiamo spesso giocatori e quelli che abbiamo non sanno nemmeno colpire la palla.» Non risponderò a questa frecciatina per non rovinare il suo momento di gloria. «Potrebbe servirci una riserva. Se sei interessata, ti lascio il mio numero.»

Lei sorride e annuisce. Capisco di essere di troppo. Afferro Léon per il braccio fasciato e, nonostante le sue proteste, lo trascino al mio fianco.

«Noi andiamo, ci vediamo» , saluto la mia collega e il mio amico prima che possano ribattere.

«Mi stai facendo male, ragazzina.»

«Fai silenzio o ti prendo a schiaffi.»

Sorride in modo malizioso. «Ti piace il sadomaso? Come ci immagini nei tuoi sogni più perversi? Sono curioso.»

«No» , rispondo. «E non fantastico su di te» , sibilo a denti stretti, seccata dalle sue allusioni.

Rotea gli occhi. «Non devi sentirti in colpa, tutte lo fanno.»

«Non io. Io preferisco le statue di cera.»

Corruga la fronte. «Sei davvero strana.»

«Lo so» , affermo, sorridendo in modo beffardo.

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Salve, gente! Ecco, come ogni lunedì, il nuovo capitolo. Spero che vi piaccia. Potete trovare Laszlo nella pagina del cast.
Grazie, come sempre, a tutti coloro che stanno seguendo la storia.
A presto!

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