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43 - Intrusi

Urto accidentalmente l'armadio con la testa e mi sveglio. Accanto a me non c'è nessuno. Letha, a quanto pare, è già scesa. Indosso le ciabatte e raggiungo il corridoio. Anche la stanza di Corey e Léon è vuota. Sbuffo. Non mi hanno aspettata per continuare le ricerche. Entro in bagno e mi sciacquo la faccia. Fisso il mio riflesso allo specchio. Occhiaie profonde mi solcano il viso, ma decido di non dare eccessivamente peso alla cosa, anche se mi sento orribile. Lascio la camera dopo un po' e, sorpresa, sussulto quando trovo Thomas intento a fare colazione in soggiorno. Mi sorride, raggiante, e mi saluta.
Subito, chiedo di Mark. «E' sceso presto per accompagnare Corey a comprare dei regali per la sua famiglia.»
Annuisco e vado verso di lui. Quando ruoto il capo e il mio sguardo si posa sulla cucina, perdo un battito. «Mamma» , mormoro, incredula. In piedi accanto al frigorifero, lei mi osserva.
«Hai detto qualcosa?» , mi domanda Thomas, confuso. Si pulisce la bocca con un tovagliolo che lascia fra la zuccheriera e un barattolo di marmellata alle fragole.
«C'è mia madre» , gli rispondo, ormai sbiancata. Guarda alle mie spalle e aggrotta le sopracciglia.
«Scappa, Evie» , mi dice lei. Faccio per raggiungerla, ma mi fermo quando la porta d'ingresso dell'appartamento si spalanca di scatto alle mie spalle. Due individui vestiti di nero fanno irruzione nella stanza. Indossano delle maschere bianche che sorridono in maniera particolarmente inquietante e sono armati. «Scappa, Evie! Svegliati e scappa!» Thomas si alza dal suo posto e mi si para davanti per proteggermi. Uno sparo. Il colpo colpisce il mio capo alla schiena. Si accascia a terra. Mi lascio cadere accanto a lui in ginocchio. «Svegliati!» , continua a dirmi mia madre.
Disperata, grido.

Urlando, apro gli occhi. Thomas mi tiene fra le braccia, mi accarezza i capelli, invoca il mio nome e mi guarda in modo apprensivo.
Serro le dita intorno al suo polso e me lo avvicino al torace.
Prendo dei respiri profondi per calmarmi. E' stato soltanto un incubo. Non era reale.
Mi guardo intorno. Letha non c'è sul serio e gli altri nemmeno.

«Che cosa è successo? Dove sono finiti tutti?» , chiedo, agitata.

«Mark è sceso presto con Corey stamattina. Lo ha accompagnato a comprare dei regali per la sua famiglia. Ho visto Léon e Letha andare via poco fa. Mi sono svegliato tardi, credevo di essere solo in casa, ma poi ti ho sentita urlare. Hai avuto un incubo» , mi spiega.

Sussulto. Mark e Corey sono davvero andati via insieme. Perché mamma mi è comparsa in sogno? Siamo davvero in pericolo?

«Dobbiamo andarcene, Thomas.»

Confuso, inarca un sopracciglio. «Sappiamo dove trovare il professore, non c'è fretta, sono soltanto le dieci e mezza del mattino. Non vuoi fare colazione prima di scendere?»

Scuoto il capo con vigore. «Prendi le tue cose e torna qui in camera. Dammi qualche minuto per prepararmi.»

«Sul serio, non c'è fretta» , ripete. «Vado a stendermi sul mio letto. Chiamami quando sei pronta.»

Fa per alzarsi, ma stringo in un pugno un lembo della sua maglietta a maniche lunghe rossa per fermarlo. «Non separiamoci. Prendi le tue cose e torna qui da me.»

Perplesso, dopo un po', cede e decide di assecondarmi. Lo seguo in soggiorno e chiudo a chiave la porta di ingresso. Thomas prende il portafogli e il telefono e mi raggiunge nuovamente. «Che stai facendo?» Lo spingo in stanza e ci chiudo la porta alle spalle. Giro la chiave nella serratura e tiro un sospiro di sollievo. «Evie, che hai?» Preoccupato, mi accarezza la schiena con una mano e mi volto a guardarlo.

«Una brutta sensazione. Non credere che io sia pazza» , quasi lo supplico, prima di iniziare il mio racconto. «Ho sognato mia madre. Mi ha detto di scappare da questo appartamento. Nel mio incubo, qualcuno voleva ucciderci. Ti colpiva alle spalle. Mortalmente, forse.»

Spaventato, deglutisce, ma poi cerca di ricomporsi. «Non era reale, Evie. Tempo fa sognai di diventare un folletto, ma non sono cambiato di una virgola.»

Gli sfugge un sorriso, ma io, invece, resto seria. Non si fida di me. «Perché non credi alle mie sensazioni?»

Scuote il capo, mi sposta i capelli dalla fronte e mi accarezza una guancia. «Mi fido ciecamente di te, ma non voglio che ti preoccupi inutilmente.»
Mormoro il suo nome, ma mi porta un dito sulle labbra per zittirmi. «Se vuoi andare via, va bene, lasciamo l'appartamento, ma non agitarti, ti prego, perché non voglio che tu stia male per un incubo. Stai già soffrendo abbastanza in questo periodo.» Annuisco e mi avvio verso il bagno. «E poi, non hai nulla da temere.»

Confusa, mi giro a guardarlo. «Perché sei qui con me? Ci salveresti?» , gli chiedo.

«Perché sei in gamba. So che troveresti un modo per tirarci fuori da una situazione spiacevole.»
Mi sfugge un sorriso. «Sul serio, sei una delle donne più forti che io conosca.»

Lo ringrazio e, lievemente rasserenata, vado a prepararmi. Esco dalla stanza e trovo Thomas seduto sul letto che condivido con Letha. Fa per dire qualcosa, ma un rumore ci fa voltare verso la porta chiusa alle mie spalle che ci separa dalla sala comune dell'appartamento. Lascio cadere sulla scrivania l'asciugamano bianco con cui mi stavo tamponando le guance e corro a vedere quello che sta accadendo a pochi passi da me. Anche Thomas mi raggiunge.
Dalla serratura fisso il soggiorno. La maniglia della porta di ingresso si alza e si abbassa ripetutamente. Qualcuno sta cercando di entrare in casa. Il cuore inizia a battermi forte nel petto.

«Sbrigati» , sento dire a una voce maschile in inglese. «Vuoi che ci scoprano?»

«Prova a forzarla tu la serratura, allora.»

Dei brividi mi attraversano il corpo.
Il respiro di Thomas si è fatto pesante. Sperduta, mi volto a guardarlo. Non riesco a dire nulla. La paura mi sta paralizzando. Quando faccio per aprire bocca, il capo me la copre con le dita. Scuote la testa e mi sussurra di non fare rumore. «Entreranno fra poco. Blocchiamo la porta di questa camera e cerchiamo di guadagnare tempo» , mormora a pochi centimetri dalla sua mano, ancora premuta contro il mio volto.
Deglutisco e annuisco. Corre a prendere una sedia dalla stanza di Corey e Léon e io, intanto, spaesata, raggiungo la mia camera. Inizio a guardarmi intorno. Prendo la mia tracolla e la indosso.
Non possiamo saltare fuori dalla finestra.
Mi porto le mani sulle tempie. Inizio a pensare. Devo tirarci fuori da questa situazione. Thomas crede in me. Posso farcela.
Visualizzo mentalmente l'ambiente circostante. In questa stanza c'è una finestra e in bagno anche, ma nella camera di Corey e Léon c'è un balcone.
Siamo al primo piano, ma, se saltassimo giù, potremmo comunque non sopravvivere all'impatto. Rischieremmo di sbattere la testa, ad esempio. O di romperci un braccio e di restare stesi agonizzanti sull'asfalto dando modo al killer di recuperare tempo e di venirci a sparare dal balcone.
No, Evie, basta. Concentrati.
Mi cade un occhio sul materasso. Il letto è disfatto. Le lenzuola bianche sono stropicciate. Un momento, ho trovato! Le lenzuola!
Le strattono più volte con forza e me le ritrovo in mano. Thomas corre da me. «Che stai facendo?» , sussurra.

«Dobbiamo formare una corda con le coperte di tutti i letti e legarla alla ringhiera del balcone per scendere giù.»

Il suo sguardo si riaccende. Viene verso di me, mi porta le mani sulle guance e abbassa un po' il capo per baciarmi la fronte. «Sei un genio» , mi dice.

Sorrido e, divertita, lo spingo via. «Sbrighiamoci, capo.»

Corriamo nella camera di Corey e Léon. Buttiamo a terra le lenzuola e le uniamo a quelle del matrimoniale. Un rumore ci fa sussultare. La porta d'ingresso dell'appartamento è stata aperta. Non ci resta più molto tempo. Raggiungiamo il balcone. Thomas lega la corda improvvisata alla ringhiera. La stringe ad essa con forza e la strattona più volte per assicurarsi che regga. La punta bianca della coperta quasi tocca il marciapiede sotto di noi. Potremmo salvarci. No, non devo pensarla come possibilità. Noi ci salveremo.

«Vuoi andare prima tu?»

Terrorizzata, scuoto la testa. Non c'è nessuno in strada. Thomas scavalca la ringhiera e si inginocchia poi per aggrapparsi alle lenzuola. Mi porto entrambe le mani sulle labbra. Ho quasi paura di guardare. Mi terrorizza il pensiero che possa cadere e farsi male. Lentamente, invece, scende fino a toccare terra. Tiro un sospiro di sollievo e abbasso il capo per guardarlo. Mi sorride e mi dice di sbrigarmi a raggiungerlo. Serro con forza le dita intorno alla mia tracolla. Devo muovermi. Mi faccio coraggio e scavalco la ringhiera. La borsa saltella e mi colpisce un fianco. Mi aggrappo alla corda e inizio a scendere.
A metà strada, la coperta si stacca dalla ringhiera. La guardo scivolare via con orrore dal sostegno metallico e grido.
Precipito. Non tocco terra. Mi ritrovo in braccio a Thomas che cade con me sul marciapiede. Mi affretto ad alzarmi e ad aiutarlo. Piena di gratitudine, lo abbraccio. «Mi hai salvato la vita, Thomas» , mormoro, quasi incredula di avercela fatta senza danni.

Mugugna. «Credo di essermi rotto una mano.» Mi allontano da lui e mi sfugge una risata. «Forse tutte e due» , aggiunge, ma sorride a sua volta.

Siamo salvi. Un rumore ci fa sollevare la testa.

«Sono scappati!»

Stringo le dita al mio capo e lo trascino dall'altra parte della strada. Fisso il balcone. Si affaccia un individuo vestito di nero con un fucile fra le mani. Una maschera a forma di maiale gli copre il viso. Spara, ma schiviamo il colpo. Iniziamo a correre senza guardarci più indietro. Non ci fermiamo nemmeno per un istante. Raggiungiamo il centro della città e ci infiliamo in un negozio d'abbigliamento scelto a caso. Cadiamo a terra e ricominciamo a prendere fiato. Mi tocco un fianco. Mi fa incredibilmente male.
La commessa, agitata, ci raggiunge. In italiano, ci chiede che cosa ci sia accaduto. Non riesco a risponderle.

Mi volto verso Thomas. «Chiama gli altri. Racconta a tutti che cosa è accaduto. Non devono tornare in quell'appartamento per nessun motivo al mondo.»

•••

Léon mi circonda le spalle con un braccio. «Vuoi un po' d'acqua, ragazzina?»

Scuoto la testa. Letha continua a fare domande a Thomas e Corey, intanto, turbato, appoggiato a braccia conserte al portone di un palazzo, ci osserva.
Mark torna da noi e si infila il cellulare nella tasca della giacca. Si siede accanto a me su uno degli ampi gradini della scalinata posta in mezzo ad una sfilza di abitazioni e mi accarezza un ginocchio. «Stai meglio, Evie?» , mi domanda. Mi limito ad annuire. «E tu, Thomas?»

«Eh? Cosa? Oh, sì, grazie, Mark, sto bene» , gli risponde, abbandonando per un attimo i suoi pensieri.

«Non riesco a credere che tutto questo sia accaduto sul serio. Siete vivi per miracolo» , constata Letha.

«Passeremo la notte in un altro posto. L'ho già trovato e ho parlato con il proprietario del vecchio appartamento. Andremo a ritirare le nostre cose più tardi. La polizia potrebbe farvi alcune domande, ragazzi» , ci avverte Mark.

Non dico nulla. Corey, di scatto, raddrizza la schiena. «Andiamo da questo professore, facciamogli alcune domande e torniamocene a Nottingham. Non mi piace quello che sta accadendo» , afferma con tono glaciale.

Nessuno osa controbattere. Il rosso ci sorpassa e inizia a salire le scale. Letha e Thomas lo seguono e, dopo esserci alzati da terra, anche io e gli altri. Nessuno apre bocca, ma so che tutti stiamo pensando la stessa cosa.
Foster ha mandato qualcuno ad ucciderci? Sa che siamo qui? Conosce i nostri piani? Conosce tutti noi?
L'ipotesi di un casuale furto in appartamento sembra piacere di più ai miei amici, e anche a me, lo ammetto, ed è per questo che abbiamo deciso di considerarla come miglior giustificazione dell'accaduto di poche ore fa. Raggiungiamo un antico palazzo in fondo alla strada. Da un cancello ricoperto di edera si intravede un cortiletto con al centro un pozzo. Controllo i nomi sul citofono. Mi soffermo solo su due di loro.

Agata Brie
Ippolito Lonardo

Sono il professore e la sua vicina di casa. Siamo nel posto giusto. Sorrido e premo il bottone accanto al nome dell'uomo. Dopo un po', una voce maschile mi risponde.

«Salve, professore, sono Eveline, Eveline Gray, la figlia di Victoria. Agata le aveva preannunciato la mia visita, vero? Sono qui con dei miei amici» , dico in italiano.

I miei compagni d'avventura, meravigliati, mi osservano.

«Oh, sì, Eveline! Entrate, ragazzi! Entrate! Sono al primo piano» , ci informa, allegro.
Ci apre il cancello e, senza esitare, raggiungiamo il cortile e ce lo chiudiamo alle spalle. Conduco la fila. Arriviamo davanti alla porta dell'appartamento del professore, che si spalanca, lasciando comparire la figura di Agata, prima che possa suonare il campanello. La donna, in modo affettuoso, mi saluta con un abbraccio e si presenta poi a tutti i miei amici. Ci invita a seguirla e così facciamo. Attraversiamo uno stretto corridoio e svoltiamo a destra per ritrovarci in un grande salone. Altissime librerie ricoprono le pareti della stanza. Incantata, le guardo.
Sento tossire qualcuno. Mi volto verso il camino e noto un ometto alzarsi da una poltrona rossa posta vicino al fuoco. Si aggrappa con entrambe le mani ad un bastone e ruota il capo per guardarci. E' minuto, avvolto in un'elegante vestaglia bordeaux e ha il busto leggermente curvato in avanti. Sorride in modo smagliante e si avvia verso di noi. Ha dei folti capelli bianchi e un paio di occhiali dalla montatura argentata ben premuti contro il viso. Ci squadra tutti da capo a piedi, allegro, e poi si sofferma su di me.
Gli vado incontro e, quando lo raggiungo, mi prende le mani. «Eveline, giusto?»
Annuisco e gli sorrido a mia volta. Mi accarezza le dita con il pollice. «Sei uguale a lei» , commenta, commosso.

A fatica trattengo le lacrime. «Grazie, professore.»

Agata tossisce per attirare la nostra attenzione. «Professore, che ne dice di andarsi a sedere in cucina? Ho preparato una torta per i nostri ospiti.»

I miei amici, confusi, la osservano.

«I ragazzi non sanno l'italiano?» , mi domanda l'ometto. Scuoto la testa e Agata, dispiaciuta, si porta una mano sulle labbra. «Da dove venite, Eveline? Posso chiamarti Evie?»

Sorrido. «Mi chiamano tutti così. Non mi piace particolarmente il mio nome» , lo informo. «Comunque, da Nottingham.»

«E allora, che problema c'è? Parleremo in inglese per farci capire anche dai tuoi amici e sarai Evie per tutti. Giusto, Agata?»
La donna gli sorride e risponde in inglese in maniera affermativa. Parla al resto del gruppo della torta e a tutti sembra andar bene l'idea di spostarsi in cucina per mangiare.
Ci sistemiamo, così, nell'altra stanza e inizio a raccontare al professore e ad Agata della morte di mia madre mentre la vicina di casa dell'uomo ci versa, con aria afflitta, un po' di tisana nelle tazze di ceramica lucidate per il nostro arrivo.
«Conoscevo bene Foster e Victoria. Li ospitavo spesso qui a casa mia quando erano giovani. Insieme, sembravano felici e spensierati. Stento a credere che possa averle fatto del male, ma è indiscutibile che, negli anni, sia drasticamente cambiato. Non sapevo dell'esistenza di tuo fratello e nemmeno che lui e tua madre si fossero lasciati» , mi informa Ippolito alla fine del mio racconto. Siamo venuti qui per nulla. Abbiamo rischiato la vita per non avere alcuna informazione su Foster. Fantastico. Leggo la delusione negli occhi di tutti i miei amici. «Mi dispiace, ragazzi. Ho perso i contatti con Foster e Victoria anni fa. Non so dove possa trovarsi lui in questo momento, ma vi prometto che cercherò di raccogliere informazioni utili sul suo conto in questi giorni. E' nato qui. Dovrebbero esserci ancora dei suoi conoscenti in città. Per quanto vi tratterrete a Verona?»

Letha tossisce per schiarirsi la voce. Rivolge un'occhiata al fratello prima di rispondere. «Un giorno o due, forse. Abbiamo preso dei biglietti per l'Aida questa mattina. Andremo domani sera allo spettacolo e ripartiremo il giorno seguente, giusto, ragazzi?»

Corey la fulmina con lo sguardo. «Ti sembra forse il caso di andare a teatro? Dobbiamo tornare subito a Nottingham» , le ricorda con tono di rimprovero.

«Restate» , cerca di convincerci il professore. «Stanotte non dormirò in città, ma domani verrò anche io allo spettacolo. Raccoglierò informazioni su Foster nelle prossime ore e riparleremo di lui a teatro.»

«Va bene» , risponde, senza esitare, Léon.

Si becca un'occhiataccia dal coinquilino. «Ti ha dato di volta il cervello? Letha ti ha forse lasciato una fetta di torta alle erbe?»

«Quale torta?» , domanda, confuso, Mark.

Allarmata, gli dico di lasciar perdere le parole del rosso.

«Capisco il tuo punto di vista, Corey, ma ne abbiamo passate tante» , si introduce nella conversazione anche Thomas. «Non possiamo tornare a casa a mani vuote. Non abbiamo altre piste da seguire. Lasciamo che il professore faccia almeno un tentativo» , aggiunge.

Il rosso, in silenzio, lo osserva. Dopo un po', sbuffa e, apparentemente convinto, cede. Trattengo a stento un sorriso. Terminiamo di bere e di mangiare e salutiamo Agata e il professore che ci accompagnano alla porta.

«Allora, a domani» , ci saluta lui. Gli sorrido e gli altri fanno lo stesso prima di iniziare a scendere le scale del palazzo.
Faccio per avvicinarmi ai gradini anche io, ma Ippolito mi chiama nuovamente. Si dà un colpetto sulla fronte e mi invita a tornare un istante in casa. Annuisco e lo seguo in soggiorno. «Mi sono ricordato una cosa» , mi informa.
Agata rimane indietro. Il professore si avvicina ad una libreria e solleva a fatica un braccio per prendere un libro dalla copertina blu posto in uno scaffale. Me lo porge e sorride. «E' una copia di "Romeo e Giulietta" di William Shakespeare» , dice.

Felice, lo ringrazio. «La custodirò con cura e ricorderò sempre voi, Agata e la vostra gentilezza. Cercherò di tornare a trovarvi presto.»

Si avvicina a me, commosso, e mi prende una mano. Mi stringo, intanto, il libro al petto. «E ti accoglieremo con gioia, cara.» Si schiarisce la voce con un colpo di tosse. «Il romanzo che ti ho lasciato me lo aveva regalato tua madre. E' giusto che lo tenga tu. Mi disse che, grazie a quel libro, un giorno avremmo potuto ricongiungerci, ma non ho bisogno di sfogliare quelle pagine per riunirmi a lei in un pensiero. Victoria è ben impressa nella mia mente e nel mio cuore. Era una cara ragazza, ti assomigliava tanto.»

Mi sfugge una lacrima. Con un filo di voce, lo ringrazio e, d'istinto, lo abbraccio. Ricambia la stretta, sorpreso, e poi ci allontaniamo e ci salutiamo. Con il libro stretto fra le braccia, accarezzo una spalla ad Agata prima di uscire di casa e torno dai miei amici. Ricominciamo a camminare per la città.
Léon e Corey sono in testa alla fila. Thomas li segue con Letha accanto e io resto un po' indietro con Mark.
Chiacchieriamo per alleggerire l'atmosfera pesante venutasi a creare. Ci fermiamo a guardare la vetrina di una libreria mentre mi rassicura sull'interrogatorio della polizia che mi aspetta una volta tornata all'appartamento.

«Ne hai già fatti altri, no? Non agitarti» , dice, cercando di sorridere per confortarmi. Mi accarezza la schiena e adagio la testa sulla sua spalla.
Il mio sguardo cade su '1984' di George Orwell e mi irrigidisco.
E' possibile che Foster riesca ad osservarci in ogni momento come il Grande Fratello con gli abitanti del distopico mondo del romanzo? E' possibile che abbia mandato davvero due uomini ad ucciderci? Agitata, mi volto verso Mark. «Che hai?» , mi domanda, preoccupato, portandomi una mano su una guancia.

«E se Foster avesse chiesto a quei due delinquenti che parlavano fuori al nostro appartamento di eliminarci?»

Sospira. «Ci avevo pensato anche io, lo ammetto, ma come è possibile che ci abbia trovati? Ci conosce tutti? Qualcuno ci sta seguendo dal nostro arrivo qui in città? Come fa a sapere che siamo a Verona? Ci hanno spiati anche in aeroporto? Seguono i nostri movimenti anche a Nottingham?»

«Non lo so» , balbetto, spiazzata e terrorizzata allo stesso tempo. «Andiamo al vecchio appartamento, prendiamo le nostre cose, parliamo con la polizia e sistemiamoci in una nuova casa. Evitiamo la gente il più possibile» , dico.

•••

Non ho parlato alla polizia di Foster. Il proprietario del vecchio alloggio e gli agenti pensano che io e Thomas ci siamo casualmente trovati in casa durante un tentativo di furto. Mi piacerebbe credere a questa versione, ma in cuor mio so che qualcuno ha mandato quei due, che girano ancora per la città, ad ucciderci. Prego che non ci trovino mentre sfoglio le pagine del libro lasciatomi dal professore.
La nuova casa è un po' piccola, ma ce la faremo bastare. E' composta da una sola stanza, in cui si sono sistemati per dormire tutti i miei amici, un salone e una cucina.
E' notte fonda, ma non ho sonno. La porta della camera da letto si spalanca e sposto lo sguardo su Thomas che, assonnato, mi rivolge un'occhiata, socchiude la superficie in legno alle sue spalle e viene a sedersi accanto a me sul divano.

«Che ci fai ancora sveglia?» , mi domanda, confuso.

«Leggo» , rispondo, tornando a guardare le pagine.

«Adesso?»

«Adesso.»

Ridacchia. «E credono ancora tutti che sia io quello strano.»

Mi sfugge un sorriso, ma mi fingo offesa e gli do un colpetto sul braccio. «Sei venuto qui ad importunarmi?»

«Stavo andando in cucina a prendermi un bicchiere d'acqua, ma, quasi quasi, resto qui a darti fastidio. Che libro è?»

«Oh, non giurare sulla Luna, l'incostante che muta ogni mese nell'orbe del suo cerchio, il tuo amore potrebbe rivelarsi come lei» , leggo. Thomas sorride e io abbasso lo sguardo. «Romeo e Giulietta» , dico subito dopo. «Lo aveva regalato mia madre al professore. E' strano, però, che non gli abbia scritto nemmeno una dedica» , rifletto ad alta voce.

«Ma gli ha rilegato la copertina, no? Ha comunque aggiunto un tocco personale al romanzo.»

Rilegato la copertina? Inizio a rigirarmi il libro fra le mani.

«Sei un genio!»

Mi sporgo in avanti e do un bacio sulla fronte a Thomas. Lui, confuso, aggrotta le sopracciglia. Gli lascio il volume accanto e corro in cucina. Torno in soggiorno dopo poco con un coltello fra le mani.

«Che vuoi fare?» , mi chiede, preoccupato, indietreggiando.

Taglio via dal romanzo la legatura blu e lascio comparire una copertina colorata con il nome dell'opera. Con la lama, poi, stacco anche dal retro di essa una pagina bianca che mamma vi aveva applicato sopra. Sorrido, felice, quando mi accorgo di una scritta che, subito, mostro a Thomas.

Ha scoperto il segreto nascosto nel libro, vero, professore?
Io e Foster abbiamo deciso di comprare un piccolo appartamento a Roma. Venga a trovarci lì. Le lascio il nostro indirizzo.

Accarezzo con i polpastrelli le lettere della via segnata da mia madre. «Sveglio gli altri? Si parte per la Città Eterna?»

Mi volto verso il mio capo. Sembra euforico tanto quanto me. «Sì, svegliamoli.»

-
Salve! Scusate se ho postato questo capitolo in ritardo, ma ho avuto molto da fare ieri.
In ogni caso, ho una buona notizia per voi. Oggi scriverò l'ultima parte della storia. Avendola completa sul computer, potrei iniziare a pubblicare più in fretta qui su Wattpad, poiché non rischierei di restare senza capitoli da postare e di farvi quindi attendere per gli aggiornamenti causa blocco dello scrittore.
Detto questo, vi lascio. A presto!

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