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42 - Romeo and Juliet

Sono quasi le dieci del mattino del sesto giorno di Marzo.
Faccio fatica a tenere gli occhi aperti. Il viaggio mi ha stancata, ma non posso permettermi di riposare.
Il professore che potrebbe darmi informazioni preziose sul presunto assassino di mia madre è qui, come me, a Verona e devo assolutamente trovarlo.

«Io qui non ci dormo, fratello» , sento dire a Léon dalla sua stanza, intercomunicante con quella che divido con Letha. Ci separa dai ragazzi soltanto un corto corridoio in cui si trova la porta per accedere al bagno che abbiamo in comune con loro. «Quel quadro mi sta fissando.»

Sconsolata, roteo gli occhi, senza mai smettere di dare le spalle agli altri. Incrocio le braccia al petto e torno ad osservare lo scorcio di città che si intravede dalla finestra.

«Non fare l'idiota, Léon» , lo ammonisce Corey.

«Mark, continua a tenere il materasso sollevato, devo sistemare la doga che Evie ha quasi spezzato» , gli dà indicazioni Thomas. «A proposito, come hai fatto a ridurla così? Ti sei buttata sul letto appena entrata in camera?» , chiede subito dopo.

Sbuffo. «Mi ci sono soltanto seduta» , mi difendo. «Non è colpa mia se i mobili di questo alloggio sono datati.»

«Ho sonno» , si lamenta Letha, seduta a terra a gambe incrociate accanto ai nostri borsoni. «Non preoccupatevi per noi e lasciate cadere il materasso. Dormiremo tranquillamente sul pavimento, vero, Evie?»

Sollevo un pollice in segno di approvazione. Non sto nemmeno ascoltando con attenzione ciò che stanno dicendo i miei compagni di avventura.

«Come vuoi tu, allora» , l'asseconda Mark, prima di voltarsi a guardare Thomas. «Torniamo nella nostra stanza? Vorrei riposare anche io.»

«Sei impazzito? Lo hai visto il proprietario di questo appartamento?» , gli domanda retoricamente il mio capo. «E' inquietante, mi fa paura. Non possiamo distruggergli i mobili.»

Sospiro, prendo la mia tracolla nera e lascio la camera, ignorando le discussioni di tutti. Questo alloggio è abbastanza carino, un po' piccolo, ma luminoso e accogliente. Oltre alle nostre camere, è composto soltanto da un soggiorno di ridotte dimensioni in cui si trova un tavolo intorno a cui potersi sedere per mangiare e da una cucina che raggiungo. Frugo nella dispensa e trovo una merendina che mi metto in borsa. Potrebbe venirmi fame durante la giornata.
Indosso il cappotto, precedentemente abbandonato su una sedia, e mi preparo ad uscire. Prima che possa salutare gli altri, mi ritrovo davanti Corey e le parole mi muoiono in gola.

«Dove stai andando?» , mi chiede.

Mi sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio e, senza rispondergli, lo sorpasso per tornare dagli altri.

«Esco! Ci vediamo più tardi!» , grido per farmi sentire da tutti. A testa bassa, mi avvio verso la porta.

«Vai a cercare il professore?» , insiste il rosso. «Vengo con te» , aggiunge.

Raggiungo il pianerottolo senza degnarlo di uno sguardo. «Non è necessario» , mi limito a dire.
Con la coda dell'occhio, noto che si infila in fretta la giacca. Sbuffo e raggiungo l'ascensore che, subito, chiamo. Sento sbattere la porta dell'appartamento dietro di me e capisco che Corey non abbandonerà l'idea di seguirmi. Dopo qualche istante, infatti, percepisco la sua presenza alle mie spalle. «Sul serio, non voglio che tu venga insieme a me.»
L'ascensore arriva al piano e lui allunga il braccio per aprirla. Mi fa passare per prima e mi mordo il labbro inferiore per impormi di non ringraziarlo. Sono arrabbiata con lui. Il suo essere gentile non cambierà affatto le cose.

«Voglio soltanto aiutarti, Evie.»

Roteo gli occhi. Preme il bottone del pianterreno e io mi rannicchio in un angolo per accrescere la distanza fra noi. Fa per toccarmi un braccio, ma mi scanso. Quando l'ascensore arriva a destinazione, esco e spalanco poi il portone del palazzo per raggiungere la strada. Cammino in fretta, quasi corro.
Corey mi viene dietro. Mi chiama, ma non mi giro a guardarlo.
Vedo l'Arena di Verona a qualche metro da me e, per un attimo, mi tranquillizzo. E' spettacolare. Potrei chiedere lì a qualcuno del professore. Più tardi, però. La fila ai cancelli d'ingresso, adesso, è troppo lunga.
Corey mi afferra un polso e abbandono per un istante i miei pensieri. Irritata, mi volto di scatto a guardarlo e, con uno strattone, mi libero dalla sua presa.

«Lasciami in pace!» , gli urlo contro, attirando l'attenzione di due passanti.

Imbarazzato, si gratta il capo e mi supplica di fare silenzio. Prova a portarmi le mani sulle spalle, ma lo spingo via, infastidita. «Non odiarmi, ti prego. Sono qui per aiutarti. Puoi fidarti di me» , tenta di calmarmi.

Mi sfugge una risata. «Di te? Sul serio? Ti ricordo che mi hai allontanata senza darmi alcuna spiegazione. Come hai potuto cambiare idea su di noi da un giorno all'altro?»

Chiude gli occhi, sospira e li riapre subito dopo. «Non ho cambiato idea su di noi.»

«E allora qual è la verità, Corey? Mi ami ancora o mi hai presa in giro sin dall'inizio?»

Si passa le mani sul volto. «E' complicato» , mormora. «Ma non ho mai giocato con te.»
Aspetto che dica altro, ma tace.
Furiosa, ricomincio a camminare.
E' criptico. Non si apre con me. Continua a tenersi i suoi pensieri contorti e ad escludermi dal suo mondo interiore. Fa male.
Mi mordo il labbro inferiore con forza e ruoto appena la testa per guardarmi indietro. A distanza, mi sta seguendo con lo sguardo fisso sul terreno. Solleva di scatto il capo e ci osserviamo per un attimo. Ha gli occhi lucidi. Mi affretto a dargli di nuovo le spalle. Mi stringo nel cappotto e, dopo qualche minuto di camminata, arrivo davanti alla Casa di Giulietta. E' piena di persone. C'è chi, come posso vedere dall'ingresso, sta scattando foto accanto alla sua statua e chi, invece, sta leggendo bigliettini incollati alle pareti dello stretto corridoio che separa la strada dal cortile della gettonata meta turistica.
«Evie!» , mi sento chiamare da Corey. Sbuffo e mi volto. Si fa spazio fra la folla e mi affianca. «So che mi detesti, ma c'è tanta gente qui. Restiamo vicini per non perderci.»
Ha ragione. Mi ritrovo costretta ad annuire. A fatica, ci apriamo un varco fra le persone e arriviamo accanto alla statua di Giulietta. Sollevo il capo e mi soffermo un attimo ad osservare il balcone su cui si sono messe in posa due ragazze per farsi scattare una foto da un loro coetaneo fermo a pochi passi da me. Abbasso nuovamente la testa quando degli applausi catturano la mia attenzione. Il mio sguardo si sposta sul ragazzo circondato dalla folla adorante che si è appena inginocchiato per fare la proposta di matrimonio alla sua ragazza. Un brivido mi attraversa la schiena e, istintivamente, mi volto ad osservare Corey e lo scopro già intento a guardarmi. Non finirà mai così per noi.
La tristezza mi assale. Mi porto una mano sul volto e corro all'interno della casa.
Ignoro i richiami del rosso. Mi stropiccio gli occhi e prendo un respiro profondo. Devo chiedere a qualche dipendente del posto del professore.
Mi avvicino ad una ragazza intenta a sistemare su un bancone delle copie di alcuni romanzi di Shakespeare e le faccio il nome di Ippolito Lonardo, ma non sembra conoscerlo e, come lei, nemmeno la sua collega. Le ringrazio per il disturbo e, scoraggiata, torno accanto alla statua. Corey tenta di prendermi la mano, ma lo schivo e corro nuovamente in strada con lui al seguito.
«Evie, fermati!» , mi chiama.

Una lacrima mi riga una guancia. Mi volto di scatto e gli do una leggera spinta sul torace per allontanarlo. «Ti odio!»
Prova a toccarmi il braccio, ma scuoto il capo e indietreggio. Parecchie persone, passando, incuriosite, ruotano la testa per osservarci. «Ti odio perché mi hai abbandonata e odio anche me stessa perché, nonostante tutto, non riesco a non tenere a te.»

Scoppio a piangere e mi porto le mani sul viso. Cerco di trattenere i singhiozzi e di asciugarmi le lacrime. Devo smetterla! Devo essere forte! All'improvviso, lo sento stringermi con forza fra le sue braccia. Posa la fronte sui miei capelli e affonda le dita nella mia giacca. «Non voglio farti del male» , mormora con voce spezzata. «Volevo tornare per un po' dalla mia famiglia. Avevo paura della distanza. Mi terrorizzava il pensiero che potessi accorgerti di amare Thomas durante la mia assenza. Non volevo stare male. Stavo cercando di proteggermi. Non avevo mai amato qualcuno prima di incontrare te.»

Furiosa, lo spingo via. «Non ci hai nemmeno provato a stare con me a distanza! Mi hai allontanata e basta!» Gli rivolgo un'occhiata carica di rabbia e delusione.

«Ragazzi!»

Riconosco la voce di Mark e mi irrigidisco.
Corey, sorpreso, inizia a fissare un punto alle mie spalle. Cerco di ricompormi e lo stesso fa lui.
Mi volto e noto Mark e Thomas a pochi passi da noi.

«Non mollerò, Evie. Torneremo sull'argomento più tardi» , sussurra.

I nostri compagni ci raggiungono e mi impongo di comportarmi come se non fossi per niente destabilizzata. Tossisco per schiarirmi la voce.

«Mark, Thomas, che cosa ci fate voi due qui?» , chiedo.

«Siamo scesi di casa dopo di voi. Dovremmo cercare il professore tutti insieme. Siamo una squadra, no? Perché non ci avete aspettati?» , ci domanda Thomas, visibilmente deluso.

«Credevo che fossi stanco per il viaggio. Non volevo forzarvi a seguirmi» , rispondo.

«Basta, ragazzi, non importa» , si intromette Mark nel discorso. «E' stata una fortuna avervi trovati qui, questo è ciò che conta» , aggiunge. «Avete novità?» , chiede subito dopo.
Scuoto il capo, triste. «Chiediamo di lui a Piazza delle Erbe, allora, che ne dite? Guardate quanta gente che c'è lì al mercato» , propone dopo qualche istante di riflessione il poliziotto.

Annuiamo e lo seguiamo. «Sei già stato qui, Mark?» , gli chiedo nel tragitto.

Sorride e annuisce. «Una volta. E' una città splendida, non credi?»

Faccio per rispondere, ma mi zittisco quando un ragazzo mi urta e mi fa cadere la borsa.

«Scusami» , mormora, rammaricato. Si sforza di parlare in italiano, ma ha un marcato accento britannico.
Il suo amico la raccoglie da terra e me la porge nuovamente. Lo ringrazio e lui mi sorride.

«Non preoccuparti e grazie» , dico prima ad uno e poi all'altro in inglese.
Allegri, si allontanano. «Conterranei» , informo gli altri.

A pochi passi da una bancarella di spezie, Corey riceve una telefonata da Léon. Allarmato, dopo aver attaccato, si avvicina a me. «Dobbiamo raggiungere subito l'appartamento» , mi dice.
Confusa, inarco un sopracciglio e anche Mark e Thomas iniziano a chiedere spiegazioni. «Letha non sta bene.»

Per qualche strana ragione, sembra in difficoltà.

«Torniamo tutti indietro, allora» , afferma Thomas con sicurezza.

«No!» , si affretta a dire il rosso.

Mark, perplesso, corruga la fronte.

«Che sta succedendo, Corey?» , domando, preoccupata.

«Nulla di grave, ragazzi, sul serio» , prova a tranquillizzarci lui. «Letha ha soltanto avuto un giramento di testa, ma è ipocondriaca, ha detto che Google le ha dato mezz'ora di vita e vuole a tutti i costi salutare Evie, a cui vuole tanto bene, prima di lasciarci. Mark, Thomas, continuate le ricerche, davvero, non sprechiamo tempo prezioso. Io ed Evie vi raggiungeremo di nuovo fra poco.»

Prima che qualcuno possa ribattere, mi prende per mano e mi trascina lontana dagli altri. «Che sta succedendo, Corey?» , ringhio.

Cerco di annullare il contatto fra le nostre dita, ma fa di tutto per tenerle unite e, stanca di sprecare energie inutilmente, cedo e lascio che mi tocchi.

«Hai presente il pezzo di torta alle erbe che a Letha sembrava invitante e che ha comprato, una volta arrivata in città, a caro prezzo, da un tizio decisamente losco, per fare merenda?»

Sempre più confusa, gli rivolgo un'occhiata. «Quello che ha lasciato nella dispensa?»

Annuisce. «Sai cosa c'era dentro?»

Scuoto la testa. «No, dimmelo tu.»

«Marijuana.»

Rischio di strozzarmi con la saliva e inizio a tossire. «Scherzi, vero?»

Gli sfugge una risatina isterica. «No, purtroppo, e affretta il passo, dobbiamo sbrigarci a tornare all'alloggio.»

•••

Léon ci accoglie calorosamente. «Siete arrivati, finalmente! Letha sta dando i numeri.»

Sento una risata provenire dalla mia stanza e, agitata, sorpasso il fratello di Chris e mi precipito dalla rossa. La trovo stesa a terra sul materasso, intenta a indicare il soffitto con un dito e a sghignazzare. «Letha?»

Mi rivolge un'occhiata e si fa improvvisamente seria. Alle mie spalle compaiono, intanto, Corey e Léon.

«Alicia Keys, sei tu?»

Mi do un colpetto sulla fronte, sconsolata.

«E' messa peggio del previsto» , commenta, afflitto, suo fratello.

«La portiamo al pronto soccorso?» , domando.

«E cosa diciamo ai medici? Che ha mangiato una torta alla marijuana comprata da chissà chi? Dobbiamo trovare un criminale, non farci sbattere dentro, ragazzina. Nessuno crederebbe alla nostra versione» , tenta di farmi riflettere Léon.

«E allora che facciamo?» , chiedo, presa dal panico. «Non possiamo abbandonarla qui.»

«No, certo che non possiamo. Mark è un poliziotto. Non deve assolutamente vederla in questo stato.»

«Scherzi, Léon? Ti preoccupa Mark?» , gli domanda, sorpreso, Corey.

«Non mi fido degli sbirri, amico.»

«Tuo fratello è un suo collega» , gli ricordo.

Lui, infastidito, mi rivolge un'occhiataccia. «Vuoi trovare una soluzione al problema o perdere tempo a puntualizzare e ad elencarmi le mie disgrazie?»

«Voglio un pony!» , piagnucola Letha, iniziando a colpire l'armadio alla sua destra con dei pugni.

Corey, preoccupato, si tuffa in avanti, l'aiuta a mettersi seduta, le circonda il corpo con le braccia per tenerla ferma e la schiaccia contro il suo torace. «Portiamola in giro per la città con noi» , propone.

Sbigottita, strabuzzo gli occhi. Léon inizia a grattarsi il mento con fare pensieroso. «Come funziona? Esiste una sottospecie di connessione speciale fra gemelli? Lei sta male e percepisci anche tu gli effetti della marijuana?»

Lo colpisco con una gomitata. «Fai il serio» , lo ammonisco.

«Te la prendi con me? Davvero? E' lui quello che ha proposto di portare in giro per la città la stralunata.»

«Léon» , ringhio.

Corey tossisce per attirare la nostra attenzione. «Hai un'idea migliore? Camminare l'aiuterebbe a smaltire l'effetto della torta e, se la portassimo in giro con noi, Mark, lo sbirro, non la troverebbe qui in questo stato» , si rivolge poi al suo coinquilino.

Léon sembra pensarci attentamente e, dopo un po', sbuffa e si avvia verso la porta della camera. «Va bene, facciamolo» , dice, seccato.

•••

Letha cammina con passo strascicato. Léon, inoltre, l'ha costretta ad indossare un paio di occhiali da sole dalla montatura nera, grande e spessa. A guardarla, non sembra poi così strana, ma soltanto un po' maldestra. Urta qualche persona ogni tanto. No, non è vero, si scaglia appositamente contro la gente costantemente e sto soltanto cercando di essere positiva.
Dopo parecchi metri, sembra stancarsi. Rallenta e si siede su una panchina.
Approfitto del momento di calma per riunirmi con Léon e Corey. Ci sistemiamo in cerchio e iniziamo a discutere della situazione.

«Sta andando tutto bene, no?»

«Corey, dovresti essere un po' più realista. Tua sorella ha cercato di bucare il palloncino di un bambino con il naso» , gli ricorda Léon.

«Ma adesso è stremata» , faccio notare ad entrambi. «Si tranquillizzerà sicuramente» , aggiungo con fin troppo ottimismo.

Delle urla mi fanno voltare verso il palazzo alle mie spalle. Quando noto Letha intenta ad importunare una signora sbianco.

«Sta nascondendo un chihuahua in quella borsetta? E' così piccola. Me la faccia vedere. Me la faccia vedere! Non si maltrattano gli animali! Lei ha la faccia di una donna a cui piace maltrattare gli animali! Di cosa sono fatti quei guanti che indossa? Pelle di cervo? Le piacciono? Eh? Le piacciono? Bambi non ha più una madre per colpa di gente come lei!»

Léon si porta le mani sulle guance e un grande sorriso divertito gli compare in volto. «E' completamente impazzita» , constata.
Corey lo fulmina con lo sguardo. «Da chi ha comprato quella torta? Dovremmo dargliene un'altra fetta. Oggi è meno acida del solito. Così divertente mi piace da impazzire.»

«Léon!» , gli urlo contro.

«Lasci la mia borsa, signorina! La denuncio!»

Accorro con gli altri due ragazzi, allarmata, dalla donna. Allontaniamo Letha da lei e, quasi in ginocchio, le chiedo di non chiamare le forze dell'ordine.

Mentre Corey tranquillizza la sorella, un po' distante da noi, Léon prende in mano la situazione. «La nostra amica ha qualche rotella fuori posto, la perdoni. Ha perso il lume della ragione quando l'ho lasciata per mettermi con la mia attuale fidanzata portoricana. Non la faccia finire in carcere, la prego. Ha già sofferto abbastanza. Non volevo farle del male, ma al cuor non si comanda, giusto, tesoro?» Mi porta una mano sulla spalla e arriccio il naso.

Lo ha detto davvero. Non ci credo. Cerco di ricompormi subito e forzo un sorriso. «Gilipollas.»*

«Che ha detto?» , domanda, confusa la signora. Come i ragazzi di questa mattina, ha un marcato accento britannico. E' una fortuna per Léon che riesca a capirlo.

Il mio amico, perplesso, inarca un sopracciglio, ma poi, sorridente, si volta a guardarla. «Che mi ama» , risponde con sicurezza.

La donna sembra addolcirsi per un attimo. «Non denuncerò nessuno, mi sembrate già abbastanza disperati di vostro, ma fate in modo che quella ragazza non si avvicini più a me.»

Léon, euforico, la ringrazia e trattiene a stento la voglia di abbracciarla.
Torniamo da Corey e Letha e, senza far voltare la rossa, accennando saluti con la testa alla corpulenta e magnanima donna avvolta in un tailleur rosa, ci allontaniamo dalla zona. Tiro un sospiro di sollievo. I due fratelli stanno davanti a tutti.

Léon rallenta per affiancarmi. «Che cosa hai detto prima?»

Ridacchio. «Che sei un genio» , rispondo.

Sorpreso, sorride. «Davvero?»

«No e, adesso, spostati. Superi il metro e novanta, con te davanti non riesco a guardare le vetrine.»

Gli sfugge una risata e io gli do un buffetto su una guancia.

Corey si ferma di scatto e per poco non vado a sbattergli contro. «Thomas» , mormora.

«Sei ossessionato da lui» , commenta Léon.

«No, idiota. Thomas sta venendo verso di noi con Mark.»

Guardo davanti a me. Thomas e Mark, effettivamente, sono a qualche metro da noi. Allarmati, entriamo nel negozio della Disney e ci nascondiamo dietro a uno scaffale. Mi apro un varco fra i peluche per guardare la strada dalla vetrina. Thomas e Mark stanno tornando verso il nostro appartamento. Fortunatamente, non ci hanno notati. Possiamo uscire di nuovo. Mi allontano un attimo dal gruppo per scrivere un messaggio al mio capo. Gli spiego di Letha e della torta e gli chiedo di tenere Mark lontano da noi per il resto della giornata. Sollevo la testa dal telefono soltanto quando mi accorgo che la rossa sta cercando di convincere Corey a comprarle un adorabile Dumbo di peluche.

«Tesoro, non possiamo portarlo fuori da questo negozio. Sta aspettando la sua mamma» , le dice Léon con dolcezza. Si china in avanti per raggiungere la sua altezza, le sorride e le accarezza i capelli.

Corey, sconsolato, si passa le mani sul viso.

«Non posso adottarlo io?» , piagnucola lei.

«La signora Jumbo sta venendo a Verona per lui. Non ti dispiacerebbe se arrivasse qui e non lo trovasse? Vorresti vedere piangere una povera mamma elefante?»

Letha ha gli occhi lucidi. «No» , sussurra.

Léon le toglie il peluche dalle braccia e lo ripone nello scaffale. «E allora andiamo via» , le dice, iniziando a spingerla verso la porta d'uscita. «Sul serio, andiamocene» , ringhia poi, rivolto a me e a Corey.

•••

Sto perdendo le speranze. Sembra che nessuno qui in città conosca il professore che stiamo cercando. Léon, stremato dalla camminata, si siede a terra con Letha.
Una libreria cattura la mia attenzione. Do un colpetto sul braccio a Corey per farlo voltare verso di me.

«Vado a farmi un giro lì dentro mentre riposano» , lo avverto.

«Ti accompagno.»

Non mi oppongo.
Entriamo nel negozietto e inizio ad accarezzare con un dito i libri disposti in ordine di autore in uno scaffale.
Le librerie mi rilassano. Leggere mi rilassa. Se potessi, comprerei tutto quello che c'è qui dentro, ma non mi basterebbe una vita per terminare tutte queste pagine.

«Sì, Luca, prendo solo questa copia» , sento dire ad una donna, intenta a pagare il suo acquisto alla cassa.

«I viaggi di Gulliver?» , domanda il giovane cassiere.

«Jonathan Swift» , sussurra Corey. Sposto lo sguardo da un libro a lui. «Scusa, non era mia intenzione disturbarti, volevo soltanto fare colpo su di te.» Ammicca e mi sfugge un sorriso, ma abbasso la testa per non farglielo notare.

«Sì, a Ippolito piace molto la letteratura inglese.»

Mi irrigidisco. Ippolito? Non starà parlando mica del professore che stiamo cercando? Sporgo la testa dallo scaffale per seguire con attenzione la scena.

«Anche a me» , afferma il ragazzo. «E' bello sapere che io e il professore abbiamo gli stessi gusti.»

Professore? Mi faccio coraggio e sorpasso Corey per raggiungere i due.

«Mi scusi» , dico alla donna in italiano. Corey, confuso, ci osserva. «Lei conosce il professor Ippolito Lonardo?»

La donna, perplessa, mi osserva. E' un po' più alta di me ed è vestita in modo molto elegante. Potrebbe avere poco più di cinquant'anni. Ha dei lunghi ed ondulati capelli rossi, il volto solcato da alcune rughe e dei meravigliosi occhi azzurri. Rivolgo uno sguardo al cassiere e lui, imbarazzato, si allontana per andare a sistemare uno scaffale.

«Chi è lei?» , mi chiede senza rispondere.

«Mi chiamo Evie, Eveline, Eveline Gray, e lo sto cercando. Dovrei fargli alcune domande. Conosceva bene mia madre, Victoria. La ospitava spesso a casa sua. Ora lei non c'è più. E' morta in una strage e il professore potrebbe aiutarmi a trovare il suo probabile assassino.»

Sconvolta, sussulta. Si porta una mano sulle labbra e poi si avvicina a me. Mi scosta i capelli dal viso e me li sistema dietro alle orecchie.

«Victoria non c'è più?» Mi mordo con forza il labbro inferiore e scuoto il capo senza dire nulla. Gli occhi della donna si inumidiscono. «Le assomigli tanto.»

«Grazie, sentirmelo dire mi rende felice.»

La rossa sospira. Corey non fa nemmeno un passo verso di noi. Ci lascia parlare tranquillamente. «Mi chiamo Agata» , si presenta. «E sono la vicina di casa di Ippolito. Lo conosco da anni e ho avuto anche la fortuna di incontrare più volte tua madre. Era una donna splendida. Ippolito adesso non c'è, è a Venezia da un suo caro amico, ma tornerà domani a casa. Ti scrivo il suo indirizzo su un foglio. Passa a trovarlo, sicuramente gli farà piacere darti una mano.»

•••

Ci siamo fermati a riposare in un grazioso giardino pubblico. A pochi passi da me c'è un grande specchio d'acqua. Non so come definirlo. Sembra una fontana in cui la gente si diverte a camminare.
Léon insegue Letha per evitare che si tuffi a terra e si bagni e io, seduta sul prato, mi diverto a guardarli. Corey si lascia cadere accanto a me e mi porge la sua bottiglietta d'acqua. Lo ringrazio, la prendo e bevo un sorso.

«Mi odierai ancora per molto?»

Non lo odio e lo sa perfettamente. «Sai che non potrei mai farlo, ma mi hai ferita e ho tutto il diritto di essere arrabbiata con te adesso.»

«E' vero, hai ragione, ma mi hai ferito anche tu in passato, no? Perché non ripartiamo da zero?»

Sospiro. «Ci penserò.»

Gli passo di nuovo l'acqua e lui la finisce.

«Meglio di niente» , commenta, forzando un sorriso.

•••

E' notte, ormai, e Letha si è ripresa. Adesso, sta dormendo beatamente sul materasso che abbiamo lasciato a terra. Mark e Thomas sono nella loro stanza e credo che, come lei, stiano riposando. E' stata una giornata stancante e anche io sono stremata.
Léon si sta facendo una doccia. Lo sento cantare. Le pareti dell'alloggio, a quanto pare, non sono poi così spesse. Mi faccio coraggio e mi avvio verso la stanza di Corey. Busso e aspetto che mi risponda.

«Avanti» , dice.

Fortunatamente, non sta dormendo anche lui. Entro e, alla mia vista, sorpreso, sussulta. E' seduto a gambe incrociate sul suo materasso e sta guardando la tv. O forse sta cercando di capire ciò che Alessandro Borghese sta dicendo.

«Riesci a seguire il discorso?» Gli indico con un dito lo schermo e lui, divertito, scuote la testa. Vado a sedermi, senza invito, sul suo letto e gli tolgo dalle mani il telecomando. «Vuole controllare la cappa del ristorante di quel ragazzo» , traduco.

«Fa bene, l'igiene è fondamentale» , commenta.

«Ti imposto i sottotitoli» , dico poi a testa bassa. Armeggio con i tasti e non accenno minimamente a voltarmi. Lui non osa avvicinarsi a me. «Ci siamo fatti del male a vicenda e non si può ripartire da zero. Gli eventi ci cambiano. Ce li porteremo dentro per sempre e non possiamo far finta che non siano mai accaduti. Non so cosa ne sarà di noi in futuro, ma, adesso, sono certa di voler avere con te un rapporto civile. Dobbiamo restare uniti per trovare Foster.»

Mi accarezza la schiena senza dire nulla e un brivido mi attraversa il corpo. Mi volto di scatto e, gattonando, lo raggiungo per abbracciarlo. Mi stringe con forza e mi accarezza i capelli. Stargli vicina, nonostante tutto, mi fa stare bene.

«Evie» , mormora.

«Ho interrotto qualcosa?» Mi allontano, spaventata, da Corey e mi volto verso la porta. Léon ghigna. Ha solo un asciugamano bianco legato in vita e si sta passando le mani fra i capelli bagnati. «Porto Letha in questa stanza? Volete il matrimoniale?»

Imbarazzata, mi alzo e lascio la camera dando prima una spallata a Léon. «Idiota» , commento.

«Dormi bene anche tu, piccola» , dice, divertito.

-
*Evie ha praticamente detto a Léon che è una "testa di ca**o".

Salve!
È tardi, lo so, ma non ho potuto aggiornare prima, scusatemi.
Mi manca un solo capitolo (saranno 50 in totale) da scrivere per finire la storia. Non so ancora come concluderla. Che bello, eh?
In ogni caso, spero che questa parte vi piaccia. Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a seguire la storia che è arrivata a ben 11000 visualizzazioni! È un grande traguardo per me, grazie.
Detto questo, vi saluto. A presto!

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