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40 - Andrò ovunque tu andrai

Mi hanno detto di aprirmi, papà e Brad, i soli a cui ho concesso di rivolgermi la parola dopo la festa, di esprimere ad alta voce ciò che provo da quando ti ho persa, ma non riesco a farlo e non so nemmeno bene perché.
Forse, non ho semplicemente realizzato che non ci sei più, mamma.
Piango per le cose stupide e, adesso, invece, non riesco a versare molte lacrime.
Perché? Sono fatta male? Mi sto tenendo tutto dentro? Non voglio accettare la cosa? Non ne ho idea.
Chiudo gli occhi. Voglio prendere sonno, ma non ci riesco. Mi frullano per la mente troppi pensieri.
Non so ancora chi sia davvero Brad. Mio fratello? Sul serio? Dovrò aspettare la fine del funerale per scoprirlo. O almeno questo è ciò che ha detto papà.

Brad entra in casa dopo me e papà. Lo terremo qui con noi stanotte e, probabilmente, anche nei prossimi giorni.

«Perché tu e mamma mi avete abbandonato?» , chiede, improvvisamente.

Da una parte, voglio sapere che legame ci sia fra lui e i miei genitori e dall'altra, invece, adesso, non mi va di sentir parlare nessuno. Ho solo bisogno di chiudermi in camera e di metabolizzare l'accaduto.

«Adesso, Brad, capiscimi, non riesco a darti spiegazioni» , gli risponde mio padre, afflitto, passandosi una mano sul volto. «Affronteremo la questione dopo il funerale.»

Schiudo le palpebre di scatto quando sento qualcuno colpire la ringhiera del mio balcone con dei sassi. Che sta succedendo?
Mi alzo dal letto e corro a vedere.
Sorpresa, spalanco gli occhi quando noto Léon in giardino.
Esco fuori e incrocio le braccia sotto il seno per scaldarmi.

«Che cosa ci fai tu qui? E' notte fonda» , gli ricordo.

«Vieni ad aprirmi la porta. Non sono Troy Bolton in High School Musical, non mi arrampicherò su un albero per raggiungere il tuo balcone, ragazzina.»

«Non voglio vedere nessuno, Léon, tornatene a casa» , lo liquido bruscamente.

Ridacchia e colpisce un sassolino con la scarpa. «Ti ho forse chiesto ciò che vuoi o non vuoi? No, non mi sembra. Vieni ad aprirmi tu o suono il campanello io?»

Lo fulmino con lo sguardo. «Brad e papà stanno dormendo, vattene» , ringhio.

Con noncuranza, si avvicina alla porta di ingresso. «Come preferisci» , dice.

«Léon!» , grido. Si ferma a pochi passi dal campanello. Esasperata, roteo gli occhi e sbuffo. «Non fare nulla, scendo ad aprirti» , cedo.

Soddisfatto, sorride.

Rientro in camera, chiudendomi la porta del balcone alle spalle, indosso la mia pesante vestaglia grigia e poi scendo al piano inferiore per raggiungere il mio amico.
Quando me lo ritrovo davanti, gli rivolgo un'occhiataccia.
Senza invito, mi sorpassa per entrare in casa. Provo a scacciarlo via, ma si divincola dalle mie strette e inizia a guardarsi intorno.

«E' brutto quando vuoi startene un po' per fatti tuoi e qualcuno, senza invito, piomba nel tuo appartamento, sei d'accordo con me?»

Mi rivolge un'occhiata allusiva e, seccata, incrocio le braccia al petto. «Che cosa vuoi?»

«Parlare» , risponde con naturalezza.

«Non ne ho voglia.» Va a sedersi sul divano in soggiorno e, spazientita, lo seguo e resto in piedi a pochi passi da lui. «Puoi andartene, Léon? Non ho voglia di litigare.»

«Nemmeno io» , mi rassicura. «Non oggi. Sono venuto qui per parlare» , alza il tono di voce e, preoccupata dall'idea che qualcuno possa svegliarsi, gli intimo di fare silenzio. «Andiamo in camera tua?»

Mi sfugge un sorriso divertito. Non sta facendo sul serio. Non è possibile.

«Facciamo che io vado in camera mia e tu, invece, te ne torni a casa tua?»

Ridacchia. «Non se ne parla» , risponde di nuovo ad alta voce.

«Silenzio!» , ringhio. «Papà e Brad stanno dormendo» , gli ricordo. «Vuoi forse svegliarli?»

Sorride. «No, ovviamente. E' per questo che ti ho detto che sarebbe meglio andare in camera tua» , sussurra. Incrocia le braccia dietro la nuca e si sofferma a guardarmi con aria di sfida in attesa di una mia reazione.

«Andiamo» , cedo. «Ma vedi di sbrigarti perché ho sonno» , aggiungo.
Non è vero. So già che non chiuderò occhio per tutta la notte, ma non voglio compagnia.
Con passo felpato, raggiungiamo l'interno della mia stanza e ci chiudiamo la porta alle spalle. «Coraggio, parla» , gli dico.

«Io? Devi farlo tu, ragazzina. Arrabbiati, piangi, sfogati. Butta fuori tutto ciò che hai dentro. Esplodi. Fingerti indifferente a ciò che sta accadendo non ti renderà più forte o più coraggiosa di quanto già tu non lo sia adesso.»

Sorpresa, mi fermo sul posto. Provo a dire qualcosa, ma la mia voce trema e mi zittisco. Me la schiarisco con un colpo di tosse, prendo un respiro profondo e provo a rispondergli. «Se sei venuto qui per questo, puoi anche andartene. Non mi aprirò con nessuno.» Non so nemmeno se sono in grado di farlo.

«Perché? Perché non vuoi affrontare la cosa?»
Una lacrima mi riga una guancia. Serro i pugni e mi mordo con forza il labbro inferiore. «Mi dispiace dirtelo, ma dovrai farlo.» Mi tremano le gambe. Non voglio più ascoltarlo. «Tua madre è morta, ragazzina, l'hanno uccisa.»

Mi volto di scatto e, a passi spediti, lo raggiungo. Prima che possa dargli uno schiaffo, prontamente, mi blocca il polso e le mie dita si fermano a pochi centimetri dalla sua guancia. Sempre più lacrime iniziano a rigarmi il viso. Non riesco a controllarle.

«Perché mi stai facendo questo?» , gli chiedo, ferita.

«Stamattina non sono corso nella tua stanza a prenderti e a portarti fuori soltanto per non comportarmi da folle davanti a tutte le persone venute a fare le condoglianze a te e ai tuoi parenti che, sicuramente, mi avrebbero fermato, ma non riesco a dormire tranquillamente pensando che te ne stai da ore chiusa in una camera a soffrire. Come gli altri, tengo a te, ma te lo dimostro diversamente, accettalo. Ho avuto soltanto io il coraggio di piombare qui a casa tua perché non sono buono e accondiscendente come i nostri amici, ma uno sbruffone che ti fa perdere costantemente la pazienza, te lo ricordi? Non voglio fingermi il Principe Azzurro. Sono scontroso, irritante e dispettoso e non ho paura di mostrarlo a tutti perché mi piaccio così come sono.» Mi trema la mano. In silenzio, piangendo, lo osservo. Non riesco a dire nulla. «Schiaffeggiami, ragazzina! Se può servirti, fallo! Butta fuori almeno una piccola parte di ciò che hai dentro, ti prego! Mio padre potrebbe essersi indirettamente sporcato le mani con il sangue di tua madre e con quello di una marea di poveri innocenti, lo sai, vero? Sono suo figlio. Potrei essere un mostro come lui, ne sei consapevole?»

Sta cercando di provocarmi. Vuole che provi rabbia, ma non ci riesco.
Mi libera dalla sua stretta. La mano mi trema, ma non la colpisco. La porto sulla sua camicia e poi mi aggrappo al suo torace e scoppio a piangere. «Non sei un mostro, Léon» , mormoro fra i singhiozzi. «Non sarai mai come lui.»

Mi stringe forte a sé. Affonda le dita nei miei capelli e appoggia la fronte sulla mia testa. «Mi dispiace così tanto, Evie» , sussurra. Gli trema la voce.

«Non è colpa tua» , lo rassicuro. Mi allontano di poco da lui per guardarlo. Ha gli occhi lucidi. «Ti ho rovinato la camicia» , cerco di smorzare un po' la tensione.

Forzo un sorriso e lui fa lo stesso. «Sono ricco, te lo ricordi?. Nel mio armadio ne ho almeno altre sei identiche a questa.»

Mi sfugge una piccola risata. Mi affretto ad asciugarmi gli occhi. Mi sento un po' più leggera di prima. «Grazie» , mormoro.

Scrolla le spalle. «Ho fatto il mio dovere.» Si avvia verso la porta. «Ci vediamo domani, allora» , mi saluta.

«Aspetta!»
Sorpreso, si volta a guardarmi.
Deglutisco e, meravigliata da me stessa, trovo il coraggio di dire ad alta voce ciò che ho in mente in questo momento. «Stanotte, puoi restare qui con me? Non voglio dormire da sola.» Abbassa il capo per cercare di nascondere una risatina. «Che ho detto di strano?» , gli domando.

«Nulla» , risponde. «E' solo che ti ho immaginata dire una cosa del genere anche in alcune delle mie fantasie più perverse su noi due.»

«Léon!» , lo richiamo, sconvolta.

Scoppia a ridere, solleva le mani in segno di resa e va a sedersi sul letto. Si toglie il cappotto e lo lancia sulla sedia posta accanto al comodino. «Comunque, certo che resto qui con te.»

«In realtà, ho appena cambiato idea.»

Si allunga sul materasso e batte una mano al suo fianco per dirmi di raggiungerlo. «Mi dispiace per te, ma è troppo tardi per rimangiarsi l'invito, mi sono già sistemato.»

Roteo gli occhi e mi stendo accanto a lui. Mi sfugge una lacrima al pensiero che, fino a qualche sera fa, al suo posto c'era mia madre, ma mi affretto ad asciugarmela. Gli auguro di dormire bene e gli do le spalle.
Mi copre con il plaid, sorrido e lo ringrazio. Chiudo gli occhi, ma li riapro subito quando pronuncia il mio nome.

«Che c'è, Léon?»

«A Corey manchi, anche se non te lo dice. E' fatto così, devi accettarlo. Non è uno squilibrato, te lo assicuro, è soltanto paranoico. Si tiene molte cose dentro e, la maggior parte delle volte, si rovina la vita da solo.»

Soltanto sentire il suo nome mi fa sussultare. «Non voglio pensare a lui adesso» , taglio corto.

«Hai ragione, scusami. Buonanotte.»

Sospiro e mi volto a guardarlo. «Non scusarti, ti prego. Grazie davvero per quello che stai facendo per me. Ti voglio bene, sul serio.»

Sorride e mi accarezza un braccio. «Te ne voglio anche io.»
Parliamo ancora un po' e poi ci addormentiamo.
Apro gli occhi quando sento qualcuno bussare alla mia porta. Mi alzo per andare ad aprire e sveglio anche Léon che, mugugnando e stropicciandosi gli occhi, si mette seduto.
«Buongiorno, piccola» , mi saluta.

«Ciao, Léon» , dico a mia volta.

Spalanco la porta e mi ritrovo davanti Brad con un vassoio pieno di cibo fra le mani. Mi sorride in modo dolce. «Come ti senti stamattina? Ti ho preparato la colazione perché ieri non hai pranzato e cenato» , mi ricorda.

«C'è qualcosa anche per me?»

Sbianco di colpo sentendo la voce di Léon. Lo stesso fa Brad che, confuso, si sporge in avanti per guardare all'interno della mia camera.

«Che cosa ci fa lui qui?» , mi chiede, sconvolto.

«Oh, ti prego, non dirmi che sei già entrato nel mood "fratello iperprotettivo"» , lo sbeffeggia lo sbruffone alle mie spalle. «Non abbiamo fatto nulla» , lo rassicura. «Non ancora, almeno» , aggiunge con aria strafottente.

Tolgo il vassoio dalle mani a Brad e, con poca grazia, lo spingo fuori dalla mia stanza.

«Evie» , ringhia lui.

«Ti spiego tutto più tardi.»

«Mangia, vestiti e scendi. Dobbiamo andare al funerale» , mi ricorda. «E fai uscire quell'idiota dalla finestra, prima che lo veda anche papà» , aggiunge.

«E' soltanto un amico, Brad» , lo tranquillizzo.

Mi piace il pensiero di avere un fratello maggiore apprensivo, lo ammetto, ma non voglio che si preoccupi inutilmente. Non oggi, soprattutto.

«Lo spero per lui e anche un po' per me. Ho già Corey e Thomas da prendere a pugni. Guarda che le ho sentite le tue amiche al quartier generale parlare del fatto che stessi soffrendo per colpa di quei due imbecilli.»

«Brad» , lo richiamo.

«Che c'è? Non ho più una madre, ma ho trovato te, adesso, che, a quanto pare, sei la mia sorellina. Ti proteggerò come, invece, non sono stato in grado di fare con lei.»

Triste, istintivamente, lo abbraccio. Lui si lascia stringere e, dopo un po', inizia ad accarezzarmi i capelli.

«Non so nulla di te e mi sembra strano che tu sia mio fratello, ma ti prometto che supereremo tutto questo insieme.»

•••

Ho fatto una treccia perché, legati, i miei capelli a mia madre piacevano tanto. Li trovava più ordinati.
Guardo la sua bara, sorprendentemente illuminata da un fascio di luce proveniente da uno dei finestroni della chiesa, e stringo la mano di mio padre che, a fatica, trattiene le lacrime.
I miei amici sono seduti alcuni banchi dietro di noi.
Poco distante da loro c'è anche Elaine, la mamma di Rae, da sempre grande amica dei miei genitori.
Fisso il sindaco con attenzione. Parteciperà a tutti i funerali delle vittime. Parla. Ricorda mia madre e trovo ironica la cosa perché, fino a qualche ora fa, nemmeno sapeva il suo nome. Termina il suo discorso e il prete lo congeda. Voglio dirle io due parole. Due parole sincere. Mamma se le merita tutte. Mi alzo in piedi. Tutti si voltano, meravigliati, a guardarmi.

«Evie» , mormora Gabe, sorpreso, seduto accanto a me. «Che stai facendo?»

«Vuoi aggiungere qualcosa?»

Annuisco al celebrante e mi faccio spazio fra i miei parenti per raggiungere la navata principale e, successivamente, l'altare. Il sacerdote mi fa spazio e mi avvicino al microfono. Tossisco per schiarirmi la voce e poi inizio a parlare.

«Dovrei salutarvi? Non lo so, sono molto confusa. Cosa si dice in questi casi? E' un funerale, in fin dei conti, non una premiazione.» Sospiro. Vedo qualcuno sorridere, probabilmente intenerito. «Senza nulla togliere al suo discorso, signor sindaco, vorrei ricordare io mia madre, io che la conoscevo davvero.» Mi porto una mano sulle labbra e prendo un respiro profondo. Non devo piangere. «Non voglio stare qui ad elencarti tutte le cose che mi mancheranno di te, mamma, perché sarebbero davvero troppe e perché, sicuramente, poi scoppierei anche a piangere e non voglio. Volevo soltanto ringraziarti per esserti presa cura di me, insieme al resto della nostra famiglia, e per avermi amata, sempre. Spero di assomigliarti almeno in parte. Quando qualcuno mi dice che gli ricordo te, mi sento felice. Grazie. Grazie per tutto. Grazie per i tuoi abbracci, per le nostre litigate, per i valori che mi hai trasmesso e per avermi consolata quando nessuno riusciva a capirmi e a starmi accanto. Veglia su di noi, se puoi. Ti amerò sempre, immensamente, e so che anche tu continuerai a farlo e mi dà forza il pensiero che, anche in questo momento, tu mi sia accanto.»

Scoppio a piangere e mi allontano dal microfono. Non ce la faccio. Mi passo le mani sul volto e mi impongo di calmarmi, ma non ci riesco. Sollevo lo sguardo dal pavimento quando sento un applauso provenire dal fondo della chiesa. Con gli occhi offuscati dalle lacrime, mi accorgo che i miei amici sono tutti in piedi e stanno piangendo, proprio come me. Selene è stretta a Chris e Adam si sta soffiando il naso con forza. Gabe, al primo banco, sta singhiozzando sulla spalla di papà che, come tanti altri, ha deciso di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio. Torno dalla mia famiglia e ci abbracciamo. Siamo tutti distrutti.
La messa finisce e la gente si avvicina per darci le condoglianze. Tante persone che non conosco, mortificate, mi salutano e mi accarezzano il volto.
Vorrei soltanto che tutto questo finisse in fretta.
Quando Thomas mi raggiunge, mi tuffo fra le sue braccia e scoppio a piangere. Lui mi stringe con forza e fa lo stesso.

«Non c'è più» , mormoro.

«Non sei sola, non ti abbandonerò mai» , sussurra fra i singhiozzi.

«Ho bisogno di lei» , dico, cercando di riprendere fiato fra una parola e l'altra.

«Non posso riportartela indietro, ma sono sicuro che ti starà sempre accanto.»

Mi gira la testa. Mi sento svenire. Senza dire nulla, lo allontano con delicatezza da me e corro via, sotto lo sguardo dispiaciuto dei presenti.

«Evie!» Riconosco la voce di Corey, ma non mi volto. Raggiungo l'esterno della chiesa e mi lascio cadere sulle ginocchia. Grido e mi accascio a terra. Due braccia mi circondano le spalle. «Ci sono qui io. Andrà tutto bene.»

«Corey» , mormoro.

Sta piangendo anche lui. «Andrà tutto bene» , continua a ripetere ad alta voce.

«Fa male!» , grido.

«Lo so, amore, lo so.»

Mi metto seduta e lo abbraccio. Mi stringe con molta forza a sé. Può capirmi soltanto lui, lui che ha perso suo padre, lui a cui forse hanno ucciso il padre.

«Non è giusto!»

«Troveremo i colpevoli, te lo prometto» , tenta di farmi calmare.

Mi afferra il volto con entrambe le mani, fa combaciare le nostre fronti e inizia a guardarmi intensamente negli occhi. Mi mordo il labbro inferiore, annuisco e poi lo abbraccio, decidendo di mettere da parte, almeno per il momento, la rabbia provata nei giorni scorsi per il suo comportamento.

•••

Sono tornata a casa con Brad, papà ed Elaine che ha deciso di riaccompagnarci e di prepararci il pranzo.

«E' arrivato il momento di parlargliene, non credi?» , sento dire dalla cucina alla madre di Rae.

Brad, nascosto con me in corridoio, mi rivolge un'occhiata.

«Proprio oggi, Elaine? Siamo appena tornati da un funerale.»

«Un funerale che potevamo tranquillamente evitarci. E se avesse causato lui la strage?»

Lui chi? Che cosa stanno dicendo?

«Non è possibile» , mormora papà.

«Credi che non ci sia una correlazione fra il fatto che i ragazzi, secondo quanto mi hai detto, stiano cercando un fantomatico F., complice di Ares e Pierce, e che qualcuno abbia assoldato dei criminali per far uccidere tutti coloro che stavano festeggiando l'arresto di quei due di cui, fra l'altro, proprio i ragazzi erano responsabili?»

Mi alzo in piedi e, stufa, entro in cucina. «Parla, papà» , gli dico. «Sai chi è F.?»

«E perché tu e mamma vi siete finti morti e mi avete abbandonato?» , domanda Brad, uscendo allo scoperto come me.

Mio padre rotea gli occhi e fulmina con lo sguardo Elaine che, soddisfatta, sorride guardandoci, ma poi, per non farlo arrabbiare ulteriormente, solleva le mani in segno di resa e improvvisa un'espressione innocente. «Non è colpa mia se i muri di questa casa non sono abbastanza spessi» , si difende.

«Aspettami con loro in soggiorno, Elaine, e smettila di dire sciocchezze.»

Corro a sedermi sul divano e Brad si posiziona accanto a me. Elaine prende posto su una poltrona e, dopo qualche minuto, papà viene da noi. Sospira e inizia a parlare.

«Non sono il tuo padre biologico, Brad, ma questo lo sai perfettamente. Chi non ricordi bene, forse, è Foster. Tua madre ti ha portato via da quel mostro prima ancora che potessi imparare a parlare. Era sadico e violento. Victoria lo ha lasciato e si è sposata con me. Ti abbiamo cresciuto insieme e abbiamo cercato di fargli perdere le nostre tracce, ma, un giorno, ci ha trovati. Ci ha trovati e ti ha rapito. Eri soltanto un bambino. Avevi poco più di cinque anni. Per sfuggirgli, sei saltato giù dalla sua macchina in corsa e hai sbattuto la testa sull'asfalto. Foster è fuggito e nessuno l'ha mai trovato. Sei finito in coma e ti sei salvato per miracolo. Te la sei cavata con un leggero trauma cranico. Heron Collins ha messo in contatto me e tua madre con un suo amico, Ozzy. Credeva che quell'uomo, lontano da Stafford, avrebbe potuto proteggerti e farti crescere con la sua famiglia. A pezzi, abbiamo accettato, per il tuo bene, di affidarti a lui. Ozzy è venuto a prenderti in ospedale, come ben sai. Non ricordavi nulla del rapimento. Per far in modo che non ti venisse voglia di cercarci o che stessi male per anni pensando unicamente a come ricongiungerti a noi, ti disse che avevamo perso la vita nell'incidente che aveva coinvolto anche te, quello per cui ti trovavi in un letto d'ospedale.»

Brad, sconvolto, si porta le mani sul viso e abbassa il capo.
Gli accarezzo la schiena.
Non riesco a crederci. Non riesco a credere che abbia dovuto passare tutto questo per colpa di uno squilibrato. Non è giusto.
Un brivido mi attraversa la schiena.
Uno squilibrato che potrebbe aver ucciso anche mia madre? E' a questo che pensava Elaine?

«Papà, Elaine, chi è Foster?» , chiedo, facendomi coraggio.

Mio padre abbassa lo sguardo.

«Uno dei migliori amici di Ares» , mi risponde la madre di Rae.

«No, aspetta, Elaine» , la ferma mio padre. «E' giusto che gliene parli io.» Prende un respiro profondo e poi tossisce per schiarirsi la voce. Brad si rimette seduto per cercare di concentrarsi su ciò che papà sta per dire. «Foster aveva origini italiane, proprio come vostra madre, ragazzi. Da piccolo, prima di trasferirsi qui a Stafford, viveva a Verona. Era un grande amico di Ares e lo invidiavo perché stava con Victoria. Per qualche anno, siamo usciti tutti insieme. Heron, il mio migliore amico, mi aveva portato nel gruppo.» Fa una pausa. Ricordare gli fa male. «Io e Victoria, con il passare del tempo, ci avvicinammo e ci innamorammo, ma non voleva lasciare Foster perché aveva scoperto di aspettare da lui un bambino. Sperava che cambiasse, ma, quando quel mostro provò a picchiare sia lei che Brad, che aveva poco più di tre mesi, trovò il coraggio di lasciarlo. Il resto della storia, già ve l'ho raccontato. Dopo il tentato rapimento, nessuno ebbe più notizie di lui, ma io ed Elaine, prima, stavamo pensando al fatto che, forse, a nostra insaputa, si è riavvicinato ad Ares e con lui e Pierce ha fondato l'associazione criminale che state combattendo.»

«Tu, Elaine, non dovresti sapere ciò che facciamo io e Brad» , mi viene spontaneo dire.

Sul serio? Sono riuscita soltanto a dire una cosa del genere, preoccupata per la sicurezza del quartier generale e dei miei amici?

Le sfugge un sorriso. «Non preoccuparti, Evie. Qualcuno mi ha recapitato a casa una lettera di mia figlia. So di Fran, che Dorian ha ucciso e che non ho mai potuto stringere a me. So che per il bene di Rae devo fingere di crederla ancora morta. Voglio soltanto che questo fantomatico F. finisca in prigione per saperla al sicuro e per poterla riabbracciare.»

•••

Non ce la faccio proprio a prendere sonno. E' stata una giornata intensa.
Elaine è andata via e io riesco soltanto a pensare al fatto che potrei aver scoperto il nome dell'assassino di mia madre e, forse, anche del padre di Corey. Voglio trovarlo. Deve pagare per ciò che ha fatto, per mamma, per Brad, per i Collins, per le altre persone coinvolte nella strage e per le loro famiglie che, come la mia, adesso stanno soffrendo. Qualcuno bussa alla porta della mia camera. Vorrei tanto che fosse, come qualche sera fa, mamma.

«Avanti» , dico con un groppo in gola.

«Posso entrare?»

Corro nella mia stanza e mi tuffo sul letto senza nemmeno togliermi di dosso il cappotto. Dopo un po', sento la voce di mamma provenire dal corridoio. «Tesoro, sei tornata? Posso entrare?» Singhiozzando, le dico di no e, come previsto, lei viene comunque a sedersi accanto a me.

Mi affretto ad asciugarmi una lacrima e a rispondere di sì. Il 'no' resterà per sempre una cosa fra me e mamma, il mio 'no' che speravo lei ignorasse per venire comunque a consolarmi nei miei momenti peggiori senza dovermi costringere a chiederle aiuto perché, fondamentalmente, sono una persona orgogliosa.
Brad viene a sedersi sul letto. Lo invito ad infilarsi sotto le coperte, lui mi ringrazia e lo fa.

«Dunque, sono tuo fratello per metà» , esordisce.

«Sei mio fratello e basta» , lo correggo.

Mi stringe una mano. «Il mio padre biologico potrebbe aver ucciso mamma. Mi odi per questo?»

Gli accarezzo una guancia. «Non hai colpe, Brad. Non pensare nemmeno per un attimo di averne, ti prego.»
Una lacrima gli scivola lungo il viso e mi affretto ad asciugargliela. «Mi dispiace per tutto ciò che hai dovuto passare. Mi sarebbe piaciuto crescere avendoti al mio fianco, anche se ti sei comportato male durante il nostro primo incontro» , gli ricordo e sfugge un sorriso ad entrambi.

Riconosco il portone della sala riunioni in cui Floyd aveva condotto me e Léon poche ore fa e ipotizzo che tutte le stanze di notevole importanza per la S.R.D. si trovino su questo piano, diversamente dalle camere degli agenti, situate in quelli superiori. Percorro a testa bassa il lungo corridoio che termina con una svolta a sinistra e mi fermo soltanto quando, dopo aver urtato qualcuno, cado a terra.
«Mi dispiace» , mormoro, iniziando a massaggiarmi la testa.
«Imbranata.» Sollevo il capo e mi ritrovo davanti un ragazzo che potrebbe avere pochi anni in più di me. E' molto alto. Ad occhio e croce, sfiora il metro e novanta.
«Come, scusa?»
Si passa una mano fra i corti capelli castani, sollevati verso l'alto. «Ho detto che sei un'imbranata.» Sorride in modo strafottente e svanisce all'istante il mio proposito di essere gentile con lui.
«Ti credi più sveglio di me?»
Si inginocchia per osservarmi da vicino. Ha gli occhi azzurri. «Sì» , risponde, senza nemmeno sforzarsi di sembrare cordiale. Irritata, sbatto una mano contro il pavimento. «Nemmeno tu sei riuscito ad evitarmi» , gli faccio notare. «Eri troppo preso dal tuo ciuffo?»
Ridacchia e mi porta un dito sotto il mento per sollevarmi il viso. «Sei la ragazzina che ho rapito» , afferma, divertito.
Seccata, lo spingo via. Riesce a non cadere e si rialza. Non mi tende una mano per aiutarmi a mettermi in piedi e non si presenta nemmeno. Con un sorrisino stampato sul volto mi dà le spalle e si prepara a raggiungere le scale da me percorse qualche istante fa. «E lei dovrebbe aiutarci?» , lo sento chiedersi.
Serro i pugni percependo, ormai in lontananza, la sua risata. «Maleducato» , borbotto.

«E mi dispiace anche averti quasi ucciso» , aggiungo.

Sussulta. «E' vero, mi hai preso a pugni! Sembravi impazzita quel giorno» , commenta.

Letha mi accarezza la schiena e mi sorride. Mi volto verso Corey e noto che, anche adesso, ci sta guardando, ma, per non farmelo notare, torna subito a colpire il suo sacco. Mi chiedo che genere di problema abbia con me. Sono delusa, ferita.
«Mi fa piacere che tu sia qui» , dice, cordiale, sua sorella. Resto impassibile. Non ho voglia di essere gentile con nessuno. «Vieni con me, ti spiegherò come mandare a tappeto Brad.»
In silenzio, le vado dietro. Scorgo in lontananza lo sbruffone. E' seduto su una trave e, alla nostra vista, salta a terra e sorride in modo strafottente. «Vuoi combattere, Karate Kid?» Irritata, sferro un pugno che, prontamente, schiva. Ride di gusto. «Che c'è? Vuoi giocare un po' con me?» Letha gli colpisce uno stinco con un calcio. Lui borbotta e le rivolge un'occhiataccia. «Non fare l'idiota, Brad» , lo ammonisce. «Le insegneremo a combattere. Lotterà contro di te.»
Lui sorride. «Va bene, piccoletta» , mi squadra dall'alto del suo metro e novanta. «Ci andrò piano con te, Wade e Ivy sono già troppo impegnati a prendersi cura della tua amica, non posso farti finire in infermeria.» Mi sento sempre più furiosa, ma cerco di non darlo a vedere. «Non posso assicurarti che ti riserverò lo stesso trattamento.»
Mi posiziono di fronte a lui e mi preparo ad attaccare. Ricordo gli insegnamenti di Thomas. Devo colpire la gamba portante. Sferro un pugno che lui, prontamente, blocca. Fa ruotare il mio braccio e mi schiaccia contro il suo torace. «Morta» , mi sussurra in un orecchio, prima di spingermi in avanti in modo rude.
Sposto il peso del corpo da una gamba all'altra e mi bagno le labbra con la lingua. «Cerca di concentrarti, Evie» , mi consiglia Letha. «Chiudi gli occhi e immagina che Brad sia il tuo più grande nemico.»
La ascolto. Quando schiudo le palpebre, non faccio fatica a vedere il volto di Dorian al posto di quello dello sbruffone.
Il sangue mi ribolle nelle vene. Mi lancio in avanti e provo a colpirlo. Lui mi blocca il polso, ma, presa dall'ira e dalla voglia di fargli del male, lo colpisco ai genitali con una ginocchiata che non si aspettava. Si piega su stesso per il dolore e gli calcio un piede per farlo cadere a terra. Intorno a noi, cala il silenzio. Mi butto su di lui e inizio a riempirgli il volto di pugni. Delle lacrime mi bagnano le guance. Colpisco pensando a Thomas. Colpisco pensando ai miei amici. Letha mi urla di fermarmi, ma non le do ascolto. Sento la voce di Thomas, ma continuo a colpire. Non smetto di sferrare pugni neanche quando Chris, disperato, mi grida di smetterla. «Evie!» Riconosco la voce di Corey e mi immobilizzo. Chiudo e riapro gli occhi e mi rendo contro di avere davanti Brad. Ha il labbro spaccato e il naso che gli sanguina. Le mani mi tremano. Me le guardo e non mi riconosco. «Brad, non volevo, mi dispiace» , mormoro, sentendomi un mostro. Lui ghigna. «Ti avevo sottovalutata» , si lascia sfuggire.

«Sì, è vero, ma non volevo parlarti di questo.» Lui, divertito, ridacchia. Gli do un buffetto su una guancia. «Volevo soltanto dirti che, da ora in poi, potrai sempre contare su di me. Siamo una famiglia» , dico, seria. Mi sorride e annuisce. «E sbatteremo in carcere, insieme, i responsabili della strage, te lo prometto» , aggiungo.

-
Questo capitolo è molto importante per me. Ci sono dentro frasi di una lettera che ho scritto ad una persona cara che adesso non c'è più.
Spero che vi piaccia.
È importante anche ai fini della storia, comunque, come è giusto che sia. Importantissimo, anzi.
Detto questo, vi lascio. A presto!
Scusate se ho tardato di un giorno ad aggiornare.

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