20 - Il testamento
A un passo, forse, dalla risoluzione del caso, non riesco ad essere felice.
«A cosa stai pensando?»
Mi volto verso Thomas. Sembra incredibilmente concentrato sulla strada e mi chiedo quando mi abbia guardata per scoprirmi pensierosa.
«Non sono fiera di me stessa. Ho nascosto preziose informazioni sulle indagini a Christopher e ho mentito a Corey.»
Mi accarezza un ginocchio e mi osserva per un attimo con la coda dell'occhio.
«Fra poco, probabilmente, sarà tutto finito e non avrai più nulla da nascondere a nessuno.» Sospira. «E poi, capisco che tu ti senta in colpa per non aver detto nulla a Chris, visto che è un poliziotto e sta indagando da un po' sul caso di Rae, ma non mi spiego perché tu stia male per Corey. Sapere o meno del caso non cambierebbe la sua vita» , aggiunge con una leggera punta di fastidio.
Faccio per ribattere, ma mi zittisco quando lo vedo assumere un'espressione corrucciata. Ruoto il capo verso la strada e noto un uomo con una paletta in mano che ci sta facendo segno di fermarci. Thomas abbassa il finestrino e ci si appoggia sopra con un gomito. L'individuo ci si avvicina.
«Stiamo rimuovendo del materiale scivoloso dalla carreggiata» , ci informa. «Per un po', non si potrà procedere.»
Sospiro. Thomas annuisce e mette la freccia per raggiungere la stazione di servizio alla nostra sinistra.
«C'è anche un bar» , constata, una volta fermatosi nel parcheggio. E' davvero pericoloso percorrere la strada o è soltanto una trovata del punto di ristoro, situato nel bel mezzo del nulla, per fare clienti? Forse, non avrò mai una risposta. «Vado a prendere qualcosa da bere, vieni con me?»
«No, ti aspetto qui.» Triste, annuisce e scende dall'auto. Chiude lo sportello e lo seguo con lo sguardo mentre raggiunge, con le mani nelle tasche della giacca scamosciata, l'interno del posto. A Corey, magari, non importerà nulla del caso, ma non vorrei lo stesso deluderlo mai e so di averlo fatto mentendogli. Thomas non può capirlo. Prendo il telefono dalla borsa e lo trovo spento. Provo ad accenderlo, ma sul display compare l'icona della batteria scarica. Fantastico. Faccio aderire meglio la schiena al sedile. L'affermazione di Thomas mi ha infastidita e non ho voglia di bere tranquillamente qualcosa con lui.
Chiudo gli occhi. E se fosse soltanto geloso? In fin dei conti, prova qualcosa per me. Sospiro. Dovrei guardare le cose da più punti di vista e non soltanto dal mio. Prendo la borsa e lascio la macchina. Entro nel bar e trovo Thomas intento a sorseggiare un liquido trasparente. Posa i gomiti sul bancone e si volta soltanto quando il barista, notandomi, mi saluta cordialmente. Raddrizza la schiena per ricomporsi e lo affianco. «Che cosa hai preso?» , chiedo, portando lo sguardo sul suo bicchiere.
«Un Gin tonic» , risponde.
«Vuoi ubriacarti?» , domando, con tono di ammonimento.
«Avevo bisogno di qualcosa di forte» , si difende.
«Posso aiutarla?» Il barista, un uomo corpulento sulla cinquantina, si rivolge a me.
«Vorrei la stessa cosa che ha ordinato lui» , affermo, indicando il drink di Thomas. Il castano fa per dire qualcosa, ma gli porto un indice sulle labbra per fermarlo. «Sono troppo sobria per affrontare tutto questo. Se continuo così, avrò, prima o poi, un crollo emotivo.»
Incrocio le braccia sul bancone e poggio il mento sul dorso delle mani. Fisso la schiena del barista per qualche istante e sposto poi lo sguardo sui quattro uomini che, seduti ad un tavolo, stanno giocando a carte. Thomas non dice nulla. Mi allontano da lui per andare un attimo in bagno. Al mio ritorno, trovo pronto il mio drink. Lo afferro dal bancone e mando giù due generosi sorsi.
«Vacci piano, piccoletta» , mi ammonisce, sfilandomi il bicchiere dalle mani.
Tossisco e mi sento bruciare la gola. «Comunque, non mi piace mentire alle persone» , torno sul discorso di prima.
Sbuffa. «E a me non piace sentirti parlare di Corey o vederti insieme a lui mentre giocate a fingervi i genitori del piccolo Tim.»
Sgrano gli occhi. «Sei geloso» , affermo con sicurezza. Mi fulmina con lo sguardo.
«Vado a pagare quello che abbiamo preso.»
Si allontana per raggiungere la cassa e io lo inseguo. «Perché non lo ammetti?»
Mi ignora per un po' mentre estrae delle banconote dal portafogli che porge al barista. «Perché non è vero» , dice. Gli do un leggero colpetto su una spalla. «Smettila» , mi ammonisce. Mormoro il suo nome. «Mi scuserò per prima, ma non ammetterò mai di essere geloso di te. Non mi piace dire che sono geloso.»
Tossisco. «Lo hai appena fatto» , gli faccio notare.
Grugnisce. «Sei snervante» , commenta.
«Sei adorabile» , affermo, allegra. Gli bacio una guancia e le sue labbra si increspano in un sorriso.
La porta di vetro del bar si spalanca. «La carreggiata è di nuovo percorribile.» L'uomo che ci aveva fermati prima lascia cadere su un divanetto rosso la sua paletta e si toglie la giacca catarifrangente.
Io e Thomas ci rimettiamo in viaggio e raggiungiamo Sheffield. La casa di Rae è un po' fuori città ed è circondata da alberi. Sembra immersa in una foresta. Mi stringo nel cappotto, una volta scesa dall'auto, e Thomas mi affianca.
«Sei pronto?» , gli chiedo con fare apprensivo.
Oggi sta affrontando davvero troppo. «No, affatto.» Si morde il labbro inferiore e non smette per un attimo di osservare la villetta arancione a due piani, decorata, accanto alla porta di ingresso, con mattoncini in pietra. «Sono terrorizzato, Evie.»
Gli accarezzo un braccio. «Sono qui con te, Thomas, non sei solo.»
Ha gli occhi lucidi e mi fa terribilmente male vederlo in questo stato. «Terrorizzato dall'idea di potermi accorgere, varcando la soglia di quella casa, per la seconda volta in una giornata, di avere come pensiero principale il voler trovare quell'assassino, per saperti, dopo averlo sbattuto in carcere, al sicuro, e non i miei ricordi con Rae.» Incredula, schiudo un po' le labbra e sento il mio respiro farsi pesante. «Sono un mostro» , sussurra, abbassando il capo.
Ho un groppo in gola. Gli porto le mani sulle guance per permettergli di guardarmi. «No, non lo sei» , mormoro, cercando di non piangere. Io sono un mostro. Io che provo sentimenti contrastanti per lui e Corey.
«Non sono stato in grado di proteggere Rae e, forse, non l'ho amata abbastanza.»
«Capita che le relazioni finiscano, Thomas. So che l'hai amata. So che lo sapeva anche lei. Non hai alcuna colpa e sono sicura che anche Rae, se fosse qui, te lo direbbe.» Gli sfugge una lacrima e mi affretto ad asciugargliela. Mi mordo con forza il labbro inferiore per non scoppiare a piangere a mia volta. Voglio fargli forza. «Risolveremo questa situazione, te lo prometto.»
Mi porta i capelli dietro le orecchie. Chiude gli occhi, prende un respiro profondo, abbassa il capo e poi si allontana da me. Raggiunge la porta della villetta di Rae e sfila, dalla parete alla sua sinistra, tre mattoncini che posa a terra. Si china in avanti e afferra una scatoletta rettangolare in legno dalla fessura venutasi a creare. Estrae da essa una chiave che inserisce nella serratura e poi rimette ogni cosa al suo posto. Gli tremano le mani. Corro verso di lui e lo affianco.
«Quando tutto sarà finito, ci separeremo?»
«Come, scusa?»
«Se dovessimo trovare davvero lì dentro una prova che ci permetterà di identificare e far arrestare l'assassino di Rae e tutto, entro la fine della giornata, tornasse alla normalità, dopo, che cosa faresti?» Confusa, mi soffermo ad osservarlo. Sorride amaramente. «Ti avevo promesso che avrei risolto la situazione per assicurarci un futuro, ma lo vuoi ancora?» Spiazzata, resto in silenzio. «Che cosa provi per Corey?» Iniziano a tremarmi le mani. «E per me?»
Sconsolato, dopo un po', smette di osservarmi. Resto in silenzio e affondo le unghie nei palmi delle mani. Mi faccio coraggio, lo spingo contro la parete alla sua sinistra e lo costringo a guardarmi. «Ho bisogno di fare chiarezza nei miei sentimenti, ma sono certa che non ti abbandonerò mai.»
Mi trema la voce. Senza dire nulla, dopo qualche istante, mi stringe in un abbraccio. Affondo le dita nella sua schiena e lui mi porta una mano fra i capelli. Restiamo così, in silenzio, per un po'. Poi, una volta pronto ad entrare, Thomas apre la serratura. Varco la soglia della villetta al suo fianco. La testa mi gira e dei brividi mi attraversano il corpo una volta dentro. Fa terribilmente freddo. Mi stringo ulteriormente nel cappotto e porto lo sguardo sulle mie scarpe. Fisso poi il parquet chiaro che ricopre il pavimento della cucina alla mia sinistra, del salotto alla mia destra e dell'ingresso, con cui le altre due stanze, prive di porte, formano un ambiente unico. Thomas mi accarezza la schiena. Sollevo la testa e mi rendo conto di vederlo un po' sfocato.
«Stai bene?» Sembra più tranquillo di prima. O forse, come è giusto che sia, si sta concentrando unicamente sul caso. Risolveremo i nostri problemi una volta fuori da questa villetta. Annuisco. «Davvero? Non sembra.»
Sospiro. Non voglio farlo preoccupare. «Mi gira soltanto un po' la testa» , ammetto.
«Tremi» , constata.
«E ho freddo, ma non importa. Ricordati il motivo per cui siamo qui.»
Mi scompiglia i capelli con una mano. «Non c'è fretta, dobbiamo soltanto provare ad aprire una cassaforte. Gira l'angolo e siediti sul divano in soggiorno mentre accendo il camino.»
Lo ascolto e poi ruoto la testa per vederlo armeggiare con dei pezzi di legno di fronte alla porta d'ingresso. Mi raggiunge e, soddisfatto, sorride. «Fatto. Stai meglio?»
«Sì.»
In realtà, mi sento sempre più intontita. Si avvicina alla libreria, posta nel lato corto del salotto rettangolare, e fa uno sforzo per scostarla dalla parete. Scorgo la cassaforte. Thomas si inginocchia per aprirla. Socchiudo gli occhi e mi chino in avanti per vederci meglio. Sento uno scatto. Sussulta. «Sì, quella dietro la foto era proprio una combinazione» , mi informa, sorpreso e anche un po' eccitato. Tende una mano in avanti per prendere qualcosa e poi si alza in piedi.
«Un foglio?» , domando, mettendo a fuoco l'oggetto. «Siamo venuti qui per un foglio?» , chiedo, ancora, delusa.
«E' un testamento.»
Mi alzo in piedi e, barcollando, raggiungo il tavolo posto a pochi passi da Thomas che, fortunatamente, intento a leggere, non si è accorto di nulla. Mi aggrappo ad esso e lo costeggio per aiutarmi a raggiungere il castano.
«Hai scoperto qualcosa?»
Mi passa il pezzo di carta. E' turbato. Ha individuato l'assassino? Serra i pugni e colpisce il muro alle sue spalle. Spaventata, sussulto. Impreca. Chino la testa per leggere, ma non riesco a vedere bene e chiedo spiegazioni a Thomas.
«Il nonno di Rae le ha lasciato in eredità un bel po' di milioni di sterline.» Deglutisco. Sospetto, dalla sua furia, che ci sia dell'altro. «Ha lasciato tutto a lei e nulla a suo fratello.»
Non può essere davvero lui l'assassino, anche se questo ha tutta l'aria di essere un indizio lasciato da Rae.
Chi andrebbe contro la sua stessa famiglia per soldi? Thomas si passa le mani sul volto con energia.
«Dobbiamo avvertire Christopher.» Inizio a correre verso la porta di ingresso con il testamento fra le mani, ma, colta da un capogiro, precipito rovinosamente a terra accanto al camino.
Thomas, spaventato, grida il mio nome e fa per raggiungermi, ma si ferma sul posto quando la porta alle nostre spalle si spalanca di scatto.
«Non toccarla!»
Christopher regge una pistola fra le mani. E' furioso e la punta verso Thomas che sembra confuso tanto quanto me. Dietro di lui ci sono Faith e un ragazzo dai capelli biondi che mi sembra di aver già visto.
«Evie!» La mia collega fa per raggiungermi, ma lo sconosciuto la precede. Si accascia a terra dietro di me e mi aiuta a mettermi seduta. Con la vista appannata, provo comunque a squadrarlo. Che cosa sta succedendo? Faith si volta a guardare Thomas e scoppia a piangere. «Come hai potuto ucciderla?» Singhiozza. «Era la mia migliore amica!» , grida.
«Metti le mani dietro la testa e non muoverti» , ringhia Chris.
«Che cosa sta succedendo, Christopher?» , domanda Thomas, perplesso. Il poliziotto estrae dalla tasca dei pantaloni un tubetto di plastica. «Dove lo hai preso?» , chiede il castano, sempre più confuso.
«L'ho trovato io in negozio» , afferma Faith. Trema e continua a piangere. Infilza le unghie nei palmi delle mani.
«Sei stata tu» , mormora Thomas, incredulo. «Tu sei entrata in negozio per rubare le mie compresse e tu hai lasciato quella foto ad Evie!» , le urla contro.
«Non ti avrei mai permesso di fare del male anche a lei!»
«Io non ho fatto del male a nessuno!»
«Non è Thomas l'assassino» , mormoro con un filo di voce. Non mi ascoltano. Sono tutti troppo impegnati a gridarsi contro. «Il testamento, Chris» , sussurro, cercando di tendere un braccio verso il mio amico.
Il biondo alle mie spalle, senza troppa difficoltà, me lo strappa dalle mani. «Questo lo prendo io» , afferma, prima di appallottolarlo per lanciarlo nel fuoco.
Non riesco a chiedere aiuto. Le forze mi stanno abbandonando. «Chi sei?» , chiedo, spaventata.
«Dorian Evans, il fratello di Rae.»
Un urlo mi muore in gola e perdo i sensi.
•••
Riapro gli occhi e mi ritrovo in una stanzetta luminosa dalle pareti bianche.
Qualcuno mi sta tenendo la mano. Sollevo lo sguardo e sussulto accorgendomi di avere davanti Mark, il mio ex ragazzo, attuale commissario della polizia di Nottingham.
«Che cosa sta succedendo?»
Cerco di mettermi seduta, ma il biondo ridacchia e mi porta una mano sulla spalla per tenermi sdraiata. «Sei sempre così turbolenta, Evie» , commenta.
«Dove sono Thomas e gli altri?» Abbassa lo sguardo. «Perché sei qui? Sono in ospedale? Che cosa mi è accaduto? Dimmi qualcosa!»
Sospira. «Ti sei appena svegliata, come fai ad avere già così tanta energia?»
«Mark!»
«Il tuo amico, adesso, è con Christopher.»
«In commissariato? C'è stato un malinteso, Mark. Thomas non mi avrebbe mai fatto del male» , spiego.
«Lo so, Evie» , afferma. «Infatti ti abbiamo trovata drogata nel bagagliaio della macchina di Chris, non in quello della sua.»
«Drogata?» Strabuzzo gli occhi. Non è possibile.
«Droga liquida» , mi informa. «Ricordi di aver bevuto qualcosa?»
«Un cocktail in una stazione di servizio» , mi affretto a rispondere.
«Mandami la posizione del posto in un messaggio. Passerò lì il prima possibile.» Annuisco. Ho il fiato pesante. Mark mi accarezza il dorso della mano con il pollice e mi sorride in modo incoraggiante. «Comunque, va tutto bene, ora sei al sicuro. Sono entrambi in stato di fermo, nessuno ti farà del male.»
«In stato di fermo?» , grido. «Stai dando i numeri?» , sbotto.
E' un commissario, ma non mi importa. Arresti pure anche me, tanto, a quanto pare, mettere in cella gli innocenti gli riesce benissimo. Sospira e si passa una mano fra la barba incolta.
«So che è difficile da accettare, ma hanno cercato di uccidere te e l'altra ragazza.»
Rischio di strozzarmi con la saliva e inizio a tossire. «Faith?» Annuisce.
«E' a Sheffield. La stanno operando. Il proiettile che l'ha colpita è partito dalla pistola di Christopher.»
«Non è possibile» , mormoro sul punto di piangere. «C'è sicuramente una spiegazione, Mark.» Mi avvinghio alla sua divisa e lo scuoto. «Conosci anche tu Chris e sai che non farebbe mai del male a nessuno.»
Mi accarezza i capelli. «Tutte le prove sono contro di loro, Evie.»
Scoppio a piangere e lui mi abbraccia. «Thomas non avrebbe mai fatto del male a Rae e nemmeno a me e a Faith e lo stesso vale per Christopher» , cerco di convincerlo. «L'assassino è Dorian Evans» , affermo.
Il biondo mi allontana dal suo corpo. «Sono accuse pesanti» , dice, invitandomi a fare silenzio per non farmi sentire da nessuno. «Puoi provarmelo?»
Faccio per dirgli di sì, ma poi ricordo il testamento gettato fra le fiamme. «Adesso no» , mormoro, abbassando il capo. «Ma ti assicuro che Thomas e Christopher sono innocenti» , insisto. «Fammi parlare con loro» , lo supplico.
Scuote la testa. «In questo momento, non posso farlo, ma cercherò di farteli vedere al più presto.»
Sospira. E' soltanto un incubo, non c'è altra spiegazione. Chiudo gli occhi, ma quando li riapro mi ritrovo ancora in ospedale con Mark che, confuso, mi osserva. «Sono innocenti, tirali fuori dal carcere» , tento nuovamente di convincerlo.
Sospira. «Christopher è mio amico e, se quello che dici è vero, sarò felice di farlo. Al momento, però, nulla prova la loro mancanza di colpe e non posso scagionarli. Hanno accusato, come te, il signor Evans, che è stato invitato a tenersi sempre a disposizione della polizia, ma, fino a quando non ci saranno prove concrete contro di lui, non potrò liberarli.» Prima che possa ribattere, mi accarezza una guancia e resto in silenzio. «Ti assicuro, però, che farò il possibile per aiutarli.»
Mi sorride. Ci siamo lasciati, è vero, ma in buoni rapporti. Si è sempre preso cura di me e io di lui e gliene sono grata.
Un colpo di tosse ci fa voltare entrambi verso la porta. «Hanno rapinato una gioielleria, dobbiamo andare.» Un ragazzo in uniforme mi osserva, incuriosito. E' biondo e ha i capelli tirati indietro, tenuti fermi da un'eccessiva quantità di gel. Mark annuisce e si alza in piedi.
«Allora, ti aggiorno quando ho qualche novità.» Fa per andare via, ma poi si ferma. «Ti sei ripresa, quindi, secondo quello che mi ha detto un'infermiera qualche minuto fa, puoi lasciare l'ospedale anche tu. Ti stanno aspettando dei ragazzi qui fuori» , mi informa.
Mi saluta e poi abbandona la stanza. Agitata, mi metto in piedi. Sistemo il letto e mi guardo intorno. La mia borsa, il mio cappotto e la mia sciarpa sono su una sedia. Li prendo e raggiungo il corridoio. Noto Corey e Léon in sala d'aspetto. Il castano, sentendo dei passi, solleva la testa e, alla mia vista, scatta in piedi. Corey, notando il movimento dell'amico, alza il capo e si sofferma a guardarmi. Mi sento mancare il respiro per un attimo. Léon corre verso di me, mi raggiunge e poi mi abbraccia. Qualcosa di umido mi bagna i capelli e quando si allontana da me noto che ha gli occhi rossi e lucidi.
«Hanno arrestato Christopher» , mormora con voce più acuta del normale. Accenna anche a Faith e fermo il suo racconto dicendogli di sapere già tutto. «Non può andare così» , dice, infuriato e triste allo stesso tempo. «Credevo che, fra i due, quello che sarebbe finito in carcere, prima o poi, sarei stato io» , cerca di sdrammatizzare, forzando un sorriso.
«Lo tireremo fuori, te lo prometto. Lui e Thomas sono innocenti» , affermo con sicurezza. Non dubiterò mai di loro. Non so come siano andate realmente le cose, ma sono fermamente convinta del fatto che siano entrambi innocenti. «Ho un amico in polizia che ci aiuterà a scagionarli.»
«Chi?»
«Il commissario.»
«Cavoli, è un pezzo grosso» , commenta.
Corey ci raggiunge. Mi guarda in modo severo, ma poi sospira. «Vieni qui.» Mi prende per mano e mi getta fra le sue braccia. Mi stringe con forza e io faccio lo stesso. Singhiozzo e lui cerca di tranquillizzarmi. «Faith starà meglio e racconterà a tutti come sono andate le cose. Thomas e Chris saranno di nuovo con noi prima del previsto» , afferma. «E, se Faith non dovesse svegliarsi subito, troveremo comunque un modo per far uscire quei due di prigione.»
«Sì, per quanto sia allettante l'idea di quel sociopatico lontano da te e dietro le sbarre, lo aiuteremo comunque» , tenta di smorzare la tensione Léon. Io e Corey gli rivolgiamo un'occhiataccia. «Scherzavo, ragazzi!» , si difende, sollevando le mani in segno di resa. «Comunque, vado a prendere la macchina. Dovremmo tornare a Sheffield da Faith. La stanno operando.»
Con decisione, annuisco e lui corre via. Resto sola con il rosso e tentiamo, invano, di inseguirlo. Le porte dell'ascensore si richiudono e, sbuffando, aspettiamo che sia libera e la richiamiamo. Torna al nostro piano e ci entriamo dentro. Corey fissa il vuoto.
«Ti ho mentito» , affermo.
«Lo so, per questo ti ho attaccato una microspia addosso.»
Incredula, sbarro le palpebre. «Stai scherzando, vero?»
Si volta a guardarmi, serio. «Come avrei dovuto trovarti, altrimenti, se ti fosse accaduto qualcosa?»
«Mi dispiace» , sussurro, triste. Resta in silenzio. «Ma avevo promesso a Thomas di non parlare a nessuno del caso di Rae.»
«Thomas ti ha coinvolta in una missione suicida!» , grida. «Perché continui a fare di tutto per lui e a non fidarti di me?»
«Io mi fido di te!»
«Mi hai mentito!»
«E' giusto che tu sia arrabbiato.» Faccio per dire altro, ma inizia a parlarmi sopra.
«Io non sono arrabbiato, Evie.» Viene verso di me. «Sono incazzato» , precisa. «E deluso.» Mi blocca contro la parete metallica dell'ascensore. «Ed è un bene che tu sia viva e che Thomas sia al sicuro in carcere perché, se lo avessi fra le mani in questo momento, ci finirei io in prigione e sentiresti parlare di noi su tutti i notiziari.» Una vena gli pulsa all'altezza della tempia. Non l'avevo mai visto così infuriato. Si allontana da me e mi dà le spalle. «Ti ha messa in pericolo e la polizia ti ha trovata drogata in un portabagagli» , mormora, incredulo, passandosi le mani sul volto.
«Sai che ti dico?» Una scarica di adrenalina mi attraversa il corpo. «Se avessi potuto, non ti avrei comunque parlato di Rae perché preferirei rischiare di morire e combattere da sola contro un criminale, piuttosto che chiederti aiuto e metterti in pericolo.»
Corey barcolla e si accascia a terra. Fermo l'ascensore e mi precipito da lui. «Che cosa sta succedendo?»
«Sei claustrofobica» , mi ricorda.
Gli tocco il viso. E' estremamente caldo. Gli porto le mani all'altezza delle tempie e gli bacio la fronte. «Hai la febbre» , constato, preoccupata. «E sembra essere molto alta.» Indossa soltanto una felpa. «Perché dormi a torso nudo e giri senza nemmeno una giacca?»
«Non ho avuto il tempo di metterla, dovevo venire a salvarti.»
Sospiro e mi sfilo di corsa la sciarpa e il cappotto per coprirlo. Lo aiuto ad alzarsi e faccio ripartire l'ascensore. Quando le porte si aprono, usciamo e ignoriamo le proteste delle persone che l'attendevano. Raggiungiamo Léon nel parcheggio ed entriamo in macchina. Mi siedo dietro con Corey e urlo al castano di sbrigarsi a tornare a casa.
«Sei nel tuo periodo rosso del mese?»
Gli do un colpetto sulla nuca e lui protesta.
«Corey ha la febbre. Non possiamo portarlo con noi a Sheffield» , lo informo.
Guarda l'amico con fare apprensivo. «Va bene, per questa volta, infrangerò i limiti di velocità.»
«Per questa volta?» , domando.
«Mi stai dando del criminale?» Si finge offeso. Si passa una mano fra i capelli e poi sorride. «Va bene, un po' lo sono.»
«Sbrigati!»
Sbuffa. «Sei snervante.» Mette in moto e raggiungiamo il nostro palazzo in pochissimo tempo. Una volta davanti all'appartamento dei due, Léon suona il campanello, ma Alex non viene ad aprire. «Quel ragazzino è incredibilmente pigro.»
Il fratello di Chris estrae le chiavi di casa dalla giacca e le inserisce nella serratura. Apre la porta e ci fa passare per primi. Le luci sono spente.
«Alex!» , urlo, non ricevendo alcuna risposta.
La porta che divide i due appartamenti si spalanca di colpo. Tre uomini fanno il loro ingresso nella stanza. Sono vestiti di nero, hanno il volto coperto ed imbracciano tutti un fucile. Un grido particolarmente acuto mi fa voltare verso Léon.
«Che c'è? Non posso avere paura anche io, qualche volta?»
Il cuore mi martella nel petto. Corey, stordito, socchiude gli occhi per mettere a fuoco i tre. Una freccetta fucsia raggiunge il collo di Léon, seguita subito da un'altra. Il castano si accascia a terra. Faccio da scudo col mio corpo a Corey e vengo colpita più o meno nello stesso punto di Léon. Le freccette raggiungono anche il rosso.
«No, non di nuovo» , sbuffo, prima di cadere al suolo, seguita a ruota da Corey, e di perdere i sensi.
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Salve, gente! Questo capitolo è molto incasinato, ma spero che vi piaccia. Scoprirete nell'extra che posterò a breve che cosa è accaduto a Faith, Thomas e Christopher dopo che Evie è svenuta.
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