14 - In ostaggio
Svegliata da un frastuono, apro di scatto le palpebre. Thomas si sta reggendo un ginocchio con entrambe le mani e accanto a lui, sul pavimento, c'è la lampada che, prima di addormentarmi, avevo visto sul comodino. Mi passo una mano sul volto e cerco di sembrare il meno possibile intontita.
«Che cosa è successo?»
Indossa unicamente i pantaloni della tuta. Sono grigi e larghi. «Dobbiamo già andare in negozio?»
Lui ride e si rialza. Si siede sul materasso e inizia ad accarezzarmi i capelli. «Non hai nessun turno oggi» , mi ricorda. «E, anche se lo avessi avuto, non ti avrei comunque fatta scendere di casa alle sette del mattino» , aggiunge.
Mi stropiccio gli occhi. Sono soltanto le sette? «Perché sei già sveglio?»
«Devo andare a pulire il disastro che ho combinato nel mio ufficio.»
Resto in silenzio e inizio a ricordare gli avvenimenti della sera precedente. Mi tornano in mente Christopher, Corey, Léon, Thomas e la sua incapacità di gestire la rabbia. «Vengo ad aiutarti.»
Faccio per alzarmi, ma mi porta una mano sulla spalla per tenermi distesa sul letto. «Rilassati e resta a dormire. Ti ho preparato anche la colazione.»
Mi sfugge un sorriso. «Quindi, non stavi venendo a svegliarmi?»
Ride e scuote il capo. «No, era esattamente ciò che volevo evitare. Stavo venendo a darti un bacio prima di scendere, ma sono andato a sbattere contro il comodino e ho fatto cadere la lampada» , mi informa. Mi mordo il labbro inferiore per trattenere una risata e mi copro la bocca con il lenzuolo per non farglielo notare. «Lo trovi divertente?» Inarca un sopracciglio.
«No» , sussurro con poca convinzione.
Ghigna e poi si posiziona a cavalcioni su di me per iniziare a solleticarmi il collo. Scoppio a ridere e cerco di spingerlo via. «Pensi che sia maldestro?»
«Un po'» , ammetto, quasi con le lacrime agli occhi. Riesco a gettarlo sul materasso e mi posiziono con le braccia incrociate, su cui poso il mento, sul suo torace. Mi accarezza una guancia e io sorrido mentre lo guardo. Si dà una leggera spinta per sollevarsi e mi bacia per poi ricadere con la testa sul cuscino. Gli porto le mani sulle guance e gli sfioro una tempia con le labbra. Si alza e mi spinge sotto di lui per poi baciarmi di nuovo. Mi guarda dall'alto e sorride. Si distende su un fianco accanto a me e mi stringe fra le sue braccia. «Non andartene» , quasi lo supplico.
«Devo» , mormora, prima di darmi un bacio sulla fronte.
Mi accarezza la schiena e io gli porto una mano su una spalla. «Se andrai via prima di me, quando uscirò non potrò chiudere a chiave la porta. Vuoi forse rischiare che ti entrino i ladri in casa?» , tento di convincerlo.
Ride. «Pensi che sia così poco previdente? Ho già deciso di lasciarti le chiavi dell'appartamento.»
Sorpresa, schiudo leggermente le labbra. «Ti fidi di me?»
«Certo» , sussurra, prima di accarezzarmi una guancia. Mi bacia e poi si mette seduto. Triste, sospiro. «Riportamele in negozio, dopo essere scesa» , afferma. Mi limito ad annuire. «E sorridi. Non ti sto affidando un compito in qualità di tuo datore di lavoro, sto soltanto trovando una scusa per vederti di nuovo prima che finisca la giornata.»
Ammicca e arrossisco. Mi sembra tutto così surreale. Non voglio ancora chiedergli di ieri. Non voglio parlare del suo problema adesso e rovinare questo momento.
•••
Sono le otto e mezza del mattino e pare che Faith non sia ancora in negozio. Entro nello studio di Thomas e gli sorrido. Quasi non mi nota. Sembra particolarmente turbato e decisamente diverso da quando eravamo a casa sua. Mi avvicino alla sua scrivania e gli lascio sotto al viso le chiavi che mi aveva affidato. Solleva la testa e mi ringrazia. Il suo sguardo è spento. Preoccupata, gli passo una mano fra i capelli. Mi blocca le dita e, sorpresa, mi irrigidisco.
«Potrebbe arrivare Faith da un momento all'altro» , mi fa notare.
Ritraggo la mano. «Mi avevi detto che non era un problema che tu fossi il mio capo» , gli ricordo.
Sospira e si alza. Si avvicina alla porta e la chiude. «Hai ragione» , afferma.
«E allora che cosa sta succedendo?» , domando, confusa.
Serra le mani a pugno, prende un respiro profondo e poi si rilassa di nuovo. «Non sono pronto ad avere una relazione.»
Mi ha presa in giro ieri notte? «E' per il tuo problema? Ti capita spesso di avere attacchi d'ira? Lo supereremo insieme, Thomas» , dico con sicurezza.
«Poche volte, in realtà» , ammette, facendomi sentire un po' più sollevata. «Ma non è per quello.»
«E per cosa, allora?»
Resta in silenzio. Una lacrima mi riga una guancia. Credevo si fidasse di me. Credevo tenesse a me. Invece, mi sbagliavo. Sa soltanto nascondermi ciò che gli passa per la mente. Sa soltanto farmi del male. A testa bassa, mi dirigo verso la porta del suo ufficio, pronta ad aprirla per andarmene. Serra una mano intorno al mio polso per fermarmi.
«Prima di conoscerti, ho avuto una ragazza. E' morta e io non sono pronto a legarmi di nuovo a qualcuno.»
Sorpresa, sgrano le palpebre e mi volto a guardarlo. «Non lo sapevo, mi dispiace» , dico con sincerità.
Iniziamo entrambi a fissare il pavimento. Troppe emozioni contrastanti si stanno facendo spazio in me in questo istante.
«Un giorno, se vorrai, te ne parlerò. Spero che tu possa capirmi.»
Deglutisco. «Capisco la tua decisione» , ammetto. «Ma non il comportamento che hai avuto fino a un'ora fa. Se sapevi che le tue intenzioni erano queste, potevi evitare che accadesse qualcosa fra noi o dirmi subito la verità. Sono delusa, non voglio nascondertelo, ma accetterò ciò che sta accadendo e cercherò di starti lontana il più possibile per non metterti in difficoltà. Se avrai bisogno di me, comunque, ci sarò. Adesso, scusa, ma devo proprio andare.»
Invoca il mio nome, ma non do peso alla cosa. Lascio l'enoteca e raggiungo la macchina di Adam. Mi ricordo di avere un cellulare e lo prendo dalla borsa. Lo accendo e mi accorgo di aver ricevuto una marea di chiamate da Adam, Corey, Léon, Gabriel e perfino tre da Christopher questa mattina. Con i due fratelli parlerò a voce, di Corey non voglio saperne nulla e chiamerò Gabe dopo Adam, che ha la priorità su tutti. Gli ho praticamente rubato la macchina, come minimo gli devo delle spiegazioni. Metto in moto l'auto e raggiungo il nostro palazzo. Compongo il numero del cugino di Chris e faccio partire la telefonata. La voce squillante del moro quasi mi fora un timpano.
«Che fine hai fatto?»
«Sono sotto casa con la tua macchina. Ti spiegherò tutto fra poco.»
Porto gli occhi sulla strada e non mi accorgo di un ragazzino che apre lo sportello anteriore della vettura e si siede al mio fianco. «Portami al centro commerciale» , ringhia.
Ignoro per un attimo Adam e, sconvolta, mi volto verso di lui. «Mi hai forse scambiata per un taxi?»
Mi osserva con aria spavalda e poi ghigna. Ha le orecchie a sventola, due vispi occhioni verdi e i capelli castani. E' molto magro e sembra abbastanza giovane. Non gli darei più di diciannove anni. Estrae qualcosa dalla tasca. Qualcosa che mi avvicina alla gola. Un coltello, per la precisione. «La mia ti sembrava forse una domanda? Chiudi subito la telefonata e inizia a guidare.»
Deglutisco. Adam, intanto, continua ad urlare per farsi notare. Termino la chiamata e lancio il cellulare sui sedili posteriori. Temendo possa farmi del male, parto, diretta verso la meta che mi ha praticamente ordinato di raggiungere.
•••
Mi fermo di fronte all'ingresso del centro commerciale e mi allungo in avanti per aprire lo sportello al ragazzino. «Bene, siamo arrivati» , gli faccio notare. «Adesso, scendi.»
Inarca un sopracciglio. «E tu? Dove pensi di andare?»
«A casa» , rispondo, ovvia.
Ride. «Non girerò da solo per i negozi.»
Raddrizzo la schiena. «Dovrei venire con te?»
«Certo.»
Questa volta, sfugge a me una risata. «Non lo farò, non siamo amici. Sono qui soltanto perché mi hai rapita» , gli ricordo.
Fa ondeggiare, con fare sbrigativo, alcune dita verso il mio viso. «Quante storie» , commenta.
Sconvolta, mi porto una mano sul petto e gli rivolgo un'occhiata schifata. «Non ti ho mica fatta a pezzi. Parcheggia e scendiamo.»
«Non se ne parla» , mi impunto. Fa aderire il suo coltello al mio fianco.
Sollevo le mani in segno di resa. «Va bene, parcheggio» , cedo. «Ma fai sparire quel coso. Il dover andare in retromarcia mi mette ansia in condizioni normali, figuriamoci con un'arma puntata contro. Vuoi forse che colpisca un'altra macchina?»
Rotea gli occhi e nasconde l'oggetto nella tasca della sua giacca di pelle scura. Sistemo l'auto fra altre due e scendiamo. Mi impone di non chiedere aiuto a nessuno e di comportarmi come se la nostra fosse una normale uscita fra amici. È armato e non me la sento di contraddirlo. Entriamo nell'edificio e, seccata, sbuffo. Lo squadro da capo a piedi e arriccio il naso alla vista dei suoi risvoltini.
«Ti si è allagata casa?»
Confuso, si volta verso di me e gli indico con un cenno del capo i pantaloni. «Fatti gli affari tuoi» , prova a zittirmi. «Sei la mia accompagnatrice, non una consulente d'immagine.»
«Se il tuo sogno era quello di trovare una ragazza che se ne stesse in silenzio a guardare quei cosi osceni, avresti dovuto rapirne un'altra.»
«Se il mio sogno fosse stato quello di trovare una ragazza che se ne stesse in silenzio, avrei fatto prima a rapire un ragazzo, perché è praticamente impossibile che vi venga voglia di tenere la bocca chiusa.»
«Misogino» , lo apostrofo, infastidita.
«Che cosa significa?» Prima che possa rispondergli, mi porta un indice sulle labbra e, sbigottita, lo osservo. «Anzi, non dirmelo, non mi interessa, ma, nel caso mi avessi offeso, sappi che sei una rompiscatole.»
Irritata, sbuffo e lui ride. Ricominciamo a camminare e ci fermiamo quando, incantato, inizia ad osservare un coppia seduta al tavolino di un bar.
«Sei una persona romantica?» , domando, sinceramente meravigliata. Rotea gli occhi.
«Ma ti pare? Stavo guardando i pancakes di quella ragazza» , risponde, seccato.
«Cinico» , sussurro.
«Rompiscatole» , ribatte.
«Hai un lessico povero.»
«Hai un lessico povero» , mi scimmiotta. Gli rivolgo un'occhiataccia. «Comprami dei pancakes, prima che mi venga voglia di affettarti un braccio» , mi minaccia.
Sbuffo e fermo una cameriera per comunicarle la nostra intenzione di sederci ad un tavolo. Ordiniamo da mangiare e restiamo per un po' in silenzio. «Te li avrei comprati comunque.» Il ragazzino si volta a guardarmi e, confuso, inarca un sopracciglio. «I pancakes» , dico.
Rotea gli occhi. «Non ci credo» , afferma.
«Beh, è la verità. Mi fai pena, nonostante tu mi abbia rapita. Sembri tanto solo e bisognoso di affetto.»
Mi fulmina con lo sguardo. «Ti sbagli» , sentenzia.
«Prova a negare anche soltanto una delle due cose» , lo sfido.
Resta in silenzio e mi dà le spalle. «Sono abituato alla solitudine. A casa, mia madre non aveva tempo per me perché doveva occuparsi dei miei fratelli più piccoli e, a quanto pare, anche mio fratello, adesso che sono venuto a stare da lui, mi abbandona per correre dietro alla sua fidanzata sparita chissà dove dopo una litigata.»
«Non mi avresti mai fatto del male, vero? Cercavi soltanto un po' di compagnia.»
«Fai silenzio, prima che ci ripensi.» Trattengo a stento la voglia di tirare un sospiro di sollievo. «E smettila di essere così gentile, mi fai quasi sentire in colpa per averti minacciata» , aggiunge.
«Non sono gentile, ho soltanto cercato di mettermi nei tuoi panni per un istante» , ammetto.
Ruota di nuovo la testa per osservarmi. «Perché?»
«Per arrivare, ogni volta, ad una soluzione pacifica, è importante capire il punto di vista di tutti.»
Ride. «E questa chi te l'ha insegnata?»
«L'esperienza» , rispondo. «Se avessi denunciato l'uomo che mi aveva rapita, non avrebbe mai più riabbracciato sua figlia che sarebbe cresciuta con uno psicopatico che, prima o poi, avrebbe cercato comunque di ucciderla.»
Sbigottito, sgrana le palpebre. «Hai già fatto l'ostaggio?»
«Mitch aveva una pistola, tu sei soltanto un novellino.»
Sorride, divertito. Il cellulare inizia a squillarmi. Perdo un battito quando mi accorgo che mi sta chiamando Corey.
«Rispondi, ma non provare a chiedere aiuto.»
Annuisco e faccio partire la telefonata. Il cuore inizia a battermi forte quando sento la voce del rosso. Non abbiamo ancora chiarito l'accaduto di ieri sera.
«Dove sei?»
«Adesso, non posso dirtelo.» Devo improvvisare una conversazione per non far capire al ragazzino che non ho ascoltato ciò che mi ha detto di fare e che sì, sto proprio cercando di far capire ai miei amici in che situazione mi trovo. «Non sono ancora pronta a scegliere se mangiare il pollo o la pizza a cena.»
Prego che Corey capisca che soltanto la prima parte della mia risposta è quella che lo condurrà da me.
«Adam ha sentito qualcuno parlarti durante la vostra telefonata. Mi ha detto che ti ha minacciata. E' lì con te?»
«Sì, mi va bene vedere un film più tardi.»
Sospira. «Ti ha fatto qualcosa?»
«No, non un horror. Lo sai che mi spaventano.»
«E' armato?»
«Sì, preferisco decisamente le commedie.»
Lo sento imprecare. «Prova a spiegarmi dove sei.»
«Quel posto in cui siamo stati insieme una volta, sì, il film con Johnny Depp.»
Il ragazzino, perplesso, inizia ad osservarmi ed inarca un sopracciglio. «In un bar?»
«No, non è quello con Freddie Highmore»
«A scuola di Adam?»
«Nemmeno!» , quasi urlo, attirando l'attenzione di tutti. Me ne rendo conto ed abbasso nuovamente il tono della voce. «Johnny non ha girato nessun film con Brad Pitt, o almeno credo. Le regole del cinema impongono un solo manzo a pellicola.»
Mi sfugge una risatina isterica. Il ragazzino mi rivolge un'occhiata schifata e arriccia il naso. «Sei imbarazzante, amore. Comunque, sei al centro commerciale?»
«Sì, proprio quello!»
«Pancakes!» , dice la cameriera che ci ha appena portato le nostre ordinazioni.
«Stai mangiando?»
«E' una lunga storia, davvero una lunga storia. Durerà almeno due ore, ma ti piacerà.»
«Non muoverti, corro a salvarti.»
Chiude la telefonata e io, dopo averlo salutato a vuoto, faccio lo stesso. Inizio a tagliare i pancakes con straordinaria lentezza. Mastico una marea di volte ogni mio piccolissimo boccone.
«Hai intenzione di finirli domani mattina?»
No, ragazzino, mi basta soltanto riuscire a trattenerci qui per un'oretta o meno. «No, tranquillo.»
•••
Delle urla mi fanno voltare di scatto.
«Alexander!» Corey corre verso di me con Adam, Léon e Gabriel al seguito. Tiro un sospiro di sollievo e lascio cadere le posate nel piatto. Ci ha messo soltanto venti minuti ad arrivare. Afferra il ragazzino per il colletto della giacca e lo solleva dalla sedia. «Se provi di nuovo a farle qualcosa, ti scuoio e con la tua pelle ci rivesto un tamburo» , lo minaccia.
Mi alzo per abbracciare Léon e risparmio la domanda che vorrei tanto porgere al rosso. Come fa a conoscere il ragazzino?
«Non le ho fatto nemmeno un graffio!» , si difende lui.
«Sì, è vero» , ammetto, allontanandomi soltanto per un attimo dal fratello di Chris. Corey lo lascia andare. «Come stai, Léon?»
«Non benissimo» , ammette.
«Ti prometto che ti aiuterò a risolvere la faccenda.»
Mi sorride. Adam lo spinge dietro di sé con una mano e si sofferma a guardarmi. Si porta quattro dita sulle labbra e pare stia trattenendo a stento le lacrime. «Come sta la mia bambina?»
«Bene, l'ho parcheggiata senza rigarla» , affermo, estraendo dalla borsa le chiavi della sua auto per poi porgergliele.
«Parlavo di te, sciocca!» Mi abbraccia e io, sorpresa, sorrido. Gabe mi saluta con un cenno del capo. «Perché non sei tornata a casa?»
«Chris non vuole più vedermi» , dico, triste.
Si allontana di scatto da me e quasi fa combaciare il pollice e l'indice della mano sinistra. «Mio cugino, stamattina, era a tanto così dall'avere una crisi isterica. Ieri era furioso, ma sa che non hai colpe.» Si volta verso il coinquilino del rosso. «Come non ne ha lui e non ne ha suo fratello» , afferma, dandogli una pacca sulla spalla. Léon, commosso, sorride. «Avrà soltanto bisogno di un po' di tempo per accettare la cosa» , aggiunge.
Spero con tutto il cuore che la situazione si risolva. Mi volto verso Corey e il ragazzino. «Come fai a conoscerlo?»
«E' mio fratello, Evie.»
Rischio di strozzarmi con la saliva. Il piccolo criminale spalanca la bocca. «Tu sei Evie? Ha girato tutta la città per cercarti! Che fine avevi fatto?»
Incrocio le braccia al petto. «Perché sembra quasi che tu mi stia rimproverando?»
«Perché lo sto facendo! Che razza di fidanzata sei? Perché non lo hai insultato e basta invece di sparire?»
Spalanco gli occhi e lo stesso fa il rosso. «C'è stato un malinteso, non stiamo insieme» , si affretta a spiegare.
«Non rimproverarmi, ragazzino. Non ti denuncio soltanto perché sei suo fratello e perché, per fortuna, non mi hai torto un solo capello» , lo avverto.
Gabe si fa spazio fra la folla per stringere una mano al fratellino di Corey. «Pensavo anche io che fossero una coppia» , dice. Gli do un colpetto sulla nuca. «Sono Gabriele, Gabriel per la famiglia di papà, ma tutti mi chiamano Gabe e mi sento di dirti che ti capisco. Cercavo tranquillità e mi sono trasferito da mia cugina, ma poi mi sono ritrovato in mezzo a questi drammi adolescenziali.»
Io e il rosso, offesi, iniziamo ad insultarlo.
«Alexander, piacere di conoscerti. Chiamami pure Alex. Mi sono trasferito da mio fratello per lo stesso motivo e mi ritrovo nella tua situazione.»
Mentre i due iniziano a socializzare, ricordo le parole dette da Corey a Léon la sera precedente e, delusa, lo ringrazio per l'aiuto e poi mi allontano dal gruppo. Mi insegue e, per fermarmi, mi porta una mano su una spalla.
«Dobbiamo parlare» , dice.
«Perché? Nemmeno ti importa di me.»
Sospira. «Sono stato un idiota, non pensavo realmente quelle cose.»
«No, non sei stato un idiota» , affermo, prima di apostrofarlo con un appellativo peggiore.
Una signora anziana e suo marito, sconvolti, si girano a guardarmi e poi, spaventati, affrettano il passo per allontanarsi.
«Usciamo fuori, prima che tu possa traumatizzare qualcuno.»
Prova a prendermi per mano, ma gli rivolgo un'occhiataccia. Sospira e inizia a camminare in silenzio. Lo seguo e, una volta fuori, ci fermiamo in un punto appartato del parcheggio.
«Mi hai delusa, Corey.»
«Non volevo.»
«Perché hai detto che non ti importa nulla di me? Lo pensi davvero?»
«No!» Si passa le mani sul volto e fra i capelli. «Credevo che ci fosse qualcosa fra te e Léon e che, se gli avessi detto che tenevo a te, avrei potuto ferirlo.»
«Siamo soltanto amici!» , sbotto. Quando tutti lo capiranno, sarà sempre troppo tardi.
«Vi siete baciati» , mi fa notare.
«Mi ha baciata» , preciso. «E abbiamo già chiarito la cosa» , aggiungo.
Sospira. «Mi dispiace per quello che è accaduto, puoi perdonarmi?» Fingo un'espressione imbronciata, ma poi sorrido e lui fa lo stesso. Lo abbraccio e lui mi accarezza i capelli. «Che fine avevi fatto ieri notte?» Mi sento in imbarazzo. Per qualche motivo, mi spaventa l'idea di dirgli di Thomas. «Evie?» Ma non posso mentire. Non a lui.
«Ero a casa di Thomas.»
Si irrigidisce e mi lascia libera. «Ti ha soltanto offerto una cioccolata calda, vero?» Abbasso lo sguardo. «Non ci credo! Sei andata a letto con lui!»
Gli chiedo di abbassare la voce.
«Fratellone, possiamo prendere il pollo per cena?»
Ci voltiamo verso il centro commerciale. Alex si sta sbracciando per farsi vedere. Dietro di lui ci sono Adam, Léon e Gabriel.
«Fila in macchina!» , gli urla il rosso, lasciandolo di stucco.
«Cuginetta, andiamo a casa?»
Stringo i pugni. «Non ora, Gabe!»
«Non siamo fidanzati» , ci scimmiotta Alexander.
«Sparite!» , urliamo, all'unisono, io e Corey. I quattro sollevano le mani in segno di resa e si allontanano.
«Si, è accaduto» , ammetto, esitante.
Per quale motivo mi sento in colpa?
«Sei andata a letto con quel sociopatico mentre ti cercavo, disperato, per tutta la città!»
«E io che cosa ne potevo sapere? Avevi detto che non ti importava nulla di me!»
«Certo che mi importa di te, Evie!» Si porta le mani sul viso e prende un respiro profondo. Scoppia a ridere. «E' per questo che non rispondevi a nessuna chiamata» , ipotizza. «Ti sei divertita?» , mi schernisce.
Irritata, reprimo la voglia di dargli uno schiaffo e mi limito a provocarlo. «Sì, molto.»
«Bene» , ringhia.
«Benissimo» , ribatto. Mi rivolge un'occhiataccia e poi si incammina verso sinistra. «Vai da un'altra parte! Devo andarci io da quella per prendere la macchina!» , gli grido.
Si ferma sul posto. «Anche noi abbiamo parcheggiato la nostra da questo lato!»
Corro verso di lui e lo affianco. «Vado prima io e poi tu!»
«Bene!»
«Benissimo!» , continuo ad urlare.
«Abbassiamo il tono della voce! Ti mando Adam e Gabe!»
«Bene!» , ribatto. Mi accorgo di aver gridato di nuovo e mi porto una mano sulle labbra. «Bene» , sussurro.
«Benissimo» , sentenzia.
Gli do le spalle e, a testa alta, vado via. Di questo passo, non faremo mai pace.
•••
Ho chiarito con Christopher. Ci siamo abbracciati e lui si è scusato per avermi trattata male ieri sera. Gli ho promesso che gli starò accanto e che lo aiuterò a stare meglio e lui crede in me. Sa che si riprenderà e che non lo abbandonerò. Non è pronto per riappacificarsi con Léon, ma sono sicura che, prima o poi, risolveranno la situazione e impareranno a volersi bene.
Nonostante tutto, sono le dieci di sera e mi ritrovo seduta a piangere sul primo grandino dal basso della scalinata esterna al palazzo. Credevo che l'amore potesse rendermi felice, ma ricordo davvero pochi momenti di serenità vissuti con Thomas. Dal nostro rapporto ho ricavato per lo più sofferenze. Mi sento stanca di combattere. Io cerco di non perderlo e lui, invece, non fa altro che allontanarmi. Inoltre, non si preoccupa dei miei sentimenti. Merito di sorridere anche io ed è per questo che, da oggi in poi, cercherò seriamente di stargli lontana. Mi asciugo una lacrima, ma poi mi viene in mente Corey e scoppio a piangere di nuovo. Mi manca il nostro rapporto. Mi manca poterlo abbracciare. Mi mancano perfino i suoi sorrisi che mi miglioravano la giornata.
Dei passi mi distolgono dai miei pensieri e mi fanno voltare. Perdo un battito quando capisco che ho effettivamente davanti Corey che sta scendendo le scale. Indossa una tuta e ha delle cuffiette alle orecchie. Mi sorpassa e si ferma esattamente di spalle di fronte a me. Si toglie un auricolare e sospira.
«Non riesco proprio a far finta di nulla, quando ti vedo stare male» , ammette. Si siede al mio fianco e mi abbraccia.
«Fa tutto così male» , affermo.
«L'amore fa soffrire, si sa» , dice, intuendo la causa del mio pietoso stato.
Lo guardo negli occhi. «Ne sai qualcosa?»
Resta in silenzio e deglutisce. «E' risaputo» , sentenzia. Nascondo il viso contro il suo petto e lascio che mi accarezzi la schiena.
«Fa schifo» , piagnucolo.
«Non è vero. Ti dà la forza di alzarti la mattina. Ti dà speranza perché, in cuor tuo, sai che, fino a quando avrete vita, ci sarà sempre una minima possibilità che lei scelga te. Ti fa sorridere quando meno te lo aspetti, semplicemente perché ti viene in mente un'espressione buffa che ha fatto e che hai trovato adorabile. Ti fa arrossire e dare mentalmente dello stupido quando stai parlando di qualcosa di serio con qualcuno e riesci soltanto ad immaginare quanto sarebbe bello poterla baciare e dirle che non vorresti essere in nessun altro posto, se non al suo fianco. L'amore non fa schifo, ti fa sentire vivo anche quando la tua vita, per un motivo o per un altro, cade a pezzi.»
Sorpresa, mi asciugo le lacrime e sorrido. Ognuno di noi merita di provare qualcosa del genere. Non voglio più stare male. Corey mi sta dando forza. Sollevo la testa per guardare i suoi occhi scuri. Ripenso alle sue parole e mi sento leggermente infastidita dal fatto che provi un sentimento del genere per qualcuna. Dovrei essere felice per lui, ma mi sento soltanto egoista perché la paura di perderlo mi terrorizza.
«E' davvero fortunata» , mi ritrovo a dire, sincera.
Inarca un sopracciglio. «Fortunata?»
«La ragazza per cui provi tutto questo.»
Sorpreso, schiude le labbra e si gratta la nuca. «Non mi piace nessuna ragazza» , dice. «Cercavo soltanto di ricordare quello che mi dicevano i miei genitori» , aggiunge.
Poco convinta, annuisco. Mi sembrava troppo coinvolto, mentre parlava. Provo a sorridere, cercando di mettermi in testa che davvero non andrà via perché non gli interessa una ragazza. Sospiro. «Certe volte, vorrei soltanto chiudere gli occhi e dimenticare ogni problema.»
«Fallo» , afferma con serietà. Si toglie le cuffiette e me le mette alle orecchie. Prende il cellulare dalla tasca dei pantaloni per iniziare a cercare su YouTube una canzone che possa piacermi e io resto in silenzio ad osservarlo. Inizio a sentire le prime note di A Thousand Years e, rilassata, chiudo gli occhi. Corey mi parla. Mi dice di immaginarmi in un mondo diverso da questo in cui amo e non soffro. Un mondo in cui Chris non borbotta mai, Adam continua ad essere dolce, Thomas è un principe azzurro e lui e Léon, con le loro vite turbolente che mi hanno portata a rischiare la morte, non ci sono. Un po' per la melodia malinconica e un po' per il pensiero di vivere senza di loro, scoppio a piangere e riapro gli occhi. Mi tuffo fra le braccia di Corey che, sorpreso, inizia ad accarezzarmi i capelli. «Che cosa è successo, amore?»
«Non voglio vivere in un mondo in cui non conosco te e Léon, in un mondo in cui non ci sei tu ad abbracciarmi in momenti come questo.»
Sorride e mi lascia un bacio fra i capelli. «Non ne combino mai una giusta» , afferma. «Volevo farti sorridere.»
«Sono stanca di litigare, Corey. Ho bisogno di te» , ammetto.
Mi stringe con più forza. Mi accuccio contro il suo petto. «Anche io» , dice. «Mi dispiace per tutto ciò che ho detto. Mi dispiace se ti ho ferita.»
Mi asciugo una lacrima e gli accarezzo una guancia. «Non importa» , lo rassicuro. «Dispiace a me di non aver risposto ieri alle tue telefonate e di essere scappata via. In ogni caso, adesso, ti prego, resta qui con me. Ero ferita sì, ma è vero anche che ti ho deluso. Ci siamo fatti del male a vicenda, ma so che non accadrà più perché tengo a te come tu a me.»
Annuisce e sorride. «Sì, hai ragione.»
Mi tolgo una cuffietta e gliela porgo. Se la porta all'orecchio e continuiamo ad ascoltare Christina Perri. Chiudo gli occhi e, con la testa sul suo torace, mi rilasso mentre mi passa le dita fra i capelli.
-
Salve! Con la prima parte del capitolo abbiamo sfiorato l'assurdo, ma credo che vi siate abituati tutti alle cose strane che accadono a questi personaggi e che non vi facciate più tante domande.
Alex è ora nella pagina dedicata al cast.
Aggiornerò, come sempre, fra una settimana esatta. Grazie a tutti coloro che stanno continuando a leggere/commentare/votare la storia. A presto!
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