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10 - Il sacrificio

Non mi sento affatto agitata, nonostante sia la mia prima seduta psicanalitica. Mi piace molto la stanza in cui mi trovo. E' graziosa e particolarmente illuminata. Il giallo pastello con cui sono state tinteggiate le pareti mi trasmette allegria. Osservo ogni dettaglio della grande libreria collocata alla mia sinistra, piena di volumi e ninnoli, e dei dipinti appesi al muro alle mie spalle. Quasi non ricordo più perché mi trovo qui.

«Mi parli del suo rapporto con Thomas.»

Mi volto verso il terapeuta, che picchietta con insistenza la sua penna a sfera blu sul taccuino che regge fra le dita per richiamare la mia attenzione, e annuisco. Incrocio le braccia al petto e sistemo meglio la testa sulla chaise longue nera.

«E' sempre stato pieno di alti e bassi.»

«Perché le piace? Ci sono ragazzi migliori di lui in giro.»

Ruoto il capo e incrocio lo sguardo di Léon. Si preme meglio gli occhiali contro il viso e mi incita a rispondergli. Sbuffo e mi mordo il labbro inferiore. Avrei dovuto scegliere uno psicanalista migliore.

«C'è sempre stata chimica fra noi. Siamo totalmente diversi, ma, in un certo senso, ci completiamo a vicenda. Lo vedo e il cuore inizia a battermi forte. Provo anche un senso di bruciore all'altezza dello stomaco.»

«Non ha mai tenuto in conto il fatto che potesse trattarsi di reflusso gastroesofageo e non di una cotta?»

Gli rivolgo un'occhiataccia e lui solleva le mani in segno di resa. «Credevo, addirittura, che fosse la mia anima gemella» , torno a parlare.

Léon trattiene a fatica una risata e poi si ricompone. «Credeva?» Sospiro.

«Ultimamente, le cose fra noi non vanno bene. Sicuramente, sono stata troppo avventata, come al solito, nel trarre le mie conclusioni.»

«Sicuramente» , commenta il castano. Lo ignoro.

«Potrebbe essere totalmente diverso da come lo immagino. Potrei non conoscerlo del tutto.» Mi porto una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Ma, per ora, non mi interessa più indagare. Può nascondermi ciò vuole, ho altri pensieri per la testa.»

«Quali?»

Prendo un respiro profondo e poi mi metto seduta. «Soffro per ciò che ha dovuto affrontare Corey e ho paura per la tua vita, Léon. Non pensavo potesse accadere, ma mi sono affezionata anche a te. Non riesco nemmeno più ad immaginare una giornata senza i nostri battibecchi. So che non smetteremo mai di provocarci a vicenda perché è il nostro modo di rapportarci, ma sono anche convinta del fatto che, se stessi male, ci saresti per aiutarmi, come hai fatto in passato, e io voglio proteggerti e sostenerti, semmai ne avessi bisogno, a mia volta, ma, ora, mi sento terribilmente impotente perché non sono brava nemmeno a difendermi da sola e c'è un criminale a piede libero che ti sta cercando.»

Mi porto le dita sugli occhi e lui mi posa una mano sulla spalla. Qualcuno bussa alla porta dello studio. Il castano sbuffa e si alza per andare ad aprire. Quando cammina, il largo camice bianco che indossa oscilla. Spalanca la superficie in legno e si ritrova davanti Ares. L'uomo ghigna ed estrae un coltello dalla tasca posteriore dei pantaloni scuri. Mi metto in piedi, spaventata, e corro verso di lui per fermarlo prima che possa fare del male a Léon. Il delinquente mi spinge con violenza contro la libreria. Batto la schiena e cado a terra. Striscio sul pavimento per raggiungerlo di nuovo. Lui mi osserva, divertito, e poi, sotto il mio sguardo terrorizzato, squarcia la gola del mio amico che cade a terra, poco distante da me, senza vita. Grido a pieni polmoni e, disperata, scoppio a piangere. Afferro le dita del coinquilino di Corey e ci accascio la testa contro.

«Evie, che cosa sta succedendo?»

Apro di scatto gli occhi. Mi volto verso Chris che, preoccupato, mi sta accarezzando i capelli. Adam sta stringendo la mia mano. Scoppio a piangere e mi butto fra le braccia del maggiore dei due. Mormoro il nome di Léon fra le lacrime. Stavo sognando. Anzi, stavo avendo un incubo.
Il cugino del poliziotto mi allontana di poco dal suo corpo e mi dà un bacio sulla fronte.

«Che cosa è accaduto a Léon?» , chiede, confuso.

«Credevo che Ares volesse ucciderlo» , rispondo senza riflettere.

L'orologio appeso al muro segna le quattro del mattino. E' il ventitreesimo giorno di Novembre e s0no passate soltanto alcune ore dalla fuga dal locale.

«Evie, chi è Ares?» Ruoto la testa verso Chris. Prendo dei respiri profondi per calmarmi. Mi mordo il labbro inferiore e mi do mentalmente della stupida. Se Léon avesse voluto l'aiuto della polizia, l'avrebbe già chiamata, ma non lo ha fatto. Non devo parlarne a Christopher. Non devo, anche se la tentazione di farlo è forte. Lui potrebbe darmi una mano. Lui potrebbe proteggerlo. Mi accarezza un braccio e mi sorride in modo incoraggiante. «Mi conosci, sai che di me puoi fidarti» , tenta di convincermi a proferire parola. Adam lo appoggia. Resto in silenzio e scuoto il capo. Sospira e stringe il mio lenzuolo in un pugno. «Ci sono sempre stato per te come tu per me. Parlami o non potrò aiutarti.»

Deglutisco e abbasso lo sguardo. «Léon non vuole una mano dalla polizia. Promettimi che non racconterai nulla ai tuoi colleghi» , sussurro.

Chris mi prende una mano e sollevo il capo per guardarlo negli occhi. «Te lo prometto.»

Sospiro. «Léon, da piccolo, filmò Ares, il compagno di sua madre, mentre faceva del male sia a lei che a lui e lo fece arrestare. Adesso, Ares è uscito di galera e vuole ucciderlo per vendicarsi. Vorrei poterti dire il suo cognome, magari ti sarebbe utile, ma non lo conosco.»

Adam, furioso, impreca contro il criminale. Chris fa lo stesso e poi si ricompone. «Farò alcune ricerche su di lui» , mi informa. «Tu, invece, limitati a vivere normalmente le tue giornate e non intrometterti nella questione perché potrebbe essere pericoloso. Non voglio che ti accada qualcosa.»

Poco convinta, annuisco per rassicurarlo.

•••

Lucido lo scaffale pieno di confetture mentre continuo a pensare a Léon. Sono le dieci del mattino e non è passato poi molto da quando mi sono svegliata a causa dell'orribile sogno. Mi bruciano gli occhi e sento che potrei crollare sul pavimento da un momento all'altro. Chiudo le palpebre e me le stropiccio. Le riapro dopo poco e guardo Faith. Oggi sembra turbata. Si tocca il fianco sinistro mentre si china per riporre in una cassa una bottiglia di vino. Decido di raggiungerla per chiederle che problema abbia, ma, prima di farlo, porto lo sguardo sulla vetrina. Sbianco quando noto Ares intento ad osservare la mia collega. Il cuore inizia a battermi forte in petto. Mi tremano le gambe, quasi sembrano incapaci di reggermi, e mi aggrappo ad una mensola per non scivolare a terra. Sto provando un elevato mix di emozioni. Non so dire con certezza se prevalga il terrore o l'ira. Faith si volta verso l'uomo. Sussulta quando lo nota. Faccio saettare gli occhi da lui a lei. Ares solleva la testa, quasi in cenno di saluto, prima di andare via. La mia collega si morde il labbro inferiore e poi abbassa lo sguardo. Inizia a stringere con forza, quando si rialza, il bancone su cui si trova la cassa, quasi desiderosa di affondare le sue unghie nel legno.

«Vi conoscete» , affermo con tono accusatorio.

Faith mi rivolge un'occhiata. «Come, scusa?»

«Conosci quell'uomo che ti guardava dalla vetrina» , mi spiego meglio.

Lei abbassa il capo. «Ti sbagli.»

So che sta mentendo e la cosa mi fa infuriare ulteriormente. Mi ricompongo e, con qualche falcata, la raggiungo. Lei, spaventata, indietreggia e si ritrova con le spalle contro uno scaffale pieno di bottiglie.

«Non dirmi sciocchezze» , ringhio. «Quell'individuo sta cercando Léon per ucciderlo» , la informo.

Deglutisce e sbarra le palpebre. «Che cosa?»

«Hai capito perfettamente.»

Abbassa lo sguardo e stringe il suo grembiule rosso fra le mani. «E' il mio patrigno.»

Sconvolta, schiudo leggermente le labbra e indietreggio per lasciarle un po' di spazio.

«Dimmi cosa sai di lui. Ho bisogno di scoprire qualcosa che mi permetta di farlo finire in carcere.»

La castana, alle mie parole, si ricompone e scatta in avanti per afferrarmi entrambe le spalle. «Devi lasciarlo in pace, è una persona pericolosa e ti farebbe del male.»

Mi libero dalla sua stretta. «Se non vuoi aiutarmi tu, agirò da sola. Non gli permetterò di uccidere Léon.»

Faccio per andarmene, ma lei mi afferra un polso e mi costringe a voltarmi per guardarla. Si solleva la maglietta blu fin sopra l'ombelico e mi mostra il grande livido violaceo che ha su un fianco. «Questo me l'ha fatto lui.» Ha gli occhi lucidi e si morde il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. «Che abbia di fronte un anziano, una donna, un uomo o un bambino poco importa. Ares non ha una coscienza e non conosce la pietà. Non ho più alcun parente, Evie, e, dalla morte di mia madre, mi ha presa con sé. Ha una villa in campagna. Ci organizza partite a poker e mi costringe a fare la cameriera per i suoi ospiti. E' una persona potente. Se lo denunciassi, riuscirebbe a far cadere le accuse e si libererebbe di me. Controlla la mia vita. Passa davanti all'enoteca ogni giorno per assicurarsi che io sia a lavoro e non da qualcuno a chiedere aiuto.»

L'abbraccio e lei si lascia stringere. Mi trattengo a stento dal colpire con un pugno il bancone alla mia destra. E' tutto così ingiusto e, anche se mi viene ripetuto di non fare nulla, sento il bisogno di agire.

«Che tu sappia, in quella villa accadono cose che ci permetterebbero di mandarlo in galera?»

«Non lo so» , ammette. «Ci sono così tante stanze e posso accedere soltanto a quella in cui organizza le sue partite a carte.» La lascio libera e serro i pugni. Un uomo come Ares non può essere pulito. Nasconde per forza qualcosa. Faccio per parlare, ma Faith mi anticipa. «Non ti metterai nei guai» , intuisce le mie intenzioni. «Non ti permetterò di entrare nella villa, ma ti prometto che indagherò su ciò che accade nelle altre sale» , tenta di tranquillizzarmi. «Posso sopportare i colpi di Ares, ma non che danneggi altre persone. Non accadrà nulla a Léon.»

Le porto le mani sulle spalle. «Avresti dovuto parlarmene prima. Avremmo trovato insieme una soluzione. Lo fermeremo per te, per Léon e per tutti gli altri a cui vorrebbe fare del male. Non ti toccherà mai più, te lo assicuro.»

Accenna un sorriso.

•••

E' pomeriggio inoltrato. Mi sistemo meglio la borsa blu su una spalla e inizio a salire le scale, dopo aver attraversato il cortile, per raggiungere l'appartamento di Corey e Léon. Una volta davanti alla porta, suono il campanello. Mi apre, dopo un po', il rosso. Schiude le labbra, sorpreso, e mi invita ad entrare. Non sembra felice di vedermi.

«Ti serve qualcosa, amore? Vado un po' di fretta» , tenta di liquidarmi.

Mi cade l'occhio sul tavolo da pranzo su cui si trovano una mappa e un foglio di carta. Corey lo nota e mi si para davanti.

«Léon?» , chiedo.

«E' uscito» , si affretta a rispondermi.

Abbasso lo sguardo e ridacchio. «Fammi capire, formiamo un trio soltanto quando lo decidete voi?»

Sollevo di nuovo la testa e punto lo sguardo su di lui. Restiamo per un po' in silenzio ad osservarci.

«Formiamo un trio quando non ci sono situazioni rischiose da affrontare.»

Scatto verso il tavolo e lui, prontamente, mi afferra un polso e mi fa girare sul posto per schiacciarmi contro il suo torace.

«Perché non capisci che voglio aiutarvi?»

Cerco di divincolarmi dalla sua stretta, ma invano. «Perché non capisci che non permetterei mai a nessuno di farti del male? Non posso coinvolgerti in questa situazione.»

Colpisco con il fondoschiena il suo basso ventre e lui indietreggia senza mai lasciarmi andare. Si scontra con il mobiletto alla sue spalle. Un oggetto nascosto nella tasca posteriore dei suoi jeans evita il contatto diretto fra il suo corpo e l'armadietto. Sollevo gli occhi per far incrociare i nostri sguardi. Sbianca di colpo. Faccio scivolare, velocemente, le dita verso il retro dei suo pantaloni.

«Hai una pistola!» , grido, spaventata. Mi lascia libera e mi volto verso di lui. Mi afferra le spalle e mi tiene ferma sul posto. Sto per avere una crisi di nervi. «Avevi detto di aver cambiato vita! Non voglio che ti facciano del male!»

Scoppio a piangere e lui mi getta fra le sue braccia. «Non mi accadrà nulla» , mormora, iniziando ad accarezzarmi i capelli.

«Non è giusto, Corey!» Premo le mani contro il suo torace e mi spingo indietro. Mi asciugo le lacrime e batto un pugno sul tavolo. «Per quale motivo tu dovresti proteggermi e io, invece, dovrei lasciarti uscire di casa con il timore di non rivederti mai più? Non vuoi nemmeno dirmi che cosa sta succedendo! Pretendi che io me ne stia tranquilla mentre un criminale cerca Léon che, fra l'altro, è sparito nel nulla, e tu te ne vai in giro chissà dove con una pistola in tasca. Credi che io non abbia dei sentimenti? Beh, ti sbagli! Sto soffrendo, Corey. Sto soffrendo per te e per Léon» , sbotto.

Tremo e mi inginocchio a terra. Non riesco più a starmene con le mani in mano. Il rosso resta fermo per un po', sorpreso. Subito dopo, si getta in avanti e afferra dal tavolo il foglio di carta e la mappa. Si lascia cadere sul pavimento e allarga le gambe per lasciarmici posizionare in mezzo. Mi stringo al suo torace e lui posa la fronte sui miei capelli. Mi circonda il corpo con un braccio e con l'altra mano mi mostra gli oggetti che avevo notato appena entrata in casa. Prendo il foglio e leggo ciò che c'è scritto sopra.

Non posso restare qui. Ares potrebbe trovarmi e fare del male anche a te, ad Evie e alla mia famiglia. Mi nasconderò e, allo stesso tempo, cercherò delle prove che mi permetteranno di mandarlo di nuovo in carcere. Lo conosco. Non può essere pulito.

Sulla mappa è cerchiata una zona poco fuori Nottingham. Imprimo l'immagine nella mia mente. Ricontrollerò la posizione sul mio cellulare.

«E' in un casale abbandonato.» Faccio per dire qualcosa, ma Corey ricomincia a parlare. «Se la caverà e io gli darò una mano. Tu, invece, dovrai restare a casa. Ti aggiornerò io su tutto quello che accadrà.»

Mi limito ad appoggiare la testa sulla sua spalla. Non posso promettergli nulla perché so già che non me ne starò ferma ad aspettare notizie sapendo che qualcuno potrebbe far loro del male.

•••

«E' questa la campagna?» Osservo il cancello verde, un po' arrugginito e socchiuso, e azzardo una risposta affermativa. Apro lo sportello, pronta a scendere, ma Adam mi trattiene con un'altra domanda. «Chi ha organizzato la festa?»

«Una mia vecchia collega» , mento, cercando di sembrare convincente.

Il moro resta un po' in silenzio e poi annuisce. Sorride, raggiante, e mi augura di divertirmi. Lo ringrazio e scendo dalla macchina. Varco la soglia della tenuta e il cugino di Chris mette in moto per andare via. Mi sento in colpa. Ho detto una bugia a lui e non ho ascoltato le raccomandazioni di Christopher, di Faith e di Corey. Mi fermo sul posto, prendo un respiro profondo e scaccio via i brutti pensieri dalla mente. Dovevo farlo. Dovevo, per Léon. E' ormai sera. La campagna è immensa. Di fronte a me si staglia un grande prato verde in cui si trovano anche un pozzo, un orto, ormai lasciato a se stesso, e un pollaio. Alla mia sinistra c'è un box vuoto. La serranda è tirata in alto. Cammino per il sentiero di ciottoli che parte dal cancello di ingresso e mi ritrovo davanti ad un edificio abbandonato. Le finestre del secondo piano sono sprangate. Il battente della porta principale, verde in legno, semidistrutta, invece, è caduto a terra e la muratura esterna della struttura è sgretolata. Ho paura a stare qui, ma devo farmi coraggio.

«Léon!» , grido, non ricevendo alcuna risposta.
Dall'albero sul fondo della tenuta si alza in volo un gufo e, spaventata, mi accascio contro la parete sporca. Accanto al portone di quella che sembra una casa, si trova un garage. Dentro non c'è più nulla. E' immenso. Un tempo, probabilmente, i proprietari del casale ci lasciavano dentro alcune macchine agricole. L'edificio continua. E' lungo e si estende fino alla fine della campagna, delimitata da un cancello rosso e arrugginito. Cammino continuando a tenere alla mia sinistra la struttura. Mi ritrovo davanti altre tre porte. Apro la prima e dietro ci trovo soltanto una stanza vuota e quadrata con il pavimento di pietra. La seconda e la terza, invece, sono chiuse a chiave. Non mi resta che tornare indietro e provare a spingere in avanti la superficie in legno con il battente caduto. Procedo guardando, spesso, alle mie spalle. Tremo sia per il freddo che per il terrore. Indosso soltanto una felpa grigia. Raggiungo il portone che avevo visto appena arrivata e lo apro. Si staglia dinanzi a me quella che pare essere stata, un tempo, una casa. Dentro ci sono un camino, due porte sul fondo, una cucina, una credenza, un armadietto, un divano rotto, delle sedie distrutte e un tavolo da pranzo a cui mancano le due gambe anteriori. E' tutto buio. Deglutisco ed entro. Guardo davanti e poi verso destra. Mi volto a sinistra e scorgo una figura avvolta nella penombra. Si scaglia contro di me e mi spinge verso la parete alle mie spalle. Grido, terrorizzata, a pieni polmoni. Colpisco l'individuo con una ginocchiata all'altezza del pube. Mugugna qualcosa e cade a terra. Afferro una scopa, che trovo appoggiata al muro, e mi preparo a spaccargliela in testa, ma mi fermo quando identifico il ragazzo.
«Léon» , mormoro, sorpresa.

Getto a terra la mazza e mi tuffo su di lui per stringerlo in un abbraccio.

«Evie?» Mi allontana di scatto dal suo corpo e si mette seduto. «Perché sei qui? Vai subito via, Ares potrebbe arrivare da un momento all'altro!»

Si mette in piedi e mi tende le mani per aiutarmi a fare lo stesso.

«Non torno a casa senza di te» , affermo con sicurezza.

In preda al panico, scuote la testa e mi afferra per le spalle. Si china in avanti per raggiungere la mia altezza. «Devo restare qui. Ares verrà per uccidermi e io riprenderò tutto con il mio cellulare che ho nascosto sopra al camino» , mi spiega.

«Sei impazzito?» , grido.

«Lo arresteranno e non potrà mai più fare del male a qualcuno» , tenta di far sembrare geniale il suo piano.

«Non ti permetterò di fare l'eroe! Andiamo subito via!»

Gli afferro una mano, pronta a dirigermi verso la porta. Tenta di dissuadermi, ma non lo ascolto. Uno stridio di freni ci fa zittire entrambi.

«Sono qui» , sussurra, agitato.

Chiude la porta con un gesto repentino e mi trascina verso la cucina. Apre l'anta di un largo e basso armadietto situato sotto il lavello e mi invita a nascondermici dentro.

«Fammi restare con te» , lo supplico.

«Non se ne parla» , ribatte. Guarda l'ingresso della casa. «Non c'è più tempo» , sussurra.

Prima che possa dirgli qualcosa, mi porta una mano dietro la nuca e si china in avanti per far scontrare con prepotenza le nostre labbra. Sorpresa, resto ferma sul posto e spalanco le palpebre. Si allontana e, divertito, mi sorride.

«Perché lo hai fatto?» , chiedo, sbigottita.

«Non volevo morire con la convinzione di aver baciato Corey come ultima persona al mondo» , risponde. «E, adesso, entra.»
In silenzio, mi decido ad ascoltarlo. Chiude l'anta e mi ritrovo al buio. Il terrore mi fa dimenticare la mia paura degli spazi chiusi. Riesco ad intravedere Léon da una fessura nel legno del mobile. Il portone, improvvisamente, si spalanca. Due uomini fanno il loro ingresso nella stanza. Il mio amico ride e inizia ad indietreggiare.
«Ares» , pronuncia il nome del criminale che si trova davanti a lui.

«Sei cresciuto, Léon» , commenta il patrigno di Faith. Un individuo lo affianca. Ha i capelli corvini e sembra abbastanza giovane. «Quanti anni hai? Ventiquattro?»

Léon si scontra con il divano e si sposta poi verso destra per continuare a farsi indietro.

«Ventitré» , lo corregge.

Il delinquente inizia a ridere. «Non fa differenza, sai? Non raggiungerai comunque i venticinque.»
Estrae dalla tasca interna del cappotto scuro e pesante un coltello che gli affonda nell'addome. Mi porto le mani sulle labbra e inizio a mordermi le dita per trattenere un grido. Sento gli occhi inumidirsi. Léon, piegato in due, si trascina fino ad una delle porte sul fondo della camera. Ares raggiunge il suo complice e si fa passare una pistola. Sento il cuore fuoriuscirmi dalla gabbia toracica.
«Hai qualcosa da dire prima che ti finisca, ragazzino?»

Léon sputa a terra del sangue. «Non vincerai mai, bastardo» , ringhia.

Il criminale scoppia a ridere e poi torna serio. «Strano, sto per farlo.»

Spara due colpi. Il mio amico cade a terra. Schiaccio il volto contro le ginocchia. Mi mordo le braccia per non gridare o singhiozzare. Copiose lacrime mi rigano le gote.

«Che cosa ne facciamo del corpo, capo?»

«Fallo sparire.»

Mi tappo le orecchie. Come possono parlare così di Léon? Non meritava di fare questa fine!

«Ci si vede in giro, ragazzina.»

«Hai sicuramente distrutto tu le scarpe. Perdi l'equilibrio con un paio di ballerine, figuriamoci su dei tacchi.» Mi libero con gesto rapido dalla sua stretta e gli rivolgo un'occhiataccia.

Una giacca mi cade sulle spalle e sollevo il capo per capire di chi è. Léon guarda il cielo e, con la schiena poggiata contro la panchina, a braccia conserte e gambe distese in avanti, ci dà le spalle. «Grazie» , mormoro, sorpresa.
«Indossala e non ringraziarmi. Non sono gentile. Lo sto facendo soltanto perché stasera abbiamo rischiato già troppi decessi.»

«Vuoi ancora sapere chi mi interessa?»
Ride. «Hai un'imbarazzante cotta per il tuo capo, l'ho già capito da solo.» Serro i pugni. «Non è vero!» , mi viene spontaneo urlargli contro. Sorride in modo beffardo. «Tranquilla, ragazzina, non farò commenti sui tuoi pessimi gusti.» Si porta una mano sulle labbra e finge un'espressione sorpresa. «Scusa, l'ho appena fatto» , afferma.

«Sei scappata via senza darmi modo di spiegare. Thomas è troppo serio per una ragazza allegra come te. E' troppo riflessivo per una persona impulsiva come te. Troppo noioso per te che, con la tua goffaggine, risulti, è dura ammetterlo ad alta voce, divertente. Con tutto, Evie, intendevo questo. Tu sei speciale e lui, invece, banale. Potresti trovare di meglio.»
Scoppio a piangere. Mi giro di scatto e mi tuffo fra le sue braccia. Meravigliato, si irrigidisce. Dopo qualche istante, però, mi porta una mano sulla schiena e le dita libere fra i capelli che inizia ad accarezzarmi.
«So che non ti dico mai cose carine, ma questa mi sembra una reazione esagerata, non credi?» Gli pizzico un fianco e lui sussulta.

«Ti mancherei? Sul serio?»
«Certo!» , rispondo, seria.
Ghigna. «Sapevo di aver fatto breccia anche nel tuo cuore.» Ammicca e gli colpisco una spalla. «Imbecille» , lo apostrofo. Ride e io faccio lo stesso.

Le lacrime non smettono di scivolarmi lungo le guance. Non riesco a credere che non ci sia più. La porta d'ingresso sbatte. Sono rimasta sola. Aspetto un po' prima di uscire dal mio nascondiglio. Una volta fuori, mi guardo intorno. Non c'è traccia del corpo di Léon. Corro ad afferrare il suo cellulare sul camino e fermo il video che aveva fatto partire. Ti farò giustizia, te lo prometto. Il patrigno di Faith passerà il resto dei suoi giorni chiuso in una cella.
Improvvisamente, una puzza di fumo raggiunge le mie narici. Proviene dalla porta collocata sul fondo della camera. Da quella a sinistra, per la precisione. Mi asciugo gli occhi con una mano e corro a vedere di cosa si tratta. Spalanco la superficie in legno con il telefono del castano fra le mani. Lingue di fuoco stanno avvolgendo un comodino, un letto e un armadio. Mi scivola il cellulare dalle dita quando le fiamme raggiungono la manica della mia felpa che mi tolgo e getto a terra. Ares ha appiccato un incendio. O il suo complice. Poco importa. Il telefono viene avvolto dal fuoco. Disperata, decido di correre verso la porta d'ingresso. Tossisco. Le fiamme iniziano a raggiungere il resto dell'abitazione. Guardo indietro e non mi accorgo di una sedia. La urto con il ginocchio e precipito a terra. Mi cade addosso e mi graffia un braccio scoperto. Striscio sul pavimento per raggiungere la via d'uscita. Il fumo non mi permette più di respirare. Prima di arrivare al portone d'ingresso, perdo i sensi.

•••

Schiudo lentamente le palpebre. Mi ritrovo davanti il viso di Corey.

«Oh, finalmente!»

Mi stringe al suo torace e mi bacia la fronte. Sono seduta, come questo pomeriggio, fra le sue gambe.

«Che cosa ci fai tu qui?»

Stordita gli circondo il collo con un braccio e mi sistemo meglio sul prato con una mano.

«Potrei farti la stessa domanda» , afferma con tono accusatorio. Sospira. «Comunque, ero venuto per il mio coinquilino, ma ho trovato soltanto il casale in fiamme e te, in fin di vita, stesa a terra dentro. Ti ho portata fuori prima che il fuoco ti raggiungesse.» Abbassa lo sguardo e sorride. «Ammetto che un po' ci avevo sperato. Credevo che, almeno per una volta, mi avresti ascoltato e saresti rimasta a casa. Sei proprio testarda, eh?» Mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Che cosa è successo all'edificio alle nostre spalle? Che fine ha fatto Léon? Perché ti ha lasciata da sola?»
Faccio mente locale e ricordo tutto. Ricordo Ares, la pugnalata, gli spari e il corpo del mio amico steso al suolo. Perdo un battito e, non riuscendo a trattenermi, ricomincio a piangere. «Evie, che cosa è accaduto?»

Corey si fa improvvisamente serio.

«Léon» , mormoro fra i singhiozzi. «Ares lo ha ucciso e ha dato ad un complice l'ordine di occultare il suo corpo.»

Il rosso stringe i denti e scuote la testa. «Non è vero» , afferma.

«E' successo davanti a me che ero nascosta in un armadietto» , gli spiego.

«Non è vero!» , grida.

«Corey» , sussurro, non smettendo di piangere.

«Non è vero, Evie! Léon è la mia famiglia! E' parte della mia famiglia!»

Gli porto le mani sulle gote e lui si volta a guardarmi. Scoppia a piangere e io lo abbraccio. Si lascia cadere sull'erba con me ancorata al suo corpo. Urla e non lo lascio. Le nostre lacrime sembrano non finire mai. Intorno a noi, intanto, ci sono soltanto desolazione, la Range Rover di Léon con cui Corey mi ha raggiunta e uno stabile distrutto dalle fiamme che continuano ad avvolgerlo.

•••

Io e Corey, affranti, entriamo nel suo appartamento e ci dirigiamo verso la camera di Léon che, prima, non avevo mai visto. Il rosso si lascia cadere sul letto matrimoniale dell'amico e io, per sbaglio, urto la scrivania del castano. Cade a terra un quaderno che, subito, raccolgo. Scivolano dalle pagine delle foto che atterranno, lentamente, sul pavimento. Mi inginocchio per prenderle. Schiudo le labbra, sorpresa, quando mi accorgo che gli scatti ritraggono Chris. Li mostro a Corey che sorride amaramente.

«Sono fratelli, ma non potrà mai più dirglielo.»

Sbigottita, mi alzo in piedi, lascio l'ammasso di pagine e fotografie su una sedia e raggiungo il rosso sul materasso.

«Mi prendi in giro?»

Scuote la testa. «Hanno lo stesso padre. Quella carogna ha concepito Léon pur avendo una moglie incinta. Ha poi riempito di soldi e regali, per anni, lui e sua madre per fare in modo che mantenessero il segreto con la sua famiglia ufficiale. Continua a farlo ancora oggi, a pensarci bene.» Impreco, furiosa. «Léon ha comunque raccolto informazioni su Christopher e ha poi comprato questa casa, sotto la sua, per cercare di avvicinarglisi. Non gli ha mai detto nulla, fino ad ora, per non distruggere la sua perfetta vita costruita su delle bugie. E' suo fratello, Evie. Condividono la stessa sfortunata sorte e tiene a lui, anche se non sono cresciuti insieme e sono totalmente diversi.» Si lascia sfuggire un singhiozzo. «Teneva» , si corregge.

«Non è giusto!» , grido, colpendo il letto con un pugno.

Mi porto i gomiti sulle ginocchia e inizio a reggermi la testa con entrambe le mani. Corey mi scompiglia i capelli e si alza in piedi. Si sbottona la camicia chiara e la lascia cadere accanto a me. Sollevo la testa e lo vedo avvicinarsi alla specchiera appesa alla parete alla sua destra. Ha un profondo taglio poco sotto la clavicola sinistra e dei lividi sparsi lungo tutto il torace.

«Come ti sei ferito?» Si accarezza l'addome.

«Ho raggiunto Léon al casale, verso le cinque del mattino, dopo aver trovato il suo messaggio. Abbiamo lottato. Volevo che si allenasse per affrontare Ares. C'era la possibilità che lo trovasse.»

Sorpresa, mi alzo di scatto in piedi. «Siete impazziti?»

Ride. «Siamo semplicemente diversi dalle persone che frequenti di solito.»

Abbasso lo sguardo.

«Siediti sul letto. Vado a cercare qualcosa per medicarti.»

Raggiungo il bagno e prendo un kit di pronto soccorso. Subito dopo, torno da Corey. Lo trovo steso sul materasso con le braccia incrociate dietro la testa. Mi tolgo le scarpe e gattono verso di lui che si solleva. Fa aderire le spalle allo schienale del letto mentre bagno un po' di ovatta con del disinfettante. Passo il batuffolo sul suo graffio e lui si morde il labbro inferiore e solleva di scatto la testa. Inizia a ridere.
«Sei incredibile» , commenta.

«Che ho fatto di sbagliato?»

Si raddrizza e mi porta una mano sotto il mento. Inizia ad accarezzarmelo con il pollice e deglutisco. «Dopo tutto quello che è accaduto, invece di scappare, sei ancora qui a medicarmi.»

«Ti avevo detto che non sarei andata via.»

«Dovresti. Se accadesse qualcosa anche a te, non lo reggerei.»

«Non ti abbandonerò, Corey.»

«Non posso permetterti di starmi accanto» , afferma, serio. «Farò cose che non ti piaceranno per vendicare Léon.»

Gli stringo una spalla. «Insegnami a lottare, non starò ferma a guardare. Anche io voglio fargli giustizia.»

Il campanello suona prima che il rosso possa ribattere. Si mette in piedi e apre il primo cassetto del comodino accanto al letto per prendere una pistola. «Resta qui» , dice.

«Non esiste» , affermo, alzandomi.
Sbuffa e inizia a dirigersi verso la porta d'ingresso. Lo seguo e, una volta arrivati, mi spinge dietro la sua schiena con una mano per farmi da scudo con il suo corpo. Spalanca la superficie in legno e si prepara a sparare. Abbassa l'arma quando si ritrova davanti Faith che, terrorizzata, indietreggia. Alla sua vista, sorpasso Corey e l'abbraccio.
«Che cosa ci fai tu qui?» , le chiedo.

«Mi sono fatta spiegare da Adam dove fosse casa vostra, ma, quando sono arrivata, non c'eri. Chris mi ha chiesto di domandare ai vicini se ti avessero vista» , spiega, chiudendo gli occhi e grattandosi la nuca. «Lui non aveva il tempo di farlo. Si stava vestendo, se non ho capito male, per raggiungere un casale in campagna» , aggiunge.

Annuisco. «Perché mi cercavi?»

«Ho novità su Ares.»

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Salve! Questa volta, non so davvero cosa dire. Probabilmente, mi odierete per questo capitolo. Non troppo, spero. Lascio a voi i commenti, come al solito. Ringrazio sempre tutti coloro che stanno continuando a seguire la storia e chiudo questo piccolo spazio dicendovi che aggiornerò con l'undicesima parte domenica. A presto!

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