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Capitolo Ventuno

Traditrice

Era forse la prima volta che un suo scherzo falliva del tutto, e così miseramente poi.

Il metallo liscio e freddo, mentre l'Astro continuava la sua corsa su per le strade ripide di Asdenar, strisciava sotto la guancia di Maed, quasi a carezzarla e a compatirla.

L'improvvisazione finale, in passato, era sempre stata un tocco di classe. Oh, era stata portatrice di terrore, molte volte. Ma si trattava di quel terrore che sapeva di adrenalina, di fulmini scesi dal cielo e brividi lungo la schiena.

Come quando sua sorella era sbucata nuda dal rogo sulla nave. Maed per poco si era messa a piangere quando aveva visto la sua sacca con i vestiti soffiare avvolta dalle fiamme. Ma il ricordo di quell'unica scena era stato fonte di gioia per tutto il resto del viaggio. E l'unica consolazione, visto che suo fratello aveva deciso di non insegnarle più la magia, come invece le aveva promesso.

L'improvvisazione finale avrebbe funzionato alla grande, se non fosse stato per quel nobile grasso e incapace. Doveva solamente far cadere la carrozza, ma non ci era riuscito. Era rimasta appesa lì, puntata verso il basso, fino a quando le fiamme non l'avevano consumata del tutto.

E così l'Astro era più integro che mai, e gli scricchiolii metallici che emetteva al contatto con la pietra sembravano versi di scherno nei confronti di Maed. Adelin l'avrebbe aspettata ogni giorno sul tetto blu. Ma poteva avvicinarsi a mani vuote?

«Fermi!»

Ogni tanto gli scienziati si prendevano una pausa. Davano il cambio alla retrovia e poi ripartivano. Quelli erano i momenti peggiori. Quando le basi circolari del cilindro diventavano d'un tratto due immense lenti d'ingrandimento puntate su di lei, e chiunque avrebbe potuto guardare all'interno per vedere se tutto era a posto. Maed si sentiva come una lucertola in un barattolo.

«Quanto è pesante 'sto coso» disse affannato uno scienziato. «E poi perché proprio in culo là sopra, eh? Non solo scompare, ma Andelus fa delle scelte proprio del cazzo.»

«Non capisci proprio?»

«No, spara.»

«Da oggi in poi saremo alla stessa altezza dei nobili. E quando questo gioiello sarà finito...» disse, dando una pacca al cilindro e facendolo rintronare come una campana. Ma non continuò.

L'altro scienziato grugnì, poi sputò a terra. «Preferisco il Benefattore, a quell'altro e alle sue smanie di grandezza. Almeno sa come uccidere un nobile.»

Stare dentro quel coso era come trovarsi sul ponte di una nave nel bel mezzo di una tempesta. Per la notte passata in bianco le bruciavano gli occhi, le tremavano le gambe. Ma proprio in quel momento non poteva lasciarsi andare, altrimenti si sarebbe risvegliata direttamente nella nuova dimora degli scienziati.

Però... se fosse rimasta sveglia fino ad allora, avrebbe potuto intrufolarsi e combinare qualcosa, qualcosa da poter raccontare a Adel. E nel frattempo scoprire a cosa sarebbe servito quel dannato cilindro metallico, che già due volte l'aveva ingannata, prima colpendola sullo stomaco, e infine segregandola al suo interno. Forse, avrebbe ritrovato Tadon. Dov'era scomparso, anche lui?

L'Astro si fermò ancora.

Maed picchiò la testa per via della frenata improvvisa, e il cilindro rispose con un debole rintocco.

Là fuori, le voci erano cresciute. Si sentivano i bambini correre per le strade, le loro urla, e il rumore di un tubo di scolo gemere sotto il peso di qualcuno che si arrampica.

Alla destra di Maed, incorniciate dal bordo argenteo dell'Astro, passarono veloci un paio di gambe. Il colore blu dei pantaloni si riversò a cascata addosso a Maed, scivolando sulla superficie a specchio che l'avvolgeva.

Trattenne il fiato.

Uno strano gioco di colori, ora che era giorno e la luce poteva entrare e uscire dall'Astro, dovette essere visibile anche da fuori, perché quelle due gambe tornarono indietro. Si fermarono, proprio lì.

L'uomo si chinò, facendo capolino nella finestra circolare. Aveva una mano appoggiata su un ginocchio e l'altra a fare da visiera sopra gli occhi.

«Oh, cazzo...» disse, una volta che i suoi occhi incrociarono quelli della lucertola dentro al barattolo.

Maed gattonò più veloce che poté dall'altra parte del cilindro.

«Ehi, di là, prendetela!»

Sbucò dall'altra base dell'Astro. Vide alcuni scienziati con le mani appoggiate sul cilindro, ma non fecero in tempo a reagire, e lei fuggì su per la strada. Al primo vicolo, si tuffò di lato.

Sentì dei piedi battere sulla pietra dietro di lei, ma, fortunatamente, riuscì a seminare chiunque la stesse inseguendo in un tempo minimo. A volte quei cunicoli così stretti sapevano trasformarsi in un vero e proprio labirinto. Era sufficiente svoltare a destra o a sinistra un paio di volte, per far perdere le tue tracce. In meno di dieci secondi, ti trasformavi da ladro a passante chiunque, sbucando in una nuova via principale. Ciò che restava era solo il fiatone.

Maed si arrampicò su un'abitazione e, nascosta dietro la sommità del tetto, rivide l'Astro nella sua grandezza. Occupava la strada per quasi tutta la larghezza. Gli scienziati al suo seguito, diminuiti sensibilmente dalla notte, erano ammucchiati di dietro con le braccia tese e le gambe puntate sulla pietra, per reggerne il peso.

Un uomo sbucò da una stradina laterale. «Si è volatilizzata...» disse, allargando le braccia sconsolato.

Maed espirò e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, l'Astro aveva ripreso la sua scalata, nascondendosi dietro i tetti di altre abitazioni.

Si sdraiò un attimo sulla schiena e guardò il cielo.

Non è stato poi così difficile scegliere, stavolta.

Si figurò, tra le poche nuvole che lo solcavano, la faccia diafana di sua sorella Adelin, enorme, i capelli agitati dal vento.

"Mi dispiace, Maed. Come faccio a insegnarti la magia, se non sei nemmeno in grado di fare del male agli scienziati? Mi dispiace, vattene.»

L'enorme faccia si voltò e sbiadì. Era così difficile immaginarsi una frase del genere, uscire dalla bocca di Adelin. Facevano così paura quelle parole, dette da lei, che non potevano davvero essere vere.

Ormai erano sorelle, anzi, amiche.

Maed sarebbe andata da lei a mani vuote. Sarebbe stata la cosa più vergognosa di tutta la sua vita. Se si fosse presentato il caso, avrebbe pure pianto. Tanto, ormai?

Si alzò in punta di piedi, in cerca del tetto dalle tegole blu.

Uno schiamazzo proveniente da un vicolo nelle vicinanze attirò la sua attenzione.

Subito dopo, il viso arrossato di una bambina sbucò dallo spiovente del tetto su cui si trovava Maed. Il suo sorriso si spense all'improvviso. Ancora con il fiatone e le mani avvinghiate alle tegole, lanciò una breve occhiata in basso. Cercò di tirarsi su, aiutandosi col ginocchio.

Ma le sue gambe erano troppo corte, non ce la fece.

Maed si avvicinò cauta e le porse una mano. Dopo un paio di secondi di indecisione, la bambina accettò l'aiutò. Sotto di lei c'era un'altra ragazzina.

Una volta su, si spazzolarono entrambe i vestiti lordi e, lanciandole brevissime occhiate da sotto le palpebre, aggirarono Maed e giunsero dall'altra parte del tetto. Si guardarono, scambiandosi un sorriso nervoso, e, una dopo l'altra, presero la rincorsa e saltarono.

Vedendo quella scena, Maed non poté sfuggire a un moto di violento di ricordi.

Le loro gambe erano così sottili che ogni volta che atterravano su un tetto sembravano sul punto di spezzarsi, come bastoncini. Dopo ogni salto si fermavano e ridevano. Maed, una volta che avevano superato un paio di edifici, si accorse che stavano puntando esattamente nella direzione del tetto blu.

E va bene, è giunta l'ora.

Aspettò qualche altro secondo, e partì anche lei.

Era più veloce. Ogni tanto si fermava, aspettando che le due bambine riprendessero una certa distanza. Non voleva raggiungerle. Avrebbe lasciato loro tutto il divertimento, tutta la scoperta.

Proprio mentre stava pensando quella cosa, una delle due ragazzine si voltò e si accorse che le stava seguendo. Maed frenò di colpo. L'ultima cosa che desiderava era spaventarle. Pensò di fare un gesto, un cenno con la mano, per tranquillizzarla. Decise di rimanere ferma, aspettando fino a quando lei non si fu girata di nuovo.

Ci mise un bel po', in quel modo.

Non era abituata a spostarsi sopra la città con tutta quella calma. Solitamente, si lasciava andare completamente se si trovava in discesa, e anche se doveva salire, correva a più non posso, permettendo al suo fiato di fondersi con l'ululato del vento contro di lei. In quel modo, invece, fermandosi dopo ogni salto, tutto acquistava un nuovo sapore. Piuttosto che formare un legame col cielo, lo formava con le tegole dure sotto i suoi piedi. Con i tetti, ognuno con la sua particolare e inimitabile forma. Formava un legame con la città.

Le due ragazzine si fermarono solo quando raggiunsero il bordo di una piazza. Avrebbero continuato forse, se i tetti davanti a loro non fossero stati gremiti di gente. Si sdraiarono per riprendere fiato, e Maed le osservò dalla lontananza, accucciata. Sembravano essersi dimenticate completamente della ragazza silenziosa che le stava inseguendo. Quando vedevi le strade sfrecciare sotto di te, e per un attimo Asdenar diventava tua, dimenticavi ogni cosa.

Era impossibile continuare da quella parte. Il tetto blu era nascosto dietro alla folla, e la piazza da una parte e il viale dall'altra avrebbero costretto Maed a scendere e aggirare l'ostacolo per arrivare a destinazione. Ma lei voleva rimanere lassù.

Maed aveva sempre solcato i tetti da sola.

«Ehi, sapete che succede?» domandò, sedendosi a gambe incrociate accanto a una delle ragazzine. Entrambe, fin troppo occupate ad ascoltare il proprio fiato scemare, non si erano accorte che si era avvicinata.

La bambina che era salita per prima sul tetto si destò e si mise seduta. Si sistemò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio e la osservò per un paio di secondi. Scrollò la gamba della sua amica, e aspettò che anche lei si alzasse.

«C'è la prima battaglia, oggi» disse, una volta che gli occhi della sua amica si furono uniti ai suoi, per fissare quelli di Maed. La ragazzina si risistemò i capelli dietro l'orecchio ancora una volta.

«In realtà, pensavo che di battaglie ce ne fossero già state» disse Maed.

«Riscaldamento» intervenne l'altra ragazzina.

Calò nuovamente il silenzio, e Maed gettò uno sguardo alla piazza sottostante. Ogni tanto, le due bambine si dicevano qualcosa all'orecchio e ridacchiavano.

Fino a quando tutta la gente non se ne fosse andata, avrebbe aspettato seduta lì sopra. Non poteva di certo incontrare sua sorella davanti a tutta quella folla.

Su un palco di legno, addossato contro un'abitazione, stavano in piedi un gruppetto di nobili. Uno, in particolare, vestiva un abito dorato.

«Allora, abbiamo finito?» urlò alla folla riunita lì sotto. Se ne stava seduto su un tavolino, facendo dondolare le gambe. Dietro di lui, i suoi compagni armeggiavano con dei bicchieri e una bottiglia piena di un liquido scuro. «Volete dirmi che la gara si conclude così?»

La folla, al centro, si animò all'improvviso. Un uomo si fece strada con le braccia larghe fino al palco. Era uno scienziato. Il nobile lo issò su, ridendo, e gli diede una pacca sulla spalla. Entrambi si sedettero su due sgabelli, uno di fronte all'altro, i pugni poggiati sul tavolino. In mezzo a loro calarono due bicchieri di vetro.

I due brindarono e mandarono giù un sorso.

Non successe nulla.

Altri due bicchieri. Giù.

Maed si voltò per cercare una risposta dalle due bambine, e in quel momento, su un'abitazione dall'altra parte della piazza, vide Adelin seduta sul ciglio del tetto. Non si trattava di quello blu, quello della promessa. Lei indossava un vestito amaranto, che si fondeva quasi perfettamente con il rosso accesso delle tegole. Guardava assorta quello che accadeva sul palco.

Maed si tese e per poco non scattò in piedi. Aveva appoggiato le mani per alzarsi, quando si accorse di cosa stava combinando. Si ritrovò all'improvviso gli occhi delle due bambine addosso. Ferma, doveva stare ferma. Come sua sorella. Adelin sembrava non essersi accorta di nulla. Ora come ora, lei era ancora una nobile. La gente alzava gli occhi e sapeva a chi stava rivolgendo lo sguardo. Maed non poteva avvicinarsi a lei ed esporsi alla vista di tutte quelle persone.

Le due bambine la stavano ancora osservando.

Lo scienziato e il nobile continuavano a bere.

La folla era silenziosa, l'unico rumore era quello dei bicchieri posati a ritmo sul tavolino.

«Che stanno facendo?» bisbigliò Maed, cercando di rimediare alla situazione sospetta.

La bambina con i capelli neri le rispose squadrandola da sotto la frangia. «È la gara al veleno.»

Ci fu un tonfo secco, e la marcia dei bicchieri giunse alla fine. Lo scienziato era crollato sul tavolino picchiando la testa, rovesciando tutto il liquido blu, scuro come l'inchiostro.

Tra la gente, volarono applausi sparuti, qualche fischio di delusione.

Il nobile afferrò la mano dello sfidante e la lasciò cadere a peso morto sul tavolo. «E dai, questa è stata troppo facile» urlò, alzandosi stizzito e tirando un calcio al tavolino.

«Scusaci, dobbiamo andare» disse la ragazzina, aiutando l'amica ad alzarsi. Si avvicinarono al bordo del tetto e si calarono in basso, mentre la folla incominciava di nuovo a rumoreggiare.

Lo scienziato era andato. Maed poteva vedere il pallore della sua pelle perfino da là sopra. Il tatuaggio a forma di fiamma spiccava come un marchio intorno al suo occhio.

La prima cosa che le venne da fare, ora che era sola, seppur circondata da decine di persone appollaiate sui tetti, fu quella di cercare con lo sguardo sua sorella. Era ancora lì, seduta, con le gambe accavallate e la schiena composta.

Ora che la confusione era aumentata, Maed agitò le braccia.

Adel si spostò impercettibilmente, ma in tutto quel tempo, non incrociò mai lo sguardo di sua sorella.

Maed si arrese. Si affacciò dal tetto, in cerca di un posto sicuro per scendere nella piazza. Sì, si sarebbe fatta strada a spintoni e si sarebbe arrampicata dall'altra parte. Allora Adelin non avrebbe potuto non vederla.

D'un tratto, riconobbe nella folla le due bambine di prima. Si erano unite a un gruppetto di ragazzi, tutti vestiti con abiti sporchi e vecchi. Fremevano, bisbigliavano, in attesa di qualcosa. Eppure guardavano tutti dalla parte opposta al palco, dove la strada s'immetteva nella piazza.

Maed si calò all'interno di un balcone e atterrò accanto a una signora. Ma la donna era troppo rapita da cosa stava succedendo lì sotto per lamentarsi della sua presenza abusiva. Ancora di spalle, Maed assisté a decine di persone scendere dai tetti come ladri, servendosi di corde e rampini. In mezzo a loro, c'era pure una donna con in braccio un neonato.

La folla si era addensata al centro della piazza, lasciando libera l'entrata.

E in una nuvola di fumo scuro e denso, fecero la loro entrata tre carri, trainati dal nulla. Uno stava davanti agli altri due, e la folla dovette indietreggiare e ammassarsi ancora di più, per creare spazio.

Maed strinse con forza la ringhiera di metallo e si protese in avanti.

Anche il carro sembrava fatto di metallo. Era nero, come la nube scura che aleggiava densa attorno alle sue ruote. Il rumore che emetteva sembrava quello di una tosse leggera, insistente, ritmica, e mentre tossiva traballava, anche ora che si era fermato.

Tra l'intelaiatura articolata, fatta di decine e decine di tubi sottili, sbucò la testa fasciata dalla seta del Benefattore. Quella mattina, il suo vestito, compresi i guanti, era tutto bianco. La luce che batteva sul tessuto metteva in risalto, leggermente più scure, le volute simili a ghigni che lo ricoprivano dalla testa ai piedi. Tutto il suo corpo rideva. Lì, attorniato da lamiere di metallo nero e lucido, in quel vestito così puro e brillante, sembrava un dio venuto a portare la morte.

Sotto gli sguardi di tutta la piazza, con disinvoltura, allungò il braccio sotto di sé e tirò una leva. La leva gracchiò, e il carro smise di traballare e si azzittì.

Rimase solo un lieve scoppietto metallico.

Tic, tic. Tac.

Maed poteva percepire il calore anche da lì sopra. Poteva immaginare un calore immenso avvolgere quella mostruosità.

Gli altri due carri, alle spalle, lo imitarono. E così il silenzio si fece totale. Nessuno osò tossire. Le nubi di fumo si librarono in cielo, e all'improvviso la giornata non fu più così limpida e soleggiata come prima.

Il nobile, sul palco, stringeva il bordo del tavolino. Maed fece correre lo sguardo da lui al Benefattore, e poi di nuovo al nobile.

«Va bene, lo spettacolo è concluso» disse, ancora con lo sguardo puntato in avanti. «Possiamo continuare con la gara. Chi si fa avanti?»

Maed si mosse solo dopo aver visto un altro scienziato farsi largo tra la calca, pronto a montare sul palco per la gara al veleno. Quando fu sicura tutta che l'attenzione fosse rivolta su di lui, si calò dal balcone. Si fece strada in mezzo alla folla tenendo lo sguardo incollato su sua sorella, ancora seduta immobile sul ciglio del tetto. Lei non spostava lo sguardo nemmeno di un millimetro.

Il carro del Benefattore era accerchiato da ragazzini.

Sarebbe stato impossibile attraversare quel punto della piazza. Ognuno difendeva la sua posizione con avidità. Speravano tutti di avvicinarsi e dare un'occhiata più da vicino al mostro nero, che ora riposava e si raffreddava quieto davanti a loro. Qualche fortunato - perlopiù bambini più piccoli - riusciva a convincere il Benefattore a farsi prendere in braccio e a montare sul carro maestoso. La sua espressione era sempre nascosta, ma rideva, eccome se rideva.

La sua risata sovrastava le urla di tutti i ragazzi.

Un altro tonfo monopolizzò l'attenzione della piazza. L'ennesimo scienziato era crollato. Maed si mise in punta di piedi e riuscì a scorgere il suo corpo accasciato oltre il bordo del palco. Spasimava.

«Scienziati, siete troppo deboli oggi» urlò il nobile, salendo sopra il tavolino. La sua voce, quella volta, sembrò fin troppo forte. «Davvero non riuscite a trovare tra i vostri intrugli scadenti un modo per sconfiggere il nostro veleno?»

Le urla dei ragazzi erano crollate di colpo, ma rimase comunque un concitato bisbigliare di fondo.

La voce del nobile sembrava essere giunta anche da oltre la piazza, tanto era diventata forte. «Benefattore, vuoi provare tu?»

I ragazzi ripresero a sbraitare all'unisono. Lo pregavano. Volevano che sfidasse il nobile e che lo uccidesse. Vai, sali sul palco, sali lì sopra e fagliela vedere, il veleno non ti tocca, sei troppo forte, ti prego fallo fuori, vai, uccidilo. Così urlavano tutti.

Il Benefattore mise giù un bambino. Parlava, ma Maed non sentiva bene le sue parole. Aprì le grandi mani guantate di bianco per contenere tutti i ragazzi che cercavano di salire sul carro. Si voltò a destra, a sinistra, scuotendo la testa.

«... non posso, davvero, non posso proprio...»

E ridacchiava.

«Grazie, ragazzi, ma davvero, non posso rischiare di morire, io.»

Qualcuno tirò una gomitata a Maed. Lei si accorse che alcuni ragazzi, ai suoi piedi, armeggiavano con qualcosa. Versavano dei liquidi dentro a delle boccette. Una di quelle iniziò a eruttare schiuma.

«Benefattore!» si alzò di scatto uno di loro, sollevando un bicchierino pieno di un liquido verde, come un trofeo. «Bevi questo!»

Tutti ripresero a urlare, a incitarlo.

«Sì, Benefattore» disse la voce del nobile, così forte che parve cadere pure dal cielo. «Bevi quella merda scientifica e sfidami!»

Il Benefattore scosse la testa un'ultima volta e parlò, non troppo forte per non essere sentito dal nobile. «Mi dispiace, non posso. E poi chi le paga le prossime invenzioni?»

Maed si fece largo con i gomiti, passando dietro al carro.

Sua sorella guardava in cielo, come spaesata.

Sono quaggiù, guardami. Sono venuta per te, come promesso.

Ma mi stai aspettando o no?

«Siete troppo deboli, voi scienziati» riprese a parlare il nobile. «Vi nascondete dietro alle vostre costruzioni, che sparano fumo e vapore, ma sotto sotto non hanno un bel nulla. È questo il modo che avete per dimostrare la vostra potenza? Siete mortali.» Quella parola riverberò per tutta la piazza come un tuono. «Voi credete che le vostre opere possano donarvi la vita eterna. Me l'ha detto lui» e prese per il braccio lo scienziato appena morto, sollevandolo come un burattino. «Prima di iniziare a bere il veleno mi ha detto che sarebbe morto, ma anche che un giorno avreste sfiorato le stelle e così sarebbe diventato immortale.» Afferrò la bottiglia da un nobile al suo fianco e la bevve tutta d'un fiato. Espirò, come si fa dopo essersi scolati un bicchiere d'acqua ghiacciata. Quel suono fu così forte che Maed dovette tapparsi le orecchie e chinare la testa. «Questo è essere immortali. Le vostre invenzioni, le distruggiamo.»

Maed continuava ad avanzare in mezzo alla folla. Era più facile, ora che tutti erano catturati dal discorso. Quando si girò anche lei, vide che il nobile stava fluttuando. E brillava.

La debole luce che emanava sembrava liquida, come spalmata su tutta la sua pelle.

«Gente di Asdenar, cosa volete? Diventare immortali, imparare a volare, oppure vendervi alle mostruose costruzioni di questi individui?»

La piazza calò nel silenzio.

Solo un bisbiglìo osò spezzare la quiete.

Accanto al Benefattore, seduto al suo fianco, c'era un ragazzo. Ma stavolta si trattava di un ragazzo più grande degli altri. Entrambi erano leggermente chinati, nascosti dietro la parte frontale del carro nero.

Il Benefattore raccolse un tubo di metallo e lo porse al ragazzo, che se lo appoggiò sulla spalla.

Solo in quel momento, dal ghigno che si formò sulla sua bocca appena lui socchiuse un occhio, Maed capì che si trattava di Haon.

«No, ragazzo, un po' più su...» Il Benefattore diede un colpetto al lungo tubo, dal basso. «Ecco, così.» Haon inspirò e trattenne il fiato, guardando con un occhio solo.

Il nobile stava continuando a parlare, ma Maed non ascoltava per davvero.

Quando invece intuì cosa stava per accadere, accelerò, puntando a testa bassa verso il palazzo di fronte a sé. Ormai, non importava più cercare di nascondersi. A breve, se Maed aveva capito davvero cosa stava per succedere, sarebbe scoppiato il putiferio. Si preparò a diventare l'oggetto dell'attenzione per qualche breve secondo, gli occhi di tutta la piazza puntanti addosso mentre si arrampicava. Dopodiché, non sarebbe contata più un bel nulla.

Giunse sotto il muro e iniziò a salire.

Nessuno la guardava, nessuno si era girato a osservarla. Maed, la traditrice, di scienziati e nobili, si stava arrampicando davanti a centinaia di persone, ma nessuno la stava guardando. Nessuno si era accorto della puttanella. Maed si fermò. Sotto sotto, voleva che qualcuno si accorgesse di lei. Dopo qualche secondo, però, perse la speranza e riprese a salire verso Adelin.

Una volta su, rimase qualche secondo sul bordo del tetto. Allargò le braccia, e seppe che c'era qualcosa che non andava. L'aria di fronte a lei - la luce - sembrava... dileguarsi. La stava aggirando.

Le venne in mente qualcosa di stupido. La luce, sì, proprio lei, anche la luce si era sentita tradita e aveva deciso di non toccarla?

Adel era al suo fianco. Se anche lei avesse allungato il braccio, si sarebbero potute toccare. E invece con la mano si copriva la bocca, mentre guardava giù nella piazza. Evidentemente, come il resto di Tumenor, non la stava vedendo.

E in quel momento accadde quello che doveva accadere, sul carro nero del Benefattore. Ma Maed non aveva previsto un'esplosione.

Guardò in basso, giusto in tempo per vedere il tubo sussultare tra le braccia di Haon. Si accese più volte sul foro anteriore. Uno, due, tre lampi di luce.

Sul petto del nobile, sulla sua giacca dorata, si allargò una grossa chiazza di sangue blu. Lui sussultò su se stesso, boccheggiò. Eppure rimase così, sospeso nel nulla. Impiccato in aria, con la testa accasciata all'indietro. E la sua pelle continuava a brillare.

Di sotto, nella piazza, esplose un tumulto.

Maed si avvicinò a sua sorella.

«Maed, sei tu?» Adel allungò il braccio in avanti, come cieca. «Maed, dove sei? Non ti vedo...»

«Sono qui!» urlò Maed. Mi prendi in giro? Si lanciò in avanti e l'abbracciò.

«Oh...»

«Ora mi vedi?»

«Ora sì...» soffiò lei, fra i suoi capelli. «Ora ti sento, ti tocco. Che stava succedendo, prima?»

Si staccarono, dopo qualche secondo.

Prima dovevano risolvere la questione in sospeso. Dopo, quando Maed ne fosse stata certa, avrebbero discusso insieme di tutto il resto.

«Non ce l'ho fatta» disse. «Ho fallito, con gli scienziati.»

«Dici? Lo so cos'è successo stanotte. Lo sa tutta Asdenar, fra un po'. Un vero disastro con quel loro aggeggio.»

«Io volevo...»

«Posso immaginare anche che sia stata tu, a combinare quel disastro. Mi basta e mi avanza.»

«Quindi mi insegnerai la magia?»

«Iniziamo domani. Io e papà abbiamo trovato una villa abbandonata. È perfetta.»

«Sembra...» disse Maed. «Questa volta ho l'impressione che sia stato tutto così facile.»

«Credici, Maed. È tutto vero.»

La folla continuava a strillare sotto di loro. Maed non sapeva cosa stava succedendo, in realtà. Spostò il braccio sinistro dietro la schiena e coprì il nuovo tatuaggio - La Luminosa - tirando giù la manica. Iniziò a ridere e piangere insieme.

«Ogni tanto,» disse Adelin, «qualcosa va nel verso giusto.»

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