Capitolo Ventotto
Ritorno
Quando scienza e magia si sfiorano, accade tutto quello che non era mai riuscita a spiegarsi.
Maed, consapevole di avere ancora gli occhi di tutti puntati sulla schiena, s'inoltrò nel corridoio che portava alla sala di vetro fuso, fermandosi sopra la lanterna che suo padre aveva usato per spalancare il portone. Le fiamme azzurre, non c'erano più. Sotto il suo sguardo giaceva un misero involucro di vetro scoperchiato.
La prima volta che scienza e magia si erano sfiorate ed era accaduta quella cosa, era stato alla cena dopo il viaggio di ritorno dalla Reggia. Non sapeva effettivamente se era stata la prima volta, se per caso già era successo ma lei non era stata lì a guardare, o se c'entrasse con il suo ritorno da Lyniar. Doveva essere già successo, doveva. Scienza e magia abitavano la stessa città, si erano scrutate da lontano per anni. Quella sera, Maed stava giocando con il Girateste nascosto tra le gambe, il suo primo tesoro scientifico, mentre Tanesin si sforzava ad aprire i petali della sua pianta dopo aver immerso le dita nelle fiamme verdi. Dopo qualche minuto di nulla, però, erano state le foglie della piantina di Maed a chiudersi, senza che nessuno l'avesse voluto. Sua madre l'aveva sgridata col solo sguardo, un misto di rabbia e confusione.
Il portone si chiuse con un tonfo, e Maed rimase sola nel corridoio.
Se c'era davvero stato un segreto, dietro quelle tende, il segreto della magia, e se solo avesse potuto ammirarlo e comprenderlo, avrebbe saputo perché quella lanterna si era spenta, e come aveva fatto il portone a chiudersi da solo. Ma lei sapeva solo cosa succedeva quando scienza e magia si sfioravano. Non sapeva come chiamarlo, ma sapeva che era vero.
Lasciò la lanterna a terra e corse lungo il corridoio, e alla prima traversa svoltò l'angolo e si nascose. Come previsto, il portone cigolò e si riaprì ancora una volta. Maed si appiattì contro la parete e stette a sentire cosa succedeva. Se ne stavano tutti zitti, in un silenzio tombale, gli unici suoni i passi soffici sulla cenere e le ante che si richiudevano. Un altro cigolio, alcune voci distorte e i tacchi delle scarpe che si perdevano in profondità, fino a scomparire.
Maed fece in tempo ad affacciarsi per vedere solo suo padre, di spalle, impegnato a richiudere una botola e a spargerci sopra la cenere per ricoprirla. Qualche metro più in là giaceva il corpo immobile di Adelin. Lui si alzò per raccoglierlo, e solo allora si accorse di essere osservato.
La seconda volta che scienza e magia si erano toccate - anche se forse scontrate sarebbe stato più adeguato - e lei aveva testimoniato, era stato all'esecuzione col fulmine. Quando lei e Tadon si erano guardati negli occhi per la prima volta. I nobili avevano chiamato con le loro fiamme gialle la furia del cielo e l'avevano fatta schiantare sul povero scienziato appeso in cima al palo, e lei aveva volato.
Si era subito chiesta per quale motivo non si era messa a fluttuare anche alle altre esecuzioni, tutte quelle volte che uno scienziato era morto per mano della magia, e dopo qualche ipotesi era giunta alla conclusione che fosse una questione di assuefazione. Saltare da un tetto per la prima volta rischiava di spappolarti il cuore dalla paura, ma poi diventava un semplice martellare furioso. Ora, era normale come scendere di corsa delle scale.
Per questo alla gara al veleno con Shara doveva provare qualcosa di nuovo, qualcosa di enorme, o avrebbe rischiato di essere accarezzata da un semplice e inutile brivido sul collo.
Il cuore di Maed le saltò fino in gola, quando incrociò lo sguardo con suo padre. Ma il battito scemò all'istante, e lei capì che non c'era davvero bisogno di nascondersi. Sostenne lo sguardo con Farnel, mentre prendeva tra le braccia sua sorella, il vestito verde e la pelle macchiati di fuliggine. La sua testa pendeva insensibile. Lui le sussurrò qualcosa all'orecchio, e accostò la tempia sul suo petto per ascoltare. Si alzò in piedi e se ne andò sotto lo sguardo di Maed, senza girarsi, svoltando di fronte a lei e scomparendo sopra una rampa di scalini.
«Non andare, Maed» disse però la sua voce, quando non era più visibile. Maed si alzò in piedi. «È pericoloso.» Dopo qualche secondo, i suoi passi si affrettarono su per le scale.
Maed tornò dove si era nascosta la botola, afferrò la cenere con le mani e scavò fino a snudare le assi di legno. L'avrebbero sentita? Attese qualche secondo, e alla fine afferrò un anello di metallo e sollevò la botola, trattenendo il fiato.
Sotto di lei si aprì un'oscurità abissale. Delle gocce ticchettavano sul fondo, così lontane che sembrava fossero cadute minuti prima. C'era una scalinata di pietra, scivolosa, dagli spigoli smussati, e Maed incominciò a scendere lasciandosi guidare dall'udito.
La terza volta che scienza e magia si erano sfiorate, fu la prima volta che rubava per la Combriccola, la prima volta che, nel petto, aveva sperimentato la realtà di se stessa sotto il Faro, circondata dagli scienziati e dai loro tesori splendenti, certa che la notte lì fuori li avrebbe protetti. Stava correndo su per una delle torri della Villa, l'aria che le gonfiava i polmoni, il cuore agitato e le dita calde che lasciavano solchi sulla saponetta che aveva rubato.
Maed si ritrovò sorpresa, quando alla fine della scalinata sotto la botola poggiò il piede su altra pietra. Aveva mosso un passo alla ricerca dell'acqua che credeva le avrebbe bagnato il piede, ma quella caverna oscura non faceva parte della fognatura di Asdenar. Si sentì come se fosse andata a sbattere contro un muro.
Soenin, quel giorno di due anni prima, le era andato a sbattere mentre correva giù per la scala a chiocciola dalla torre, e ciò che entrambi avevano avuto tra le mani ruzzolò di qualche scalino. Lui era rimasto a fissare la saponetta per alcuni, lunghissimi secondi.
"Stai attenta" aveva detto, e non aveva fatto altro che spostare lo sguardo sulla sua pietra mentre la faceva fluttuare fino alla mano. Ora che ci pensava, in quel caso, la carezza tra scienza e magia era stata molto più sottile. Nemmeno c'era stata, a livello materiale. Maed, stupita che Soenin se ne fosse andato senza dire nient'altro, si era ritrovata la saponetta di nuovo tra le dita. Non si era accorta che si era sollevata da terra fluttuando, e che quella volta l'aveva pure voluto, seppur per gioco.
Maed guardò in alto, ma non vide nemmeno il quadrato di luce della botola da cui era scesa. Il cunicolo si estendeva alla sua sinistra e alla sua destra, ma era leggermente inclinato verso destra. Incominciò a camminare da quella parte. Qualcuno bisbigliava, più in basso di lei. I sussurri strisciavano verso l'alto interrotti unicamente dai tonfi delle gocce d'acqua. Quando arrivò l'odore di magia, così forte come non l'aveva mai sentito, capì che quello che aveva odorato nel bastione della Villa, o quando lei e Shara avevano provato a rubare il lampadario, non era nulla in confronto. Ebbe la sensazione di trovarsi in una gola. Anzi, dentro un esofago. Dentro le viscere di Tumenor, diretta verso il suo stomaco nero e proibito.
Affrettò il passo, prendendo solo brevi e rapide boccate, scoprendo però che ogni volta non faceva altro che inalare magia allo stato puro, e che non se ne sarebbe fatta un bel nulla di quello. Non aveva oggetti scientifici con sé, non poteva mettere in atto la sua illuminazione e, anche se avesse potuto, il ricordo di quello che era successo sotto il lampadario, di come dopo l'esplosione persino il pavimento del corridoio si era liquefatto in pozze d'ambra fusa, l'assalì e la fece desistere del tutto. Non poteva fare nulla se non continuare a correre lungo il cunicolo e sperare che sarebbe sfociato da qualche parte, o che avrebbe raggiunto sua madre, perché no? Almeno lei l'avrebbe salvata.
La quarta volta, quando scienza e magia avevano danzato una dentro l'altra, e Maed si era trovata in mezzo a quella danza, era stata proprio la notte del lampadario.
L'aria aveva tremolato, pregna di magia, così pregna che il solito odore si era trasformato in sapore, e Maed aveva potuto sentirlo acido in fondo alla lingua. Adel aveva preso l'intera magia della Villa e l'aveva spostata nella sala, per attirarla da lei, per trascinarla via da Shara e dalla sua trappola. E Andelus, al contempo, aveva chiamato gli Spiriti e li aveva invitati dentro la Villa, anche lui, per distoglierla dal lampadario e chiamarla alla vera prova della Combriccola.
«Chi è?» rimbombò una voce, e Maed si fermò slittando sulla pietra. Era salva. Si lasciò scivolare sulla parete umida della galleria, accoccolandosi nell'angolo che formava col pavimento. Lasciò naso e bocca liberi, permettendo alla magia di fluirle dentro i polmoni, e all'improvviso la mente le suggerì che non l'avrebbe salvata nessuno, che in realtà stava andando dove non doveva andare e che se l'avessero trovata viva l'avrebbero punita una volta per tutte.
Alcuni passi vennero dal basso, come i sussurri di prima, mentre altri, invece, si fiondarono verso di lei dall'alto. Maed decise di addormentarsi, e si convinse che stessero venendo a prenderla da entrambe le parti per portarla nella sua camera, in salvo sotto le coperte.
Ora che sapeva che gli Spiriti erano scienza, tutto acquistava un senso più chiaro. Avevano strisciato sul pavimento, avevano danzato con l'aria tremolante e quasi si erano sollevati in un turbine per volteggiarle attorno, e in quel momento lei aveva fluttuato per la seconda volta, sospesa tra le perline di vetro del lampadario. Gli Spiriti si erano insinuati nel fitto odore di magia, ed era successo quello che doveva succedere.
Più accadeva con delicatezza, più il risultato era tenue. Se invece decidevi di ferire la magia con una lama affilata fatta di scienza, come probabilmente aveva fatto Cran sfoderando il fuoco del Fiammerino per farsi luce nel buio della sala, allora tutto rischiava di saltare in aria. E così infatti era stato.
La percezione di Maed ritornò al cunicolo come una cascata di acqua fredda sulla faccia, e poi dritta nella sua gola. Acqua fredda, e buona. L'odore di magia era scomparso. Maed si cercò le guance con le mani, ma trovò al loro posto dei contorni duri e gonfi. Portò le dita in basso, scoprendo che sotto il suo mento si estendevano due protuberanze, dalla base rotonda e bucherellata. Inspirò, e il rumore del suo fiato giunse alle sue orecchie come un risucchio, mentre altra aria fredda si gettava dentro i suoi polmoni.
«Ti avevo detto di non scendere, piccola» disse suo padre, proprio di fronte a lei. La sua voce era distorta come quelle che aveva sentito prima di calarsi nella botola. «Con questa maschera l'odore di magia non ti farà nulla.»
Maed si alzò in piedi e indietreggiò di qualche passo, scendendo lungo il cunicolo. Si fermò per annuire alla figura di suo padre, ma non riuscì a dire se lui stesse rispondendo in qualche modo. Mosse qualche altro passo, e capì subito che da lui non ci si poteva aspettare né un incoraggiamento, né un ammonimento. Lei avrebbe continuato a scendere per le viscere di Tumenor per seguire sua madre, Tanesin e Shara, perché lo desiderava e perché era pericoloso, e lui non avrebbe detto o fatto niente a proposito.
«Chi saresti tu?» disse una delle voci distorte di prima alle sue spalle. Maed si voltò di scatto, ma quella domanda non si era riferita a lei.
In risposta, più in profondità lungo la caverna, giunse solo un ansito sofferto, amplificato a dismisura da un'altra maschera.
«Calma, Tanesin, lascialo rifiatare. Se ha la maschera e si trova qua sotto è uno di noi.»
«Sì...» Altri respiri simili a risucchi. «Sono un servitore della famiglia Hanseni. Ci hanno chiamato...» Mentre l'uomo riprendeva fiato, Maed si fermò a qualche metro di distanza, cercando di fare meno rumore possibile, ora che era difficile tenere silenzioso il proprio respiro. «La Reggia. Quel problema di cinque anni fa.» L'ultima frase si concluse con una boccata d'aria straziante, come se un coltello avesse squarciato i polmoni del servitore.
«Non è possibile» rispose immediatamente Yanesin.
«Aspetta, mamma, perché hanno chiamato loro e non noi? Non contano un cazzo gli Hanseni.»
«Dalla Reggia... hanno chiamato quasi tutti. Non rispondeva nessuno.»
«Siamo impegnati con una guerra, forse non lo hanno capito.»
«Dicono che dovete andare. Alla Reggia. Voi Tamoni. Dicono che loro sono tornati.»
«Li abbiamo mandati via tutti, è impossibile. Li ho visti scappare io coi miei occhi. Se ne sono andati come nelle storie di centinaia d'anni fa, cagati addosso come quando sono esplose le città.»
«Mamma, sta parlando degli scienziati? Forse pure da loro hanno problemi. Finiamo qua e poi andiamo a ucciderli anche lì.»
Per qualche secondo la discussione si ridusse a brevi e lenti risucchi d'aria.
«Stronzate» disse Yanesin. «Se gli scienziati avessero preso Lyniar, a quest'ora Tumenor non sarebbe più nostro. Sta parlando dei faccia-blu.»
Maed si staccò di scatto dalla parete. Faccia-blu. Lo sapevano tutti che la loro pelle aveva mille sfumature.
«La famiglia reale prega la vostra presenza... Dicono che questa volta...»
«Questa volta il problema è ad Asdenar. Se non facciamo fuori gli scienziati... se i cittadini di Asdenar non li vedono morire dal primo all'ultimo, rischiamo di perdere tutto. Quell'altro problema, non è un cazzo in confronto. Si può risolvere in segreto, e non c'è bisogno di nessuno spettatore. Lo rifaremo.»
«Cosa... cosa rispondo ai nobili di Lyniar?»
«Che vengano loro. Le navi ce le hanno. Vengono qua, insieme facciamo fuori gli scienziati, e poi ci mettiamo a tavolino per parlare dell'altra cosa. Capito?»
«Mamma, questa è una guerra nostra. Non voglio altri nobili a interferire.»
«Zitta, Tanesin, stai zitta una buona volta. Tu, ora vieni con me.»
I tacchi di quattro scarpe risuonarono proprio di fronte a Maed, ma nessuno si accorse della sua presenza, tanto lei era appiattita contro la parete. Quando anche l'eco scomparve da qualche parte in superficie, Tanesin riprese a parlare. La sua voce era più flebile, adesso. Maed riprese a scendere, tenendo la mano sempre a contatto con la pietra al suo fianco.
«Mia mamma certe volte non capisce un cazzo. Abbiamo un divertimento, uno, e lo vende così facilmente.»
Quando tornava il silenzio, Maed poteva sentire solo il proprio respiro grattare contro la maschera, e in quel momento diventava sorda a tutto il resto. Però continuò a camminare. Incominciava a intravedere delle ombre, stagliarsi nell'oscurità, come due contorni più neri del nero che li circondava.
«Dove stiamo andando?» chiese Shara.
«Non lo so. Il bello di non essere ancora come nostra madre ci regala tutto il tempo che vogliamo. Ci conviene approfittarne. Mi conviene» disse, ridacchiando, ma la maschera mutò la sua risata in una tosse grave e rauca. «Molto a breve i miei divertimenti cambieranno in sostanza. Decidi tu, dài.»
«Dove porta questa galleria?»
«Dappertutto. Allora, hai deciso?»
«Anche alla piazza col palco?»
«Dappertutto ho detto. Vuoi vedere le gare?» Il suono del sospiro di Tanesin riempì tutto il cunicolo, come se al suo interno ci avesse soffiato una forte corrente d'aria. «Sei noiosa, ma ti accontento.» I suoi tacchi ripresero a colpire la pietra, e furono seguiti a ruota dai passi più leggeri di Shara. «Anzi, aspettiamo una carrozza, non ho voglia di camminare.»
Trascorsero diversi minuti, e Maed dopo un po' che non succedeva nulla si sedette a terra. Quel cunicolo non scendeva nelle viscere di Tumenor, non andava in nessun posto segreto. O forse sì. Per una volta si trovò d'accordo con Tanesin, non se ne sarebbe fatta nulla di vedere altri scienziati morire. Aveva bisogno di un'idea. Accarezzò i lobi che si estendevano sotto la sua maschera, percependo la loro superficie vibrare a ogni respiro. Ripercorse a mente tutte le volte che scienza e magia si erano sfiorate, ognuna con la sua nuova regola, fino a quando la quiete non s'interruppe di nuovo.
Dapprima sembrarono due o tre persone che correvano sulla pietra, ma ci volle ben poco prima che Maed capisse che quelli che si stavano fiondando verso di loro erano zoccoli di cavalli. Sembrò arrivare un'assordante tempesta, come una grandine di sassi. La carrozza arrivò senza luci, senza lanterne colorate. I cavalli nitrirono, i loro zoccoli stridettero sulla pietra e Maed chiuse gli occhi e si tappò le orecchie temendo potessero scaraventarsi addosso a lei.
Tutto cessò con la stessa rapidità con la quale era iniziato, e al posto del caos restarono solo gli sbuffi degli animali e alcune parole confuse. Maed si alzò stordita, udendo dei fischi dentro la testa e alcuni suoni ovattati più in basso. Non fu difficile individuare la carrozza. Vide due ombre scure salire sopra un'ombra più grande al centro del cunicolo. Nonostante la confusione, fece in tempo a raggiungerla e aggrapparcisi prima che partisse. Era molto più facile scroccare un passaggio lì sotto che in superficie.
«In realtà,» riprese Tanesin una volta che la carrozza ebbe ripreso la corsa, sovrastando il baccano degli zoccoli e del vento, «non sei tu a essere noiosa. L'idea del lampadario è stata...»
Maed provò una leggera vampata di calore, a sentire quelle parole, e quello le schiarì leggermente la mente.
«...Più torture o esecuzioni, cazzo. Ora con la guerra è tutto uguale. Sono gli altri nobili a essere noiosi, hanno finito le idee. E mia mamma sembra essersi rammollita. Per questo non vedo l'ora...»
Tenendosi con una mano sola, Maed si strappò la maschera dalla faccia e la lanciò alle sue spalle. Inspirò a pieni polmoni e, come aveva previsto, ora che stavano sfrecciando a tutta velocità l'odore di magia non fu più un problema come prima. Era quasi piacevole, inebriante.
«Dici che possiamo pensare a qualcos'altro per la gara con Maed?» Quella era stata Shara a parlare.
«Oh, sì, ora sì che...»
Maed si arrampicò ancora di più, protendendosi in avanti per ascoltare meglio. Ora vedeva chiaramente le schiene delle due ragazze, a una spanna dalla sua fronte.
Succedeva sempre così. Si ricordò di avere una collana al collo quando la sentì tirare dolcemente in avanti, fredda sulla pelle. Bastò ritrarsi di nuovo di qualche centimetro, e qualsiasi cosa stesse per succedere smise ancora di prima cominciare.
«Abbiamo un giorno e mezzo per pensarci. Ti aiuto io, ho già... Ehi, fermati, siamo arrivati!»
Mentre i freni si sganciavano e incominciavano a stridere sulla pietra, Maed ne approfittò per calarsi di nuovo. Si appese sotto la carrozza, come un ragno.
«Buona giornata, signorine» disse a bassa voce il conducente, una volta fermo. Agitò le briglie e i cavalli ripresero a correre.
Maed prese posto in uno dei sedili. Si voltò per lanciare un ultimo sguardo a Tanesin e Shara, e magari farsi vedere, ora che erano lontane e non avrebbero potuto farle più nulla. Se prima quello strattone leggero aveva afferrato Maed alla collana per tentare di avvicinarla a Tanesin, risvegliando nella sua mente l'orribile ricordo di quando con le fiamme nere l'aveva quasi impiccata per aria, ora la distolse da quello che c'era alle sue spalle, costringendola a voltarsi di nuovo. Si sfilò la collana e la chiuse nel pugno. Forse c'erano delle fiamme nere, lì di fronte a lei, così scure che non poteva vederle. Aveva senso, azzurre come il cielo per le carrozze in superficie, lì sotto, nere come la notte.
Alcune strisce di luce sfrecciarono in alto, sul soffitto. Un tombino. Erano quasi arrivati al porto.
Maed saltò giù dalla carrozza, e percepì per un brevissimo istante la debole presa delle fiamme nere sulla collana stretta nel pugno. Ma era già tutto finito, ora che la carrozza si era gettata dietro una curva. Ritornò il silenzio, l'aria si calmò e rimase un lieve odore di magia, ormai quasi impercettibile.
Maed camminò per qualche altro metro, e al primo tombino che incontrò salì la scaletta fino in cima. Afferrò la grata e la sollevò, ritornando in superficie.
Il ritorno fu quasi accecante. Maed cercò immediatamente il cielo, ma era così splendente che dovette coprirsi gli occhi per non farsi male. Aspettò qualche secondo, mentre alcune figure colorate le danzavano sotto le palpebre, facendole vorticare la testa.
La quinta volta che magia e scienza si erano sfiorate, la luce l'aveva scansata, e nessuno era stata in grado di vederla.
Una gomitata la colpì allo stomaco, e la sua mente ritornò all'istante nella stradina sulla quale era sbucata. Aprì gli occhi credendo di trovarsi nel bel mezzo del mercato, ma invece il viale era deserto. Tre nobili correvano in salita, arrancando. Uno di loro si voltò di scatto e la fissò, ma dopo nemmeno un secondo riprese a correre con i suoi compagni.
Maed si ritrovò col fiatone. Lanciò rapide occhiate ai tetti delle abitazioni accanto a lei, dopodiché si diresse verso il porto. Imboccò un vicolo stretto, una breve scorciatoia per evitare le strade più affollate. Solo a metà si accorse che in realtà era del tutto inutile. Quando sbucò sulla strada parallela alla prima quasi inciampò su un cadavere riverso a terra. Lo aggirò, riprese a scendere verso il porto correndo all'indietro, e mentre fissava il bianco latteo della sua pelle. Lo avevano denudato, era impossibile dire se fosse uno scienziato o un nobile. Era morto da qualche giorno, ormai.
Il viale si apriva sul porto, allargandosi a mano a mano che scendeva. Una volta si poteva ammirare la punta del Faro, da quella strada.
Alcuni spari esplosero alla destra di Maed.
Proprio quella volta che la luce si era dimenticata di lei, mentre si stava arrampicando invisibile su un palazzo a lato della piazza, Haon aveva imbracciato l'Esplodiferro del Benefattore e l'aveva puntato proprio sul petto del nobile. Il nobile stava pronunciando il suo discorso, fluttuando sopra il palco, e poi, con un boato enorme, la pallottola di ferro si era piantata nel suo cuore, ed era sgorgato sangue blu, era gocciolato sulle assi di legno e infine per terra.
Maed si riscosse dai ricordi e guardò sul tetto sopra di lei. «Bucate quella cosa, bucatela!» Uno scienziato sparava senza sosta mirando al cielo, e nel frattempo indietreggiava sul tetto sul quale si trovava. Appena il suo piede ne sfiorò il bordo lui si bloccò, proprio un attimo prima di cadere.
Maed riprese a correre. Per un attimo il suo cuore la ingannò, si mise a martellare furioso, convincendola che là in alto stessero volando dei nobili. Significava che stava per riaccadere, che forse sarebbe stato meno intenso, ma scienza e magia erano lì, si stavano scontrando a un passo da lei e lei avrebbe visto.
Più o meno dove una volta c'era stato il Faro, ora in cielo si librava una palla immensa, una palla con enormi spicchi colorati.
Qualcosa formicolò sulla nuca di Maed, ma oltre a quello non accadde un bel nulla.
Mentre il suo cuore si calmava all'improvviso, la palla sfiorò il bordo ardente di Gamon. Come una nuvola, letargica e quieta, lo oscurò centimetro dopo centimetro. I raggi l'avvolsero da dietro, protendendosi all'infuori come le dita di una mano aperta, e sulla strada calò una notte anticipata.
«È tornato, il bastardo!» Altri boati. «Spara, spara! Abbiamo l'ordine di abbatterlo!»
Maed si arrampicò sopra una casa. D'un tratto l'aria si era fatta fredda, e anche la minima brezza adesso faceva tremare. Gli spari tuonavano alle sue spalle, sopra di lei, e i brividi serpeggiavano sulla sua nuca. Mentre la sfera gigante cominciava a guadagnare quota, insensibile alla tempesta di pallottole che partiva dai tetti, uno scienziato atterrò con un salto accanto a Maed, ansimando. «Levati, ragazzina. Vattene come hanno fatto tutti gli altri.»
Maed si girò a guardarlo, mentre lui si inginocchiava e socchiudeva un occhio per guardare dentro l'Esplodiferro.
«Non sono nobili quelli?» gli chiese, urlando.
Lui pensò per un attimo se valesse la pena perdere la mira, poi la squadrò e rispose: «Che t'importa, eh?» Lasciò cadere lungo il fianco la sua arma. «Ehi, ma tu sei la ragazzina nobile. Ti credevo morta. Il Temprato ti ha-»
«A chi state sparando?»
«Ma certo, tu lo conosci. È il tuo amichetto, Tadon.»
«L'ho preso!» gridò qualcuno alle loro spalle.
«Perché non cade?» seguì un altro.
«Un buco non è niente» sbraitò lo scienziato inginocchiato accanto a Maed. «Dobbiamo ridurla a un colabrodo o continuerà a volare.» E ritornò a mirare verso la palla colorata.
Maed corse sui tetti, tenendo gli occhi sollevati. Si schermò la fronte con una mano per ripararsi dalla luce che ricominciava a gettarsi sulle abitazioni, accorgendosi solo adesso che l'immenso pallone trainava con sé, appeso con alcune funi, un piccolo cesto quadrato. Sì, se era davvero lui, doveva essere nascosto là dentro. E ora capiva perché non era successo nulla, quando le pallottole lo avevano sfiorato. Il cestello rimase per brevissimo tempo sovrapposto al disco abbagliante di Gamon, dopodiché se ne staccò e la luce quasi si rifiutò di lasciarlo, come una specie di liquido appiccicoso.
Le sembrava così ovvio, adesso. Se quel pallone poteva volare non era grazie alla magia. Tadon, appena qualche giorno prima, le aveva spiegato come funzionavano quel genere di cose.
Maed frenò sul ciglio del tetto di un grande magazzino, affacciandosi sulla banchina del porto, deserta come quando Hajen sorgeva dal mare. Alcune barche sbattevano contro i moli, vuote. C'era l'imbarazzo della scelta. Optò per una delle più modeste, una barchetta a remi che le ricordava tanto quella che aveva sempre usato per spostarsi da Asdenar alla zattera del Cavalluccio. E inoltre, senza vele, avrebbe avuto la vista sgombra per osservare Tadon fare a gara con Gamon, e magari con Hajen e Udenas, a bordo del suo Pianeta.
Era così piccolo, ora, un cerchietto nero sospeso nel cielo azzurro. Maed lasciò i remi, e si ritrovò a studiarlo con la testa china mentre la barchetta fendeva l'acqua e rallentava. Cercò di cogliere con quel poco che vedeva cosa stava realmente succedendo, cos'era successo mentre lei aveva passato tutti quei giorni alla villa abbandonata. Lo chiamò, gridò a più non posso, ma era davvero come urlare a uno dei pianeti e pregarlo di scendere. Probabilmente, se un pianeta si fosse avvicinato così tanto, avrebbero iniziato tutti a volare. Era così che funzionava, giusto? Se Tumenor li attirava a sé, allora anche gli altri suoi fratelli potevano fare altrettanto. Maed affondò i remi nell'acqua con più foga. Forse quel ragionamento assurdo le aveva appena regalato un'idea per la gara contro Shara. Metà idea, per lo meno. Doveva solo trovare l'altra faccia della medaglia.
Tutte le volte che Maed era tornata alla zattera del Vecchio Cavalluccio, l'aveva sempre trovato seduto sulla sua seggiola ad aspettarla, magari a scrutare il Faro, oppure intento a farsi un nuovo tatuaggio. La casa del Cavalluccio, quel giorno, era vuota. Lui non c'era. Le vele sopra il tetto erano ammainate, proprio come le aveva viste quella mattina dall'alto del tetto della villa abbandonata. Ma il Vecchio Cavalluccio non c'era.
Maed legò la barchetta a un palo e salì sulla zattera.
Arrivò la sera, mangiò il cibo che il Cavalluccio aveva lasciato, e perfezionò l'idea che le era venuta mentre remava e guardava Tadon volare a bordo del suo Pianeta. Era l'unica certezza che aveva. Lo vedeva sorgere da dietro le colline, volare sopra le ville e azzardarsi a sfiorare i tetti di Asdenar. Poi, tornava a nascondersi. Quando succedeva, e per tutta la notte, i brividi l'assalirono, insieme al timore che la gara contro Shara sarebbe potuta finire male.
Il giorno dopo, quando Gamon si apprestava a sorgere, e il Pianeta di Tadon faceva capolino per l'ennesima volta alle spalle di Asdenar, Maed vide una barchetta avvicinarsi alla zattera.
«Maed!» Il Vecchio Cavalluccio remava vigoroso, ritornando alla sua dimora da chissà dove. Attraccò sotto lo sguardo severo di Maed, e salì a bordo con un salto, sgranchendosi la schiena curva.
«Sei cambiato, Vecchio» disse Maed, indietreggiando, le assi di legno che scricchiolavano sotto i suoi passi.
Lui calò una mano ossuta e gocciolante sulla sua spalla, e rispose: «Anche tu sei cambiata, Maed.»
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