Capitolo Venticinque - I
Sono sempre stato contrario a pubblicare capitoli divisi per parti, anche quando sono più lunghi del solito. Mi piace sempre scriverli in modo che abbiano una loro interezza, e per questo mi viene sempre difficile trovare un punto in cui dividerli. Questa è una storia lunga, non è adatta per essere letta su Wattpad, e quindi a quale pro cercare di costringerla al mezzo? Se c'è qualcuno che è abbastanza paziente da poter sopportare più di 4000 parole su uno schermo, ben venga, probabilmente si accollerà anche l'intero romanzo su uno schermo.
Questo capitolo però è davvero lungo, il più lungo. Ha una sua unità, certo, ma anche alcuni punti di pausa che ne scandiscono il ritmo. Uno di questi l'ho usato per dividere il capitolo in due. Siccome non esistono segnalibri qui, se volete potete fermarvi a metà e riprendere in un altro momento, oppure potete leggere tutto d'un fiato. Pubblico entrambe le parti lo stesso giorno perché già vi faccio aspettare troppo.
Prima di darvi la buona lettura, approfitto di questa nota solitaria per avvisarvi che con questo capitolo superiamo la metà della storia.
Vi lascio riprendere un attimo da questa constatazione (che sia di gioia o incredulità).
Le prime bolle iniziano a staccarsi dal fondo della pentola.
Ok, ora buona lettura.
Scambi
Prima parte
Le pareti lucenti dell'Astro puzzavano di metallo, di quell'odore sporco e alieno che ti si appiccica sulle dita, ma che a momenti è quasi inebriante. Maed, però, si stava concentrando sull'odore che Tadon si lasciava dietro mentre si arrampicava sulla scaletta, qualcosa che assomigliava a un vento caldo e umido.
L'interno del cilindro era sempre il solito, uno specchio curvo privo di ogni imperfezione. Il primo tratto era il più lungo, una lunga galleria con un disco di luce colorata e cangiante sulla cima. Dopo aver superato la metà della scaletta, il disco si rivelò essere un soffitto argenteo che rifletteva tutto ciò che si trovava al di sotto. Tadon lanciò una breve occhiata in basso, sorrise e s'infilò in una botola.
I cilindri erano tutti uguali, ma più salivano, si accorse Maed, più essi si accorciavano. Questo significava pareti più corte e meno luce che rimbalzava sull'acciaio. Meno tempo appesi alla scala, sempre più botole da superare, sempre più oscurità. La sensazione di qualcosa che si stava addensando sopra e sotto di loro, che li stava premendo verso l'alto con una frequenza sempre maggiore, fece sentire Maed come una molla scagliata contro una parete. Aveva la pelle punteggiata dalla pelle d'oca, e mentre afferrava l'ultimo piolo di quel tratto di scala e un brivido le faceva tremare il polso, capì che erano finalmente arrivati alla fine e tutta la tensione accumulata sarebbe esplosa.
La fine di tutto era una piccola cupola disadorna, leggermente appuntita in cima e circondata per tutta la circonferenza da un'unica finestra. La promessa, quasi liberatoria, che una volta raggiunto il traguardo ogni tipo di energia si sarebbe liberata in un'esplosione, rimase splendidamente incompiuta. Maed si sentì d'un tratto stupida per aver pensato che sarebbe successo veramente qualcosa.
Tadon si sedette sotto la finestra, sospirando e distendendo le gambe in avanti. Maed rimase in piedi, la schiena curva per non colpire con la testa il soffitto.
«Siediti» la invitò lui, battendo il palmo della mano accanto a sé.
Lei lo ignorò. «Allora, cosa volevi dirmi?» chiese.
«Sappi che con tutta questa fretta non mi stai mettendo a mio agio.»
«Senti, Tadon...»
«Devi andare da qualche parte?»
Maed appoggiò i palmi delle mani sulla superficie gelida della cupola, ancora con la testa china. Solo dopo qualche secondo, si accorse che stava spingendo verso l'esterno, come se volesse allontanarla il più possibile lontano da lei.
Dopo un po' decise di sedersi. Si sedette di fronte a Tadon, raccogliendo le ginocchia.
«Immagino voglia dire che non sei poi così impegnata da non poter sentire un'ultima cosa» disse lui, facendo spaziare lo sguardo in alto. L'ultima volta che entrambi erano stati seduti sotto una volta era stata quella notte in cima al Faro, ma si era trattata di una volta miliardi di volte più ampia. La luce che aveva scivolato sopra di loro era stata quella degli Spiriti, non il riflesso deforme dei loro corpi. «Sarò velocissimo, poi prometto che ti lascio in pace.»
Maed aprì la bocca per esprimere la propria irritazione alla sua risposta, ma preferì rimanere in silenzio e non perdere altro tempo. Lanciò un breve sguardo oltre la finestra, come se avesse potuto vedere se sua sorella la stesse ancora aspettando, dopodiché si costrinse a guardare di nuovo in avanti.
«Me ne vado da Asdenar» disse lui, spostando lo sguardo di nuovo in basso. «Parto stanotte.»
Sembrò quasi una battuta, perché subito dopo gli era comparso un ghigno sulle labbra. Eppure ritornò serio immediatamente, abbassando lo sguardo e perdendosi in qualche suo pensiero. Non rispose neanche.
«Come? Per sempre?»
Maed dovette scuotergli il ginocchio per farlo parlare.
«Hai presente quella chiacchierata di prima, con Gravio?» disse infine. «Ecco, se hai ascoltato bene, avrai capito che c'è in ballo una specie di missione. Siamo solo in cinque a partire, e il capo è sempre Andelus.»
«So che vorresti sapere di più,» continuò «ma ad un tratto mi sono accorto che non è qualcosa di cui dovrei parlare, in realtà. Ma tu, Maed, sei Maed. Volevo solo avvisarti, nel caso mi avessi cercato.» Aggrottò le sopracciglia. Si grattò la tempia. «Nel caso. Ecco, ora se vuoi, puoi andare. In realtà pensavo che questo posto ti sarebbe piaciuto.»
«La missione ha a che fare con questo?» Maed premette l'indice contro la parete di acciaio della cupola.
«Dannazione, scoperti» disse Tadon, sollevando le braccia. Colpì con le unghie la volta, e il metallo tintinnò brevemente.
«Dove andate di preciso?»
«Sì, tanto, anche se potessi, non verresti mai» disse, più che altro a se stesso. «Penso ci fermeremo in una delle isole dell'oceano.»
«Dove si nascondono gli Astrali» disse Maed.
«Ah, sì?» Tadon la studiò, piegando il collo. «Io ero rimasto alle ville dei vostri antenati, sai?»
«Sì, certamente» si corresse Maed, pizzicandosi con tutta se stessa la coscia. «Pensavo a una vecchia favola.» Le era scappato. Pizzicò ancora più forte, e nel frattempo si ripeté nella mente di non dire altre assurdità. Non stava parlando con sua sorella. «Hai ragione» aggiunse, ridacchiando. «In realtà, lì ci vanno a vivere i nostri nonni quando si ritirano dalle città, per lasciare le ville ai figli.»
«Deve essere dura campare più di duecento anni, immagino» disse torcendosi le dita. «A un certo punto è giusto smammare, se non è il tuo corpo a obbligarti. Spero solo che troveremo un'isola deserta, altrimenti era meglio starsene ad Asdenar e provare direttamente qui.» Carezzò la cupola sopra le loro teste con una mano tremante.
Maed annuì, contenta di averla scampata.
«Senti» disse Tadon, facendo saettare gli occhi verso di lei. Per un secondo si trasformò in un timido bambino. «Prima che te ne vada, volevo fare una cosa.» Fu rapidissimo. Le prese la mano e gliela baciò sulle nocche. Rimase qualche secondo appoggiato con le labbra, e quando infine si staccò, Maed si accorse di essersi appiattita contro l'Astro. Solo in quel momento, sentì il cuore pompare forte.
«È un'usanza della città da cui vengo» disse. «Sì, non sono di Asdenar. Quando me ne sono andato, questa cosa i miei genitori con me non l'hanno fatta, ma l'ho vista fare un sacco di volte.»
Anche Maed, adesso, si ricordò di aver visto fare una cosa del genere quando erano stati alla Reggia.
«Non so come spiegartelo, ma è come se... Merda, come te lo dico?» Ci pensò un attimo. «Ti ho donato, ti ho donato una cosa. Ora, diciamo, dovresti essere in grado di creare qualcosa di grande, in un certo senso. Almeno, così si diceva. Non lo so se funzionerà con te, perché io per primo non ho mai fatto granché, quindi non ti avrò donato un bel nulla, ma, non so, così.»
«Grazie, Tadon» disse Maed, studiandosi la mano, come per controllare se effettivamente fosse cambiato qualcosa. «Potrebbe tornarmi utile. E comunque, hai costruito il Nibbio.»
«Maed...»
L'urlo era arrivato rimbombando da sotto, una voce femminile distorta all'inverosimile dalle pareti dell'Astro.
«... sei qua dentro?»
Tadon si fiondò in avanti e tappò la bocca di Maed. Strisciò sul pavimento per avvicinarsi ancora di più, senza fare rumore. Quando infine spostò la mano più in basso per lasciarla respirare col naso, lei sentì lo stesso odore caldo di prima, l'odore delle sue dita. Dopo averle detto una cosa con gli occhi, fissandola per due secondi lunghissimi, tolse la mano. Lei rimase zitta. Appoggiò l'orecchio destro sul metallo.
La voce di Adelin vibrava distorta nell'acciaio, ma era chiara e riconoscibile.
Maed, non lo so se sei qua, ma io ci provo.
Maed guardò Tadon, poi prese un respiro e si tappò l'orecchio sinistro.
Sua sorella sospirò, e insieme a lei tutto l'Astro. Il sospiro dell'ennesimo richiamo andato a vuoto. Ti ho vista sul tetto, con quel ragazzo dell'altra notte. Pensavo avessi deciso. Pensavo odiassi gli scienziati, questo dannato cilindro di acciaio, ma a quanto pare c'è qualcosa in più che mi sfugge. È davvero difficile tenere tutto in ordine. Quando mi convinco di averti finalmente al sicuro fra le mie braccia, mi sfuggi.
Maed non voleva guardare Tadon, se ne stava troppo fermo per i suoi gusti. Tenne gli occhi chiusi, sperando rimanesse dov'era. A meno che non fosse già fuggito verso Adelin. Non voleva controllare.
Era davvero tutto pronto, lo sai? Non c'era nessuno nella stanza, sarebbe andato tutto liscio. Nessuno ci stava tendendo una trappola. Ora, non lo so. Quel posto non è più sicuro. Io e papà dobbiamo spostare tutto da un'altra parte, prima che qualche scienziato venga e scopra cosa abbiamo preparato. Dobbiamo spostare tutto, tutto in un'altra—
Adelin si zittì per qualche preoccupante secondo. L'acciaio aveva smesso di vibrare da un momento all'altro. Maed spalancò gli occhi. Aloni di luce le infastidirono la vista per qualche istante, ma riuscì a vedere Tadon ancora appiccicato contro la parete, e allora si rituffò all'istante contro il metallo.
Adelin rimase in silenzio un altro po'.
«Cosa vuole? Che sta dicendo?» bisbigliò Tadon, appiccicato all'orecchio di Maed. Lei provò un brivido sulla nuca, ma rimase zitta, sperando che sua sorella continuasse.
Ti prego, Maed, dammi un segno. Se sei dentro questo coso, fammelo sapere, fammi sapere se vuoi continuare. Io e papà siamo disposti a rifare ogni cosa da capo...
Maed smise di ascoltare il metallo e si concentrò sul battito della tempia. Contò fino a cinque pulsazioni, ma non era pronta. Troppo rapide. Ne contò altre nove, altre tre, altre due... Bussò per tre volte sulla parete di acciaio della cupola, con le nocche. Si assicurò di farlo abbastanza forte da essere percepita fino a là sotto. Sicuramente anche Tadon l'aveva sentita, ma non importava nulla.
Non sentì più cosa aveva detto Adelin.
Maed riaprì gli occhi nello stesso istante in cui Tadon mosse l'aria davanti alla sua faccia.
La guardava dritta negli occhi. «L'hai fatto.» Le strinse il polso con le dita. Subito dopo le staccò, arretrando. Le sue sopracciglia si piegarono in basso, e i suoi occhi marroni, in quel momento, sembrarono più scuri del solito. «Sei stata tu a fare quel rumore?»
Adelin doveva essersi accorta che stava accadendo qualcosa di strano in cima all'Astro. Senza dubbio, lo aveva sentito sussultare, sotto quei movimenti improvvisi. Maed, però, non seppe nulla, era congelata di fronte a Tadon.
Lui si alzò e si affacciò alla finestra circolare. Si sporse, per guardare in basso.
«Perché ti cerca?» chiese, girandosi di scatto. Era rosso in volto. «Che dovete fare? Ecco perché avevi fretta...»
«Non so se posso dirtelo, Tadon.»
«Proprio ora, che me ne sto andando.»
«Perché, prima dov'eri?»
Tadon lanciò un'ultima occhiata di sotto. «Lo vuoi sapere,» disse ancora di spalle «a cosa serve questo gioiello?»
Si girò e Maed fece di no con la testa.
«Lo lanceremo sulle ville dei nobili, una bella cometa di fuoco e acciaio, e faremo saltare in aria ogni cosa.»
«Dove vai?»
Tadon si era già infilato per metà nella botola, e Maed cercò di fermarlo protendendosi in avanti, ma afferrò il nulla. Guardò in basso, e vide che si lui si era lanciato un paio di metri più in basso. Le sue braccia, quando afferrò uno dei pioli, sussultarono così forte che per poco lei pensò si sarebbero staccate.
«Vado a chiederlo a tua sorella, se non me lo vuoi dire tu.»
I riflessi di Maed decisero di non funzionare. Rimase per qualche secondo lì, mentre guardava Tadon che scendeva a balzi di due metri. In brevissimo tempo era già scomparso nel cilindro sottostante. Non poteva inseguirlo.
Era tempo di prendersi la vendetta contro l'Astro.
Maed si alzò in piedi, per quanto le permettesse il basso soffitto della cupola, e si appiattì contro la parete. Guardò in avanti. Se avesse colpito abbastanza forte l'altra parte, forse avrebbe potuto far cadere tutto l'Astro, insieme a lei e insieme a Tadon, e Adelin sarebbe riuscita a fuggire.
Inspirò e porse il fianco alla parete. Con un unico balzo, si lanciò di lato stringendosi le braccia sullo stomaco. Rovinò con la spalla sul metallo, poco sopra la finestra. Riuscì solo a farsi male, e il dolore sbocciò infuocato sotto la sua pelle.
Si rialzò in piedi e riprovò, ma stavolta urlando a più non posso, con l'altra spalla.
Niente, solo un rintocco di scherno da parte dell'Astro. Di nuovo, ancora la prima spalla. La terza nota si fuse alle prime due. Il dolore, fitto, le saettò fino alle dita e fino alla testa. Maed si ritrovò a terra, i rintocchi che riverberavano nel suo cervello, e l'acciaio che vorticava sopra di lei.
Eppure l'Astro era ancora solido sotto la sua schiena. Certo, tutto girava così in fretta che per poco si era convinta che il grande cilindro d'acciaio stesse veramente crollando a terra. Cadeva, cadeva, ma non si sentiva il vento ululare. Ruotava su se stesso, si capovolgeva, si divideva in mille pezzi, ma non arrivava mai a terra.
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