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Capitolo Trentuno

L'abbraccio

«Come promesso, la parte noiosa è finita» disse Tanesin alla folla. Avvolse le spalle di Maed con un braccio. Lei restò con lo sguardo puntato al cielo. Adesso, anche se lo avesse veramente desiderato, sarebbe stato impossibile chiamare Tadon.

Probabilmente quella scena, vista dalla piazza, avrebbe potuto anche assumere le sembianze di una specie di abbraccio tra sorelle. Non potevano sapere però che una aveva provato a dare fuoco all'altra, e in risposta lei aveva provato a impiccare con una collana la più piccola. Questo succedeva, nei corridoi e nei giardini della Villa Tamoni. Non erano solo gli scienziati a uccidersi fra loro, anche i nobili ci provavano, ma era tutto un gioco, e nessuno moriva mai.

Non sapevano nemmeno che una delle due sorelle, la più grande, sapeva usare la magia, mentre la più piccola non l'aveva mai saputo fare. Non sapevano nemmeno che la più piccola, però, aveva sentito ben più della magia e della scienza pizzicarle la pelle, e quella volta avrebbe provato a replicare la sensazione.

Il Pianeta di Tadon volò via come un palloncino. Una volta, alla Reggia, Maed aveva visto un bambino nobile giocare con un palloncino. Avevano giochi diversi, oltre l'oceano. Il filo gli era scappato dalle dita, e il bambino non aveva smesso di piangere fino a cena, quando la mamma gliene aveva dato un altro. Maed aveva un solo palloncino, però, e nemmeno l'aveva avuto una volta fra le dita.

«E per finita, intendo finita per sempre» continuò Tanesin, spostando il braccio. Forse si era aspettata che fosse Maed a toglierselo di dosso. «Basta gare al veleno. Abbiamo finito con le solite esecuzioni magiche. Oggi vi farò vedere qualcosa di mai visto, e come promesso sarete tutti protagonisti. Mantengo la mia parola.»

Maed s'immaginò per un attimo Tanesin al posto di sua mamma Yanesin. Come capo della famiglia, come regina dei nobili. Come madre vera e propria, che le avrebbe preparato la cena e rimboccato le coperte prima di andare a dormire.

«Adesso, se indossate delle collane» disse ancora, e in quel momento Maed sentì una morsa gelida sulla trachea, «vi pregherei di toglierle. Tenetele fra le mani, o in tasca, come preferite, ma non indossatele.»

Maed inarcò il collo per sfuggire alla spinta furiosa che le aggredì la pelle. I piccoli anelli di metallo cominciarono a scavare, come sassolini appuntiti, come una manciata di fine ghiaia conficcata nella gola, e quando sentì i piedi staccarsi dalle assi del palco si appese alla sua stessa collana.

La sua visione si oscurò, e allo stesso tempo delle luci iniziarono a danzare sotto le sue palpebre. Sapeva solo che stava volando, non si fermava. Non sapeva quanto in alto si stava spingendo. Urlò a più non posso e nel frattempo cercò di strapparsi di dosso la collana.

La sua vista incominciò di nuovo a schiarirsi quando riuscì a infilare le dita tra gli anelli e la sua pelle. Ansimava, a scatti. Era come se qualcuno l'avesse afferrata per la gola con una mano, tenendola sollevata in cielo.

Trovò un equilibrio. Doveva spingere la collana in basso con le mani, e ci stava riuscendo, per adesso. Provò a guardare in giù, e vide che tra la collana e il suo collo c'erano le dita e qualche centimetro di spazio. Così riusciva a respirare. Se però spingeva troppo in basso, allora sentiva immediatamente il freddo metallo accarezzarla da dietro, e quindi doveva allentare la spinta. Le braccia le tremavano per lo sforzo immane. Era come stare appesi al tetto di un palazzo, solo che non era esattamente stare appesi, quello. Doveva stare con le braccia flesse, come per affacciarsi sopra il bordo, come per sbirciare qualcosa. Ci sarebbe voluto poco prima che le mani avrebbero iniziato a sanguinarle. Gli avambracci, in quel momento, sembravano due tizzoni ardenti.

Si accorse solo adesso che l'ascesa si era conclusa. Era sospesa una manciata di metri sopra il palco. Tra i suoi piedi, scorse il viso pallido di Tanesin, incorniciato dai suoi capelli castani. Se solo fosse crollata in basso, avrebbe potuto infilarle i talloni dritti negli occhi. La vide di sfuggita mentre rideva e abbassava il capo, smettendo di guardarla. Maed rivolse lo sguardo alla platea di cittadini. Si sentiva come un animale braccato, in fuga, eppure era immobile, e muovere le gambe era del tutto inutile.

«Sentite anche voi la presa dei vostri piedi che viene meno?» urlò Tanesin. La sua voce eccitata giunse alle orecchie di Maed nonostante tutti i gemiti del suo corpo. Il fiato, il cuore che batteva, la testa che tremava e pulsava. «State volando, signori.»

Maed non vide nulla. I cittadini erano gremiti come sempre, schiacciati tra di loro e dalla gravità. Da quell'altezza, sembravano quasi degli insetti in fondo a un pozzo.

Si ricordò che là sotto doveva trovarsi anche Andelus. Ma se era ancora lì, non riuscì a dirlo.

Tadon, invece, era ancora a bordo della sua bolla di stoffa. Era così piccolo, adesso.

Maed non riusciva nemmeno a sentire i propri pensieri, tanto le vene pulsavano forti contro le sue tempie. Provò a parlare, ma sentiva che era troppo faticoso, sentiva che avrebbe perso la presa e si sarebbe impiccata a dieci metri di altezza se lo avesse fatto.

Una raffica di vento le soffiò contro. Le narici le bruciarono, quando inspirò. Tremò, mentre una breve scarica di brividi galoppò sulle sue braccia. Gli anelli della collana tintinnarono.

Era quasi fatta, in realtà. Tadon doveva solo scendere verso di lei. Quando sarebbe stato abbastanza vicino, scienza e magia si sarebbero finalmente prese per mano e sarebbe successa qualsiasi cosa, qualsiasi cosa che l'avrebbe portata fuori da quell'incubo.

Qualcuno gridò, là sotto. Non era stata Tanesin, e nemmeno sembrava la voce di Andelus, del Benefattore, o di chiunque altro avesse preso la parola quel giorno. Era un grido anonimo. Ne seguirono altri, ma era impossibile capire esattamente da dove provenissero. Il terrore in quelle urla era impossibile da non riconoscere. Poi ci fu un'esultanza. E una risata. E un misto tra una risata e un grido di paura. Il vuoto in mezzo a quei versi sparuti incominciò a riempirsi di un brusio concitato.

Alcuni dei cittadini si staccarono dagli altri, diventando più grandi. Stavano salendo, e ben presto uno sfrecciò esattamente di fronte a Maed. Non si riusciva a capire se stesse gridando di paura o di gioia. Aveva le braccia lanciate in aria, come se un uomo gigante e invisibile lo avesse acchiappato per i polsi. Agitava le gambe come se si trovasse in mare a galleggiare. All'improvviso si fermò, qualche metro sopra di lei.

E in quel momento lanciò l'urlo più forte. «UUUUUUUHH, SÌ!» Si fermò un attimo, inspirò. «Astrali, questo sì che—» Dovette spaventarsi per qualcosa, mentre si guardava in giro esagitato, e perse la parola. Dopodiché, quando ebbe ripreso fiato, ritornò a ridere da solo per una manciata di secondi, fino a stancarsi di nuovo.

Nel frattempo arrivò il secondo, questa volta appeso con una mano sola a una collana. Dopo aver superato Maed per un paio di metri, la collana si arrestò in aria, e l'uomo si appese anche con l'altro braccio. Stava in silenzio, a differenza dell'altro. Guardò Maed con un sorrisino compiaciuto, inclinando la testa in basso, come se a compiere quella magia fosse stato proprio lui. Dopodiché sollevò la testa, e fissò il cielo sopra di lui.

«Ehi, stronzo!» gridò. «Tu, scienziato, sappiamo volare anche noi, vedi? Sappiamo volare anche noi!»

Maed strinse le dita attorno alla collana. Soffiò in alto per spostarsi i capelli dagli occhi, ma il sudore glieli aveva appiccicati alla fronte. In quel preciso istante il fianco iniziò a pruderle. Ringhiò, sollevò gli occhi al cielo e si accorse che affacciato al cestello del pallone di stoffa c'era qualcuno. Diversamente da quando l'aveva visto volare sopra di lei e sopra la zattera, adesso Tadon era più nitido. Era proprio lui. Riuscì a vederlo di sfuggita mentre si ravviava i capelli, prima che scomparisse ancora una volta dentro il cestello.

«Sì, non farti vedere! Non abbiamo bisogno di nulla, noi, i nobili ci hanno donato la magia, proprio come gli Astrali l'hanno donata a loro!»

Arrivarono altri cittadini. In molti si facevano trascinare dai gioielli ai polsi, o si appendevano alle proprie collane, ma c'era anche chi teneva salde le mani sulle proprie cinture. Un uomo addirittura afferrava un martello. Si schierarono a cerchio attorno a lei, sopra di lei. La folla che prima era stata schiacciata all'interno della piazza, adesso era tutta lì sopra. Formava una specie di anfiteatro, un imbuto di persone, e al centro c'era Maed, che lottava contro il nulla per non scivolare una volta per tutte nel buco.

Il Pianeta di Tadon stava scomparendo oltre la calca di persone volante, ma prima di nascondersi definitivamente lui ritornò allo scoperto. Sollevò un sacco e lo appoggiò sul cornicione del cesto. Si guardò attorno, mentre armeggiava con una cima e teneva il sacco dritto e fermo. Poi lo spinse giù. Il pallone saltò di qualche metro in alto, e scomparve una volta per tutte dietro le persone. Maed vide solo il sacco sfrecciare in basso. E, di sotto, un uomo, uno degli ultimi che lasciava la piazza e si univa agli altri. Si guardava intorno estasiato. Abbassò la testa e urlò qualcosa a una donna che si trovava ancora giù, mentre dondolava come un pendolo attorno al suo polso trainato dalla magia. E in quel momento il sacco lo colpì in pieno. Qualcosa di luccicante volò via dalla sua presa e lui crollò in basso. Non urlò nemmeno. Sbatté sulla grondaia di un tetto, accartocciandosi come un manichino, e subito dopo il sacco che lo aveva colpito lo imitò abbattendosi contro le tegole, fracassandole e sprofondando di sotto in una nuvola di polvere.

Mentre Maed sentiva delle dita fredde sfiorarle la gamba, arrivarono i fischi. Tutta la folla, o chi era in grado in farlo, si mise a fischiare. Volarono insulti, contro gli scienziati e contro il ragazzo che volava nel suo pallone. E per finire, tutto si trasformò in cori e applausi. Tutto era amplificato, dentro quell'imbuto di persone. L'eco s'incanalò verso di lei, e lei si sentì schiacciata.

Tanesin affiancò Maed volando leggera, mentre con le dita le accarezzava la gamba su fino all'inguine. La vide staccare il dito dalla sua pelle come se avesse raccolto un po' di crema da un barattolo. Il brivido che seguì la fece contorcere. La presa sulla collana venne meno, e la stessa collana la strattonò verso l'alto.

Tanesin allungò le braccia verso di lei e le afferrò i fianchi. «Oh, oh, aspetta a morire.»

Si avvicinò ancora di più. Fluttuò verso l'alto, dando un calcetto all'aria sottostante, e con una precisione invidiabile le raccolse l'indice e il pollice e li rimise al loro posto sopra gli anelli della collana.

Erano vicinissime. Quasi abbracciate. Non erano mai state così vicine se non per picchiarsi. Maed percepiva il suo petto che si alzava e si abbassava, il suo fiato profumato all'arancia contro la faccia. Sentì gli occhi lacrimare.

«Grazie» disse Maed, accertandosi di aver riacquistato definitivamente l'equilibrio.

Sferrò una ginocchiata a sua sorella, nello stomaco.

Tanesin si svuotò di ogni briciolo d'aria. Picchiò la testa contro il petto di Maed e entrambe iniziarono a dondolare.

Le dita di Maed scivolavano, sul metallo della collana.

Quando Tanesin stava per tornare indietro, portandosela con sé, Maed l'allontanò con un calcio, e lei approfittò della spinta contraria per smettere di dondolare.

Sua sorella si allontanò fluttuando, piegata su se stessa, come se stesse affondando nel mare, ma non verso il basso.

Nel frattempo la folla aveva ripreso a rumoreggiare. Alcuni cercarono di protendersi verso il basso, insultandola, artigliando il nulla con le mani libere. Ci fu uno strillo più acuto degli altri e una donna crollò in basso. La cintura a cui era stata appesa schizzò verso l'alto e si fermò una decina di metri più in alto. Ondeggiava. Sembrava una piccola biscia volante.

Tanesin si destò e incominciò a ridere. Si pulì la bocca dal sangue e con la mano lo fece schizzare sotto di lei. La fissava con un ghigno, mentre continuava ad andare alla deriva, ma sempre più piano. Passò sotto l'ultima fila di persone sospese, e qualcuno provò ancora a protendersi verso il basso. Un uomo armeggiò col proprio polso e riuscì a slacciarsi un braccialetto, e mentre restava appeso con l'altro braccio si allungò per accarezzare i capelli di Tanesin. Le afferrò una ciocca. Lei si allontanava sempre di più, come se stesse scivolando su una lastra di ghiaccio.

E quella lastra di ghiaccio parve finire, perché Tumenor all'improvviso sembrò richiamare Tanesin a sé, con rabbia, risucchiandola di colpo come per vendicarsi di tutti i minuti preziosi nel quale lei l'aveva ingannato.

Durò tutto fin troppo poco. Tanesin cacciò un urlo straziante verso la piazza ormai vuota e si arrestò nel nulla, il suo vestito che le si schiacciava addosso e poi ritornava a svolazzare sopra di lei, riadagiandosi come un lenzuolo.

Tanesin calciò l'aria con entrambi i piedi e si rifiondò contro Maed.

«Bene» disse, le braccia distese lungo i fianchi e i capelli svolazzanti dietro di lei. Non si fermava. Sarebbe andata a sbattere addosso a lei e avrebbe perso la presa per sempre.

In quel momento i suoi avambracci ricordarono a Maed che stavano per cedere. Bruciavano. La sua mente doveva essersi arresa, ordinando loro di farla finita. Tanesin si stava fiondando contro di lei, e non aveva senso continuare a resistere. Qualcosa nei suoi polsi parve lacerarsi.

Quando Maed sentì il sangue bagnarle la pelle, sfuggendo alle fessure fra le sue dita, Tanesin era a un metro. Spalancò braccia e gambe e si arrestò di colpo.

«La prima parte di questo spettacolo è finita» disse, saltellandole attorno, prima con un piede, poi con l'altro. Scomparve alle sue spalle. Le braccia di Maed tremavano. Provò a voltarsi, ma le bastò ruotare il collo di poco e subito la collana l'accarezzò, avvertendola che non poteva fare di più.

«Sinceramente pensavo avresti resistito molto di meno. Mi aspettavo durassi qualche minuto, per poi impiccarti da sola. Qui i cittadini stanno iniziando ad annoiarsi, sento l'adrenalina che evapora. E quando sarai sfinita lo saranno pure loro, e non si godranno un bel nulla.»

Il fiato di Tanesin sul collo solleticava. Era vicina. Qualcosa di gelido — un dito, forse — diede vita a lievi brividi sulla sua nuca.

Una goccia di sangue si staccò dal gomito di Maed e scomparve di sotto. Maed gemette. Le sue mani erano appiccicose.

«Lo sai che Adelin è morta?» disse Tanesin, ancora invisibile.

Maed inghiottì a vuoto.

«Non ce l'ha fatta, quel giorno. Quando è scivolata sul vetro, mentre cercava di correre verso di noi. Ha battuto la testa così forte che è morta.»

«Non è vero» singhiozzò Maed. Sì. Stava cedendo, proprio ora. Era tutto falso, solo per farla cadere, per farla impiccare in mezzo alla platea.

«Non è vero? Ti sto dicendo la verità, dannazione. È morta. Ora è su una nave, diretta verso le isole dei nonni. La conserveranno loro.»

Maed si sentì la faccia gonfia, rigida. Le lacrime caddero sulle sue dita, mescolandosi al sangue. «Perché non piangi? Non ci credo. Dove sono le tue lacrime, lo dici come se...» Non riuscì a continuare.

«Ho finito tutte le lacrime, Maed. Ho pianto tanto. L'abbiamo saputo ben prima di te.»

In quel momento i polsi di Maed incominciarono a tremare furiosi. Lei sentiva ogni forza evaporare. E forse Tanesin sembrò accorgersene.

«Ho avuto un'altra idea» disse, mentre compariva di nuovo, dopo aver completato il giro.

Guardò in basso.

Di sotto, esattamente in verticale sotto l'imbuto di persone, c'era il palco. La piazza era quasi deserta, rimaneva solo qualche cittadino, qualche briciola scura, forse qualcuno che non aveva avuto collane, braccialetti o cinture per farsi portare lì in alto. Anche i tetti erano vuoti. Dove erano stati assiepati gli scienziati fedeli ad Andelus, non c'era più nessuno.

Dov'era la scienza?

Prima solo scienza, ora solo magia. A Maed servivano entrambe. Doveva farle toccare, doveva fonderle in una cosa sola e avrebbe tessuto la sua vittoria.

Uno sbuffo sfuggì dalla sua bocca. Strinse i denti.

Il mignolo della mano sinistra saltò in alto come una molla. Poi toccò all'anulare. Maed fece per riportare lo sguardo di fronte a sé, sulla collana.

Shara comparve di corsa sul palco, una macchia di colore viola sulle assi di legno.

«Il segreto è sempre stato far correre il sangue nelle vene delle persone.» Tanesin parlava al cielo, le braccia incrociate al petto. «Quello le tiene vive e piene di terrore, estasiate...»

La mente di Maed si annebbiò per qualche secondo.

«... Quell'Andelus ha ragione, sarà una bella guerra la nostra, ma vincerò io perché ho sempre le idee migliori.»

Maed continuava a non vedere più niente.

Le sue dita adesso non toccavano più la collana.

Eppure lei non era morta impiccata.

Tutto incominciò a fischiare attorno a lei. Tutto si fece uniforme, e il tutto aveva risucchiato pure Tanesin, lasciando Maed dentro a un tunnel di nulla che urlava. L'aria ululò sotto di lei, dentro di lei, fredda, e lei sentì ogni organo del suo corpo allungarsi e schizzare verso l'alto. Ogni cosa stava salendo fino alla sua gola, mentre il suo fiato si esauriva.

Tutto culminò con quel tocco gelido sulla nuca, e lei che non riusciva a respirare. Percepiva la gola stringersi sempre di più, ma al contempo sul punto di esplodere.

Sarebbe durato poco, ne era sicura. Proprio come quando si cerca di risalire in superficie dopo un'apnea troppo lunga, quando ti mancano un paio di metri, quando tutto sembra rallentare e tu hai finito l'aria, ma mancano solo due metri, e dopo quei due metri potrai prendere una boccata così grande da farti scoppiare i polmoni. E poi ti riposi galleggiando sull'acqua per minuti, mentre il tuo cuore si calma.

Quel tocco gelido che l'aveva appena sfiorata si estese su tutta la sua nuca, e lei capì che si trattava nuovamente della collana che si adagiava su di lei. Spalancò la bocca per riprendere a respirare, ora che sembrava tutto finito, ma aveva scoperto di essere stata fregata da qualcosa.

Il gelo diventò aggressivo come prima. Ora le avvolgeva le dita, le stringeva tutta la gola. Lei continuava a non vedere nulla. Non c'era nessun sole ad aspettarla fuori da quell'orrore.

Era come tornata in superficie, all'aperto, ma dopo la superficie del mare non c'era stata l'aria, c'era un altro mare, infinito, ancora più denso del primo.

Aprì gli occhi e scoprì di essere di nuovo appesa alla sua collana. Ora si stava stritolando da sola, come quando era schizzata in aria all'inizio.

La sua visuale era ristretta, aveva come l'impressione che i suoi occhi stessero scoppiando, eppure nella nebbia di fronte a lei vide la folla che riprendeva quota e tornava a superarla. Gioivano. Li vedeva urlare, voltarsi, gridare al cielo e battere le mani e scuotere le gambe nel nulla. Qualcuno crollò in basso, mentre tutti gli altri lo superavano, e il gioiello a cui era stato appeso sfrecciò in l'alto.

Ma niente emetteva suono.

Anche lei stava salendo, se ne accorse perché riconobbe Tanesin metri più in alto, ferma e in attesa, mentre diventava sempre più grande e vicina. La sua mente le concesse un'ultimo guizzo di comprensione, e capì cos'era appena successo. Ebbe la spaventosa sensazione che quando avrebbe raggiunto sua sorella tutto sarebbe ricominciato da capo.

Sarebbe schizzata al cielo.

Avrebbe nuotato in apnea per qualche secondo con la promessa di raggiungere la superficie e poter finalmente respirare, ma sopra di lei ci sarebbe stato un altro infinito oceano, più denso e pesante. Ogni volta la collana avrebbe tirato più forte sulla sua gola. Le avrebbe spezzato le dita, le avrebbe lacerato la trachea, e la sua testa, ormai rimasta da sola, avrebbe continuato quel giochetto fino a quando Tumenor sarebbe stato così lontano da fregarsene, mentre il resto del suo corpo crollava senza vita di nuovo nel pozzo di gravità.

Ma avrebbe deluso Tanesin. A quanti oceani pensava che avrebbe potuto resistere? Lei stava morendo asfissiata adesso, sarebbe finito tutto ancora prima di ritornare a fluttuare al suo fianco. Sì. La nebbia nella sua testa divenne così fitta, i suoi occhi si chiusero, era l'ora di andare a dormire. Era così forte quel desiderio, che la morsa gelida della collana sulla gola sembrò scivolare via, nulla in confronto alla promessa di un sonno perenne.

«Bene, adesso riprendi fiato» disse invece Tanesin, vicino all'orecchio di Maed.

Una valanga di aria si gettò nei suoi polmoni.

La collana si adagiò sulla sua nuca, leggera, e Maed sentì immediatamente la furia cieca di Tumenor su ogni punto del suo corpo, la magia che l'abbandonava.

«Ti tengo io» disse Tanesin, raccogliendola con le braccia. «Tu riprendi fiato, che fra poco si riparte.»

Maed tremava, sussultava. Guardò sua sorella negli occhi, mentre sentiva le lacrime sgorgare, e sperò che la impiccasse adesso e per sempre.

«Aspettiamo solo che arrivino tutti.»

L'imbuto di persone era di nuovo al completo sopra di loro. Proiettava un'ombra completa, un'ombra fredda come quella che si lasciava il Pianeta di Tadon quando volava sopra di lei. C'era un vociare eccitato, ognuno discuteva a bassa voce e attendeva con trepidazione.

Gli anelli della collana di Maed si destarono di nuovo, ed essa inizio a strisciare sulla sua pelle come un serpente dalle squame metalliche. Si staccò dalla nuca, per un attimo non ci fu nulla, e poi la sua presenza ritornò gelida sotto la gola.

«Buona nuotata» disse Tanesin, e la lanciò in aria, spingendola con le braccia verso il cielo.

Maed questa volta non oppose resistenza. Accolse la collana sulla pelle e sollevò il capo per vedere dove andava. La magia la lanciò dentro l'imbuto, verso la morte.

Sì, vedeva davvero la morte.

Prima riusciva a vedere oltre il buco dell'imbuto, un piccolo cerchio di cielo in mezzo a tutte quelle persone. Ora, non vedeva nulla. Il foro dell'imbuto era nero, denso.

Tanesin lanciò un grido di disperazione, e forse fu quello a far sì che la collana smettesse di strattonare Maed all'improvviso. La collana incominciò a fluttuarle attorno al collo. Lei ebbe pure la prontezza di afferrarla, tenerla tra le dita per qualche secondo e poi strapparsela di dosso. Non cadde.

Tumenor sembrò dimenticarsi di lei, completamente.

Affacciato oltre il parapetto del cestello di legno, Tadon lanciò un sacco di fuori e tornò dentro. Era il Pianeta di Tadon. Quell'oscurità che aveva visto Maed in mezzo alle persone, al posto del cielo, era il Pianeta. Il pallone era sceso così tanto da appoggiarsi sulle persone, quasi fondendosi in un abbraccio con esse.

Il sacco si fece strada nella folla di persone volanti, rimbalzando sui loro corpi e portando con sé chi colpiva. Collane, braccialetti e cinture, di contro, schizzarono in cielo.

Quando Tadon tornò allo scoperto, il Pianeta era sceso ancora di più, spingendo a forza i cittadini di Asdenar. L'imbuto iniziò a fremere, come se fosse fatto di qualche strano liquido denso e ribollente, mentre le persone cercavano di disperdersi. Eppure, più che agitarsi sul loro posto, non poterono fare altro

Maed ascendeva.

Si guardò, mentre lo faceva. Osservò le proprie braccia e gambe fluttuare, e non più cadere verso il basso. Agguantò una manciata d'aria con una mano e in risposta si spostò verso quella parte. Stava nuotando. Era come stare sott'acqua, ma adesso poteva respirare.

«Maed!» sbraitò Tadon, protendendosi oltre il parapetto del cestello. «Qualsiasi cosa tu stia facendo» s'interruppe un attimo, per allungare le braccia e spingere via un uomo che era riuscito ad avvicinarsi fin troppo, «ti prego, sali qui, non so se posso fare più di così.» La guardò per un paio di secondi, in attesa di qualsiasi mossa, dopodiché scomparve per l'ennesima volta all'interno.

Il Pianeta stava affondando sempre di più nell'imbuto, nonostante Tadon continuasse a liberarsi di quei sacchi pesanti, e presto le persone furono così vicine che poterono toccare la stoffa del pallone.

Scienza e magia si stavano abbracciando, e Maed nuotava in cielo, sopraffatta dai brividi.

Diede un colpo con le gambe, e sentì l'aria farsi densa sotto i suoi piedi. Salì di un metro, due metri, e poi la spinta iniziò a scemare. Altri due o tre colpi e avrebbe raggiunto Tadon.

Eppure, proprio adesso, proprio ora che era riuscita nel suo intento, non poteva fuggire senza provarci.

Si guardò alle spalle, ovvero al di sotto del proprio corpo. Tanesin era rannicchiata su se stessa, anche lei sospesa nel nulla, come un bambino che ancora deve vedere la luce. Maed raccolse una manciata d'aria col braccio sinistro e invertì la rotta, girando su se stessa. Spinse, spinse più che poteva e si fiondò in profondità verso sua sorella.

Ci fu uno sparo, alla sua destra, in mezzo alla folla.

«Maed, dove cazzo vai?» disse la voce di Tadon, lontana.

Maed diede una rapida occhiata di lato, mentre nuotava furiosa verso Tumenor. Riconobbe uno scienziato, appeso a un Esplodiferro con entrambe le mani, che fluttuava nel nulla. Scienza e magia. Scienza e magia dappertutto. Sparò un altro colpo e tremò dalle braccia ai piedi, ma riuscì a rimanere appeso.

Un sacco sfrecciò di sotto, superando Maed, ma non si portò nessuno con sé.

Altri spari, stavolta più in alto, sempre di più.

«Sono venuto per te, Maed! Sono venuto per te!»

Quando Maed raggiunse sua sorella, era ancora chiusa su se stessa. Le rivolgeva la schiena. Di sotto c'era la città. La piazza era un piccolo cerchietto, il palco un puntino invisibile. Erano saliti davvero di parecchio, da quando Tanesin aveva deciso di fare sul serio.

C'era quasi silenzio, adesso.

Il vociare della folla era ovattato, lontano di metri, ormai, e gli spari sibili sottili.

Tanesin singhiozzava.

Maed la raggiunse in picchiata. Con un colpo di reni ruotò su se stessa e fece in modo di colpirla con la gamba tesa, le braccia proiettate verso l'alto.

Tanesin gemette. Qualcosa di soffocato, come se volesse tenerlo dentro di sé.

Il calcio la fece ruotare, fino a quando non porse a Maed la parte frontale del corpo. Era aggrappata alle ginocchia, i capelli una massa informe e scura attorno al suo viso. Le lacrime le avevano rovinato tutto il trucco, e adesso la sua pelle chiara sembrava essersi sciolta, come a rivelare il suo vero colore, un blu scuro, denso e cattivo. Aprì gli occhi, rivelando migliaia di capillari scoppiati. Appena guardò Maed sussultò, e altre lacrime presero a sgorgare a fiumi sulle sua guance. Si staccarono dalla sua faccia e gocciolarono nel nulla.

«Avevi finito le lacrime per Adelin?» chiese Maed, raccogliendo altra aria e scendendo ancora di più.

Tanesin singhiozzò. Provò a prendere fiato, risucchiando aria a più non posso, ma rischiò di strozzarsi. E tremò. Il suo collo divenne paonazzo, i singhiozzi crebbero e lei si portò le mani alla gola. Si artigliò la pelle, ma non servì a nulla.

Più Maed si avvicinava, più sentiva che Tanesin sussultava, che soffriva, che piangeva e soffocava. E allora si avvicinò, nuotò più in profondità.

Tanesin provò a dire qualcosa, ma quello che uscì dalla sua bocca fu un verso confuso.

Ti prego? Stava dicendo, ti prego?

Maed nuotò più forte.

Sentiva l'energia fluirle sotto la pelle, e sentiva che quello che succedeva a Tanesin era dovuto a quell'energia.

Avrebbe finito il lavoro con le sue mani, però, avrebbe dato lei il colpo di grazia a Tanesin. L'avrebbe strozzata, l'avrebbe impiccata in aria.

Un'altra bracciata. Una sola.

L'aria si fece di nuovo rarefatta. Mancò il colpo.

Uno strattone improvviso l'afferrò per il fianco e subito la lasciò.

Si guardò attorno, ma non l'aveva toccata nessuno.

Ancora. Qualcuno, qualcosa, la prese per una gamba e provò a tirarla giù. Non c'era niente, nessuno, e Tanesin non poteva essere stata, così distante, nemmeno con la magia, viste le sue condizioni.

Mentre Maed percepiva di nuovo il proprio peso, come migliaia di minuscole mani su ogni parte del corpo, vide che Tanesin non stava singhiozzando più.

Stava finendo tutto, e Maed stava crollando di nuovo tra le braccia di sua sorella.

Prima che potesse essere troppo tardi, lanciò un'occhiata sopra di sé e ammirò il Pianeta di Tadon e i suoi spicchi di ogni colore, circondato da decine di persone, oggetti di metallo scintillanti sospesi nel nulla, piccole nubi di fumo e lampi di luce dove gli Esplodiferro facevano fuoco.

Incalzata da un brivido, Maed ritornò a nuotare verso tutto quello. Verso l'abbraccio.

Non era semplice. Una bracciata andava a vuoto e l'altra no, ma sentiva che piano piano l'aria tornava a farsi densa come prima.

«Torna giù...» sibilò Tanesin con affanno, qualche metro più sotto, «spiegami che stai facendo, Maedlin...»

Maed sentì una scarpa sfilarsi dal piede destro. Si guardò indietro e vide che per poco sua sorella non le aveva afferrato la caviglia. «Non ne ho la minima idea, Tan, davvero, non so niente.» E continuò a nuotare.

Più si avvicinava al Pianeta di Tadon, alla magia che permetteva a tutte quelle persone di fluttuare appese ai loro gioielli, più sentiva che il suo, di potere, si rinvigoriva e tornava a vibrare.

Diede un'ultima occhiata indietro. Tanesin si era fermata, ma adesso sembrava aver recuperato il controllo su sé stessa. La stava osservando, fluttuando in piedi e con le braccia incrociate. La promessa di averla quasi soffocata — in qualsiasi modo lo stesse facendo — e poi aver visto quella promessa evaporare per sempre le faceva bruciare qualcosa nel petto. Non riusciva a smettere di voltarsi, ma adesso era troppo lontana, e gli spari e le urla tornarono a premere suoi sui timpani.

Schivò una donna che crollava e nel frattempo strillava, e aumentò il ritmo delle bracciate. Sbuffò e strinse i denti.

«Tieni!» Tadon lanciò una corda fuori dal cestello. La cima si srotolò fino a raggiungere Maed. «Veloce, questa cosa colerà a picco!»

Maed si arrampicò. Non dovette nemmeno sforzarsi più di tanto, visto che una forza invisibile la stava ancora aiutando.

Infine si staccò, aggirò il cestello come se dovesse superare lo scafo di una nave da sott'acqua, e fu a bordo.

«Che cazzo, Maed!» urlò Tadon, tenendola ferma per le gambe. La gravità ancora sembrava ignorarla. Lei continuava a fluttuare. Tadon la riportò in basso e le legò la caviglia a un sacco. «Tieniti lo stesso, per sicurezza.»

Maed voleva lasciarsi andare, voleva abbandonarsi contro la parete del cestello e scaricare ogni tensione, ma quello che poté fare fu solamente restare aggrappata per non sfuggire via.

Tadon prese un ultimo sacco e lo lanciò fuori. «Finalmente potrò usare questi sacchi per quello che servono veramente.»

Il cestello spinse Maed dal basso e per un attimo lei sperimentò un pizzico di gravità. Stavano salendo. Lo capì dalle persone assiepate attorno al pallone che scivolavano verso il basso.

«Ora, anche se ti lasci non c'è problema.»

«Come?» disse Maed, con un soffio.

Tadon svettava, visto da sotto. Si alzò in punta di piedi e andò a girare una manopola sopra la sua testa. Da un aggeggio contorto, sospeso tramite delle aste di metallo sul cestello, sprigionò una fiammata altissima, un cono di luce rossa, così vivido da sembrare un fuoco magico, che s'infilò come una lama dentro il pallone. Il pallone stesso era immenso. La luce, al suo interno, era di mille colori, gli stessi colori della stoffa, e diversi fasci luminosi s'intrecciavano al centro componendo un disegno tridimensionale.

E in quel momento Maed sentì la magia. Se ne accorse dall'odore, come sempre.

Tadon urlò al cielo, mentre il Pianeta di Tadon incominciava seriamente ad accelerare verso l'alto.

Certo, Maed sentì anche la pressione del suo corpo sul fondo del cesto. Non era solo per l'accelerazione, d'un tratto sentiva di nuovo la forza di Tumenor su di lei. Eppure, l'odore di magia era fortissimo. Era la prima volta che lo sentiva, quel giorno.

Tanesin aveva compiuto la più grande magia che avesse mai visto, ma non aveva odorato di nulla, e se n'era accorta solo ora.

Uno strattone improvvisò ridestò Maed e costrinse Tadon a interrompere il suo ululato di gioia.

«Merda» disse. Afferrò con entrambe le braccia il cestello e fece scattare la testa di lato per ascoltare meglio.

Si affacciò di fuori.

«Che succede?» chiese Maed.

«Merda.»

Maed si alzò e andò ad affacciarsi.

L'imbuto di persone ormai era lontano, sotto di loro, gli spari degli scienziati nemmeno si sentivano più. «Non capisco, Tadon, che hai visto?»

Lui le afferrò il mento con le dita e la costrinse a guardare in alto.

Come un ragno bianco e luccicante su una ragnatela di colori, appeso alla stoffa del pallone c'era il Benefattore.

Scivolò con un piede, ma poi riuscì a riprendere l'equilibrio. Dopo aver lanciato un brevissimo sguardo verso di loro, riprese la scalata verso l'alto, scomparendo oltre la curvatura del Pianeta.

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