Capitolo Sedici
Risveglio nel fondale
Maed, non sapendo come atterrare, a un certo punto aveva deciso di porre fine a quella prigionia.
Si era slegata, e l'oceano gelido l'aveva inglobata. Hajen era già sorto, ma era così debole, la sua luce troppo fredda e inutile.
Non appena riemerse in superficie, vide il Nibbio continuare ancora un po' la sua corsa. Ma subito dopo si accartocciò da solo e si schiantò sull'acqua.
Maed nuotò per qualche minuto, tenendo d'occhio la pesante colonna di fumo nero. Immersa fino al collo, poteva scorgere solo quella. Anzi, ogni tanto, tra un'onda scura e l'altra, intravedeva qualche villa bianca sulle colline. Assomigliavano a tanti denti tutti in fila. Insieme, formavano una risata lucente, nascosta tra labbra livide e gonfie.
Presto arrivarono i corpi, a farle compagnia.
Il primo la raggiunse dal fondo.
Lei, in principio, aveva visto solo qualche bolla scoppiare silenziosa sulla superficie. Per qualche secondo non era successo nulla, fino a quando un ammasso viscido e spigoloso non l'aveva colpita da sotto, incastrandosi tra le sue gambe, dimenandosi a più non posso.
Maed immerse le mani fino a dentro la sua gonna. Afferrò un braccio, forse, lo spinse, spinse tutto quell'ammasso morto lontano da lei, mentre scalciava e schiaffava la superficie del mare. Rischiò di affogare, di ingoiare litri d'acqua, e di morire anche lei.
Non aveva mai urlato così tanto.
Quando fu lontana e in salvo, rimase ferma un po' per prendere fiato. Il corpo, adesso, se ne stava fermo. Sul pelo dell'acqua, sbucava solo una gobba pallida di pelle, spezzata da tante isolette di ossa. Maed ansimava. L'acqua era così bastarda che continuava a finirle dentro la gola.
Col tempo si abituò. I cadaveri aumentarono. A un certo punto, diventarono così tanti che fu impossibile continuare se non strisciandoci in mezzo. E così Maed fece.
La loro pelle gonfia le slittava sui fianchi e sulle gambe. Avevano le facce rivolte verso il profondo, e i loro capelli galleggiavano e si gonfiavano come meduse nere. Ne sentì uno pungerle la lingua.
Maed tossì un paio di volte, poi vomitò sull'acqua. Il suo addome parve lacerarsi, così vuoto che ormai sembrava essersi liberato persino delle budella.
Quando guardò in alto per prendere una boccata d'aria, scorse per la prima volta ciò che rimaneva del Faro.
Riprese a nuotare. Si accorse che più s'avvicinava alla riva, più l'acqua intorno a lei cominciava a cambiare. Passò in mezzo a pozze che mutavano colore a ogni bracciata, a seconda di come la luce ne colpiva la superficie. Sembravano fatte di arcobaleno, ma Maed non si lasciò ingannare da quel pensiero.
Sapeva che probabilmente avevano a che fare con la magia che aveva incendiato il Faro fino a farlo crollare.
Anzi, sembravano la pelle sottile degli Spiriti, abbandonata sul mare.
D'un tratto, sentì la sabbia tra le dita dei piedi. Tra gli schizzi intravide un uomo, solitario su una spiaggetta circondata dalla roccia.
Stava in piedi, e maneggiava qualcosa in mano. Una sorta di lungo bastone.
Stava pescando cadaveri.
Li agganciava con la punta. Dopodiché li faceva avvicinare, entrava in acqua tenendosi i calzoni, e se li caricava sulla schiena. E di nuovo, da capo.
L'uomo si accorse che Maed lo stava fissando. Si legò la canna da pesca sulla schiena e si schermò gli occhi. Infine, si voltò di fretta e incominciò ad arrampicarsi sulla roccia.
Maed non fece in tempo a mettersi a correre, che l'uomo era già scomparso oltre la sommità del promontorio. Il Faro, una volta, era stato qualche metro più a destra. La colonna di fumo ribolliva gonfia, oscura.
Quando fu fuori dall'acqua, Maed si strizzò il vestito. La stoffa era macchiata. Le sue gambe, le braccia, erano ricoperte da quell'acqua dai colori quasi metallici. Ora che il puzzo di morte era più lontano, si accorse che odoravano di magia, ma c'era qualcosa di diverso. Avanzò sulla sabbia.
Che idea stupida, la pelle degli Spiriti. Eppure quella roba da qualche parte doveva essere comparsa. Forse era sfuggita dai cunicoli della Combriccola, ormai sommersa, o forse davvero c'entrava con l'enorme rogo blu e bianco che aveva distrutto il Faro.
Arrivata a ridosso della parete rocciosa, incominciò a scalare. Doveva raggiungere in fretta ciò che rimaneva della casa degli scienziati. Tadon doveva essere lì, e pure Andelus. Magari erano tornati anche i ragazzi. Shara era molto in gamba, sì.
Maed, arrivata in fondo, si accasciò sulla cima della scogliera. Si leccò le labbra con la punta della lingua. Oltre al sale, sentì il sapore del sudore, e questo le disse che ce l'aveva quasi fatta. Si rimise in piedi.
L'uomo di prima la osservava ancora. Stava in piedi su un detrito di pietra squadrato. Di dietro, regnavano fumanti gli altri. Lei non riusciva a riconoscerlo, aveva la vista appannata. Si sfregò gli occhi.
Il tizio cominciò a muovere le braccia. Maed si avvicinò camminando, ma poi si fermò, quando lui iniziò a urlare. «Vattene, Maed.» Continuava a ripeterlo.
Le bastò qualche altro passo per capire che si trattava di Gravio. Non portava più gli occhiali, ecco perché non l'aveva riconosciuto. Forse li avevi persi durante l'incendio. Ma se lui era vivo, dovevano esserci altri superstiti.
Aumentò il passo, ma Gravio continuava a farle segno di andarsene. Si guardò intorno agitato, poi si sedette, per calarsi dal grande masso. Ma Maed lo raggiunse in fretta e lo fermò per il braccio prima di lasciarlo scappare.
«C'è qualcun altro che non è morto?» ansimò, stringendogli il braccio.
«Maed, dovresti andartene da qua.»
Maed strinse gli occhi.
«Ragazza...»
«Forse ho superato la prova per entrare nella Combriccola» disse lei, tutto d'un fiato.
Gravio spalancò la bocca, ma si ricompose subito. «Non devi dirlo a me, ragazzina. Io non mi occupo certo di quella roba.»
«Allora non sono morti tutti. Cioè, la Combriccola non è morta.»
«Non... Maed, davvero, non dovresti essere qui, secondo me.»
«Sì, allora gli scienziati non hanno perso. Non abbiamo perso, altrimenti prima mi avresti risposto in modo diverso, quando ti ho detto della prova.» Ovviamente non sapeva se aveva superato la prova. Le era ritornata in mente guardando i morti galleggiare sull'acqua. Sotto una certa prospettiva, erano altre zattere con altre bandiere, e altri messaggi. Lasciati dai nobili agli stessi scienziati.
«Non lo so, Maed, non lo so se non abbiamo perso. Ma secondo me tu non dovresti andare di là.» A fatica, allungò un braccio dietro di sé.
«Sono passata in mezzo a tutti quei cadaveri sull'acqua, se pensi che possa spaventarmi.»
«Fai come vuoi, ora sono io che non voglio guardare. Torno a recuperare i morti.» E se andò.
Maed fece per aggirare il masso e proseguire, ma sentì afferrarsi il braccio. Era ancora Gravio. Cercò qualcosa, facendo correre sulla pelle umida i suoi pollici. Si fermò di colpo. «Vedo che le ferite sul tatuaggio si stanno rimarginando» disse. Poi se ne andò per davvero.
Maed si osservò il tatuaggio col triangolo. Si era dimenticata di averlo. Ricordò cos'aveva fatto una volta per marchiarsi la pelle con quel simbolo. I graffi del pescivendolo ora erano semplici solchi chiari. Il triangolo impossibile sembrava avere una strana forma. Non seppe se sperare che ritornasse ben visibile come una volta, o che restasse così. Al massimo, avrebbe potuto tagliarsi da sola.
Si mise a correre. Il cuore batteva forte e la spronava a continuare. Non ce la faceva ad aspettare ancora per vedere.
Si arrampicò su un altro detrito. Appena fu su, vide che più in là, dove c'era stato il Faro e dove ribolliva la colonna di fumo, si era riunito un capanello non poco nutrito di persone. Scienziati. Il battito di Maed accelerò inaspettato.
Si fiondò verso di loro. Erano tutti affacciati al bordo della scogliera. Maed si fece spazio in mezzo alla folla aiutandosi con le braccia, e cercando gli occhi di qualcuno che conosceva.
Giunse sul bordo del precipizio, e si fermò di colpo per non cadere. Vide delle corde sbucare dalla folla, tese, sul punto di rompersi, e infine gettarsi tra le onde. Qualcuno dettò un ordine.
«Issate!»
Alcuni scienziati indietreggiarono mormoranti, quando videro Maed passare tra loro e il limitare della scogliera. Il vento l'accarezzava, sembrava sostenerla in equilibrio, come su una fune.
«Ragazzina, ferma qui.» Una donna la fermò per la spalla. «Stiamo rinvenendo l'Astro.»
«Come?» Maed le rivolse un'occhiata curiosa.
I lineamenti della donna si serrarono per un attimo.
D'un tratto, Maed si pentì d'essersi fermata.
La donna aveva un sopracciglio bruciato. La pelle rosata del cranio, le spuntava a chiazze da sotto i capelli. «Cos'è questo?» chiese, adocchiando qualcosa sul suo braccio.
Il tatuaggio sbucava oltre la sua manica fradicia.
Maed strappò le dita della donna da sé e a spallate si fece strada tra gli altri scienziati. Non aveva tempo per spiegarsi. Doveva trovare qualcuno che conosceva.
«Uno, due... su! MERDA, DOBBIAMO PORTARLO SU!»
Raggiunse la schiera di uomini che stringevano le funi. Altri, da dietro, gli reggevano i fianchi, i piedi puntati a terra.
«Temprato,» disse uno di loro, «forse si è incagliato negli scogli, non crede?»
«Vuoi tuffarti e andare a prenderlo tu?»
Maed sbatté contro l'uomo che aveva parlato. Era a petto nudo, la maglietta legata ai fianchi. Non appena si girò e la vide, strinse gli occhi e tossì qualche parola. «Che ci fai qui...?»
Il Temprato si tolse dalle labbra un piccolo pezzo di carta arrotolato, tenendolo fra l'indice e il medio.
«Temprato...» disse Maed, accorgendosi subito di quanto le sembrava strano rivolgersi così a quell'uomo. Indietreggiò un attimo, osservandolo ficcarsi di nuovo in bocca quel pezzo di carta. Aspirò, socchiudendo le palpebre, poi soffiò via una nuvoletta di fumo facendo saettare il collo di lato.
Maed si guardò attorno, dopodiché si decise a continuare. «Per caso hai visto quel ragazzo, Tadon, qua in giro?»
Il Temprato si voltò un attimo per dare un cenno ai suoi uomini, poi lanciò via il pezzetto di carta. I presenti lasciarono le funi afflosciarsi contro lo spigolo di roccia e si aprirono attorno a loro due.
«Brava, eh» disse, allungando le mani verso di lei, le dita spesse e tremanti simili a grosse tenaglie, pronte a chiudersi. Ma si fermarono a un centimetro da lei. «Sei tornata vittoriosa, non credi?» Fece scattare il braccio oltre la folla, verso la colonna di fumo. «Sei andata dai tuoi cazzo di amichetti sulle colline e avete festeggiato mentre noi strillavamo e bruciavamo come insetti.»
«No, non...» Maed lanciò uno sguardo impaurito verso i suoi occhi, ma lui stava già guardando tutti gli altri scienziati. Continuò. «Non dire così, ti prego, lo sai anche tu che sto con voi, mi hai visto con Tadon, il ragazzo, quel giorno...»
Ma riuscì solo ad attirare verso di sé i suoi occhi piccoli, stanchi e cerchiati di nero. Stavolta allungò una mano e le strinse il braccio, affondando con i suoi polpastrelli simili a martelli.
«Qualcuno ha visto Andelus?» chiese, continuando a guardarla. «Dico a voi, stronzi, lo avete visto?» urlò poi agli scienziati.
Un coraggioso si fece avanti e disse: «Ieri notte è andato su, sulle colline, ma non è tornato.»
Il Temprato mugugnò qualcosa tra sé, stringendo ancora di più la presa.
Maed si era abbandonata a se stessa, lasciandosi sorreggere dalla mano chiusa dell'uomo, cercando di apparire più innocua possibile. Ma ebbe un'idea.
Attese un attimo, fremente, le sue labbra vogliose di urlare ciò che aveva pensato. Sentì le gambe tremare, perché non era proprio niente male come idea.
Appena il Temprato tornò a squadrarla, lei tornò rigida e osò appendersi al braccio muscoloso dell'uomo. Si tirò su, e lo vide trattenere un gemito mentre il suo arto si piegava su se stesso.
«L'ho visto io Andelus.»
Non aspettò più di un secondo, poi continuò: «L'ho visto dentro la mia villa. Stavamo rubando il lampadario, ero insieme a qualche altro ragazzo della Combriccola. Sì, il lampadario che tanto desideravate perché volevate sapere come dannazione funzionasse.
«Poi gli Spiriti sono entrati nella Villa. Sì, sono entrati e si sono messi a danzare intorno a me. E ho visto Andelus, in fondo al corridoio, che mi sussurrava, mi diceva di seguirli, perché voleva vedere se ero abbastanza curiosa. So che li ha chiamati lui gli Spiriti. Lo so.
«Vi ho beccati, eh, era questa la prova, vero? Sapevo sarebbe stata questa notte.»
«Puttanella, ma che cazzo stai dicendo?» Il Temprato le tirò uno schiaffo e la mandò a terra.
Maed si appese alla gamba di qualcuno.
«Temprato, è una ragazzina» sentì dire qualcuno, in mezzo ai clamori confusi dei presenti. «Fosse anche una spia, è così indifesa...»
«Indifesa?»
Maed si stava tirando su.
«Ti ammazzo, idiota. Ti ammazzo se ti azzardi a difenderla ancora.»
L'uomo contro cui era finito le diede una mano ad alzarsi. Quando fu in piedi, lo scienziato la spinse indietro, e lei sbatté ancora contro qualcun'altro.
Il Temprato le cinse la vita. Affondò i pugni dentro il suo stomaco, e la sollevò da terra.
Maed vide tutta la folla degli scienziati.
«Tadon...» urlò con voce rotta, cercandolo in mezzo ai presenti. La morsa dell'uomo la zittì. Fu sul punto di vomitare di nuovo.
«Temprato, ti prego» disse qualcuno, avanzando. Era solo una macchia lunga e sbiadita. «Mettila giù, che stai facendo?»
«Va bene, va bene, la metto giù. La faccio scendere.» L'appoggiò a terra. «Voi, cosa guardate, eh? Riprendete in mano quelle funi, forza!»
Maed barcollò un attimo, mentre intorno a lei calava di nuovo il silenzio.
«L'ho messa giù, va bene?» ripeté il Temprato, la voce un po' strana.
Dopo un attimo di quiete assoluta, Maed percepì il suo corpo pesante spostare l'aria. Sentì le sue mani larghe e dure impattare sul suo petto, spingerla indietro. Lo stomaco le saltò alla gola all'improvviso.
Udì il vento fischiare nelle orecchie, per qualche breve secondo, e poi la superficie del mare le frustò la schiena. L'acqua l'avvolse completamente, le entrò nella gola. Aprì gli occhi, li sentì bruciare.
Per un attimo non riuscì a muovere un muscolo. La sua schiena era in fiamme, la sua nuca era in fiamme. Era immobile, immobile!
Alcune bolle d'aria le sfuggirono dalla bocca, le vide danzare scomposte e tremanti verso l'alto. Avvolsero le funi, le funi ricoperte di muschio e di alghe che scendevano tese dall'alto, che ora la circondavano in una fitta foresta, così lunghe da non avere una fine.
Sforzandosi con tutta se stessa, riuscì finalmente a muovere un dito, e poi udì quell'urlo mostruoso.
Sembrava il grido di una bestia, di qualcosa che si nascondeva da anni nel fondale, e che dopo anni si risvegliava, lamentandosi. Ruggiva, con il suo grido grave, strideva contro la pietra.
Qualcosa luccicò, sotto di lei. Era la bestia, e Maed riuscì a riconoscerne la forma. Una specie di cilindro metallico. Si erse verticale, dopodiché cominciò a salire, trascinato dalle corde, correndo verso di lei.
Maed non riuscì a spostarsi in tempo, e lo spigolo appuntito di quella cosa la incornò proprio sotto alla cassa toracica.
DOOONG
Si piegò in due, tossendo bolle e sangue, mentre tutto il suo corpo si riprendeva d'un tratto dalla paralisi. Il mostro metallico la superò, portandosi appresso il suo stesso sangue.
Maed allungò un braccio verso la superficie lucente di quella cosa e afferrò un appiglio. Si lasciò trascinare, sussultando insieme ai suoi gemiti metallici.
Sfuggì in superficie in un accesso di tosse. Poi rimase ferma qualche secondo, per prendere aria. Guardò su.
Gli scienziati erano ancora tutti lì, in piedi sull'orlo della scogliera. Il Temprato, una fune in mano, era chino ad ascoltare un uomo. Rimasero lì un bel pezzo. Poi la sua faccia si stirò con un sorriso enorme, e divenne quasi più malefica di prima.
Si girò di scatto verso gli altri e lanciò un urlo, le braccia levate al cielo. «Ci siamo!»
«Mi giunge la grandiosa notizia» continuò, la voce roca e consumata dal grido, «che il vapore finalmente corre. Corre! Il Vaporoso e il Benefattore hanno dato vita alla prima delle nostre opere.» Poi, a voce più bassa: «La guerra è iniziata anche per noi, adesso. I pali sono entrati in funzione, e i nobili osserveranno da lì sopra mentre noi gli rubiamo la città» concluse, in un crescendo. «Il vapore corre!»
«Il vapore corre!» risposero in coro tutti gli altri.
Gli scienziati ripresero in mano le funi e sollevarono con un urlo il grande cilindro, che si staccò dal mare. Maed riuscì a sdraiarsi sopra di esso prima che fosse troppo tardi, ringhiando tra sé per rimanere attaccata. Le sue dita persero la presa, slittando in basso, e un'unghia stridette sul metallo mentre lei scivolava di nuovo in acqua.
«Non ci riprovare, puttanella.» Il Temprato la osservava dall'alto, stringendo una grossa pietra tra le dita.
Non appena gli scienziati ebbero recuperato il loro cimelio dal mare, lo fecero rotolare, fino a farlo scomparire oltre il ciglio della scogliera. Urlarono, sbraitarono più che poterono, il vapore corre, il vapore corre, e mentre saltavano dalla gioia, scomparvero anch'essi. In breve, le loro grida sfumarono, cancellate dalla brezza.
A Maed non restò che nuotare verso una piccola spiaggia ai piedi del promontorio. Strisciò sulla sabbia, sul sale - quella era una spiaggia fatta interamente di sale - e si accucciò, rimanendo da sola insieme al dolore atroce, bruciante, della ferita sotto lo stomaco.
Non le rimaneva che quello.
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