Capitolo Otto
Stelle e tatuaggi
Il Vecchio Cavalluccio era una persona vecchia, quasi morta. Eppure Maed sapeva che in lui c'era qualcosa di strano, che le altre persone della sua età non possedevano. Non che ne avesse viste tante - solitamente la gente col sangue rosso a quarant'anni si spegneva - ma sapeva com'erano fatte.
I suoi nonni. Non li vedeva da mesi, da quando avevano abbandonato la Villa per lasciarla alla figlia, Yanesin. Sarebbero vissuti per altri cento anni, come minimo, ma avevano lasciato le loro proprietà ai figli più giovani, perché le amministrassero in loro vece. I nonni di Maed avevano rasentato l'obesità. Le loro vesti erano ricadute dal loro ventre come ampie tende, e entrambi avevano usato spessi bastoni per tenersi in piedi. In quel momento stavano riposando in una delle minuscole isole nell'oceano. Come tutti quelli della loro generazione, raggiunti i settant'anni, si ritiravano. Dopodiché, solo ozio e riposo, in attesa che la morte riuscisse a perforare la loro magia.
Maed provò ad immaginarsi nella sua stessa vecchiaia, con un centinaio di chili in più, sprofondata nella poltrona di qualche opulenta residenza sulla cima di un'isola. Rabbrividì tra sé e sé, mentre appoggiava un piede sulla pedana di legno della casa galleggiante del Cavalluccio. Sarebbe successo? Avrebbe mai conosciuto il segreto per restare in vita così tanto tempo?
Il Vecchio Cavalluccio non aveva nome. Maed lo chiamava in quel modo per la sua gobba. Era un tipo magro, chino su se stesso. Stava a petto nudo, indossava delle semplici braghe e metteva in mostra la sua pelle scura e coriacea. Dal collo ai piedi era pieno di tatuaggi.
«Piccola Maed, da quanto tempo!» Il Cavalluccio si alzò a fatica dalla sua seggiola di legno e barcollò verso di lei.
«Fermo lì, non c'è bisogno.» Maed aveva sempre temuto per le sue ossa. Immaginò il suo femore spesso come un rametto spezzarsi sotto il suo stesso peso.
«Oh, sempre a preoccuparti di me.» Si diede una vigorosa pacca sulla spalla. «Se questo corpo mi ha portato fino a qui per tutto questo tempo,» disse, riprendendo fiato «non vedo perché dovrebbe abbandonarmi ora. Sono una roccia. Forse devo ringraziare anche tutti questi tatuaggi. Mi sento ancora più vivo da quando ce li ho.» Si lisciò il braccio striminzito, le ossa che sbucavano come spuntoni dalla spalla e dal gomito.
Maed sbuffò. Il suo, di tatuaggio, era stato inutile. Tranne che in quell'ultima notte, non aveva volato una sola volta. Non aveva mai provato l'emozione della magia che scorre attraverso le dita. Chissà cosa provavano gli altri. Perfino le sue sorelle, perfino loro. Era stata piccola e stupida: come aveva potuto sperare che un semplice tatuaggio potesse donarle d'un tratto la capacità di governare la magia? Ora, il triangolo sul suo avambraccio era morto. Squarciato dalle unghie del pescivendolo. Cercò la lettera nella tasca del suo vestito. I gamberetti, alla fine, li aveva gettati in mare.
«L'hai visto, il fuoco?» chiese infine, mentre stropicciava la lettera umida tra le dita.
Il Vecchio Cavalluccio sospirò, voltandosi verso il Faro. «Sì, cara.» Il falò sulla sua cima, da quella distanza, era una macchia indistinta e intermittente. «Il puzzo del fumo è arrivato fino a qui. Poi è arrivato anche il fumo. Ecco, almeno questo fuoco blu dei nobili non mi rovina i polmoni.»
«Perché ha cambiato colore?»
«Si avvicina forse una guerra?» rispose, facendo spallucce.
Maed lanciò al Vecchio la lettera, ormai ridotta a una pallina sgualcita. Si diresse verso una seggiola, lasciò cadere la sua sacca con i vestiti e si sedette con lo sguardo diretto verso la città. La casa galleggiante oscillava sull'acqua. Non aveva pareti, solo un pavimento, quattro pali di legno ai vertici e un semplice tetto.
«Non so dove andare» continuò Maed.
Dietro di lei, sentì il legno strusciare contro il legno. Il Cavalluccio apparve al suo fianco, con una sedia.
«Torna alla Villa» disse lui, mentre prendeva posto, in un gemito. «Sembra che la tua famiglia non abbia reagito male. Ormai sono abituati al tuo fuoco.» Le sue dita tremavano mentre sorreggeva la lettera.
«No, Vecchio, sono stanca di tutti loro. Mi vogliono rinchiudere. Ti sembro una che vuole essere rinchiusa?»
Il Cavalluccio ridacchiò. Per lui sembrava uno sforzo perfino quello. «Tu mi sembri tutto tranne che una nobile, piccola. Guardati i capelli» disse, mentre allungava la mano scheletrica verso le sue ciocche ramate. Maed non si era guardata allo specchio dalla giornata precedente, ma sapeva con certezza di avere sulla testa un disastro intricato di nodi. Lasciò che il tocco impercettibile del Vecchio li accarezzasse. «Mi chiedo spesso da chi tu abbia preso. Mamma o papà?»
«Da nessuno dei due.» Maed si scostò. «E hai ragione, io invece mi chiedo sempre più spesso se sono veramente una nobile. Il mio sangue direbbe tutt'altro.» Sollevò l'avambraccio, mostrando al Cavalluccio il tatuaggio attraversato dai graffi. Il sangue si era incrostato, le ferite erano rosse. «Dovrebbe essere blu, non rosso.» Era sempre stata convinta che il sangue cambiasse colore una volta iniziato l'addestramento. E se non era così? In effetti non aveva mai visto ferite sulle sue sorelle, né il colore del loro sangue, prima che imparassero la magia. Quando aveva aggredito Tanesin, l'aveva sempre fatto con il fuoco. Adelin, invece, non si era mai fatta male.
«Be',» il Cavalluccio si stiracchiò, distendendo le braccia di fronte a sé «allora la Villa non è davvero la tua dimora.»
«Certo che non lo è» disse Maed, alzando il tono della voce. Lo sarebbe, però, se fosse tutta per me.
«Cos'è che ti turba così tanto, allora?»
Ai vecchi ogni cosa sembrava sempre chiara, semplice.
«La magia non potrò mai impararla da sola, Vecchio. Credi che sia come la tua scienza spicciola?»
«Tu brami troppe cose, piccola. Scienza, magia, conoscenza...»
«E tu ne vuoi troppe poche. Cosa fai qui, tutto il giorno? Cos'hai fatto fino a oggi, da quando sei nato? Hai costruito questa casetta sull'acqua, hai osservato le barche andare e tornare. Il fuoco sul Faro diventa rosso, e ti limiti a dire che potrebbe arrivare, non so, una guerra? Se non fossi venuta io ogni tanto a portarti qualche furto dalla Villa avresti trascorso i giorni a chiederti chissà dove le onde ti avrebbero portato. Be', forse è arrivato il momento, dato che io non metterò mai più piede in quel posto finché ci saranno mia madre e mia sorella.»
Il Vecchio Cavalluccio rimase in silenzio. Maed si voltò, curiosa di osservare la sua espressione. Le rughe gioviali sul suo viso si distesero d'un tratto. Scrutava nella direzione del Faro. L'acqua del mare ammiccava e sussurrava. I tetti rossi di Asdenar erano una chiazza indistinta, nascosta dietro al tremolio dell'aria.
«Non ho sempre vissuto qui. Il giorno in cui sono arrivato, gli scienziati non esistevano ancora. O almeno, non esisteva la Combriccola. Le ville dei nobili non erano tutte bianche, alcune avevano le mura rosse, altre i tetti neri.»
«Sta per scoppiare davvero una guerra?» chiese Maed. Forse aveva esagerato con quella sfuriata. Tadon aveva promesso che un giorno gli scienziati sarebbero usciti allo scoperto. I nobili ultimamente si erano spinti così in basso, e i suoi genitori volevano che lei tornasse a casa. Siamo dappertutto.
«Gli scienziati hanno deciso tempo fa che non potevano più nascondersi. Le loro idee hanno bisogno di spazio, ora. Molto spazio.» Si lisciò la gamba, mentre lanciava uno sguardo al cielo. Le sue corte braghe si fermavano sopra al ginocchio appuntito. Centinaia di stelle tatuate ricoprivano ogni centimetro del polpaccio, reso ormai nero dell'inchiostro.
«Cos'hanno in mente?»
«Andelus desidera che sia una sorpresa.» Piegò l'angolo della bocca in un ghigno, ancora perso con lo sguardo di fronte a sé. «L'effetto stupore è fondamentale per lui.»
«Lo conosci molto bene Andelus?» gli chiese Maed. Lei sapeva solo che lui fosse l'uomo più importante tra gli scienziati. Non lo aveva mai visto, nonostante avesse rubato per sua commissione negli ultimi intensi mesi.
«Lo conoscevo quando era ancora un bambino, prima che gli venisse in mente tutta questa folle idea della Combriccola.»
«Secondo te mi farebbe entrare tra le sue fila?»
Il Vecchio Cavalluccio si voltò sorridente. Il volto era l'unica parte del corpo senza tatuaggi. «Ah, allora è lì che vuoi andare. Hai finalmente deciso? La scienza?»
«No, Vecchio. È solo qualcosa di temporaneo. Io, quella dannata magia, voglio comprenderla. Ho bisogno di tempo per pensare. Come farò a conoscerla senza mettere mai più piede alla Villa?» Si alzò in piedi di scatto, scansando la sedia. Si voltò. «Hai letto la lettera, no? Oggi uno scienz-»
Crollò sulla sua stessa gamba non appena ebbe appoggiato il piede sinistro. Una stilettata di dolore le ricordò che la sua caviglia non era ancora del tutto guarita.
«Oh, Maedlin» sospirò il Cavalluccio, con la sua voce raschiante. Si alzò a fatica, maneggiando il bastone. «Pare che nemmeno il tuo corpo riesca a sopportare tutta questa tua voglia di strafare.» Indicò un giaciglio improvvisato sul pavimento «Vai, vai lì, che provo a darti una sistemata.» Era il suo letto. Un sacco imbottito e un lenzuolo.
Maed osservò il Vecchio che si dirigeva verso una delle casse affiancate sul bordo del pavimento di legno, puntellandosi col bastone sulle assi deformate. Incominciò a frugarvi all'interno.
«Dicevo, quello scienziato... il nobile lo ha fatto fluttuare.» Strisciò verso il giaciglio, attenta a non impigliarsi nei chiodi sporgenti. «Non c'era niente sotto, niente. Solo aria, sotto i loro piedi.» Digrignò i denti, cercando di scacciare il dolore.
Il Vecchio Cavalluccio era ancora di spalle. «È magia, no?»
«Sì ma...» Maed giunse al letto improvvisato e si distese. «Avrà comunque delle regole, no? Una spiegazione, una... causa. La scienza ce l'ha tutto questo. Vero?» Torse il collo per guardare all'indietro. Il Cavalluccio si avvicinò e si chinò sopra di lei, maneggiando delle bende e altri oggetti.
Non disse nulla. Maed chiuse gli occhi, attendendo il tocco doloroso del Vecchio sulla caviglia. «Sembrano fatte apposta per essere in conflitto fra loro. È strano che una guerra stia scoppiando solo adesso.» Sentì le dita del Cavalluccio spalmare qualcosa sulla sua caviglia. Era freddo, appiccicoso. Strinse i denti, lasciando che piccole fitte di dolore le risalissero su per il polpaccio. «Una ti fa cadere,» si sforzò a dire «mentre l'altra ti fa volare verso l'alto.» Strinse il pugno. «Eppure sembra più forte la scienza. La gravità ha persino fatto crollare gli Astrali dalle stelle.»
Il Vecchio Cavalluccio non parlò. Maed, gli occhi serrati, sentì le sue dita premere sulla caviglia.
«Vero?» chiese ancora. «È stata... è stata la gravità a farli cadere, a far sì che si formasse quell'enorme cratere nella terra?»
Lui non rispose.
«È scienza, no? La forza di Tumenor stesso. Me lo ha detto Tadon. Non è magia la gravità.»
«Non lo è.»
Maed aprì gli occhi e vide il Cavalluccio srotolare una benda. La sua espressione era seria.
«Sembrano la stessa cosa, talvolta» continuò. Non smettere di parlare era un buon modo per distrarsi dal dolore. «Come può la terra sotto i nostri piedi farci crollare verso di essa senza nemmeno toccarci? Non è davvero possibile. E poi arriva un nobile, accende un fuoco azzurro e d'un tratto tutto ciò che ha funzionato per anni, per tutti gli uomini, cessa di seguire ogni regola. Senza sfiorarti, pure loro, ti spingono verso l'alto. E poi arriva l'odore, immancabile.» Le scappò un gemito. Ma continuò a lasciare che tutte le parole si riversassero fuori dalla sua bocca. «Io l'ho provato, Tanesin mi ha fatto fluttuare. È come se d'un tratto la terra scivolasse da sotto i tuoi fino a sopra la tua testa. Il sangue nelle tue vene si blocca, e poi riparte, risale. Ecco, sembrano entrambe... finte. Eppure funzionano. Perché?» Il Cavalluccio strinse forte con la benda e Maed si morse la lingua. Sentì il sangue bagnarle la bocca, caldo e metallico. Inghiottì.
«Fai troppe domande, cara.» Il Vecchio si sedette al suo fianco, a gambe incrociate. Aveva finito.
«Quello che mi hai appena fatto alla caviglia è scienza o magia?» domandò Maed, rievocando Adel e le sue dita immerse nelle fiamme viola.
«Questa domanda è stupida. Sai già qual è la risposta.»
«È scienza» provò a rispondere. «Tutto ciò che non è magia è scienza.»
«Non ne sarei così sicuro, e non ci conviene intraprendere questa discussione. La risposta è parecchio ardua da ottenere, potremmo stare a discuterne per giorni, o settimane. E rischieresti di rimanere molto delusa del risultato finale.»
A Maed, però, la risposta sembrava così ovvia: la scienza era l'opposto della magia. Era sufficiente osservare la realtà, i nobili e le leggi di Tumenor scontrarsi tra loro senza alcuna spiegazione. E lei non era per niente delusa. Solo... confusa.
Ma allora gli scienziati non facevano altro che assecondare il pianeta e le sue forze? I nobili creavano, la loro arte era frutto delle loro mani. O meglio, di quelle degli Astrali, prima di loro.
Maed lanciò uno sguardo ai tatuaggi sul ventre del Cavalluccio. Alcuni erano nuovi, dall'ultima volta. Il Vecchio stava esaurendo tutto lo spazio a disposizione. Attorno al suo ombelico riconobbe i sei pianeti. Maed sapeva che in totale erano sei, ma di tutti, solamente tre attraversavano il cielo di Asdenar.
«Qual è Tumenor?» chiese Maed.
Il Cavalluccio indicò quello alla destra dell'ombelico. Maed notò che da esso si distaccava una striscia sottile, che si congiungeva col pianeta più grande di tutti. «Cos è quella striscia?»
«Maed, sei sicura di volerti unire alla Combriccola?»
«Cos'è quella striscia?» ripeté ostinata Maed.
«È solo un disegno, cara. Ci sono tante strisce sulla mia pelle, tante linee, tante figure.» Cercò qualcosa sui palmi neri delle sue mani. Le mostrò quello della mano sinistra. «Guarda qua. Lo vedi quest'uomo?» C'era un uomo seduto a gambe incrociate nel nulla, al centro del palmo. Alcune stelle stilizzate lo circondavano. «Sono io. Ti sembra che io possa stare seduto in mezzo allo spazio, tra le stelle?»
«Lì sembri un Astrale, Vecchio» disse Maed, ridacchiando, mentre cercava altri strani disegni sulla sua pelle. Erano davvero molti i nuovi tatuaggi. Voleva sapere cosa...
Il Cavalluccio le afferrò il mento e la costrinse a guardare nei suoi occhi. Chiari come il ghiaccio, spiccavano sulla sua pelle scura.
«Dimmi, sei sicura di volerti unire alla Combriccola?»
Non lo so. Il fuoco era ritornato blu. Ma gli scienziati non potevano fare il fuoco blu. «Questa è una domanda stupida da parte tua» rispose lei, dissimulando la propria confusione.
«Se tu cercassi di andare più a fondo, ti accorgeresti che è una questione tutt'altro che stupida. Ti aiuto.» Inarcò la schiena, scrocchiandosi le vertebre. «Correresti davvero il rischio di intrufolarti nelle fondamenta del Faro per trovare solo cadaveri bruciati, fuochi senza fumo e puzza di incantesimo?» Il Vecchio sorrise, anche se visibilmente affaticato per la lunga domanda.
Maed si voltò, cercando qualcosa in lontananza. Persino il Faro da quella distanza era minuscolo. «Spero vivamente di non trovare solo cenere, altrimenti la mia vita sarebbe finita.»
Il Cavalluccio le prese le mani e sospirò. «Penso che lo sarebbe anche la mia. Ma tu hai comunque una scappatoia, no?»
«A cosa stai pensando?»
«Se gli scienziati fossero davvero tutti morti... Maed, hai affermato poco fa di voler comprendere anche la magia. E sei una nobile.»
Maed cercò altri tatuaggi sulla pelle del Vecchio. «Hai ragione. Ma senza qualcosa contro cui scontrarsi, la magia perderebbe gran parte del suo fascino. Allora sarebbe la verità. Io voglio il conflitto.»
«Un giorno una delle due prevarrà, sempre che non sia già successo.» Il Cavalluccio chinò il capo.
«Non vuoi che vinca la magia, vero?» chiese Maed, approfittando della distrazione del Vecchio per osservare i simboli sul suo avambraccio. «La odi?»
«Non la odio, no» rispose, tornando a sostenere il suo sguardo. «Non sono un vero scienziato.»
«Ammettilo però, li vorresti vedere sconfitti, i nobili. Vorresti vedere quelle Ville abitate dagli scienziati.»
«Questo è un altro discorso, Maedlin. Penso che un po' di follia al governo possa smuovere questo mondo. Sarebbe divertente osservarli maneggiare il potere.»
«Ma... non sarebbe pericoloso? Mia madre mi ha detto che se Asdenar è esplosa centinaia di anni fa, è solo per colpa loro. Adesso le persone stanno più al sicuro.»
«Non esiste nessuno che riesca a tenere le persone perfettamente al sicuro. E non è quello che cerchiamo. Quello che cercano.»
«Perché li sostieni, allora?» Maed aprì la bocca, la richiuse. Sospirò. «Cosa... Qual è il tuo scopo?»
«Sono solo curioso, Maed. Dannatamente curioso di vedere Tumenor tra le mani di qualcun altro. E al giorno d'oggi non esistono alternative ai nobili se non gli scienziati.»
Il Vecchio Cavalluccio sarebbe morto di lì a poco. Forse anche al prossimo Saluto. O gli scienziati erano già stati distrutti la notte appena passata o, se avessero mai sconfitto i nobili, lui di certo non lo avrebbe mai saputo. Perché, allora?
Il vento soffiò più deciso, agitando la casa galleggiante. Delle campanelline appese a uno dei pali di sostegno tintinnarono. Maed chiuse gli occhi e respirò la brezza. Nessun segno di odore magico. Era sempre stata abituata a percepirne almeno una piccola traccia. O perché era stata nella Villa, o perché i suoi vestiti ne erano stati pregni. Quella volta non ci fu nulla, nemmeno un pizzicore, nemmeno un lieve giramento di testa.
«Per entrare nella Combriccola c'è una prova, Maed.»
«Non m'importa, sono sicura che riuscirò a entrarci.» Sentì formarsi un nodo nello stomaco, mentre ripensava al colore blu del fuoco sulla cima del Faro. Era bastato qualche attimo di rosso a illuminare la notte di Asdenar e per un attimo era sembrata l'unica realtà mai esistita.
«Gli scienziati saranno spietati, folli.»
«Anche i nobili. Conosco la mia famiglia.»
«Sarà pericoloso.»
«Perché sei così sicuro che ci sarà tutto questo?» Maed si strinse le braccia attorno all'addome. «Potrebbe essere finito tutto qualche ora fa.» Il vento divenne gelido per un attimo. Le campanelle infuriavano, mentre due onde scrosciavano l'una contro l'altra. Una nuvola parve oscurare il cielo.
Il Cavalluccio sorrise, e il tintinnio delle campane si perse nella brezza che moriva. Calma.
Qualcosa fendeva l'acqua. E un leggero fischio proveniva da lontano.
«Non sono sicuro, Maed. Fingo solo di esserlo.» Il Cavalluccio allungò un braccio alla sua destra e afferrò il bastone. Si tirò in piedi, tremante. Si stiracchiò, le costole che sporgevano dalla pelle, quasi nera per l'inchiostro. «Ma dovresti essere tu quella contenta. Ora andrai al Faro e conoscerai la verità. Vedrai se le fiaccole degli scienziati bruciano ancora, conoscerai parte dei loro segreti e respirerai l'aria frizzante della battaglia. Oppure troverai tracce di fiamme nere, gialle, viola e blu, e tanta, tanta cenere. Puzza di magia e di bruciato. Ma lo saprai fra qualche minuto. Ricorda che io dovrò aspettare che Andelus, se è ancora vivo, o chi per lui, faccia bruciare altre fiamme rosse sul Faro. Potrebbe accadere, come potrebbe non farlo. Potrei aspettare anche mille Saluti ed essere logorato dall'attesa, perché in quel caso, tu non potresti tornare mai più su questa dannata zattera.»
Maed si alzò. Il vento ululò in lontananza, come l'urlo furioso di un uomo. «Se andrà tutto per il peggio io tornerò lo stesso. Voglio conoscere tutto quello che è tatuato sulla tua pelle.»
«I nobili potrebbero uccidermi e gettarmi in mare.»
«Io mi tufferò e ti recupererò.»
La casa galleggiante sussultò, cozzando contro qualcosa. Il Cavalluccio sorrise.
«Guarda chi c'è!»
Maed si voltò di scatto. Tadon saltò a piedi uniti sulla pedana di legno. Una sorta di vela alle sue spalle si inclinò, andando a sbattere contro l'acqua. Era a petto nudo, l'acqua gocciolava dai suoi capelli e dai suoi pantaloni fradici. «Mi chiedo se tu sia scappata subito dopo di me. O forse hai aspettato la notte?» Camminò verso di loro. «T'immagino distesa nel letto, accerchiata da finte fiamme colorate che riversano miasmi nell'aria, che ti sussurrano di restare, mentre la mia voce scava nel tuo cervello e nella tua carne e ti incita a fuggire.» Si strizzò i capelli.
«È andata così, Maed?» chiese il Cavalluccio da dietro, con la sua risata rotta.
«In realtà ho rischiato di incendiare la sala e mia sorella ha cercato di strangolarmi.»
«Allora hanno posticipato per l'ennesima volta l'addestramento?» chiese Tadon.
«Questo in realtà non-»
«Oh, sì, l'hanno fatto!» Tadon la prese per mano e la trascinò a sé. «Sappi che alla Combriccola non ti negheremo nulla.»
Maed sfuggì alla sua presa e lo guardò negli occhi. «Perché il fuoco ha cambiato colore, questa notte?»
«Di cosa stai parlando?» Tadon lanciò uno sguardo al Cavalluccio, divertito.
«Era rosso stanotte» disse Maed, attirando nuovamente la sua attenzione. Lui doveva sapere qualcosa, per forza. «Come ha fatto a tornare blu?»
Il Cavalluccio annuì in direzione di Tadon.
«Non lo so» rispose. «Questa notte non sono tornato, ero impegnato altrove.» Intrecciò le sue dita con quelle di Maed. «Be', penso che se rimarremo qui non sapremo un bel nulla.» Tadon indietreggiò, cercando di trascinarla.
Ma lei rimase immobile. «E se i nobili...»
«I nobili non vedono l'ora di vedere cosa stiamo per fare.» Tadon lasciò la mano di Maed e si diresse sulla sponda della casa.
Qualcosa di appuntito spinse tra le scapole di Maed. Si girò, e vide che il Cavalluccio la invitava a proseguire. Le porse la sacca che conteneva i vestiti e tutti i tesori che aveva rubato. «Ascoltami» le sussurrò, piegandosi accanto a lei. «Se al tuo arrivo non troverai macerie, ricordati di far tornare il fuoco rosso per me, anche per un secondo solo. Io sarò qui a scrutare con le mie lenti. Se all'alba non sarà cambiato nulla, farò in modo di calare a picco insieme a tutta la mia casa.» Sorrise.
Tadon saltò su una tavola di legno che galleggiava in acqua. Si chinò per raccogliere un'asta e, quando la tirò su, una vela enorme si erse insieme a lei. Si gonfiò, rischiando di volare via e trascinare con sé Tadon. Ma lui era aggrappato a uno dei pali di sostegno della casa. «Salta su.»
Maed si avvicinò cauta e appoggiò i piedi sulla tavola. La fasciatura del Vecchio manteneva ben rigida la caviglia.
«Aggrappati qui.» Tadon le indicò una sbarra orizzontale che partiva dall'asta e attraversava la vela per tutta la larghezza. «Tieniti forte e lascia fare a me.» Lui avvolse le dita sulla sbarra, accanto alle mani di Maed, e lasciò la presa dal palo della casa galleggiante. La vela si gonfiò e Tadon la tirò a sé allungando le braccia, quasi lasciandosi cadere all'indietro.
Il vento li strattonò, la tavola incominciò a fendere l'acqua.
Maed si voltò e vide il Vecchio Cavalluccio, piegato su se stesso, che sventolava il bastone.
Tadon le sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre cavalcaval'acqua e il vento. «Preparati, sei la prima nobile in tutta la storia arespirare il nostro fumo nero. Spero ti piaccia il suo odore. È molto peggiodel nauseante e finto puzzo di incantesimo.»
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