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Capitolo Dodici

La libellula

Due anni e mezzo prima

La libellula era sospesa nel nulla, imbalsamata nell'aria. Le sue ali vibravano furiose, eppure invisibili e silenti. Aveva grandi occhi verdi, alieni e insondabili.

Tadon non sapeva se afferrarla.

Strisciò sulle tegole con un braccio disteso in avanti, l'indice e il pollice quasi attaccati. Era lì, c'era quasi. Si stavano fissando.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a quando lanciarsi in avanti per imprigionarla, che la libellula fuggì, istantanea, come un battito di ciglia. Ora se ne stava di nuovo a mezz'aria, osservandolo. Fu quasi sul punto di fiondarsi un'ultima volta sul tetto, ma preferì saettare verso il cielo, perdendosi per sempre nel grigio elettrico delle nubi.

Tadon sospirò, rimettendosi seduto, le braccia punteggiate dalla pelle d'oca. Le nuvole si erano addensate qualche ora prima, annunciando il crollo imminente della temperatura. La gente di Asdenar si era rintanata nelle case, tranne che per qualche coraggioso fermatosi nella piazza ad attendere l'esecuzione. I nobili avevano sfilato per le strade, con gli occhi puntati in alto e fiamme bianche a danzargli sulle dita.

«Stanno cambiando il cielo!» aveva strillato una donna dalla finestra. «Fiamme, se è diventato scuro...»

Tadon aveva i suoi dubbi. Potevano pure librarsi sui tetti, campare duecento anni e curarsi le ferite con tutti i fuochi di cui disponevano. Ma questa del cielo... Il cielo non era di nessuno.

Poi avevano eretto il palo. Un ago appuntito che bucava l'atmosfera. Svettava su tutto, parecchie volte più elevato delle case. Lanterne dalle fiamme gialle illuminavano i tetti adiacenti.

«Tadon.»

Alla sua destra, la testa di Gael sbucò da sotto lo spiovente. «Dai, ci siamo tutti. Scendi.» E scomparì di nuovo.

Tadon appoggiò le gambe sul piano inclinato del tetto e si lasciò scivolare. Arrivato in fondo, si spinse con le mani e atterrò rannicchiato in mezzo al vicolo. Uno spiffero di vento lo fece rabbrividire. Stringendosi nelle spalle afferrò la maniglia della porta e si tuffò dentro allo stanzino.

La calura lo abbracciò.

«Chiudi la porta!»

Si affacciò fuori per controllare che nessuno lo avesse visto e poi diede tre giri di chiave.

«Ci siamo.» Ansel spiegò quattro fogli di carta sul tavolo. «Dai, sedetevi.»

La stanza era pressoché spoglia. Carta stracciata ricopriva le pareti a sprazzi, mettendo a nudo i mattoni sottostanti. In un angolo, in un secchio di metallo, scoppiettava un fuocherello. Ansel allungò un braccio verso l'alto e tirò verso di sé una lampada a olio attaccata al soffitto con un catena.

«Allora, ragazzi» annunciò. «Io ho già deciso.»

Tadon prese posto di fronte a lui. Alla sua sinistra erano seduti Gael e Fai.

«Tu sì che hai le idee chiare» disse Gael, mentre solleticava il collo di Fai. Lei era appoggiata col gomito sul tavolo, lo sguardo perso in avanti.

Ansel scarabocchiò qualcosa sui fogli. «Ansel... Gael... Fai... e Tadon.»

«Dai, ora dicci come dovremo chiamarti fra due anni.»

«Non vuoi che te lo descriva?»

«Non me ne frega niente, facciamo veloce.» Gael fece spaziare lo sguardo. Si passò le dita tra i lunghi capelli neri, poi si soffermò su Tadon, ed entrambi si fissarono per qualche istante. Tadon gli sorrise. Quello stronzo voleva fare a gare col sogno più grande.

Ma io sono più scaltro e originale di te.

«Be',» disse Ansel, calamitando gli sguardi dei tre compagni. «Sarebbe stato figo parlarne insieme per un po'. Ma se avete fretta di diventare grandi, io non vi fermo.»

«Basta con le menate.»

«Ansel, dillo» fece Tadon.

«Voglio portarvi in alto. Nei cieli dove non ci sono venti e vi manca il fiato, dove Tumenor è così piccolo che potreste afferrarlo con una mano.» Chiuse i pugni e li appoggiò sul tavolo.

Un brivido corse su per la schiena di Tadon, saettando dai fianchi fino al collo, fino alla vertebra più in cima di tutte. Forse era il freddo di prima, l'ultimo residuo che fuggiva scacciato dal calore della stanza. Forse.

Ansel mostrò tutti i denti in un sorriso. «Io sarò il Volante.»

A Tadon si appannò la vista. Il giubilo dei suoi compagni gli giunse distante, come se d'un tratto si fossero trovati tutti sott'acqua. Vide Gael alzarsi dalla sedia e tirare sulla schiena di Ansel una pacca fragorosa. Fai si avvicinò e si abbracciarono. Risero, ma quelle risa e quelle grida non avevano il suono giusto.

Doveva alzarsi pure lui. Tadon si spinse con le mani, le gambe che d'un tratto si erano rammollite, e una volta in piedi barcollò come un ubriaco, mentre qualcosa gli ronzava nella testa. I suoni ritornarono chiari alle sue orecchie, e all'improvviso seppe che doveva congratularsi in qualche modo col suo amico.

Per avergli rubato il sogno.

Stiracchiò le labbra in un sorriso, poi allungò il braccio sopra il tavolo e strinse la mano ad Ansel, nella morsa più vigorosa di tutta la sua vita. Come se avesse cercato di trasmettere ben più di un'emozione in una volta. Tutte tranne quella.

Si lasciò cadere nuovamente sulla sedia, e il tonfo riportò di nuovo la calma nella stanza.

Gael continuava a ridacchiare. «Sei un grande, Ansel, oh sì» diceva, agitando il dito verso di lui.

Ansel lanciò un sospiro soddisfatto e si abbandonò contro lo schienale, dopo aver finito di scrivere sul suo foglio. «Ora, a chi tocca?» Guardò tutti uno a uno. Si soffermò su Tadon, che era consapevole di avere un'espressione insensibile sulla faccia.

«Va bene» disse Ansel, fuggendo il suo sguardo. «Gael, vai tu?»

«Ma certo.» Si protese sul tavolo. «Il mio nome sarà l'Assassino.»

«E che significa, amore?» gli chiese Fai.

Gael si girò verso di lei. «Non vuoi scoprirlo da sola?»

Ansel soffocò una risata, voltandosi dall'altra parte.

Tadon si grattava il dorso della mano. Lentamente, premendo con le unghie fino a sentire i solchi sulla pelle.

«Assassino vuol dire tante cose, amore. Non ti sembra troppo generico per uno Scienziato?»

«Non ti sembrerà per niente generico quando vedrai i nobili cadere morti stecchiti solo dopo averli sfiorati.»

Tadon sentì la pelle bruciare. Non era abbastanza.

«E più o meno sai già come lo farai?»

«Sì.»

«Guarda che abbiamo promesso tutti di riuscirci in due anni, eh.»

«Fai, fidati di me, cazzo.»

«Come vuoi.» Incrociò le braccia, sospirando.

«E tu, amore?» Gael si ritrasse e incominciò a fissarla incuriosito, appoggiando il mento sul pugno. Lei nel frattempo era tornata a scrutare il nulla.

Tadon si strofinò le dita sul palmo umido e prese a mordicchiarsi il labbro.

Niente, niente, niente. Non esistevano alternative valide. Valide come volare.

«Io...» si lamentò Fai «io, non lo so ancora.»

Tadon si voltò a guardarla. Allentò la morsa in cui si erano trasformati i suoi denti, mentre il suo cuore si calmava un poco. Studiò l'espressione di Ansel.

«Ma come, amore?» Gael sollevò le braccia, sbuffando in modo esagerato. «Guarda che abbiamo solo due anni, eh.»

«No, no. So bene cosa voglio fare» rispose seccata, appoggiando il pugno sul tavolo. «È che non ho deciso il nome.»

«Be', datti una mossa.»

Tadon inspirò lentamente col naso, il petto riprese di nuovo a martellare. Si staccò un pezzo bello grosso di pelle dal labbro e iniziò a rigirarlo con la lingua. Se avesse continuato così, probabilmente avrebbe finito per non averlo più, il labbro. Ma non riusciva a smettere.

Ansel s'intromise. «Fai, dicci cosa vuoi fare. Ti aiutiamo noi.»

«Vi dico solo che ci ho già lavorato. Potrei farvi vedere tutto proprio ora, se avessi gli strumenti adatti.»

«Dai, su, forza, vai avanti.»

«Io... inventerò il modo per spostare le cose senza nemmeno toccarle. A metri di distanza.»

«Magnifico!» esclamò Ansel.

Tadon lo squadrò. Lui era davvero entusiasta. Ma certo, si era intascato l'obiettivo più onorevole di tutti. L'aveva scelto prima lui, perché lui era sempre il primo. Sarebbe stato anche il primo a volare?

Tadon continuò a strapparsi la carne dalle labbra, dalle guance. Faceva male, ma il dolore se ne andava via così in fretta, e lui non riusciva davvero a fermarsi.

«Sì, proprio magnifico» aggiunse Gael, roteando gli occhi. «Sei magnifica, amore. Anzi, perché non ti chiami la Magnifica, già che ci sei?»

Fai si voltò di scatto. Gael si allontanò, le braccia sollevate e i palmi aperti. Sorrideva beffardamente.

«Come hai detto, ripeti?»

«Davvero, amore?» Rise di gusto. «Sì, la Magnifica.».

Fai ci pensò. Incominciò a schioccare le dita.

Tadon la osservò. Ne aveva davvero abbastanza. Senza accorgersene, incominciò a sperare che non trovasse mai quel nome.

«Più... metallico. Più metallico, lo voglio.»

«Come?» disse Ansel, cercando sostegno da Tadon. Lui lo fissò dritto negli occhi di rimando, con uno sguardo fiammeggiante.

«Voglio un nome più metallico, ma ci siamo quasi.»

«Intendi che ci siamo quasi con la Magnifica?» Gael si sganasciò dalle risate. Si asciugò gli occhi. «Magnifica! Magn—»

«Magnetica!» Fai si alzò in piedi e batté le mani. «La Magnetica!»

«Ma che è?»

«Non lo so, ma è bellissimo!» Incominciò a roteare su se stessa.

Ansel si alzò e l'abbracciò. Lei si chinò a baciare Gael sulla bocca, poi continuò a girare sul posto, facendo danzare i capelli corvini.

Presero tutti posto, di nuovo.

«Tadon, manchi solo tu» disse Ansel.

«Tad, stupiscici» aggiunse Fai, ancora col fiatone e le guance rosse, mentre nascondeva una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Gael sollevò lo sguardo su di lui proprio in quell'istante. Allora aveva perso?

Tadon deglutì e ingoiò un fiotto di saliva misto a sangue. «Devo ancora decidere.»

«Ti manca il nome?»

«No, tutto.»

Silenzio. Nessuno parlò per qualche secondo.

«Be', allora cosa vogliamo fare?» Gael si guardò attorno, picchiettandosi il gomito con l'indice.

Ansel si allungò verso Tadon e bisbigliò, gli occhi spalancati come per spronarlo a parlare. «Pensavo avessi già in mente tutto. Mi sembravi così deciso.»

«Noi usciamo» annunciò Gael. Prese per mano Fai ed entrambi si alzarono. «Vi aspettiamo fuori sui tetti» aggiunse lei.

Tadon si voltò di scatto verso di loro. Forse nella speranza di trovare una soluzione, forse solo per sfuggire allo sguardo di Ansel, forse... non ne aveva la minima idea, in realtà. Intravide solamente il viso di Fai che si sforzava inutilmente di essere comprensivo, mentre Gael, di spalle, la tirava per mano.

«Dai, Tadon» sussurrò deciso Ansel, mentre la porta si apriva e si richiudeva. «Io ti aspetto.»

Rimasero zitti per qualche minuto. Ansel finì di scrivere i nomi sui fogli e poi li appese sul muro. Sul tavolo era rimasto solo quello di Tadon. Lui si tastava la superficie bucherellata del labbro con la lingua. Pensò di mordersi pure quella.

Cercò il coraggio di dirglielo in faccia, ad Ansel, ora che erano rimasti solo loro due. Eppure non parlò. Una vocina infame gli aveva persino sussurrato di iniziare per davvero a pensare a un'alternativa. A un altro sogno. Di lasciare quello al suo amico.

«Pensa a qualcosa che potrebbe migliorare la vita delle gente nelle strade» disse Ansel. «Dobbiamo ingraziarceli. Non possiamo fare altro se vogliamo rovesciare i nobili. Dobbiamo fare in modo che tutti i cittadini di Asdenar ci adorino. Punta a quello, vedrai che sarà un...»

Tadon non lo stava veramente ascoltando. Invece sentiva la sua stessa voce urlargli nella testa, pregandolo di farla uscire per esplodere attraverso la bocca. Glielo stava per dire. Sì.

Farli volare non sarebbe male, sai? Insegnargli a librarsi come i nobili sui tetti, ed evitargli la scalata su per quei vicoli ogni dannato giorno. Niente più cavalli, niente più carri, né fatica. Magari, insegnargli a domare i venti e spingersi insieme a essi sempre più in alto, toccare Hajen con la mano e tornare a terra come se niente fosse. Con il cuore a mille e i brividi a fior di pelle. Scienza al loro servizio, e il nome a me.

Sì, glielo stava per dire.

Aprì la bocca, ma qualcuno iniziò a bussare con violenza alla porta di metallo, e d'un tratto la stanza si trasformò nella cavità di una campana.

«Ragazzi, Ansel, venite fuori. È l'ora!» Era la voce di Gael.

Ansel si alzò di scatto. «Andiamo, Tadon.» Puntò un dito sul foglio al centro del tavolo. «Tu nel frattempo pensaci. Pensaci bene. Quando i nobili avranno finito là fuori, dovrai avere le idee chiare. Allora saremo noi a finire quei bastardi. Rifletti su quello che ti ho detto.» Fece il giro del tavolo e gli diede una pacca sulla spalla. Una pacca come fanno gli amici.

Uscirono e serrarono la porta. Ansel si arrampicò sul tetto e Tadon rimase a terra a osservarlo, meditabondo. Poi s'incamminò giù per il vicolo e si arrampicò su per un tubo di metallo arrugginito. Una volta in alto, si voltò. I tre ragazzi erano raggruppati qualche tetto più in là e lo stavano fissando. Poi, uno a uno, distolsero lo sguardo e lo volsero al cielo. Prima Gael, poi Fai e infine Ansel, che gli sorrise e gli mostrò il pollice teso. Tadon si voltò, staccandosi un altro pezzo di pelle dalla guancia. Guardò il palo che si ergeva sulle abitazioni della città bassa, mettendolo bene a fuoco. Ora sembrava davvero notte. Le nuvole coprivano ogni centimetro di cielo, e un grumo più scuro vorticava proprio sopra l'enorme asta di metallo.

Dopo qualche secondo di nulla, apparvero dal basso tre figure che incominciarono a volteggiargli attorno, levitando a spirale fino alla cima appuntita. Per qualche strano motivo loro sapevano già volare. Sapevano fare molte cose, ma Tadon era convinto che in realtà non comprendessero un bel nulla.

Leggeri come soffioni, scalavano una brezza silenziosa, come per prepararsi a una benedizione. Uno di loro era più robusto. Fu lui ad appollaiarsi sulla punta del palo, e qualcosa si staccò dal suo corpo.

No, non si trattava di una persona sola. Erano due individui. Abbracciati durante la salita, si erano divisi, e il nobile era rimasto in aria dopo aver legato lo scienziato al palo. Tadon non sapeva chi fosse. Lui e gli altri tre erano diventati Adepti solo due Saluti prima. Non conoscevano quasi nessuno alla Combriccola, ma non avevano atteso un altro giorno a meditare la loro ascesa per diventare Scienziati.

Cosa fare? Scontrarsi con Ansel, o inventarsi un altro sogno?

Proprio lui, Ansel, proprio lui che fin da piccolo lo aveva costretto a cambiare famiglia. A farsi adottare dagli scienziati, a prendere la nave e a lasciare per sempre la sua città. Perché la sua vera famiglia — ci pensava ogni volta con tutto il rammarico — era marcita. No, non marcita, ridotta a concime per i fiori nei giardini delle ville.

I tre nobili si allontanarono dalla cima del palo. Lo scienziato inarcava il collo e sbraitava qualcosa, la sua voce giungeva alle orecchie di Tadon troppo tardi e troppo debole. A ogni sospiro, il vento consumava l'eco delle sue parole.

Ma quello che sentiva ansimare non era il vento. Sotto di lui, una ragazzina si era appiattita contro una parete del vicolo. La piccola cassa toracica che si gonfiava e sgonfiava sotto un vestitino blu. Con una mano si spostò dalla fronte sudata una ciocca di capelli ramati e si abbandonò con la schiena lungo il muro, lasciandosi cadere a terra. Infine guardò in alto, mostrandogli gli occhi. Si spalancarono, come per respirare. E trattennero il fiato.

Le sue palpebre tremarono. La ragazzina si aggrappò con le mani ai mattoni del muro.

Entrambi si studiarono per qualche istante.

Tadon non distoglieva lo sguardo, i muscoli tesi. Avvinghiò le dita attorno a una tegola, estraendola con cautela dal tetto.

Si trattava di una nobile, non c'era dubbio. Ma se ne stava immobile. Stava già pensando a come fregare la natura con uno dei loro incantesimi?

Tadon si torturò la carne del labbro. «Allora, non mi fai nulla?» Palleggiò sulla mano la tegola e continuò a scrutarla.

Nulla, solo il debole soffiare del vento.

La ragazzina sollevò lentamente lo sguardo, volgendo gli occhi verso una di quelle lanterne nobili appese al muro.

Il suo braccio schizzò in avanti e la sua mano si chiuse a pugno.

Tadon si lanciò all'indietro e si appiattì contro il tetto. Sentì il cuore martellare contro la sua superficie. Si guardò attorno, la guancia spiaccicata contro la fredda terracotta. Imprecò. Non era successo un cazzo di niente. Si controllò un'ultima volta la pelle, le mani, si tastò la faccia, per accertarsi che non avesse preso a sanguinare o altro. Si sporse con cautela oltre il bordo del tetto. La ragazzina non c'era più. L'aveva preso per il culo. Si guardò a sinistra e a destra e poi la rivide, al centro della strada principale. Guardava in alto.

Il cielo tuonò.

Tadon lanciò un'occhiata alle nubi minacciose sopra il palo. Fulmini saettarono, confinati all'interno delle nuvole. Deviò la sua attenzione di nuovo sulla ragazzina. Ora era appoggiata a una parete, ancora ansimante. La studiò. Notò una strisciolina di sangue rosso colarle sulla tibia. Ma allora...

Un altro ruggito dal cielo.

I nobili che avevano fluttuato attorno al palo erano scomparsi. Restava solo il disgraziato legato sulla cima, ormai piegato su se stesso per la disperazione. Le fiamme gialle delle lanterne sui tetti esplosero verso l'alto, trasformandosi in colonne oscillanti.

Un lampo.

Un solo ramo bianco calò dal vortice scuro di nubi, sparando ai lati schegge di luce. Toccò il palo metallico e lo avvolse fino alla base. A Tadon parve di essere a pochi metri da una stella. Si coprì gli occhi.

Poi il trambusto, gutturale, profondo, come miliardi di particelle d'aria che esplodono all'unisono. Il tetto tremò, l'aria tremò, assecondando l'energia distruttiva che le nubi avevano scaricato a terra.

Tadon prese coraggio e guardò. I gabbiani avevano popolato il cielo in stormi confusi e agitati, stracciando la quiete con i loro versi convulsi. Una macchia scura si staccò dalla cima del palo e volò verso il basso, sfilacciandosi in frammenti polverosi. Sulla superficie metallica guizzavano ancora piccoli vermiciattoli di luce. Le fiamme gialle erano scomparse.

Tadon si appoggiò le mani sulla nuca e si lasciò andare in un sospiro. Rimase così qualche istante, poi guardò di lato. I suoi occhi si bloccarono sulla ragazzina col vestito blu e i capelli rossi.

Era... sospesa. Come una libellula. Ancora appoggiata al muro sì, ma ad almeno tre metri di altezza dalla strada. Con le gambe rannicchiate e le braccia distese sulla parete, le dita che scavavano tremanti tra le fessure dei mattoni. Respirava a fatica. Il suo sangue ancora rosso, non blu come quello dei nobili.

Bisbigliò tra sé e sé una parola. Poi scivolò in basso, lentamente, fino a ritrovarsi raccolta per terra. I capelli le ricaddero sulle spalle.

«Ehi» la chiamò Tadon. Gattonò sul tetto, fino ad arrivare all'altra estremità. «Hai volato.»

Lei si voltò e lo guardò sconvolta.

«Hai fluttuato.»

«C-cosa?» Deglutì e si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non è vero.»

«Come no?» Tadon fece per calarsi in strada, ma la ragazza sussultò. Allora lui si bloccò e disse: «Ti ho vista. Per poco non toccavi la grondaia.» E la indicò.

Lei guardò sopra di sé, studiò la canalina di scolo dell'acqua, diversi metri più in alto della sua testa. «Ma sei fuori? Non ho fatto un bel nulla.»

Mi stai prendendo in giro, ragazzina?

«Te lo ripeto, piccoletta. Ti ho visto fluttuare appoggiata alla parete. Devi essere stata lì per qualche secondo, almeno. Ma il tuo sangue è rosso. Tu non sei una nobile.»

«Ti sbagli. Ti sbagli d-davvero.» Si alzò in piedi e si passò le mani sul vestito, spolverandolo. «Io non so usare la magia.» Si pulì il sangue rosso sulla tibia con un dito.

Si voltò di scattò. Un grido giunse dalla città bassa. E la ragazzina fuggì di corsa su per la strada.

Tadon sentì un frusciare di vesti e indietreggiò, nascondendosi a pancia in giù sul tetto. Stava arrivando qualcun altro.

Davvero quella ragazza non si era accorta di aver volato? O l'aveva presa in giro un'altra volta? Eppure il suo viso era parso così sincero e spaventato.

«Maaeeeedliiiin!»

Una figura sfrecciò di sotto, risalendo la strada. Ma non toccava terra. Stava volando. Un altro nobile. Un'altra nobile, i capelli lunghi e scuri che l'accompagnavano fluttuanti nella corsa.

Tadon si alzò. Vide la sottana di quell'altra ragazza scomparire dentro a un vicolo con uno schiocco, e poi più nulla. Si girò verso il tetto dove si erano seduti Ansel e gli altri. Anche loro non c'erano più. Tadon strinse il pugno e serrò le palpebre. Cacciò un urlo silenzioso dentro di sé, rabbioso e violento.

Si calò dal tetto e bussò alla porta. Ad aprirgli fu Fai. Fece un passo dentro alla stanza e poi si fermò.

Ansel si protese sul tavolo, sorridente. «Allora, hai deciso, Tad?»

«Sì.»

«Cosa?» Il sorriso di Ansel si spense un poco.

«Voglio volare.»

La faccia di Ansel si corrucciò.

Gael spuntò da dietro la porta. «Idiota, vuoi chiamarti il Volante pure tu?»

Tadon scosse la testa.

«L'Astro.»

***

Dedico questo capitolo a ffay85 (Sara) perché ne sa a pacchi su come rendere i personaggi veri. Mi ha aiutato molto, soprattutto in quest'ultimo capitolo. E poi anche perché le piace tanto Tadon.

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