Morte
Capitolo 4
La riunione era finita e i membri del branco dei lupi e della Congrega delle streghe se ne erano andati via, lasciando minacce velate e avvisi pericolosi nell'aria.
- Che sia chiaro - iniziò Elizabeth rivolta ai suoi cinque figli. - Voglio che facciate ciò che credete più giusto, ma non toccate licantropi o streghe, a meno che non siano loro ad attaccare voi.
- Parole sagge - convenne Nathaniel, in tono ironico. - Se non ti conoscessi, direi che ti comporti da persona ragionevole.
- Ma io sono una persona ragionevole - replicò Elizabeth, con un pizzico di malizia mista a qualche altra cosa che Nathaniel non seppe decifrare.
- Spero continuerai ad esserlo perchè non volgio ritrovarmi un'altra volta la casa piena di esseri soprannaturali - ribattè Nathaniel con ostentata calma.
- Siete proprio noiosi - ingiunse Maia. - Ho dei biglietti in più per un concerto rock, chi vuole venire? - Sventagliò un paio di biglietti neri con la scritta rosso sangue.
- Io non posso - disse Arya, tagliandosi fuori. - Mi vedo con degli amici.
- Ci vengo io - disse Mark, strappando un biglietto dalla mano di Maia. Poi insieme salirono le scale per andare a prepararsi.
Elizabeth guardava la scena con un certo divertimento.
- Io vado a dormire, domani devo andare al mio primo giorno di lavoro e voglio essere in forma smagliante - informò Kevin.
- Hai trovato un lavoro?! - disse Arya, quasi gridando dalla gioia. - Quindi hai seguito il mio consiglio?
- Già - rispose Kevin, sorridendo. Poi guardò di sottecchi Elizabeth che lo stava guardando e prese Arya da parte. - Vieni - disse sospingendo la sorella per un braccio. - Andiamo nella mia camera, ti spiego tutto.
Nel salotto erano rimasti soltanto Nathaniel ed Elizabeth.
Dopo qualche istante, Nathaniel si alzò e fece per andarsene, però la voce di Elizabeth glielo impedì. - E tu Nathaniel, dov'è che vai questa sera? - chiese fingendosi interessata, la voce irritante e ironica come quella di Mark.
Nathaniel si girò e guardò dritto negli occhi sua madre, che ormai non considerava tale da un centinaio di anni. - Non credo debba interessarti - rispose infine, poi girò sui tacchi e salì le scale.
Pov's Arya
Arya aveva indossato una camicetta bianca aderente e una gonna nera che terminava appena sopra le ginocchia. Tra pochi minuti, Rachel sarebbe passata a prenderla per andare insieme al Los Angeles Bar, dove c'erano altri loro amici. Arya non era tesa, ormai aveva provato quasi tutto nella vita ed erano poche le cose che la entusiasmavano particolarmente.
Di sicuro, un'uscita con un gruppo di umani non era nulla di così allettante, però erano stati così gentili con lei, che non potè rifiutare. Nella sua famiglia soltanto Maia, Mark e Kevin riuscivano a divertirsi ancora. O meglio, Kevin riusciva sempre a provare emozioni, mentre gli altri due vivevano esclusivamente per ingannare le loro prede e poi prosciugarli di quasi tutto il sangue che avevano nelle vene. Sua madre e Nathaniel, invece erano un mistero.
Elizabeth usciva di notte a caccia, ma Arya non avrebbe saputo dire quale fosse il suo passatempo, sempre che ce ne fosse uno, ovviamente; Nathaniel invece era sempre stato troppo introspettivo, un uomo di altri tempi. Tuttavia, la stima che provava nei suoi confronti era indecifrabile. Amava tutti i suoi fratelli, soprattutto Kevin, però Nathaniel era quasi come un padre per lei. Anche se a volte si trovava a disagio quando lui e sua madre battibeccavano su questioni talvolta irrilevanti. Però voleva bene a entrambi.
Un clacson strimpellò fuori della villa e Arya si avvicinò alla finestra nella sua camera. Era Rachel, al volante di una ford nera tirata a lucido. Fece segno alla ragazza di aspettare e scese le scale. Nel salotto trovò sua madre seduta sulla poltrona con un libro in una mano e un bicchiere pieno di liquido scarlatto che sicuramente non era vino. Appena la vide, Elizabeth alzò gli occhi.
- Tesoro, sei stupenda - disse.
Arya sorrise. - Grazie mamma. - Salutò sua mamma e uscì dalla villa.
Pov's Mark
- Sorellona, questa musica fa schifo - gridò Mark per sovrastare le chitarre strimpellanti e le batterie rumorose.
- Oh, avanti - rispose Maia, saltellando a tempo di musica e muovendosi sensualmente. - Io mi sto divertendo.
- Ho fame - tagliò corto Mark. - Vado a cercarmi qualcuno di buono da bere. - Si allontanò facendosi largo tra la folla vestita con pantaloni di pelle neri, catene e pittura facciale.
Mark si avvicinò al bancone dove servivano i cocktails e ordinò al barista di preparargliene uno molto alcolico.
Da lì, riusciva a vedere tutta la sala. Era spaziosa, ma opprimente. Lasciò scorrere lo sguardo e notò Maia che ondeggiava i suoi fianchi sinuosi, mentre due ragazzi alti le ballavano intorno. Pensò che qualsiasi fratello al suo posto si sarebbe ingelosito, ma non lui. Sapeva che niente e nessuno poteva fare del male a Maia. Quella ragazza era fin troppo sveglia. Comunque sia non vide nessuno di particolarmente "appetitoso". L'odore del trucco facciale e del sudore si mescolavano al sangue creando una strana puzza. Fece una smorfia e si girò verso il bancone. Vide che il suo cocktail era pronto. Lo prese e lo bevve in due sorsi, poi lo posò sul tavolo facendolo tintinnare.
Il barista, un ragazzo dai capelli biondo cenere e occhi verde chiaro lo guardò e gli sorrise. Mark ricambiò il sorriso e si avviò nel bagno degli uomini, certo che il barista lo avrebbe seguito. Difatti, pochi secondi e il barista varcò la porta del bagno. Indossava una divisa nera e aveva l'eyeliner intorno a bordi delle palpebre.
Mark si avvicinò al barista, lo prese per le spalle e lo sbattè contro il muro, non troppo forte. L'odore del sangue dolce e salato al tempo stesso saliva nelle sue narici e lo inebriava. Il barista lo attirò a sè e Mark lo assecondò. Baciò il suo collo, facendo gemere di piacere il barista, poi con la mano sinistra lo tirò per i capelli, inclinandogli la testa. Poteva vedere i rilievi delle vene azzurre sul collo come articolati fili elettrici impigliati fra loro; sfoderò le zanne da vampiro bianche e affilate e le affondò nella carne.
Il barista gemette di dolore e cercò di divincolarsi soltanto inizialmente, poi lo lasciò fare. Mark bevve avidamente il sangue, mentre un rivoletto gli colava sul mento. Poi lo lasciò, non voleva ucciderlo. Non uccideva tutte le sue prede, ma quasi tutte. Però dovette desistere per non attirare troppo l'attenzione dei lupi e delle streghe. Il barista era ancora sveglio, anche se aveva le palpebre semichiuse.
Mark gli aveva lasciato sangue a sufficenza, lo sapeva per certo. Era fin troppo esperto in questo genere di cose. Gli diede un buffetto per farlo riprendere. Il ragazzo battè le palpebre e aprì gli occhi. Mark fissò lo sguardò in quello del barista e lo soggiogò per impedirgli di ricordarsi quello che gli era appena accaduto. Gli disse di dimenticarsi di avere visto lui, di avergli preparato il cocktail e di essere andato in bagno per lui, poi si ripulì la bocca e uscì dal bagno.
Mark tornò nella sala e la musica tornò a perforargli le orecchie come un trapano. Vide Maia ballare con un ragazzo alto dai capelli neri. Distolse lo sguardo e si avviò verso l'uscita.
Fuori l'aria era fresca e alcuni ragazzi sostavano fuori in gruppetti di cinque o sei. Qualche istante dopo, un gridò echeggiò nel vasto parcheggio di fronte all'ingresso. Tutti si girarono per vedere da dove provenisse l'urlo. Era stato l'urlo acuto e perforante di una donna, probabilmente un'adolescente. La gente accorse in un punto dietro una fila di macchine.
Mark si affrettò a raggiungere il cerchio di persone che stavano intorno a qualcosa o a qualcuno, con le mani sulla bocca, gli occhi sbarrati o le mani sulla faccia e sugli occhi. Spostò qualche ragazzo e guardò.
Un corpo era disteso a terra in una posizione strana, come se gli avessero rotto le gambe e le braccia. Ma la cosa peggiore era che non aveva neppure una goccia di sangue nelle vene. Il corpo era stato completamente prosciugato e Mark avrebbe giurato che quello era un vampiro.
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