79 - 𝑊𝒉𝑦 𝑑𝑜𝑛'𝑡 𝑤𝑒 𝑔𝑜 𝑡𝒉𝑒𝑟𝑒
{Royal Albert Hall,
South Kensington, Londra}
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Le vacanze di Pasqua.
Casa.
"Papà!" gridai, gettandomi giù dalla piattaforma del treno appena questo si fosse fermato alla stazione di King's Cross. Corsi incontro a mio padre insinuandomi tra la folla che riempiva la piattaforma, e una volta che gli fui di fronte gli gettai le braccia al collo e strinsi più che potevo.
"Ouch," scherzò lui, con i begli occhi blu che brillavano e i capelli rossi come i miei che parevano fuoco vivo, per quanto colorati di argento sulle tempie. "Da quando sei così felice di vedermi, Posie?"
Non ci fu bisogno di rispondere; le scorse vacanze non le avevamo potute passare insieme, ma non sarebbe più successo. "Non abbandonerò il tuo fianco nemmeno un minuto," lo stuzzicai, ridendo, e lui assunse un'aria spaventata.
"No, ti prego!"
"Da quando sei così agile?" chiese Hugo, con uno sbuffo per spostare il ciuffo castano dagli occhi. "Quando sei saltata giù ho creduto ti saresti rotta una gamba."
Mentre il mio adorato fratello minore salutava l'altrettanto simpatico padre, Izzy ci raggiunse un'espressione dolceamara negli occhi.
"Vorrei che potessi venire con noi," borbottai io, "devi per forza tornare a casa?"
"Per quanto ci faccia piacere avere la cara Izzy con noi, ti ricordo che anche lei ha dei genitori, e che magari vorrebbero stare con lei," intervenne Hugo, estraendo un bastoncino di liquirizia rosso dalla tasca del cappotto di papà senza che lui se ne accorgesse. "Tra l'altro, non è che ti va di andare con lei? Almeno staremmo qualche giorno in pace," ghignò.
Gli stavo già per rispondere per le rime, quando la liquirizia nella sua mano si sciolse all'improvviso, riempiendolo di una sostanza gelatinosa e appiccicosa che, temevo e mi auguravo, non sarebbe andata via tanto facilmente.
Papà scoppiò a ridere, tenendosi lo stomaco. "Così ti impari a fregarmi da mangiare, furfante."
"Rose?"
La riunione - ben poco idillica - venne interrotta da una voce che sbucò alle nostre spalle.
Julian indossava un'aria esitante sul viso, la sciarpa dei Grifondoro al collo, due bagagli e una civetta familiare. "Scusate, non volevo intromettermi," disse subito, "ma... ecco, hai lasciato le tue cose sul treno. Ho pensato di riportartele."
Vidi Isabelle roteare gli occhi. Hugo, dal canto suo, aveva un sorrisetto divertito, probabilmente richiamando il ricordo di quando gli aveva detto che il Magiorologio sarebbe stato un perfetto regalo di compleanno, quando in realtà sapeva benissimo che ne avevo già due.
"Grazie," esclamai, sorpresa, prendendo la gabbia con Glauco tra le braccia e lasciando che la civetta beccasse affettuosamente il mio dito, "che sbadata. Ti stavo lasciando lassù, G., mi dispiace."
Julian sfoderò un sorriso timido e mise le mani in tasca; vidi Isabelle e Hugo scambiarsi uno sguardo; papà alzò entrambe le sopracciglia; allora mi ritrovai costretta a fare le presentazioni.
"Papà, lui è Julian," dissi, e con la gola secca aggiunsi, "il mio... ragazzo."
Il mio compagno parve piuttosto sorpreso ma anche compiaciuto di come l'avessi definito, e sorrise ancora di più - mentre io avevo cercato di indugiare il più possibile per riuscire a trovare una definizione migliore.
Tuttavia, se già prima si era dimostrato confuso e accigliato, adesso mio padre assunse un colorito purpureo a ventaglio, dal collo in su. Temetti che stesse per strozzarsi, ma diede un colpo di tosse secco e poi tese la mano all'infuori. "Ron Weasley," sentenziò, con tono serio.
Non si presentava mai con nome e cognome, perché sapeva che poteva intimidire le persone. Chissà perché, avevo la sensazione che questa volta l'avesse fatto di proposito.
"È un piacere conoscerla, signore," replicò Julian, per nulla toccato dalla sua espressione minacciosa.
Papà forzò un sorriso. "Non mi avevi detto di avere un nuovo fidanzato, Rose," mi disse, con un fare che poteva sembrare pure amichevole, ma che tradiva ben altro.
Che fosse geloso? Era sempre stato protettivo nei miei confronti, forse anche troppo.
Non ebbi tempo di rispondere, perché dal vapore dell'Hogwarts Express emerse una figura di altezza spropositata e bellezza impareggiabile, conosciuta anche come Scorpius Malfoy.
Non mi sfuggì come questa volta il volto di Izzy si illuminò, e pure Hugo parve sollevato.
Io, sollevata, non lo ero affatto.
"Signor Weasley," esclamò il ragazzo, avvicinandosi a me dal lato opposto a quello di Julian, "salve. Ero venuto per sapere come stesse," aggiunse, sorridendo come un modello di una campagna pubblicitaria Babbana.
Stavolta la tensione abbandonò mio padre, che, sotto i miei occhi stupiti, addirittura diede una pacca sulla spalla del biondo, affettuoso. "Grazie, Scorpius," rispose, "ora posso dire che per merito tuo sto bene."
Mi ricordavo bene della scena pietosa che papà mi aveva fatto quando a dicembre aveva creduto che stessimo insieme. Ovviamente l'essere stato salvato dalla sua intuizione sull'antidoto al suo coma doveva aver cambiato la situazione.
A quel punto anche Scorpius lasciò scivolare lo sguardo su di me, alla mia sinistra, mentre Julian, dalla mia destra, gli lanciò un'occhiata poco felice. Io li guardai scambiarsi un cenno freddo e affatto cordiale, stretta tra loro, senza sapere che dire.
Una situazione che nemmeno la saga di Twilight.
"Mi devi aggiornare su tutto," bisbigliò papà, divertito e allo stesso tempo perplesso, guardando anche lui la scena.
Le vacanze di Pasqua.
Sì, ne avevo proprio bisogno.
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"Non ci credo che ti sei fidanzata e non ce l'hai detto!" brontolò per la centesima volta quello che sarebbe dovuto essere l'uomo di casa, il pater familias, l'eroe di guerra, uno degli uomini più importanti del nostro mondo. "Fidanzata!"
"Ve l'avrei detto se fosse stata una cosa seria," ribattei, esasperata, con il grembiule macchiato d'impasto e le guance sporche di farina. "È successo da pochissimo, va bene?"
"Smettila di mangiare l'impasto crudo, ti farà venire il mal di pancia," sentii rimproverare, e distolsi lo sguardo dalle formine dei biscotti solo per trovare la mamma che dava un pizzico a Hugo.
Papà, nervoso, abbassò la Gazzetta del Profeta e schiaffò la propria tazza di caffè sul tavolo della cucina, rischiando di rovesciare tutto. La mamma, seduta dall'altro lato rispetto a lui, si allontanò con l'avambraccio i capelli dal viso e riprese a mescolare farina, burro, latte e uova. "Ron," lo ammonì.
"Scusa, Mione, ma io questa faccenda non la capisco," dichiarò. "Parti a gennaio che stai con uno e torni ad aprile che ne hai un altro, senza avvertirci? E poi chi è quest'altro? Conosciamo la famiglia?"
La mamma, benché in quella conversazione avesse mantenuto le mie difese contro l'invettiva del marito, si mise a ridere. "Amore, non stanno più all'asilo. È normale che non sappiamo tutto delle loro vite private, e soprattutto i dati anagrafici dei loro flirt. Certo," aggiunse poi, con tono fintamente casuale, "se volessi spiegarci che fine ha fatto Scorpius, la questione sarebbe molto più chiara..."
Mi chinai per infornare la teglia di biscotti a forma di pulcini e iniziai a mescolare gli ingredienti per la glassa. "Non c'è niente da spiegare."
Hugo, appollaiato in cima al bancone con una mela rosicchiata in mano, smise di sfogliare il libro di cucina trovato lì accanto, ed emise un verso ironico. "Dipende. Se hai intenzione di rifilarci Julian a lungo, tanto vale che li prepari per quel che li aspetta."
"È tanto terribile?" chiese preoccupata la mamma, sollevando gli occhi dall'impasto.
"È un idiota," rispose secco Hugo.
"Per te nessuno sarà mai all'altezza di Scorpius," gli puntai il mestolo gocciolante contro, "se ti piace così tanto mettici tu, e liberami da questo fardello."
Mio fratello si mise a ridere. "Non è colpa mia se Scorpius è mille volte meglio di quel tizio. E il fatto che te la prendi tanto vuol dire che lo sai anche tu, cara sorella."
Gli scoccai un'occhiataccia letale. "Giuro che se non stai zitto stanotte ti raso a zero mentre dormi," lo minacciai, ma in risposta ricevetti solo una risata.
"Questo può rivelarsi un problema."
Guardai la mamma. "Ma se dici che non si pettina mai. Almeno estirpiamo la rogna alla radice."
"Non i capelli di Hugo," fece lei, esitante. "Dicevo la questione Malfoy."
Io e mio fratello aggrottammo la fronte nello stesso momento. "Che intendi?" chiedemmo in contemporanea.
Papà invece ridacchiò sotto i baffi. Quella vena diabolica che spuntava fuori a volte era quella che più mi preoccupava.
"Ho invitato gli zii e i Malfoy a cena, a Pasqua," spiegò.
"Hai fatto cosa?" esclamai, attonita dalla sua rivelazione.
"Credevo foste ancora in buoni rapporti!" si difese lei, "i nonni quest'anno sono in Romania dallo zio Charlie e non ci sarà il pasto con tutta la famiglia, quindi pensavo che passare la festa con Albus e Lily e James vi facesse piacere. E poi i Malfoy sono sempre soli, almeno così saranno in buona compagnia."
Mi presi il viso tra le mani, già immaginandomi il disastro che conseguiva il vedere quel ragazzo. "Oh, no."
"Puoi invitare il tuo nuovo ragazzo, se vuoi," provò a rimediare la mamma, che potevo vedere essere chiaramente divertita dalla situazione tragicomica in cui ero invischiata.
Hugo sfogliò la rivista di cucina. "No, ti prego," borbottò, "tanto vale prevenire la tortura e spararsi in bocca a vicenda."
"Io a te e tu a me," concordò papà, alzando la tazza di caffè nella sua direzione.
Roteai gli occhi. "Grazie, molto utili."
"Guarda il lato positivo," infierì Hugo, "almeno papà non avrà dei nipotini biondi platino. Quello sì che sarebbe stato un colpo duro."
Nostro padre ci guardò, allarmato. "Chi ha parlato di nipotini?"
Cacciai lui e Hugo dalla cucina, restando sola con la mamma. Per quanto li amassi immensamente, non potevo non ammettere che fosse piuttosto faticoso avere a che fare con loro sulle questioni di cuore.
Sciacquai le mani dalla farina e dalla glassa colorata, le asciugai con un canovaccio e mi sedetti accanto a lei.
Subito mi sfregò il palmo sul braccio in una carezza affettuosa. "Non devi parlarne se non vuoi. Lo sai che noi scherziamo."
"Davvero ve l'avrei detto," mormorai. "È che parlarne con voi rende tutto più reale, e io non credo di voler che accada."
Lei sorrise, gentile, ma poi prese un sorso di tè e non disse nulla, in attesa che fossi io, con i miei tempi, a fare il primo passo.
Quando ero stata a casa durante le vacanze di Natale non avevo mai detto esplicitamente della nostra relazione, anche perché non ne avevamo ancora avuta nessuna seria al momento; però mi resi conto che per nessuno lì era una sorpresa che ci fosse stato qualcosa tra di noi. Tanto valeva ammetterlo, e parlarne con la persona che più mi amava al mondo.
"Non abbiamo fatto in tempo a metterci insieme che ci siamo subito lasciati, mamma," dissi alla fine, raccolto il coraggio sufficiente a fare una confessione del genere. "Il tutto è durato un mese, un mese bellissimo, dove siamo stati bene come non mai. Ti giuro," proseguii, ignorando il bruciore agli occhi, "che eravamo felici. E poi è finito tutto."
Lei corrugò le sopracciglia. "E perché è finito tutto se stavate così bene?"
"Non lo so," risposi, "non lo so. Forse il karma. Forse gli dèi hanno deciso che nessun mortale potesse essere felice come lo ero io."
Un sorriso affiorò sul suo volto, bellissimo, non invecchiato di un giorno, ma preoccupato e concentrato. "Avanti, Rose Minerva Granger. Sei una persona intelligente e razionale, non diventare una professoressa Cooman degli anni Duemila. Non voglio sentire scemenze come karma e dèi in questo discorso, va bene?"
Per quanto le sue parole, e la mia battuta, avessero sdrammatizzato la situazione, mi sentii di nuovo piombare in un umore nero.
Allora, guardando i suoi grandi occhi castani, caldi e dolci e comprensivi, mi venne spontaneo dirle tutto, tutto quanto, ogni singolo dettaglio. Parlai per almeno un'ora, durante la quale lei non mi interruppe mai, ascoltando attentamente mentre entrambe stendevamo l'impasto e lo rendevamo a forma di stelle, pulcini e cuori. Le dissi dell'atmosfera strana quando eravamo tornati al Castello, del litigio sulla Torre d'Astronomia quando Amanda gli aveva detto che io e Julian ci eravamo quasi baciati, di come avessimo passato il suo compleanno da riconciliati, persino della battaglia sulla neve; e ancora del meraviglioso San Valentino, della serata fuori che aveva organizzato, alla National Gallery e nel quartiere italiano a Londra. Quando compresi di essere giunta al giorno della rottura, il livello di inconsapevole felicità e serenità che mi aveva avvolta nel parlare del mese in cui eravamo stati insieme calò di colpo. Le raccontai del mio animo, infranto in mille pezzi come il mio cuore, nell'aver ricevuto quella sentenza priva di motivazioni. Le raccontai della mia incapacità di risollevarmi, di affrontare la realtà nuova e terribile che si prefiggeva davanti ai miei occhi, priva di sicurezza, di stabilità, di certezze, priva della sua presenza cui mi ero abituata, e che avevo imparato ad amare. Poi era arrivato Julian, che non mi aveva lasciata un secondo, che aveva fatto in modo di aiutarmi anche se io stessa non sapevo come potesse fare, dei suoi metodi per distrarmi, come i viaggi nel tempo, e di come man mano avessi realizzato che per me era diventato importante.
Il problema era stato che, con il passare delle settimane, mi ero accorta che Julian aveva acquisito importanza, sì, ma che Scorpius non l'aveva mai persa, e che adesso mi ritrovavo incapace di conciliare queste due figure così diverse nella mia vita, ma anche di rinunciare ad una delle due.
Perdere Julian avrebbe significato perdere quella parte della mia vita che mi faceva sentire al sicuro, protetta, sarebbe stato come perdere il bastone, la luce nell'oscurità; perdere Scorpius, invece be', l'avevo vissuto, ed era raccapricciante solo il pensiero di dover affrontare di nuovo tutto il dolore soffocante del mese scorso.
Quando le dissi dell'incubo di Scorpius, di come fosse stata quella la giuntura tra un periodo orribile ed uno in cui, invece, ci eravamo progressivamente riavvicinati, qualcosa nella sua espressione cambiò. Fu come se, al di là del dispiacere che provava nei confronti del ragazzo per lo sperimentare di continuo qualcosa di così brutto e pesante, avesse compreso quanto fondamentale fosse stato quell'evento, ancora prima che ne parlassi. Per tutto il racconto che seguì - l'organizzazione segreta del mio compleanno, che la fece ridere, poi l'avventura nel Lago Nero, lo "spiacevole inconveniente del quasi-bacio", e la discussione di qualche giorno prima nell'Aula di Trasfigurazione, - mi continuò a guardare, sorridendo al di sopra della tazza di tè che teneva tra le mani.
"Sai," disse infine, appoggiando la tazza e incrociando le dita sul tavolo, "io ti capisco più di quanto credi."
Io alzai, in risposta, entrambe le sopracciglia. "Tu hai amato papà tutta la vita."
La mamma ridacchiò come una ragazzina. "Non lo sto mettendo in dubbio, Rose. Quello che ti sto dicendo, è che anche a me è venuto il dubbio, una volta. Viktor rappresentava per me quello che Julian rappresenta per te: l'alternativa facile. E con questo non sto affatto cercando di sminuire il tuo sentimento, tutt'altro; scegliere la strada più semplice, a volte, può far risparmiare un sacco di problemi e di sofferenza che magari non portano neanche a nulla di concreto. Viktor era stato lì quando tuo padre era ancora troppo immaturo, aveva costituito per me un porto sicuro, qualcuno da cui rifugiarmi quando non volevo stare a sentire nessun altro. Ron, invece," fece, con un sorriso distante e nostalgico, "lui era tutto un problema, un litigio, una discussione, era grida, era lacrime. Le cose non funzionavano, e così ho avuto modo di dare spazio a Viktor."
Mi piaceva sempre sentire della sua storia con Viktor Krum. A parte il divertimento nell'ascoltare per la milionesima volta di quanto papà fosse stato geloso e delle sue difficoltà nel pronunciare correttamente il nome della mamma, sapere che era rimasto nella sua vita mi faceva sentire fiduciosa. Non tutto si basava su questioni amorose, specialmente la relazione tra uomo e donna, e lei e Viktor erano la prova che se il legame era abbastanza solido il sentimento che contava di più era l'amicizia. E poi, ogni volta che lo vedevamo mi diceva che ero bellissima, uguale alla mamma, e ci portava dei regali da urlo. Lo adoravamo sia io che Hugo, specialmente mio fratello, che lo idolatrava per il suo passato come star del Quidditch a livello Internazionale.
"Però tu alla fine hai sposato papà," obiettai, "hai scelto lui."
La mamma alzò le spalle. "Non è stato così semplice. Ho seriamente corso il rischio di prendere un altro cammino. Poi è successo questo: arrivata ad un certo punto, ti trovi davanti un bivio. Tocca a te scegliere quale strada percorrere, sapendo che non potrai più voltarti indietro. Io ho capito che per come sono fatta, una vita di costante equilibrio e sicurezza non era adatta me, che mi sarei annoiata, che quella scintilla si sarebbe presto spenta. Ho capito che ogni litigata con tuo padre ne valeva la pena, perché guardarlo strafogarsi di cibo, muoversi come un elefante in una cristalleria e russare nel sonno è ciò che mi rende felice. Quando sarai di fronte questa decisione te ne accorgerai, fidati," aggiunse, "ma quando sarà il momento non attardarti troppo. Non vorrei che perdessi l'occasione, e restassi con niente in mano."
Abbassai gli occhi sul mio tè, ormai freddo. "Non so se posso rinunciare ad uno dei due, mamma."
Lei allungò la mano, macchiata di farina ovunque tranne che per la lucida fede in oro rosa, e strinse forte la mia. "So che adesso credi di non riuscire a farlo, piccola," disse, convinta, "ma quando sarà il momento fare questa scelta ti verrà naturale. In questa situazione di stallo non soffrono solo loro due, ma anche te. Nessuno potrà guidarti, ma fidati, non ne avrai bisogno."
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La chiacchierata con mia madre il giorno prima mi aveva chiarito le idee, ma non potevo non confrontarmi con le due regine del gossip per non diventare matta di fronte la cena che mi si prospettava di fronte, e questo significava chiamare Isabelle e Noah.
La nostra telefonata in comune durò così a lungo che nel frattempo misi in ordine quel caos definito anche come la mia stanza, mi misi lo smalto, feci le sopracciglia, corressi una pergamena di Hugo, mi preparai per la cena e guarnii la torta fatta nel pomeriggio, raggiungendo livelli che andavano ben oltre le mie capacità culinarie.
Fatto stava che non riuscii ad attaccare che suonò il campanello, segno che quella notte di Pasqua, i primi invitati erano giunti. Questo voleva dire che la mia pace interiore era finita, e che la tensione emotiva l'aveva rimpiazzata all'istante.
"Stai discretamente, smetti di toccarti la gonna," mi bisbigliò Hugo, mentre in piedi come due ciocchi di legno guardavamo papà dirigersi verso la porta.
"Le calze pizzicano," sbottai di rimando.
"Ci penserà Malfoy a togliertele—"
Non potei evitare di tirargli uno scappellotto dietro la nuca, e lui non poté replicare, perché papà accolse i Potter.
Tirai un enorme sospiro di sollievo nel vedere la faccia familiare di Albus, che come mi vide mi venne incontro a braccia spalancate. Gli portai le braccia al collo, affondando il volto nella sua spalla. "Ho troppa ansia, Al."
Lui tirò indietro la testa e mi guardò con i suoi occhi verde smeraldo. "Mi sono abbastanza abituato all'idea di voi due come coppia per farti da consulente in amore. Anche se," qui si inserì la solita smorfia, "teoricamente tu stai con Julian."
"Oh, no!" si inserì Lily, un maglioncino leggero azzurro con i pantaloni di pelle neri che le slanciavano le gambe magre, "non potete fare che appena mi avvicino parlate subito di lui. È sleale."
Roteai gli occhi, esasperata. "Quando la smetterete di odiare Julian?"
"Quando lui la finirà di fare il piagnucolone," rispose Hugo.
"Quando si toglierà l'aria da vittima e da finto perbenista," fece Al.
"Quando si taglierà quei capelli orribili," fu il turno di Lily.
"Non so di chi stiate parlando," intervenne zia Ginny, accigliata e con le mani sui fianchi, "ma non vorrei essere al suo posto."
Lily ghignò. "Io conosco qualcuno che vorrebbe," mi diede una gomitata e con un cenno del mento mi indicò la porta, sul quale stipite era appena comparso Scorpius.
Mi sarei mai abituata alla scossa lungo la schiena che mi dava il solo averlo davanti agli occhi?
Ti riavrò indietro, Rose, mi aveva detto, accarezzandomi i capelli con la bocca morbida, circondandomi con il suo profumo, avvolgendomi con la voce calda e suadente.
Io in quell'attimo avevo avuto la convinzione che avrei ceduto, che l'avrei baciato senza pensarci due volte; con il senno di poi avevo capito che era stato un pensiero avventato, ma comunque potenzialmente distruttivo. Avevo dei princìpi morali, non avrei mai tradito nessuno - figurarsi Julian, che tanto aveva fatto per me, e che mi adorava ogni giorno di più.
Ma che non ami, mi ricordai. E che non amerai mai.
Però Malfoy era Malfoy, e la tentazione sarebbe rimasta sempre, che mi piacesse o meno.
Lo vidi scambiarsi un abbraccio con Albus, con mia madre, con zia Ginny, ricevere la stretta entusiasta e innamorata di Lily, e stringere la mano a papà e allo zio Harry e dare un'amichevole pacca sulle spalle e un sorriso a Hugo. In tutto ciò, però, non realizzai che era il mio turno solo finché non me lo ritrovai davanti.
Alzò un angolo della bocca nel suo solito sorriso sghembo. "Almeno potresti far finta di essere contenta di vedermi."
Beccata.
E cosa si fa nei momenti di panico?
Si improvvisa.
"Bella felpa," esclamai, "non ti vedo mai con le felpe addosso. Ti stanno bene, le felpe. Be', le felpe stanno bene un po' a tutti, quindi non sentirti troppo speciale, ma non per sminuirti o niente. Calcola ce ne ho una simile, stesso rosso, infatti non è che vada a genio con i miei capelli, però—"
Sollevò entrambe le sopracciglia. "Per quanto io possa starti a sentire blaterare per ore," mi interruppe, "credo che tu debba darmi un abbraccio, così smetteranno tutti di fissarci e potremo iniziare la cena. Che ne dici?"
Avvampai nel prendere misure con la figuraccia fatta, ma gli restituii un cenno del mento, e compii un passo verso di lui. Il suo corpo aderì al mio come se fosse stato plasmato appositamente per l'occasione, e la mia guancia sfregò contro la sua nel timido e impacciato intento di un bacio, e mi sentii bene nel percepire le sue braccia muscolose attorno a me. Le sue labbra sfiorarono la mia pelle, regalandomi un mese di sogni e di brividi gratuiti - grazie mille.
Il tutto durò a malapena qualche secondo, anche per non dare nell'occhio con la famiglia di impiccioni che ci circondava, ma fu come se il tempo si fosse dilatato per prolungare il più possibile il nostro contatto.
Da quanto non ci toccavamo? Forse dal giro nel Lago Nero. Non era così a lungo, ma allora perché lo sembrava?
"Meno rigida, Weasley," disse sottovoce, con un sorriso divertito. "Non ti sto pugnalando alle spalle."
Roteai gli occhi. "Quanto sei simpatico."
"Non una delle mie doti migliori," ammise, senza perdere l'aria allegra.
Aggrottai la fronte. "Ah sì? E quelle quali sarebbero?"
Non ricevetti altro in risposta se non un occhiolino che mio malgrado mi fece ridacchiare, prima che la mamma chiamasse tutti per pranzo.
I posti che ci avevano lasciati erano l'uno di fronte all'altra. Mi accomodai tra Al e Lily, prima che mi rendessi conto dell'assenza di una persona. "Dov'è James?" domandai, allarmata.
"Ad Hogwarts," rispose zio Harry, con lo stesso identico sogghigno della figlia, che mi aveva mostrato quando Lumacorno aveva imbarazzato me e Malfoy davanti a tutta la classe per la faccenda dell'Amortentia.
Quando mi veniva da pensare che Lily e James avessero ereditato la loro indole pestifera esclusivamente da zia Ginny e dal nonno, zio Harry mi dava modo di ricredermi.
"Mamma l'ha obbligato ad andare da Teddy e a fare pace," spiegò Lily, l'espressione facciale la copia sputata del padre.
Zia Ginny ghignò. "Puoi scommetterci. Sono mesi che vaga dentro casa come un Troll."
"Un Troll molto depresso," sottolineò Lily.
"Be', era ora," concordò papà, infilzando una patata arrosto e sventolandola in aria, "litigare e non rivolgersi più la parola non serve a niente."
Annuii. "Soprattutto non quando si ha un legame come il loro."
"A proposito di legami," intervenne Draco, con addosso una semplice camicia nera che faceva brillare i suoi capelli platinati, "è vero che terrai una lezione ad Hogwarts, Harry?"
"Perché non ci hai detto niente?" intervenne la mamma, sorpresa, rivolta al suo amico.
"Il loro professore di Difesa me l'ha chiesto qualche mese fa, ma fino all'altro ieri nulla era deciso," fece lo zio. "Come Draco ha lasciato intuire, il tema centrale è l'Amore. Non so bene cosa e come dovrò parlarne, ma pare che sia argomento d'esame, quindi sarà una cosa parecchio approfondita."
Il pranzo trascorse in modo tranquillo. Mi sincerai di non incontrare mai lo sguardo di Malfoy, per il bene della mia salute mentale, ma a parte quell'onere che incombeva sulle mie spalle l'ora abbondante passò senza intoppi o problemi, almeno fino al momento del dolce. Considerando che eravamo in aprile inoltrato, ormai, avevo fatto insieme alla mamma una torta da frigo, che andava servita ben fredda e che per questo aveva bisogno di tempo in frigorifero; fu opinione comune che avremmo dovuto aspettare un altro po' per poterla gustare, e questo portò Lily all'ideare la sua proposta.
"Perché allora noi cinque non andiamo sotto il Ciliegio?" chiese, sorridente.
Il Ciliegio era il gigante buono di casa. Non vivendo in piena città, nella sua bellezza quanto nel suo caos, la campagna londinese ci offriva una vista spettacolare, rappresentata, tra le varie peculiarità come i campi e gli alberi e le altre moderne abitazioni, da una collina. Quella collina era stata la nostra infanzia: in estate ci eravamo rotolati mille volte per i suoi pendii, in autunno ci eravamo gettati tra i cumuli di foglie colorate, in inverno ci avevamo fatto a palle di neve... ma la vera meraviglia era la primavera, quando si riempiva di verde, e il grande albero che la sovrastava, e che ci salutava da lì agitando i lunghi rami, si ricopriva di foglie color smeraldo, e di fiori del più tenue rosa che esistesse.
Quando faceva troppo caldo per stare in casa io e Hugo, con i cugini quando ci venivano a trovare, eravamo soliti trovare riparo tra il suo fogliame, arrampicandoci sui rami solidi e così studiando, leggendo, cantando, dormendo, anche. La vita a casa Weasley-Granger girava attorno a quell'enorme albero, e ci eravamo affezionati a lui.
Non riuscii a trattenermi, e mi sdraiai sulla schiena nel prato sopra la collina, incrociando le caviglie e le braccia dietro la testa. Chiusi gli occhi, godendo della pace conferitami dal vento che scorreva sul mio volto, dal profumo dei fiori, dal suono dell'erba che ondeggiava, dal calore del Sole sulla pelle, piuttosto raro nelle pianure scozzesi di Hogwarts.
"Scommetti che io salgo più in alto?" sentii dire da Lily.
Hugo le restituì un verso di scherno. "Lo dici tutti gli anni."
"Chi vince paga all'altro un mese di Burrobirre," stabilì mia cugina.
"Andata."
Così le due scimmie si iniziarono ad arrampicare sui rami dell'amato vecchio Ciliegio, e non passarono due minuti prima che il cellulare di Albus iniziasse a squillare. Si alzò dal mio fianco senza dire nulla, e si allontanò, non prima che lo sentissi esclamare qualcosa di sdolcinato, che mi fece capire come il mittente della chiamata fosse Izzy.
Ciò mi lasciava sola con Malfoy, se non si voleva contare quei selvaggi in cima all'albero.
"Mi stai evitando," disse il biondo, senza indossare un tono di accusa ma con una semplice constatazione.
"Sì."
"Dopo quello che ti ho detto, vero?"
Sospirai. "Sì."
"Perché?"
"Lo sai, perché."
"Volermi non è un peccato mortale, Rose."
Sbuffai, e mi girai sullo stomaco. Di fronte a me, Malfoy aveva le gambe stese e la schiena contro la corteccia del Ciliegio, una visione mozzafiato con il paesaggio tendente al rurale che lo circondava.
"Io non ti voglio."
Il suo sguardo, oltre ogni mia aspettativa, si ammorbidì. "So che vuoi crederci davvero. Ti accorgerai da sola del tuo errore, e io sarò lì."
Puntai i gomiti sull'erba e mi sorressi il volto con le mani. "Mi devi delle spiegazioni."
Annuì. "Quel che vuoi."
"Perché hai cambiato idea?" formulai, esponendo quel dubbio che mi stava lacerando da giorni. "Perché prima mi hai lasciata, e ora—ora hai detto di voler combattere per me? Non ti capisco, Scorpius, davvero, per quanto mi stia sforzando di farlo."
Dal giorno in cui l'avevo fermato per chiedergli se fosse stato lui a procurare a Julian quell'occhio nero, le cose erano cambiate. Da un lato, mi aveva iniziato a far sorgere delle perplessità sul mio attuale ragazzo, ed ero giunta alla conclusione che la nostra relazione era solo una finzione. Il punto era, però, che potevo non amarlo, non vederlo in altro modo che un amico, ma comunque con me era impeccabile, buono, generoso, simpatico, divertente. Dall'altro lato, invece, nella mia testa regnava la confusione più completa, riguardo un altro ragazzo, un'altra storia, fondamentalmente un altro capitolo della mia vita.
Un capitolo bellissimo, e uno dei più importanti, una favola immersa in una bolla d'oro.
E come le favole più belle, non era forse meglio che rimanesse tale - solo una favola, appunto?
L'idea che Scorpius potesse volermi di nuovo scatenava il panico dentro di me. Lo avevo amato così tanto, ma adesso stavo imparando a vivere senza di lui, mi stavo abituando a non sostenermi solo sul suo amore per me, bensì anche quello mio per me stessa. Mi aveva fatta stare così male che mi era parso di non sapere più come camminare o respirare dopo di lui, e soltanto ora stavo riprendendo familiarità con il mio animo, e con la persona che ero stata prima di lui.
Il suo amore era stato ciò che più mi aveva resa felice, ampliando il mio cuore, estendendo la mia gioia e raggiungendo un livello della stessa che non pensavo nemmeno esistesse: avevo sempre creduto di avere tutto, nella vita, una famiglia che mi amava, degli amici, un futuro roseo davanti a me, eppure con Malfoy avevo visto che mi mancava un grande amore. Averlo con lui era stata l'esperienza più meravigliosa che avessi mai fatto.
La mia vita, tuttavia, stava prendendo una svolta diversa. Avevo appena imparato a vedere con occhi sereni la nostra relazione, senza sprofondare nello sconforto al semplice pensiero. Quando lo avevo di fronte ora non mi veniva da piangere all'idea di ciò che avevo perso, ma da sorridere grazie a ciò che avevo avuto.
Ritornare da lui, regalargli di nuovo ogni parte di me, con il rischio - a tratti quasi con la consapevolezza - che sarebbe di nuovo finito tutto e che io sarei stata male come a marzo, male da tagliare ogni ponte con l'esterno, da finire le mie lacrime, da volermi annullare... non ero pronta a rivivere tutto questo. La mamma aveva sperimentato il dolore nella relazione con papà, e aveva scelto di rinunciare alla sicurezza del Cercatore bulgaro, di tuffarsi nell'ignoto, senza sapere se l'intera faccenda si sarebbe risolta nella più grande tragedia, o nella più grande vittoria. Le era andata bene: aveva fatto una scelta e accettato le conseguenze, e le era andata bene. Non sapevo se sarei stata altrettanto fortunata.
D'altronde, io non dovevo pensare solo a me nel compiere questa scelta. C'erano in ballo gli esami, la mia carriera da Auror, e la serenità delle persone che mi circondavano, e a cui volevo un mondo di bene. Sacrificare un po' della passione per Malfoy pur di avere un pizzico di stabilità non mi pareva una grande perdita. Se e quando avrei concesso a me e lui di riallacciare i rapporti, ne sarei dovuta essere certa, certa di non starmi gettando in un secondo baratro, certa che potesse funzionare, e non avrei compiuto una scelta così importante solo basandomi sui miei ormoni, perché c'era la mia vita intera in gioco.
Non mi sarei buttata di nuovo fra le braccia di Scorpius Malfoy senza avere la consapevolezza di volerlo fare, e senza essere disposta a dare di tutto per far funzionare la cosa. Aveva perso la mia fiducia, lasciandomi, quella notte. L'unica motivazione addotta, quella di non volermi più, di non amarmi, di non essere fatto per una relazione seria, era svanita nel momento in cui mi aveva sussurrato che avrebbe fatto di tutto pur di riavermi.
Ma se a distanza di un mese e mezzo aveva cambiato completamente idea, allora perché mi aveva lasciata? E cosa gli faceva pensare, se fosse stato vero, che questa volta non si sarebbe stufato? Non ero un giocattolo per cani, non potevo essere lanciata via e ripresa senza esprimermi o dire la mia, non ero fatta così. E Malfoy avrebbe dovuto dimostrare di avere intenzioni serie, di essere maturato, perché mi fidassi di nuovo di lui. Avevo imparato ad amare me stessa, in quelle settimane di terrore, e non avrei mai mandato all'aria i progressi fatti se non fossi stata sicura che ne valesse la pena.
"Ho fatto un errore," rispose lui alla mia domanda.
Sollevai entrambe le sopracciglia. "Tutto qui? Hai fatto un errore?"
I suoi occhi non lasciarono neanche per un istante il cielo alle mie spalle, irritandomi ancora di più. "Sì."
Afferrai una manciata di foglie e gliele gettai contro in un turbinio di colori. "Mandi all'aria un mese di relazione giustificandoti così, Malfoy? Qual è il vero problema, eh? Qual è stato il geniale pensiero che ti ha fatto dire, oh, be', mi dispiace Rose, ma mi sono rotto il cazzo di stare con te. Tanti baci, felicitazioni, auguri e addio?"
Un lieve sorriso aleggiò sul suo volto dall'espressione stoica. "Che spirito caustico."
"Ho capito," sbottai, mettendomi a sedere e di lì alzandomi per andare via. "Avere questo tipo di conversazioni con te è impossibile. Ricordati che io almeno ci ho provato, a capirti, quando ti pentirai di non esserti impegnato abbastanza—"
Le sue dita furono immediatamente sul mio polso, e con un sussulto mi ritrovai il suo viso accanto al mio. "Quando ti dico che ho fatto un errore," ringhiò, con voce bassa e minacciosa, "non lo faccio perché la considero la scusa migliore o perché non mi importa di ammetterlo. Sai bene quanto me che non è il mio forte pormi in una posizione di debolezza, concepire di aver sbagliato. Se ti dico di aver fatto un errore, Rose, è perché è successo veramente, e dovresti credermi sulla parola. Evidentemente tengo abbastanza a te da non curarmene."
Assottigliai lo sguardo. "Se tieni abbastanza a me," ripetei le sue parole, "allora mi dirai che tipo di errore hai fatto. Puoi anche avermi tradita, va bene? Basta che lo ammetti. Io non posso vivere con questo tarlo, non posso accettare che tra di noi sia finita senza saperne il motivo. Magari sono stata una stronza senza accorgermene, o troppo appiccicosa, magari hai combinato tu un qualche disastro, però devi dirmelo, Scorpius."
Lo vidi scuotere la testa, con un sorrisetto amaro. "Oh, no. Tu sei stata perfetta, te lo giuro."
Prima mi aveva afferrata lui per non farmi andare via; adesso fui io a farlo, affondando le dita nella sua pelle nivea. "E allora che cosa è stato? Perché l'hai fatto, se ora sei qui, davanti a me, pentito della tua scelta?"
Ti prego, ti prego, dimmelo. Dammi un buon motivo per fidarmi di nuovo di te, per andare avanti, insieme.
Un'ondata di desolazione gli invase il volto, e nel finalmente riporre gli occhi nei miei lessi una sorta di battaglia, un conflitto interiore che lo animava. "Mi sono fidato della persona sbagliata," decretò infine, sospirando. "O meglio, non l'ho fatto di quella giusta. Lo rimpiango ogni giorno, Rose."
Compresi, con un pizzico di dispiacere e insoddisfazione, che non era disposto ad andare oltre. Ad ogni sua confessione sentiva il bisogno di ritrarsi, di nascondersi, come se io avessi mai potuto ferirlo intenzionalmente, o sfruttare un suo segreto, o debolezza che fosse.
"Va bene," risposi in un sussurro, rassegnata. Lui sembrò sul punto di dire qualcos'altro, ma lasciò, come me, cadere la cosa. Albus tornò, Hugo venne decretato di nuovo vincitore della competizione con Lily, e quelle ore passarono in serenità, ma non nell'armonia nella quale avevo sperato.
Non ci rivolgemmo la parola finché gli ospiti non raccolsero le loro giacche e si avviarono verso la porta. Già pregustavo una serata di cibo spazzatura e televisione con la famiglia, senza pensare a nient'altro, che Scorpius mi si fece vicino, e sistemandosi il colletto della camicia - con un gesto particolarmente sensuale - mi disse: "Allora siamo d'accordo per dopodomani?"
Mi accigliai; papà, che stava accanto a me salutando Lily, drizzò le orecchie come un segugio. "Dopodomani?" ripeté, allarmato. "Che dovete fare dopodomani?"
"Rose per il compleanno mi ha regalato due biglietti per un concerto di musica classica," spiegò Scorpius, vagamente agitato anche lui dall'interesse mostrato da mio padre. "E le avevo chiesto se le andasse di venire con me. All'epoca mi aveva risposto di sì."
"Sono passati tre mesi," considerai, a mo' di giustificazione, "e sono successe tante cose. Non credevo—"
Scorpius inarcò le sopracciglia. "Non sei obbligata a dire di sì. Se ti fa ancora piacere, sai dov'è il luogo," concluse, avviandosi verso la porta nel vedere il padre già fuori, "il biglietto è tuo, che tu lo usi o meno."
^^
C'erano volute una nottata insonne e sette camomille, dieci telefonate con Isabelle e la sanità mentale della mia famiglia, ma mi ritrovavo al venti di aprile con addosso un lungo vestito dorato, nell'intento di indossare tacchi così alti da far venire le vertigini.
Risultava difficile allacciare i cinturini delle scarpe con i palmi sudati dall'ansia e i capelli sciolti che continuavano a scivolarmi davanti agli occhi, eppure, in un modo o nell'altro, ero pronta.
Tutti stretti nella macchina Babbana della mamma, papà accostò sulla via principale, di fronte la sala da concerto. "Abbiamo pochi minuti. Rose, spray al peperoncino?"
"Sta nella borsetta, accanto alle mentine per l'alito," rispose la mamma al posto mio, pratica come al solito, ma la cui gamba dondolante tradiva un pizzico d'emozione.
Papà diede un colpo di tosse. "Mentine per l'alito? E a che servono? Mica deve baciarlo," rise nervosamente.
"Chi può dirlo," replicò la moglie.
"Teoricamente starebbe con un altro," le fece notare Hugo, l'unico calmo in quella storia.
"I fidanzamenti a diciotto anni... futili," concluse lei, minimizzando.
Papà dal sedile del guidatore assunse una sfumatura rossastra. "Noi ci siamo messi insieme a diciotto anni."
"Sto per vomitare," annunciai.
"Guai a te!" esclamò Hugo, "che solo a sentire la puzza poi vomito anch'io."
"E poi quello sarebbe il mio vestito," mi fece notare la mamma.
"E io ho appena portato la macchina a pulire gli interni, quindi..." terminò papà.
Roteai gli occhi, stringendo le dita attorno alla borsetta. "Oh, be', scusate. Non si può neanche vomitare in santa pace in questa famiglia."
"Non c'è alcun bisogno di farlo," obiettò mio fratello, sghignazzando. "Potresti pure passargli sopra con un camion, Scorpius ti venererebbe comunque."
Fui certa che la mia pelle fosse diventata di un tenue verde. "Fantastico."
"Mi stanno suonando così tanto che sembra che il concerto sia qui fuori anziché là dentro," borbottò papà, abbassando un finestrino e facendo cenno al guidatore dietro di lui di superarlo. "Rosie, è il momento che tu scenda dall'auto."
"Non posso."
"Devi, o prenderò una multa."
"Quello che papà vuole dire," fece la mamma dando una gomitata al marito, "è che certo che puoi. Ricorda che questa sera non hai obblighi, non ci sono pressioni, lui non si aspetta niente da te, va bene? Devi fare ciò che ti senti, sempre, anche se questo vuol dire vedere la serata come una semplice uscita tra amici."
"Se vomito mi venite a prendere?" domandai, con lo stomaco contratto dall'ansia e la gola secca.
Hugo mi prese le mani tra le proprie, e quando pensai che mi avrebbe detto qualcosa di incoraggiante tirò fuori un sacchetto di carta marrone. "Ecco qua. Se ti viene da vomitare fai qui dentro; altrimenti torna a casa a piedi, perché dentro la macchina non entri. Buona serata, sorellina," concluse, sorridente, e si allungò per aprire lo sportello dal mio lato.
Basita dalla mancanza di umanità di mio fratello presi la borsa e uscii, non prima di aver salutato, e di aver sentito la mamma gemere, esasperata: "Sei tutto tuo padre, Hugo Weasley. Hai la sfera emotiva di un cucchiaino."
Il mio sguardo fu subito catturato dalla magnificenza dell'edificio che avevo di fronte. La Royal Albert Hall era uno dei monumenti più rappresentativi della Londra vittoriana, ed era situato nell'estremità nord di un quartiere esclusivo, il South Kensington, nella zona anche definita Albertopolis. Infatti l'arteria stradale Kensigton Gore separava la Royal Albert Hall dall'Albert Memorial, un altro monumento eretto in onore del principe Alberto, consorte della regina Vittoria. Bastava volgere gli occhi per vedere Hyde Park, o altri musei importanti quali lo Science Museum, il Victoria&Albert Museum e il Natural History Museum, che ora sapevo ospitare alle sue spalle una splendida pista di pattinaggio.
L'edificio della Royal Albert Hall fu edificato per ospitare una serie notevole di eventi: concerti di musica classica, ma attualmente anche rock e pop, mostre, balletti, festival, conferenze, gare di ballo, rassegne di poesia, e persino un circo - oltre ad alcune manifestazioni sportive come incontri di boxe, di wrestling, tennis e sumo.
Illuminata con toni caldi e stagliandosi sullo sfondo nero della notte londinese, l'Albert Hall sembrava quel tipo di posto dove ogni sogno poteva avverarsi.
Il mio sogno, precisamente, era in piedi accanto all'ingresso. Mi presi un momento per osservarlo, sapendo che non si era ancora accorto di me. Indossava una camicia bianca e giacca e pantaloni neri, che facevano risaltare il colore dei suoi capelli e il candore della pelle. Alto e dal fisico possente ma non troppo muscoloso, la gente non la smetteva di lanciargli occhiate - chi di sbieco e chi, stupefatto da tanta bellezza, senza farsi problemi a fissare. Lui però non le coglieva, perché stava guardando il fiore che si rigirava tra le dita con aria assorta.
Passarono solo pochi istanti, perché sembrò intercettare il mio sguardo, e i suoi occhi luminosi incontrarono i miei, nel sorriso più bello che avesse mai fatto. Per poco non mi coprii gli occhi a causa della sua brillantezza, ma non mi sarei mai persa la vista dei denti bianchi e delle fossette, che tanto adoravo.
"Sei venuta," mi disse non appena mi fu abbastanza vicino.
"Credevi che non l'avrei fatto?"
"Speravo di sì," rispose, onesto, "ma non ne ero così sicuro. Sei testarda come un Ungaro Spinato quando ti ci metti."
Mi venne da ridere. "Questa volta ti è andata bene."
Sorrise di nuovo. "Sei qui. Mi è andata bene."
Rimanemmo a guardarci per un istante in silenzio, poi fece scorrere lo sguardo su di me, e sul mio vestito dorato. "Sei bellissima. Tieni," disse poi, porgendomi il fiore che aveva tra le mani - una rosa, rossa come il fuoco, dello stesso colore dei miei capelli.
La presi tra le dita delicatamente, e non potei non portarmela al viso, e inspirare a fondo la sua fragranza fresca e avvolgente. Mi venne da sorridere. "Stavolta niente girasole?"
Una lieve irritazione gli attraversò il volto. "Lascia stare, penso di aver girato tutti i fiorai di Londra per trovarne uno decente. Sfortunatamente, Neville ha i migliori della Gran Bretagna."
Scoppiai a ridere e gli avvolsi il braccio con il mio, tirandolo verso l'edificio. "Non è un problema, non incupirti. Amo anche le rose, sul serio. Questa, poi, è davvero stupenda."
La pianta della struttura era esagonale, con un asse maggiore e uno minore sopra, sormontata da un'immensa cupola di vetro e ferro battuto. Era stata costruita con mattoni rossi e decorazioni di terracotta, e all'esterno un grande fregio in mosaico circondava l'intero edificio. In questo, scene e testi che descrivevano il Trionfo delle Arti e delle Scienze: la Musica, la Scultura, la Pittura, l'Architettura, i Patroni delle Arti, i Filosofi, gli Ingegneri, i lavoratori di pietra, legno e mattoni, l'Astronomia, la Navigazione, l'Agricoltura ed altre scienze. Sopra il fregio era presente un'iscrizione, alta circa tre metri, in cui si narrava la storia della Hall - la fondazione, l'idea di costruirla del principe Alberto, le finalità dell'opera - insieme ad alcune citazioni bibliche.
La vera sorpresa, tuttavia, era l'interno. Ci vollero diversi minuti per entrare: l'ingresso era stracolmo di gente vestita in modo elegante come noi, i signori in giacca e cravatta e le signore con lunghi abiti e scialli vistosi, e la sicurezza si occupava di controllare i biglietti e fornire indicazioni - ingressi della sala, guardaroba, negozio per i souvenir, bar, toilette. Mi rendevo conto di avere un'espressione estasiata da come Scorpius mi guardava, ridendo sotto i baffi, e da come la mia mano continuasse a stringere il suo braccio, su cui era posata, ma non potevo farne a meno. I grandi lampadari, i tappeti rossi per terra, i quadri di cantanti e attori e ballerini famosi, il chiacchiericcio delle persone - tutto contribuiva a stimolare i miei sensi, ad attirarmi, ad affascinarmi al di là di ogni misura.
Quando gli avevo regalato quei biglietti mi ero documentata sul luogo e sulle modalità dell'esibizione, e avevo anche pensato che, stando insieme, forse ci saremmo andati insieme, eppure mai avrei creduto che il solo mettere piede in quel luogo potesse risultare un'esperienza così intrigante. Nessuno ci guardava stranito per la nostra giovane età, nessuno sembrava ritenere il mio vestito troppo elegante, il controllo dei biglietti era andato bene e non dovevo nemmeno andare in bagno. Era tutto perfetto.
"Vieni, noi siamo di qua," mi sussurrò, conducendomi verso una lunga fila di persone che si stava incamminando su per una rampa di scale. Contai sul suo appoggio per non inciampare nei tacchi alti e cadere davanti a mezza Londra, ma alla fine riuscimmo ad arrivare in cima, e ad entrare nella sala.
All'inizio fu difficile vedere al di là del mio naso, perché mi ero ritrovata dietro due molossi che rispetto a loro il metro e novanta di Malfoy sembrava quello di un bambino; fu solo quando trovammo posto che, affondata nel velluto della sedia e toltomi lo scialle di dosso, potei vedere la famosa Hall, una delle sale più belle della città.
Non avevo nemmeno parole per descriverla, tanto era imponente, e ricca di dettagli. Sviluppata, appunto, su base ellittica, era costruita su diversi piani, come un teatro greco. I sedili rossi che costituivano il piano più in alto avevano alle spalle delle arcate con tanto di colonne e capitelli, ovvero la fine dei diversi corridoi di ingresso; progressivamente, scendendo verso il basso, l'arcata dei posti a sedere si restringeva fino ad ospitare, al centro della stanza, un'ellissi vuota. Anzi, sarebbe stata vuota, se quella fosse stata una notte come le altre: adesso, invece, di questa un quarto era occupato da strumenti musicali come violini e viole, appoggiati di traverso su sedie metalliche vuote. Il soffitto era uno degli elementi che più attiravano l'attenzione, perché da questo pendevano grossi dischi acustici bianchi che, riflettendo le luci al neon delle arcate, assumevano una sfumatura blu. L'intero luogo si basava sull'unione di questi due colori, il blu delle luci e dei dischi e il rosso dei sedili e dei pavimenti e dei muri, e io non ero mai entrata in un posto così bello e regale. La vera perla della Hall era, tuttavia, l'enorme organo posto in un'estremità della sala, che nel 1871, la data dell'inaugurazione dell'edificio, era stato il più grande mai visto.
"Non c'eri mai stata?" mi domandò Scorpius, strattonandosi con aria sofferente la cravatta al collo.
Lui che era sempre così composto, che teneva al modo in cui si vestiva e in cui appariva, le cravatte non le tollerava proprio, esattamente come Hugo. Sorridendo voltai il busto verso di lui e mi allungai per aggiustargliela, dote che avevo acquisito nel dover lottare con mio fratello ad ogni evento mondano. Scorpius si rilassò non appena le mie dita gli allentarono la stoffa. "Grazie."
"No, non ci sono mai stata," risposi, ritornando composta, "è bellissimo. Tu ci vieni spesso con Draco?"
Annuì. "La passione era più di mia nonna, Narcissa, che sua, però ci venivamo tutti e tre insieme."
"Scusate, giovanotti," ci interruppe un'anziana signora chinandosi verso di noi, avendo il posto proprio dietro di me. "Mio marito ha perso il programma della serata. Voi ne avete uno in più?"
Scorpius soffocò una risatina nel vedermi tenere in grembo almeno quattro dépliant. "Certo," risposi, porgendogliene uno, "ecco."
"Oh, grazie," fece lei, con aria vivace. "Ti vedo preparata."
"È l'ansia," le confidai io, accavallando le gambe per potermi girare e guardarla meglio. "Non ho mai assistito a nulla del genere."
"La prima volta fa piangere," decretò la donna, dandomi una piccola pacca amichevole sulla spalla. "Be', mio marito piange tutte le volte, a dire il vero. Soprattutto con Tchaikovsky. Mi ci porta da quarant'anni!"
Scorpius sorrise. "Anch'io lo trovo sempre commovente."
"Commovente?" ripetei, piacevolmente stupita.
Lui inclinò appena la testa, divertito dalla mia espressione. "Che c'è, non pensi che io possa commuovermi?"
Mi scappò una risata. "Devo dire che risulta difficile immaginarlo."
"Allora guardami, durante il balletto," mormorò nel momento in cui le luci si abbassavano. Il suo volto divenne bianco, illuminato delle stesse sfumature azzurre che adesso fungevano da luce principale sul palco sotto di noi.
Mi salì un groppo in gola - lo stesso che si prova quando si vede un quadro particolarmente incantevole, quando c'è il finale di un gran film, quando si è immersi in un paesaggio mozzafiato. Lo stesso groppo in gola di chi sta assistendo a qualcosa di bellissimo, e di intenso, e di fugace.
Le luci calarono ancora di più, fino a farci immergere nel buio più completo. Non avrei voluto né dovuto farlo, ma d'istinto afferrai la mano di Malfoy, con i brividi sulla pelle nel non vedere niente, e nel sentire il rumore del mio stesso respiro. La strinsi forte, percependo il cuore battermi all'impazzata nel petto.
Che stava succedendo? Perché nessuno parlava, perché eravamo tutti al buio?
Per un attimo ogni mia percezione si annullò, lasciandomi nel vuoto, in uno spazio surreale, con l'unico appiglio le lunghe dita da pianista del ragazzo al mio fianco; e poi la sala prese vita.
Iniziò in modo sottile, impercettibile. Minuscole lucine, piccole come le capocchie di uno spillo, danzarono al centro della stanza, in corrispondenza del pavimento. Mi sporsi in avanti per vedere meglio, e in quel momento una scia di milioni di quelle luci inondò l'intera sala, togliendomi il respiro dai polmoni. Non sapevo come i Babbani potessero fare simili prodigi senza l'uso della magia, ma sembrava di stare in una galassia, di quelle che studiavamo sulla cima della Torre d'Astronomia.
Quando guardai di nuovo giù, una tenue illuminazione permetteva di vedere la zona vuota al centro - solo che adesso non era più vuota: le sedie ora ospitavano almeno una ventina di persone, tutte vestite di nero, che si stavano posizionando gli strumenti nel punto a loro più congeniale, come sotto al mento, sulla spalla o fra le gambe; sul piccolo palco era apparso un uomo, che ci fece un inchino e alzò le braccia; e infine, dove prima non c'era stato nulla, erano comparsi dieci individui, i ballerini.
Lèssi velocemente sul dépliant prima che iniziasse lo spettacolo: un sensazionale, nuovo concerto che celebri la musica e la passione di Tchaikovsky, con la partecipazione dei ballerini della prestigiosa Birmingham Royal Ballet. Sperimentate la squisita musica dei balletti di Tchaikovsky, accompagnati da danze sublimi sul palco della Royal Albert Hall, e sentite una selezione dei suoi spettacolari capolavori orchestrali in una serata che stupirà e delizierà.
I ballerini erano vestiti tutti di bianco, e sotto le luci al neon sfavillavano come se fossero stati stelle del firmamento. Le donne, in particolare, avevano sui capelli raccolti quelle che sembravano tiare, e dei meravigliosi tutù dall'ampia gonna a cerchio, fatta in tulle.
Ero così impegnata nel guardarli, le loro figure, i loro abiti, che non mi accorsi dei movimenti dei violinisti finché non appoggiarono i loro archi sulle corde. Le note dolci di quello che riconobbi subito come Il Lago dei Cigni si riverberarono nell'aria, e così i danzatori presero il via, perfetti e coordinati in ogni singola mossa.
La musica... non c'erano parole per esprimere quella musica. Non erano semplicemente una sequela di suoni, no, era come se l'intera anima del compositore fosse fluita in quella melodia, come se, chiudendo gli occhi, ci avesse resi capaci di fluttuare, di perderci tra spazio e tempo. Avevo sentito mille volte tale sinfonia, una delle più famose dell'autore, ma mai dal vivo - e poi, oh, come esprimere ogni sfumatura di emozione che mi stava avvolgendo? Come fare a descrivere l'ammirazione e l'estasi nel sentire quella musica, e nel vedere le movenze leggiadre e senza tempo dei danzatori, e anche la terribile desolazione nel sapere che tutto ciò era destinato a svanire?
Sentii ogni corda del mio animo toccata da quel connubio dolce e amaro, gioioso e triste, avvolgente e respingente, una miscela di suoni, di emozioni, di sentimenti, di parti del mio cuore sfiorate per la prima volta. I ballerini fluivano come acqua sotto di noi, i loro movimenti un tutt'uno ma anche irrimediabilmente personali e diversi l'uno dall'altro, e la passione, la passione che animava loro e quei musicisti e ogni persona che stava assistendo a quell'evento spettacolare...
Non c'era motivo al mondo per cui avrei mai desiderato che quell'esperienza vedesse un termine. Il solo pensarci portava tutto il mio corpo a un dolore fisico, vero.
D'istinto mi portai una mano al viso, e mi resi conto con un sussulto che era bagnato. Stavo piangendo? Avevo pianto, e non me n'ero accorta? Eppure adesso percepivo le ciglia umide, e il volto arrossato, e le palpebre un filo socchiuse, e le sclere sensibili. Come avevo fatto a non rendermene conto?
Ormai staccare gli occhi da quella scena fu per me impossibile, per tutta la durata del concerto. Rimasi con i gomiti sulle ginocchia, piegata in avanti, la bocca semichiusa dall'emozione e dalla sorpresa, e una mano premuta sul cuore.
Ci fu un solo attimo in cui fui distratta da quella meraviglia, e nessuno si sorprenderà nel sapere che era a causa di Malfoy.
Non seppi il motivo, ma l'impulso di guardarlo divenne forte, troppo forte, insostenibile; voltai appena il capo verso di lui, e il suo viso illuminato di azzurro, e la vidi. Vidi una lacrima, una singola, isolata lacrima, che correva sul suo zigomo affilato, sulla guancia scavata, fino alla mascella, affilata come un rasoio. Una lacrima, e gli occhi grigi fissi sui danzatori, ma non freddi come al solito, bensì densi di un calore sconosciuto, mai veduto prima, un calore umano e coinvolgente.
Quando sollevai appena la mano notai che stava tremando, forse per l'immensità e la vastità di emozioni che mi aveva appena avvolta fra le sue spire; lui notò il mio gesto, e inclinò il viso verso il mio palmo, socchiudendo gli occhi, e permettendomi così di raccogliere quella lacrima solitaria.
Quando si rese conto che non l'avevo ancora levata, che il mio pollice stava ancora accarezzando la sua pelle, riaprì gli occhi, nell'esatto istante in cui il balletto raggiunse la sua acme. Quelle iridi color argento che prima erano state puntate sul concerto adesso si posarono su di me.
Lo posso giurare ancora oggi: da come mi guardarono, parvero non avere alcuna intenzione di lasciarmi andare.
^^
🌻La scorsa volta Rose, questa Scorpius: che ne pensiamo di lui? + Si accettano scommesse: quando (e se) cederà Rose?🌻
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