78 - 𝐷𝑜𝑒𝑠 𝒉𝑒 𝑘𝑛𝑜𝑤?
{Lui lo sa?}
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Mi stava per baciare.
Mi stava per baciare!
Hai fatto bene, invece, mi rimproverai da sola. Non sarebbe stato giusto. E lui ti ha lasciata, Rose, miseramente. Sei stata rinchiusa nel dormitorio per settimane, e non ti ha degnata di uno sguardo. Adesso non è che perché i suoi ormoni si fanno avanti allora tu ricadi ai suoi piedi.
"Va bene, ma smettila di ripeterlo ogni tre secondi," borbottò Livia, con le gambe incrociate e gli occhi castani che non si spostavano di un millimetro dai pezzi degli scacchi.
Noah sospirò. "Livia, tesoro, un po' di umanità. Te ne prego."
"Lo sto dicendo ad alta voce?" chiesi, stupefatta. Ormai avevo il cervello fuso, dovevo ammetterlo. Da quando ero andata via dalla sponda del Lago Nero, con i vestiti fradici e un peso enorme sullo stomaco, non ero più stata capace di ragionare a dovere.
"Sì, ed è la quinta volta," rincarò Lily, che stava leggendo una rivista di gossip Babbano con aria annoiata - come se già sapesse tutte le notizie più esclusive.
"Be', non so se vi rendete conto della situazione," sbottai io, prendendomi la testa tra le mani. "Lui mi stava per baciare!"
"Dillo un'altra volta e ti do così tante mazzate che rimpiangerai i tempi in cui avevi tutti i denti," mi minacciò Livia, agitando furiosamente il pugno in aria.
Io e Lily ci scambiammo un'occhiata allibita dalla violenza dimostrata, mentre Noah sembrò solo abituato. "Oh, lasciatela stare," fece, sventolando la mano a minimizzare il tutto, "come dice quel proverbio Babbano? Can che abbaia non morde. Ha solo ansia per la gara di scacchi."
Dovevo ammettere, effettivamente, che non era proprio il momento migliore per parlare con Livia. Eravamo tutti e tre in Sala Grande, isolati all'estremità del tavolo dei Grifondoro, e attendevamo che la Preside inaugurasse ufficialmente il Torneo Scolastico del Gioco degli Scacchi dei Maghi. La bionda, che aveva messo sudore e sangue nella realizzazione del progetto, era stata colpita solo nell'ultima mezz'ora dalla consapevolezza che oltre a gestire il torneo avrebbe anche partecipato - e benché facesse tutti i giorni almeno un paio di partite con il povero Noah, che non aveva libertà di parola in questo, sentiva di non essere affatto pronta per l'evento.
"Be', fa bene ad essere agitata," considerò Lily, facendo una bolla con la sua gomma da masticare. "Ho sentito che ci sono dei ragazzini del quarto anno che sono praticamente dei mostri. Bravissimi."
Subito si sentì un tonfo, e un piccolo grido proveniente da mia cugina fese il silenzio carico di tensione sceso su tutta la Sala Grande, piena di gruppetti di studenti che si esercitavano in vista della prova. "Ahia!" si lamentò, guardando Noah con fare torvo. "Perché mi hai colpita?"
"Perché tra te e la bionda ostica non so chi abbia meno tatto," rispose esasperato il ragazzo. "Rose, diglielo."
Avrei voluto aiutarlo, davvero, ma come avevo già detto il mio cervello era fuso. "Mi stava per baciare!" proruppi per quella che doveva essere la milionesima volta, e poi lasciai cadere con fare melodrammatico la testa tra le braccia, incrociate sul tavolo.
"Sì, perfetto, ho finalmente raggiunto il mio livello di sopportazione," disse allora il ragazzo, prendendo il suo libro di Pozioni dal tavolo e facendo per alzarsi. "Non ho la minima intenzione di restare un minuto di più—"
All'improvviso Livia, che non si era mossa per tutta la conversazione, allungò la mano con un gesto fulmineo e afferrò il braccio di Noah, fermandolo a metà nel gesto di alzarsi. "Se fai un altro, minuscolo passo ti spello vivo, Zabini. E sai che ne sono capace," disse, con tono mortalmente calmo. Un'espressione inquieta aleggiò sul volto di Noah, che deglutì e si sedette di nuovo sulla panca. Praticamente potevo vedergli la coda tra le gambe.
Lily scoppiò a ridere. "Macho Man, ti chiamavano."
Noah le puntò un dito contro. "Tu non hai idea, piccola Potter," proferì, rosso sulle guance e ferito nell'orgoglio, "quanto questa donna sia profondamente spaventosa. E ti auguro di non saperlo mai."
Mi ero chiesta più volte, in vaghi e brevi sprazzi di lucidità, come ci fossimo ritrovati a formare quel gruppetto così strano. Da un lato Livia e Noah, che erano inspiegabilmente tornati affiatati come non mai, ma anche in modo radicalmente diverso - erano in grande sintonia, scherzavano, si punzecchiavano, per ogni cosa cercavano lo sguardo dell'altro, ma mancava quella passione e quell'affetto romantico che eravamo stati abituati a veder loro addosso fino ad ora. Poi c'era mia cugina, Lily, uno spirito indipendente che non teneva mai la bocca chiusa, con un senso dell'umorismo e un'aria maliziosa che non poteva non trovare il suo migliore compagno in quella peste di mio fratello, ed era diventata nell'ultimo mese la mia guida nei momenti di difficoltà.
Nonostante avessi effettivamente più punti di contatto con Albus, con cui condividevo sin da bambina il più minimo sentimento e avvenimento, e con James, che aveva sempre rivestito quel ruolo di fratello maggiore che non avevo mai avuto, Lily era la ragazza in famiglia a cui ero più legata. All'inizio la differenza di età, soprattutto quando io ero appena entrata nell'adolescenza, aveva iniziato a pesare: due anni potevano sembrare pochi, ma proprio mentre per la prima volta iniziavo ad affrontare temi più maturi, come le esperienze sessuali - ben ridotte, ahimè, - e in generale una maturazione del pensiero e del corpo, Lily rimaneva ancora la bambina che ero abituata a vedere sgambettare per la casa dei miei zii.
Invece adesso che io avevo diciotto anni e lei sedici, quella differenza che all'inizio mi era parsa così incolmabile si era di molto assottigliata. Questo, dovevo ammetterlo, era anche dovuto al fatto che fosse una ragazza molto autonoma, e che adorassi il suo carattere così particolare. Per certi versi, esattamente come il fratello maggiore, risultava una combinazione perfetta della madre Ginny e, almeno da quanto sapevamo dai racconti, del nonno, James Potter.
Non c'era nessuno nel gruppo di Albus che non la adorasse - persino Malfoy, sempre il più restio a mostrare le proprie emozioni, aveva espresso chiara simpatia nei suoi confronti. L'unico problema con lei, nel concreto, era la sua relazione con Dave: avrei voluto saperne di più, e lei non si sarebbe di certo fatta problemi a raccontarmelo, ne ero sicura; però sarebbe equivalso ad entrare nel vivo della faccenda, e sarei dovuta, a quel punto, essere anch'io sincera con lei, il che implicava il dirle ciò che stava accadendo tra il ragazzo e Kalea.
Quel triangolo era strano come pochi, e coinvolgeva due persone cui tenevo fin troppo per prendere le parti di una rispetto che dell'altra. Alla fine, discutendone per giorni, io e Izzy eravamo giunte ad una conclusione, e cioè che se non si poteva arrivare a Lily o a Kalea, si doveva parlare con Dave. Il problema era uno, però, e riguardava il chi mandare avanti. Noi due e Livia non avevamo abbastanza confidenza per affrontare con lui una questione così seria, e così avevamo pensato ad uno dei ragazzi del suo gruppetto. Noah era stata la nostra scelta principale, in quanto suo migliore amico, ma non avevamo previsto che, proprio come noi, aveva deciso di non immischiarsi per il bene di Dave stesso, piuttosto riservato sulle sue vicende amorose.
Allora avevamo spostato la nostra attenzione su Albus, il più empatico, solidale e umano dei quattro, ma... be', già era stato contrario alla relazione tra il suo amico e sua sorella, se poi gli avessimo detto che Dave forse aveva interesse per un'altra - che vi passava del tempo insieme e le mandava dei bellissimi fiori come nel Giorno delle Rose - mentre ancora ci stava insieme, quel ragazzo sarebbe scoppiato. Verso me, Izzy e Lily era davvero iperprotettivo, e non volevamo compromettere un'amicizia così speciale come quella tra i quattro.
A quel punto non rimaneva che Malfoy. Izzy aveva incaricato me di andarci a parlare, perché credevamo che con il suo sangue freddo e la conveniente distanza da entrambe le ragazze sarebbe stato in grado di sbloccare la situazione. Tuttavia, Malfoy al momento avrebbe preferito infilarsi un tizzone ardente in gola piuttosto che parlare con me, e se Izzy l'avesse scoperto non osavo immaginare la sfuriata. Forse mi avrebbe direttamente uccisa nel sonno.
"Mi stava per baciare," sbottai, a conclusione di quella riflessione inutile che mi aveva riportata allo stesso pensiero di poco prima.
Un pezzo della scacchiera di Livia mi colpì in piena testa. Mi sfuggì un grido, di dolore e di sorpresa, che attirò gli sguardi di metà Sala Grande; alzai il capo che fino a quell'istante avevo tenuto seppellito tra le braccia e guardai Livia con aria truce. "Sei impazzita? Perché l'hai fatto?" esclama, incredula, massaggiandomi la zona colpita.
"Ma tu guarda, ti ho sbloccato un'altra parte di vocabolario," ghignò la bionda, "temevo ti fossi impallata. E ora ridammi il mio cavallo, su."
"Se credi che dopo questa cosa io mi alzi pure a raccogliere il tuo stramaledetto pezzo sbagli di grosso, Livia Campbell—" iniziai, con fare minaccioso, pronta a infilare nella strigliata almeno una cinquantina di imprecazioni diverse, quando sentii le mie spalle venire avvolte da un braccio, e un corpo conosciuto prese il posto al mio fianco sulla panca.
"Il tuo tono soave mi ha attirato dall'altra parte della stanza, Cap," scherzò Julian, posandomi un delicato bacio sulla guancia. "Tutto bene?"
Lily alzò le sopracciglia senza distogliere lo sguardo dalla sua rivista di moda. "Oh, andava tutto benissimo, prima che arrivassi tu," disse, con una tale disinvoltura che quell'insulto passò quasi per un semplice dato di fatto.
Io le sferrai un calcio da sotto il tavolo, e lei fece un lamento. "Di nuovo? Che ho fatto di male, stavolta?"
Ogni giorno mi rendevo conto che il fanclub di Scorpius Malfoy cresceva il modo esponenziale. Ecco perché ultimamente preferivo di gran lunga la compagnia di Noah, perché lui si fidava di me, e non aveva il giudizio offuscato dalla venerazione nei confronti del biondo. Un altro che non dimostrava aperta avversione per Julian era Albus, che aveva sentenziato di tenerci alla mia felicità più che al gossip della scuola, ma io sapevo che si chiedeva cosa fosse andato storto con il suo amico e che, a modo suo, avrebbe voluto aiutarci.
"Buon pomeriggio, ragazzi," ci salutò Teddy, con una cartellina in mano e una piuma per spuntare delle caselle disegnate sulla pergamena. Alzò gli occhi e questi si ammorbidirono nel vedere Livia impegnata con la scacchiera, e passò la mano sui capelli di Lily con fare affettuoso. "Siete pronti per la gara?"
Non appena incrociò il mio sguardo il suo sorriso si fece immediatamente più freddo e forzato. Mi accorsi che non era per me, quanto per il ragazzo al mio fianco. Ma perché avrebbe dovuto non apprezzare la presenza di Julian?
"Avete visto Scorpius qui in giro?" domandò con evidente fatica, come se avesse un blocco in gola a fare quella domanda.
Julian si accigliò. "Perché?" replicò, in tono aggressivo. La mano che aveva sulla mia spalla serrò la presa. "Avremmo dovuto, professor Lupin?"
Teddy tornò a guardare la sua cartellina, sospirando. "Perché lui è Caposcuola, signor Walker - e questo implica che, come la nostra Rose," e qui mi rivolse un sorriso dolce, "deve sorvegliare il torneo."
Julian allora ghignò. "Allora dovrei averlo visto dirigersi verso il magazzino delle scope con Amanda Finch-Fletchley, se ricordo bene."
A quelle parole il blocco in gola sorse a me. Non sapevo se il ragazzo stesse dicendo il vero, ma conoscendo Scorpius non facevo fatica a credergli. Possibile che dopo avermi quasi baciata andava subito a consolarsi con un'altra? Con Amanda, poi, tra tutte?
Be', a conti fatti mi avrebbe dato fastidio chiunque, ma contava poco la ragazza, e più il gesto in sé.
Parlando del diavolo, il biondo spuntò dalle porte della Sala Grande. Era chiaramente trafelato, i capelli tutti scompigliati e i vestiti scomposti, il che era piuttosto strano per il suo essere così ordinato.
La fermezza del mio stomaco vacillò. Mi accorsi che tutti, io, Noah, Lily, Julian e Teddy - eccetto Livia, che era impegnata nel suo solitario - lo stavamo fissando.
Julian in modo particolare aveva un'espressione vittoriosa. "Che vi avevo detto?" esclamò, e sentii l'impulso di dargli una gomitata nelle costole.
Appena ci vide in fondo alla stanza accelerò il passo per raggiungerci, tentando al contempo di sistemarsi con le dita lunghe la cravatta disordinata. Evitò accuratamente il mio sguardo per tutto il tempo in cui camminò, e quando si fermò davanti a Teddy aveva il fiato corto e le guance accese.
"Mi scusi per il ritardo," ansimò, "il professor Longbottom mi ha trattenuto per una cosa di Erbologia. A proposito, mi ha detto di darle questi," e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un sacchetto trasparente, che all'interno conteneva semi viola e bianchi. Vidi anche che la manica della sua camicia, che spuntava al di sotto del maglione nero, era macchiata di terra.
Allora se aveva appena visto Neville non era stato con Amanda, allora non era andato con un'altra - per quanto fosse sbagliato per me interessarmene, non potevo farne a meno.
Allora Julian aveva mentito.
Mi voltai verso il ragazzo seduto al mio fianco, il quale aveva di colpo abbassato la testa e fissava il mio libro aperto sul tavolo. Perché dire una bugia su una cosa del genere? La sua gelosia nei confronti di Scorpius era così radicata?
Lily emise un fischio sorpreso. "Colpo di scena," ghignò, ridacchiando. "Chi l'avrebbe mai detto."
Stavolta né io, né Noah ci curammo di darle un calcio sotto il tavolo.
Teddy allungò la mano e prese il sacchetto di semi che Scorpius gli stava tendendo. "Mi ero dimenticato di averglieli chiesti. Sicuramente renderanno il mio tè più saporito. Grazie, Scorpius," e ci avrei messo la mano sul fuoco, non mi stavo affatto immaginando l'aria di trionfo nei suoi occhi.
Era una sorta di soddisfazione oscura, di quella che animava il vincitore di una lunga discussione, o chi aveva vendicato un torto subìto. Una reazione che non mi sarei mai aspettata, e che non ero in grado di spiegarmi, esattamente come non ero in grado di spiegarmi quella strana rivalità tra il mio fidanzato e mio cugino, un professore serio e maturo.
"Bene," Teddy sbarrò un'altra casella della sua cartellina e sorrise, vittorioso. "Adesso che siete arrivati entrambi... Rose, vai con Scorpius. Lui sa cosa deve fare."
Oh sì, gongolò la mia vocina interiore. Manzo per cena.
A quel punto Julian, che doveva essersi ridestato dal pentimento della bugia detta, alzò la testa come un segugio, e una smorfia sprezzante gli invase il volto. "Cosa? E perché loro due?" abbaiò, teso.
I lineamenti del nostro professore di Trasfigurazione si indurirono come il marmo. "Perché l'ho detto io, che sono l'organizzatore del torneo," ringhiò, assottigliando lo sguardo. "Se hai qualcosa da criticare, Walker, rivolgiti alla Preside, perché non ho intenzione di stare a sentire una parola di più. Rose, Scorpius, andate," terminò, scoccando a Julian un'ultima occhiata gelida e poi passando al gruppetto dietro di noi.
Mi alzai, raccogliendo i libri, senza dire una parola. Malfoy, che non mi aveva rivolto il minimo sguardo fino a quel momento, lasciò scivolare gli occhi su di me - gesto che non dovette passare inosservato, perché Julian balzò in piedi di scatto. Mi prese il mento tra indice e pollice con delicatezza, e poi si allungò per darmi un bacio sulla bocca, che durò più di quanto avrebbe fatto se fossimo stati da soli.
Il gelo calò su tutti noi. Lily sbatté furiosamente la rivista sul tavolo, Noah sbuffò; e Malfoy, che per grazia divina aveva appena avuto la decenza di guardarmi, quando Julian si allontanò aveva già rivolto lo sguardo altrove.
"Ci vediamo dopo, Rosie," mormorò il mio ragazzo, accarezzandomi la guancia.
Per la prima volta non riuscii neanche a forzare un sorriso; una parte di me si rifiutava di intravedere qualcosa di negativo nel comportamento di Julian, ma non riuscivo a smetterla di chiedermi se dietro tutta quella storia non ci fosse un lato nascosto, qualcosa che non potevo vedere e di cui non potevo sapere nulla, ma che aveva stravolto la mia vita.
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Il torneo era stato programmato secondo quello che veniva chiamato il sistema svizzero, che Livia aveva definito come il sistema con cui veniva organizzata la maggior parte delle competizioni open e dei festival. Era infatti il più adatto per un gran numero di partecipanti: se il Quidditch era lo sport più seguito del nostro mondo, gli scacchi ne erano sicuramente il gioco più praticato, e questo si rifletteva nell'enorme affluenza al progetto proposto dalla nostra amica.
Secondo il sistema svizzero, i partecipanti venivano divisi in due gruppi in base ad un indice di abilità chiamato Elo, ovvero un sistema di valutazione che serviva per esprimere numericamente la forza di un giocatore di scacchi. Il fisico Elo suggerì di stimare il rendimento dei giocatori in base al risultato ottenuto nella partita, considerando anche il punteggio dell'avversario. Se un giocatore vinceva più partite di quanto ci si aspettasse il suo punteggio saliva, se invece ne vinceva di meno il punteggio scendeva. Questi due gruppi prevedevano nel primo i giocatori più forti, in ordine di punteggio, e nel secondo i rimanenti, elencati secondo lo stesso metodo. Il miglior giocatore del primo gruppo veniva accoppiato con il miglior giocatore del secondo, e così via: negli scacchi si cercava, inoltre, nei limiti del possibile, di far giocare lo stesso numero di partite sia con il colore bianco che con il colore nero.
La cosa era piuttosto complicata, e non ero esattamente ferrata in materia, perché le uniche conoscenze che avevo me le aveva inculcate a forza papà nella testa, un grande amante del gioco, e sicuro una delle persone più brave a praticarlo. Ad ogni modo, il mio unico compito era quello di sorvegliare i giocatori, controllando che rispettassero il tempo dato dalla clessidra vicino alla scacchiera, che non si insultassero e che non facessero a botte. Non era difficile, ma sapevo che mi avrebbe impegnata fino a sera. Almeno era sabato, e non avevo così tanto da studiare.
I professori, scelti in base alla loro conoscenza del gioco, avrebbero dovuto girare tra i tavoli per sincerarsi che nessuno barasse, mentre io e Scorpius dovevamo restare in piedi davanti ai battenti della Sala Grande: non dovevamo far uscire o entrare alcun studente fino alle sette e mezza, ovvero l'orario di termine della prova, iniziata alle cinque.
Un profondo imbarazzo mi investì nel prendere posto al fianco di Malfoy, la schiena appoggiata alla porta e le mani incrociate dietro la schiena. Avrei dovuto dirgli qualcosa? Non sapevo neanche cosa significasse, quel che era successo tra noi poco prima. Sapevo di avere un debole nei suoi confronti, non potevo negarlo, anche visto che era passato davvero troppo poco tempo perché mi fosse del tutto indifferente, ma lui?
"Quindi..." dissi, incerta, con l'intento di fare conversazione solo per sondare il terreno. "Avete serie possibilità di vincere la Coppa del Quidditch, eh?"
La sua espressione marmorea non si scalfì di un millimetro. "Già."
Una sensazione di sgradevole impotenza mi pervase, ma non volli rinunciare. Indossai il tono più vivace che avevo nel mio repertorio. "Che cosa stavi facendo con Neville?"
Sbuffò, senza distogliere gli occhi dalla sala davanti a noi. "Niente."
All'impotenza si aggiunse l'irritazione. "Puoi anche pronunciare più di una parola, sai?" sbottai, arrabbiata.
A quel punto non rispose.
Una scarica di rabbia si propagò lungo le mie vene, al posto del sangue. Che problemi aveva, precisamente? Possibile che non capisse? Vero, lui si era esposto, aveva fatto capire che mi avrebbe baciata, e conoscendo il suo orgoglio ciò doveva averlo ferito non poco, però c'ero anche io in gioco, qui.
Restammo in silenzio per la successiva mezz'ora, fino a che non venne indetta una breve pausa. Mi occupai di salutare Hugo, che aveva già vinto la sua partita e stava attendendo che il primo turno finisse, e di ammonire una ragazza di terzo anno che aveva sferrato una ginocchiata al suo avversario senza apparente motivo.
Cercai lo sguardo di Izzy dall'altro lato della stanza, che stava seduta su una delle due panche messe di traverso per gli spettatori. Lei e Kalea stavano parlando fittamente, ma fu come se avesse percepito la mia necessità di avere sostegno, e per questo interruppe la frase e mi guardò, alzando poi le sopracciglia. Che c'è che non va?, sembrò chiedere, una ruga di preoccupazione a inciderle la fronte.
Accennai un movimento in direzione del ragazzo accanto a me. Lui.
Roteò gli occhi, con un sorriso. Esagerata. Poi lo indicò con un cenno del mento. Parlaci!
Scossi appena la testa. Non vuole.
Un'espressione feroce e fiera le fece brillare lo sguardo. Obbligalo.
Quando la regina parlava, il suddito ubbidiva.
Mandai giù il groppo e, nonostante avessi i palmi delle mani sudati dall'agitazione, mi feci coraggio. "Scorpius, dovremmo parlare."
Non fece una piega alla mia affermazione. "Non vedo di cosa."
A quel punto mi spazientii, e lo afferrai per il braccio, tirandolo verso il basso e così obbligandolo a guardarmi. Lo fissai dritto negli occhi, tenendogli un dito puntato contro. "Ho detto che dobbiamo parlare, e lo faremo, che ti piaccia o meno - quindi smettila di fare il bambino dell'asilo e comportati da adulto."
Il taglio dei suoi occhi assunse un'aria di sfida. "Altrimenti?" sbottò, mantenendo un tono di voce basso per non disturbare i concorrenti che si stavano riposando ma comunque risultando perfettamente minaccioso.
Affondai l'indice nel suo petto, con la speranza di replicare la sua espressione intimidatoria. "Forse non mi sono spiegata. Non hai alternative, Malfoy. Vedi di portare il culo fuori di qui, e subito."
Per un attimo sostenne la mia occhiata con fare torvo, ma non poteva vincere: in una famiglia composta di adolescenti urlanti come Ghoul, la gara di sguardi era l'unico modo per imporsi, e io avevo imparato a vincere persino contro James, il più casinista di tutti.
Alla fine sbuffò, per marcare bene il suo essere contrario, ma mi diede un cenno del mento. "Dopo di te, Weasley."
Quella pausa di venti minuti era proprio capitata al momento giusto: Teddy da lontano ci diede il via libera per uscire dalla Sala Grande, e quando guardai velocemente Izzy la ritrovai con i pollici alzati, raggiante. Le sorrisi di rimando e socchiusi gli enormi battenti della porta, scivolandovi in mezzo per uscire dalla stanza.
L'aria gelida costituì un vero sbalzo di temperatura rispetto all'ambiente caldo che avevo appena lasciato, e mi avvolsi meglio la sciarpa fino al mento. Vidi Malfoy appoggiarsi alla parete in pietra accanto alla porta, mettere le mani in tasca e alzare le sopracciglia.
"Be'?" fece, freddo come il tuffo nel Lago Nero. "Volevi parlare. Parla."
Presi un respiro profondo per chiarirmi le idee. Aveva ragione, gliel'avevo chiesto io, quindi toccava a me iniziare la conversazione. Mi passai la lingua tra le labbra, nervosa. "Volevo solo assicurarmi che non ci fosse astio tra di noi per quello che è successo prima," borbottai, sentendomi già arrossire all'idea. "Tutto qui."
Si incupì. "E cosa è successo prima? Ripetilo."
Mi lanciai un'occhiata attorno per assicurarmi che nessuno ci potesse sentire, e deglutii, tesa. "Noi—sì, noi ci stavamo per baciare."
Il suo volto assunse un che di collerico. "Dillo meglio."
Aggrottai la fronte. "Meglio...?"
Si allontanò dal muro, sempre più irrequieto ad ogni parola. "Sì, meglio—io ti stavo per baciare, Rose. E tu ti sei allontanata. Mi capirai se non voglio discuterne, al momento."
Quella conversazione si stava facendo particolarmente spinosa, e tediosa da sopportare. "Scorpius, so che non ti piace sentirtelo dire, ma sono fidanzata, okay?" sbottai, "e anche se avessi voluto quel bacio, non sono il tipo di persona che tradisce un'altra. Mi dispiace, ma non sono fatta così, non lo farei mai," conclusi. Ero già pronta ad aggiungere, quando stavamo insieme non sembrava dispiacerti, ma riuscii a tenere a freno la lingua.
Mi fissò, adirato. "Non mi piace sentirmelo dire, eh? Allora lo capisci, il problema. Mi sono esposto, io mi sono esposto dopo che ci siamo lasciati, e ho ricevuto una bella batosta in cambio. Se fossi tu al mio posto, fidati che non vorresti affrontare l'argomento a malapena due ore dopo l'accaduto."
Va bene.
Ammetto che dal modo in cui parlò, e da come disse che si era esposto, mi sarei dovuta concentrare solo sulla folgorante rivelazione che quel ragazzo provava ancora qualcosa per me. Insomma, non me lo stavo immaginando: me l'aveva praticamente detto, e dimostrato, in modo più che esplicito.
Soltanto che io ero fatta come lui, identica, costruita allo specchio, e se c'era una cosa che non potevo sopportare, era avere l'orgoglio ferito.
Pensava forse che mi stessi divertendo? Faceva finta di non sapere quanto ero stata male, le lacrime che avevo versato, senza che lui si curasse nemmeno per un minuto di venire a chiedermi come stessi? Ora cambiava idea, un'altra volta, e si aspettava che mi avrebbe ritrovata lì, docile come Argo che aspettava il ritorno del suo Odisseo?
Okay, forse non ero così presa da Julian. Non ero innamorata di lui, e non potevo inventarmi un amore che non esisteva. Però lui c'era stato quando Scorpius aveva trovato più comodo abbandonarmi al mio dolore. E poi potevo stare anche con un'Acromantula, per l'amor del Cielo e di tutti i maghi dell'Ordine di Merlino, ma il gesto di tradire lo trovavo il più infame e riprovevole che si potesse compiere in una relazione. Prima di tutto perché non lo comprendevo: quale poteva essere il motivo che spingeva a farlo? Se non si sta più bene con il proprio partner lo si lascia, non lo si tradisce. Inoltre, era una vera e propria mancanza di rispetto verso una persona che si sarebbe dovuta amare e proteggere.
"Oh, e adesso vuoi usare il noi?" ringhiai, percependo una scarica di ira riscaldarmi dalla testa ai piedi. "Noi non ci siamo lasciati, Scorpius, tu hai lasciato me. Non ho ostacolato la tua decisione, ti ho chiesto a malapena spiegazioni, e vieni a dirmi che il tuo grande problema è che non ho voluto baciarti? Dopo il modo in cui mi hai mollata? Voglio proprio sperare che tu stia fottutamente scherzando!"
Malfoy adottò un'aria colma di disgusto. "Devi aver sofferto proprio tanto, con il tuo amichetto lì ad asciugarti le lacrime. Chissà se ne hai versate, di lacrime, poi," aggiunse sarcastico, "non ci giurerei più di tanto."
Quelle parole mi colpirono nell'animo, tanto che lo sentii lacerarsi come se fosse stato materiale. "Sei un idiota!" gridai, sentendo gli occhi iniziare a bruciare, ma la rabbia era troppo forte perché la voce mi tremasse o perché potessi piangere. "Sei un idiota, e un insensibile stronzo. Non ho avuto il coraggio di mettere il naso fuori dal dormitorio per tre settimane, che ho passato da sola, da sola, okay? E tu che fai?" strinsi i pugni lungo i fianchi, "credi che mi sia consolata tanto in fretta? Solo perché quel martire di Julian, dopo che non gli ho prestato un grammo di attenzione per tutto il tempo in cui sono stata con te, è stato così gentile da tenermi compagnia quando ho messo piede fuori dal dormitorio, allora sono una persona così spregevole? Non capisci niente, niente!"
Lo afferrai per i lembi del suo cappotto nero, quello che tanto mi piaceva, e lo strattonai per bene. "Lui ha iniziato a esserci quando tu hai avuto la bella idea di lasciarmi, mi è stato accanto, ha sopportato i miei lamenti e i miei sospiri e pure i miei pianti, i quali, checché tu ne dica, sono stati più che abbondanti. Se ho deciso di mettermi con lui, di dargli una possibilità, è stato solo perché hai reso chiarissimo che non volevi più nulla a che fare con me, e ho dovuto accettare questa situazione ben contro la mia volontà. Quindi non ti azzardare, neanche per un istante, a insinuare che non mi importi nulla di te o di noi, perché se solo provi a farlo ti ritrovi con una sprangata sui denti."
Lo lasciai andare di colpo, con le corde vocali annodate. Ignorai bellamente l'espressione stupefatta e amareggiata che aveva mantenuto per tutto il mio discorso accorato. "Non tradirò Julian, di certo non per te, che non ti sei posto alcuno scrupolo finora. Potevi pensarci due volte prima di lasciarmi perché ti senti soffocare, e ti è passata la voglia," terminai, citando le frasi che erano rimaste incise nel mio cervello da quella notte di fine febbraio.
Lo vidi fare una smorfia nel riconoscere le proprie parole, ma a quel punto non avevo più voglia di aggiungere altro, né intenzione di farlo. Lo lasciai impalato nel bel mezzo nel corridoio e rientrai nella Sala Grande. Stavolta, quando incontrai lo sguardo di Izzy, impaziente di sapere come fosse andata, non riuscii a fare alcun sorriso.
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"C'è qualcosa che non va, allora."
"Sì, nel suo cervello c'è qualcosa che non va," replicai, con la testa china sul libro di Trasfigurazione e la minima intenzione di alzarla. "Grazie per avermelo fatto notare, Iz."
Isabelle si portò i capelli lisci dietro le orecchie. "C'è qualcosa che non va."
Livia, con il bicchiere di succo di zucca alla bocca, roteò gli occhi. "Che c'è, è un nuovo mantra questo?"
Kalea ridacchiò. "L'altro era più ottimista."
Izzy lanciò a tutte un'occhiataccia. "Volete ascoltarmi, Vermicoli che non siete altro?" brontolò, con il palmo posato sul tavolo della colazione. Dal modo in cui i suoi pancake fumanti si stavano raffreddando, dedussi che per lei la questione fosse di particolare importanza.
"Nel comportamento di questo ragazzo non quadra qualcosa," insistette, togliendo di mano la Gazzetta del Profeta a Livia per farla concentrare. "Lui è convinto che Rose non abbia sofferto, e che Julian sia stato lì a consolarla già dall'inizio - perché lo pensa? Del resto, è stato lui a lasciarla, però sembra quello che meno ha accettato la cosa. E il bacio, per di più. Questo bacio significa che ancora ci tiene a lei, ma allora per quale motivo ha chiuso la relazione?"
"Quasi bacio," la corressi io. "E alla conclusione che ci fosse qualcosa sotto ci ero arrivata anch'io, ma la domanda è: cosa?"
"Ragazze?"
"Non lo so," mi rispose Izzy, pensierosa. "Potrebbe essere di tutto."
"Ragazze."
Sgranai gli occhi. "Stai dicendo che potrebbe avermi lasciata senza averlo effettivamente voluto fare?"
La mia amica scrollò le spalle. "Potrebbe essere di tutto, te l'ho detto! Non mi sento di escludere niente—"
"Ragazze!" ci interruppe Kalea, esasperata, tappando la bocca di Izzy seduta accanto a lei con la mano. "Guardate!"
Ci indicò quello che tutti i Grifondoro, che il mercoledì alla prima ora avevano buco e che per questo ancora facevano colazione con calma nonostante fossero le nove e mezza, stavano fissando, bisbigliando.
Julian era appena entrato nella Sala Grande, con Troy al suo fianco: e fin qui non ci sarebbe stato nulla di anomalo, se solo non avesse avuto un occhio nero che si sarebbe visto pure a cento metri di distanza.
Mi ritrovai in piedi senza neanche accorgermene, e a spasso spedito gli andai incontro. Lui fece cenno a Troy di proseguire, fermandosi non appena mi vide, e l'amico gli diede una leggera pacca sulla spalla prima di accogliere l'invito.
Gli posai una mano sul petto, cercando il suo sguardo che, per qualche strana e aliena ragione, mi stava negando. Mi corrucciai. "Julian."
Lui fece vagare lo sguardo sul resto della Sala Grande. La macchia violacea tendeva praticamente al nero e gli coinvolgeva tutto l'occhio, gonfio e socchiuso, e la pelle era così tumefatta che trasmetteva dolore solo a vederlo.
Un terribile presentimento fece capolino nella mia testa. Mi portai una mano alla bocca. "Oh mio Dio. Oh mio Dio! È stato lui? Lui ti ha preso a cazzotti? Non ci voglio credere!" ringhiai subito dopo, stringendo le dita attorno alla sua manica. "Parlami, Julian. Te l'ha fatto Malfoy?"
"Non voglio parlarne, Rose, va bene?" fece lui, sempre conservando quel tono tenero e per nulla scontroso come ci si sarebbe potuto aspettare dalla situazione. "Non devi preoccuparti per me, so cavarmela da solo."
Gli presi il mento tra le dita, incurante del nostro stare in mezzo alla Sala Grande e del fatto che tutti i Grifondoro ci stessero fissando. Lui, con un'aria che parve quasi denotare sforzo fisico, portò finalmente gli occhi verdi nei miei, e mi resi conto del problema.
"Te ne stai vergognando?" domandai, sconvolta. Si stava vergognando del suo aspetto fisico? Di apparire meno attraente con quella ferita sicuramente molto dolorosa? Ma era assurdo. Mai nessuno si sarebbe dovuto sentire così, e di certo non con la persona che amava.
Dall'espressione sconfitta che fece capolino sul suo volto capii di aver fatto centro. "Oh, Jules..." mormorai, prendendogli il viso tra le mani e stando attenta a non sfiorare la zona colpita. "Questo non cambia assolutamente nulla. Per tutti sei quello di sempre."
Avrei detto per me, ma dopo come si era comportato il giorno prima sarebbe risultato falso dire qualcosa di così intimo.
Sospirò, alzando appena le spalle. "Difficile crederlo con questo," brontolò, portandosi la mano al viso e tastando piano la pelle attorno alla parte violacea. "Sembro un pagliaccio."
"No, non capisci," ribattei, quasi feroce, "non è un occhio nero che ti fa apparire in modo diverso. La gente fa a botte tutti i giorni."
Si inumidì le labbra, poi mi prese per mano e mi condusse fuori dalla stanza, fino all'imbocco delle scale che portavano al primo piano. Si appoggiò al pilastro in pietra, incrociando le braccia al petto. "Non è solo questo, Rose. Negli ultimi giorni siamo stati più distanti, non puoi negarlo. E io ho iniziato a tenere seriamente a te, più di quanto mi sarei aspettato. Vederti riprendere i rapporti con Malfoy mi fa male, va bene?"
"Io lo capisco, però—"
"No, non puoi farlo, non ancora, perché non ti ho spiegato il motivo. Non mi fa male solo perché sono geloso di lui, di come lo guardi, e del modo in cui ti fa ridere, davvero. Quello che davvero mi irrita, è il fatto che ti abbia ferita a morte, praticamente annientandoti, senza darti una spiegazione e senza venire a vedere come stessi una sola volta, e adesso che mostra di nuovo un briciolo di interesse nei tuoi confronti tu sei pronta a buttarti tutto quel dolore alle spalle per recuperare la sua attenzione. Io ci sono stato, ho visto quanto hai sofferto, e ogni giorno mi sono dannato per non poterti aiutare in modo concreto, e sembri essere disposta a dimenticare tutto, solo per lui. Questo è quello che non mi spiego, e che mi fa male più di quanto credi."
Il suo discorso mi smosse qualcosa all'interno, dovetti ammetterlo. Dal suo punto di vista, io stavo buttando via un mese e mezzo della mia vita solo per ricadere nella trappola di una persona indecisa, che prima cambiava idea rovinando qualcuno che teneva a lui e che poi ritornava sui suoi passi, pronto a sconvolgere la vita di tutti intorno a sé. Sembrava una cosa turpe, egoista, insensibile; e sapevo che in diversi pensavano che lui fosse così sul serio, a causa dell'immagine gelida e imperturbabile che dava di sé.
Io però ero convinta che si sbagliassero. Avevo conosciuto il vero Scorpius, non il distaccato e cinico Malfoy, sapevo quanto fosse buono e altruista e solo tanto, tanto ferito. Per quanto dovessi concedere che il suo atteggiamento al momento, come diceva Izzy, non quadrava, e che mi stava facendo dannare a cercare di comprenderlo e a destreggiarmi tra lui e Julian, quella mia sicurezza non avrebbe mai vacillato.
Tuttavia, dovevo concordare con il ragazzo su una cosa. Dovevo essere più cauta nel mio rapportarmi con lui, per non bruciarmi di nuovo. Ero stata davvero male, e non avevo alcuna intenzione di rivivere quelle tre settimane di inferno di inizio marzo. Se Scorpius avesse voluto riallacciare un minimo i fili che ci legavano, non avrei mai potuto rifiutarmi, perché debole o no, ero troppo affezionata a lui per farlo; tuttavia, mi sarei dovuta munire di quella stessa corazza che indossava lui, per non passare sempre per la fragile della situazione, e per non starci peggio di prima.
La mia salvezza era che non gli avrei concesso alcuna vicinanza dal punto di vista sentimentale. Avevo ancora un enorme debole nei suoi confronti, e non potevo negarlo, però la mia salute mentale andava prima di ogni altra cosa, ed ero troppo leale per poter fare un torto a Julian, che mi aveva sopportata e supportata in tutto da un mese e mezzo. Non accettavo l'idea di poterlo tradire, e non l'avrei fatto.
Anche se dovevo investigare anche sull'atteggiamento di Julian stesso, perché stavo iniziando ad essere non poco perplessa.
Avevo avuto per lunghe e strazianti settimane la possibilità di elaborare la consapevolezza che tra me e Malfoy non ci sarebbe stato più nulla a livello romantico, e per quanto ogni volta che mi sfiorava il pensiero fosse una sofferenza, quella sofferenza ora era diventata parte di me, e la accettavo.
Senza contare quel gesto ignobile che aveva appena compiuto prendere a pugni Julian solo perché lui stesso era estremamente possessivo aveva superato ogni limite. La sua gelosia, se di gelosia si poteva parlare, non avrebbe mai dovuto sfociare in violenza fisica, e per quello intendevo fargliela pagare. Non transigevo su questo genere di gesti, e mi sentivo pure in colpa per avere involontariamente portato ad uno scontro del genere.
"Hai ragione," dissi, passandomi le dita tra i capelli. "Ci sono stata male, e lui non c'è stato per me, mentre tu sì. Però non taglierò l'amicizia che ci lega," aggiunsi, "perché non è la persona cattiva e priva di scrupoli che stai dipingendo. Non lo conosci, Jules."
Le sue mani catturarono le mie, e accarezzò con i pollici l'interno dei miei polsi. "Quello che conta, per me, è che non gli dai modo di ferirti di nuovo. Ci tengo troppo a te per vederti ancora in quello stato."
Mi venne da sorridere. Tutta quella dolcezza gratuita non l'avevo ricevuta troppo spesso, dato che nemmeno io avevo incredibili doti affettive, ma mi faceva piacere che lui me le rivolgesse.
Tuttavia, quando sfruttò la presa sui miei polsi per attrarmi a sé e baciarmi, la solita frase fece capolino nella mia mente: è solo questione di abitudine; e per la prima volta, ebbi l'impressione che non fosse poi così vera.
^^
Averlo nella stessa stanza mi faceva ribollire il sangue nelle vene - e non in senso positivo.
Come faceva a stare lì, a parlare con i nostri compagni in tutta tranquillità, senza curarsi della ferita che aveva inflitto a Julian?
La lezione di Alchimia stava per volgere al termine, ed era stata del tutto nuova. Appena entrati in aula, il professor Lazzari ci aveva fermati dal sistemare le nostre cose sui banchi.
"Come abbiamo visto in classe," aveva iniziato, "più volte e più volte, l'arte Alchemico Trasfigurativa è un ritrovato piuttosto recente, appena nato, oserei dire. Tuttavia, questo nuovo punto di vista si basa su tecniche e studi ben più antichi che spaziano dall'Alchimia alla Trasfigurazione, e l'uomo non si è dilettato a usare queste antiche conoscenze solo davanti a paioli fumanti o attraverso nodose bacchette. In passato, come oggi, sono stati creati dei manufatti attraverso conoscenze alchemiche e trasfigurative capaci di usarle a loro volta e che con il loro potere di alterare la materia sono entrati nella leggenda e hanno ispirato racconti di ogni tipo; ma anche le future ricerche che ci hanno permesso di arrivare fino agli attuali livelli di conoscenza. Il vostro compito," aveva proseguito, sorridente, "sarà quello di recarvi nel Museo della Sala dei Trofei e di analizzare uno di questi tre manufatti magici."
Sulla lavagna aveva fatto comparire dei titoli:
L'anello di Loki: un particolare anello che permette a chi lo indossa di mutare il proprio corpo in un ibrido fra un uomo ed un animale.
Skíðblaðnir: una drakkar le cui vele trasfigurano l'aria entro 2 metri in modo tale che si generino sempre dei venti capaci di spingerla in qualsiasi direzione il timone punti.
Incudine di Tyr: una forgia capace di trasfigurare il sangue che ci viene versato sopra durante il processo di forgiatura di un oggetto. Il liquido vitale si mescola al metallo donandolo una resistenza e forza fuori dal comune, oltre che un colore rossastro.
E così eravamo finiti a passare l'intera ora nella Sala dei Trofei a raccogliere materiale per la relazione che avremmo dovuto presentare la settimana successiva, ma le mie capacità di concentrazione erano nulle.
Non potevo credere che quel ragazzo avesse un così scarso controllo di sé, ma soprattutto che sfruttasse l'enorme timore che riusciva ad incutere a suo favore. Il solo fatto che Julian si fosse rifiutato di parlare di chi l'avesse aggredito mi dava i brividi. Mai avrei pensato di essermi messa con una persona che faceva della violenza la sua arma migliore per ottenere ciò che voleva, o, ancora più banalmente e stupidamente, per vendicarsi.
E il modo in cui, tra l'altro, se ne stava con le mani in tasca a guardare quei manufatti alchemici, di tanto in tanto ridendo con la gente che, ignara, gli dava corda... non aveva nemmeno lanciato una seconda occhiata all'occhio del povero ragazzo accanto a me, forte della sua arroganza, credendosi superiore a chiunque gli sfilasse vicino.
Ero così furiosa che avrei potuto prenderlo a ceffoni sul momento.
La situazione, ovvio, non poté che peggiorare. Quando Lazzari ci fece segno che quell'ora di tortura era finita, e quando io avevo appena cominciato a riavere un colorito decente e non paonazzo dalla rabbia, sentii le sue dita lunghe prendermi per il gomito e trattenermi delicatamente per ultima.
I suoi occhi, quando incontrarono i miei, mostrarono estrema rilassatezza, giocosità, e un sorriso gli incurvava le labbra piene.
"Weasley, aspetta, volevo scusarmi per—"
"Non toccarmi," sbottai, liberandomi con uno strattone dalla sua presa.
L'espressione lieta svanì subito dal suo viso, rimpiazzata da un'aria perplessa e senza dubbio anche ferita. "Che c'è?" domandò, inclinando di poco il capo. "Perché sei arrabbiata?"
Faceva anche finta di niente?
"Ma fammi il piacere," ringhiai, "e impara a comportarti più come un umano, e meno come una bestia."
Detto ciò non attesi un secondo di più per girare i tacchi e andarmene, furibonda, e contenta al contempo di averlo lasciato lì. Era assurdo anche solo il suo chiedermi scusa, presumevo per come mi aveva trattata il sabato scorso dopo lo "spiacevole inconveniente del quasi-bacio", come lo chiamava Livia, proprio dopo aver preso a pugni il mio ragazzo. Un atteggiamento infantile, immaturo, e che si meritava nientedimeno che una sprangata sulle gengive. Quando avrebbe imparato a comportarsi in modo decente e non pericoloso per le altre persone avrei acconsentito ad avere uno scambio con lui: non mi ero certo dimenticata di come avesse spaccato il naso di Noah a dicembre, delle continue risse durante gli anni scolastici, delle minacce rivolte a Caleb e a Julian stesso.
Quando raggiunsi la Sala Grande per il pranzo mi accomodai al fianco di Isabelle, non vedendo l'ora di terminare quella giornata che per i miei gusti si era rivelata già fin troppo faticosa.
"Avete sentito?" chiese Alice Longbottom, il Prefetto di Grifondoro che si era occupato della distribuzione delle rose a San Valentino nonché figlia di Neville, "pare che Sanguini abbia affisso un avviso in bacheca."
"Su cosa?" chiese Izzy, con il braccio attorno alle mie spalle.
Per fortuna la storia con Sanguini si era risolta: lui, forse anche grazie a noi tutti che ogni volta che lo vedevamo lo guardavamo con facce disgustate, aveva smesso definitivamente di ronzarle attorno. Avevo cercato di convincerla a denunciarlo alla McGranitt, ma lei non aveva voluto. Aveva detto che farlo cacciare ora equivaleva a rovinarlo, e che poi noi saremmo rimasti senza insegnante di Difesa proprio a pochi mesi di distanza dai M.A.G.O., e non potevamo permettercelo. Avevo lasciato cadere l'argomento solo perché l'avevo vista turbata, ma lei mi aveva promesso che l'avrebbe fatto non appena arrivati a giugno e terminati gli esami, e mi ero tranquillizzata.
"Su una lezione speciale," rispose Lily, già roteando gli occhi, "con mio padre."
Alle sue parole, un mormorio di eccitazione si diffuse lungo la parte di tavolo dove stavamo, e di risolini affascinati. Non si poteva negare che lo zio Harry, oltre ad essere il Prescelto e via dicendo, fosse anche un bell'uomo, e pareva che alla nostra generazione quello fosse tutto ciò che importava. Dove noi Weasley e associati ci emozionavamo per i racconti delle sue gesta eroiche, dei duelli, delle avventure, dei draghi e delle sirene, le ragazze più piccole pensavano ai suoi occhi verdi, alle braccia forti e alla barba - e noi ne eravamo disgustati nel profondo.
"Ah, la lezione sull'Amore," fece Kalea, già con gli occhi a forma di cuore. "Che romantico!"
"Non poteva raccontarci di come ha fatto saltare in aria Voldemort, o delle prove del Torneo TreMaghi?" si lagnò Livia, che per la prima volta da settimane non aveva davanti una scacchiera ma una semplice fetta di torta. "Il romanticismo fa schifo."
"A parte le vostre divergenze alla Tom e Jerry, qualcuno sa quando ci sarà questa lezione?" intervenne Izzy, già ridendo per i loro battibecchi.
"Una settimana esatta dopo le vacanze di Pasqua," le rispose Alice, "il trenta aprile."
"Siamo in ritardo!" annunciò Albus, spuntando fuori dal nulla con il libro di Trasfigurazione al petto. "E Teddy oggi deve spiegare l'Incantesimo Omosembiante applicato agli Animagi. Magari ti potremo finalmente usare come cavia, Rosie, sarebbe pazzesco..."
Emisi uno sbuffo ironico. "Grazie, cugino. Non vedevo l'ora di diventare il fenomeno da baraccone del Castello."
"Dovresti esserci già abituata," rise Noah, dandomi un buffetto sui capelli. "Pare che il Luma abbia una certa vocazione sadica nel farti oggetto dei suoi esperimenti."
Ci avviammo tutti verso il primo piano, il quale ospitava l'Aula di Trasfigurazione. Era una delle più belle della scuola: piuttosto ampia e ben illuminata, di forma rettangolare. Le pareti erano traforate ad intervalli regolari da delle finestre in puro stile gotico, comprese di vetrate riccamente lavorate. La stanza terminava con un'abside dove era posizionata la cattedra del docente tra due lavagne, su un pavimento sopraelevato. Accanto alla pareti, su dei mobili, erano spesso poggiate delle gabbie contenenti oggetti da Trasfigurare o già frutto di incantesimi Trasfiguranti. Molto spesso si potevano trovare dei disegni di complicatissimi schemi di Trasfigurazione che il docente lasciava come promemoria per gli studenti, o che semplicemente erano diventati arredo fisso per caratterizzare l'Aula. Di fronte alla cattedra erano disposte verticalmente tre lunghe file di banchi, uno ogni due studenti. Dall'altro soffitto, infine, pendevano due grossi lampadari che illuminavano l'aula mediante candele.
Adesso che era iniziato aprile e le giornate si allungavano sempre di più i candelabri non servivano, e i vetri colorati diffondevano lievi pozze di luce delle tinte dell'arcobaleno ovunque guardassimo.
Quando posai la borsa sul primo banco, quello che io e Izzy occupavamo sempre, sentii un leggero pizzicore solleticarmi la nuca. Di istinto mi voltai, soltanto per vedere Malfoy, dall'altro lato della stanza, che mi guardava.
Dovetti appellarmi a tutta la mia forza d'animo per non trasalire, ma riuscii a scoccargli una semplice occhiataccia e a girarmi di nuovo. Non sarei ceduta, non potevo cedere, specialmente non a quel bocciolo di senso di colpa che mi stava fiorendo nel petto.
"Ragazze, questo è il vostro materiale per oggi," ci disse Teddy, presentandosi davanti al nostro banco.
Ritornai con i piedi per terra, e mi allungai per prendere la pergamena che ci stava porgendo, quando lo sguardo mi cadde sul materiale - o meglio, sulle mani che lo tenevano.
Mani che presentavano le nocche scorticate e di un color rosso vivo.
Accennai, confusa, un'occhiata nella sua direzione, ma Teddy andò avanti senza badare a me. Lo tenni d'occhio finché non giunse da Julian e Simon; vidi con chiarezza il ragazzo posare la pergamena sul tavolo e andare avanti senza scambiare una parola con i due alunni.
Per tutto il resto della lezione non riuscii a non pensare alle nocche rovinate del mio insegnante, e a quello strano e mancato scambio con Julian.
Generalmente non avrei mai pensato a una cosa del genere, ma non era la prima volta che Teddy e Julian interagivano in modo da lasciar a desiderare - ad esempio, il sabato prima erano stati piuttosto freddi e ostili l'uno verso l'altro. Ma perché mai, per l'amor del Cielo, un docente avrebbe dovuto regalare un occhio nero al suo allievo?
C'entrava forse con il modo in cui Julian si stava comportando ultimamente?
Da ciò, tuttavia, conseguiva che Scorpius poteva essere innocente, e che il suo atteggiamento non fosse necessariamente forzato o un modo di ostentare superiorità, ma di sincera indifferenza. E questo voleva dire che l'avevo trattato male per nulla, e che io ero nel torto.
L'unica opzione a quel punto rimaneva il parlargli. Mi sembrava onestamente troppo strano che Teddy potesse aver sferrato un cazzotto a Julian, sia perché non era da lui che perché non ce ne sarebbe stato il motivo - e Scorpius era sicuramente il candidato più valido, con la sua storia di gelosia nei confronti di quel ragazzo.
Stavolta, quando la lezione terminò e gli studenti iniziarono ad affluire verso l'uscita, fui io a presentarmi davanti il banco di Malfoy. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo precedetti.
"Sei stato tu a prendere a pugni Julian?"
Albus, che al suo fianco stava finendo di mettere a posto le sue pergamene, ci guardò con tanto d'occhi.
Scorpius sospirò, finì di infilare nella borsa le boccette d'inchiostro e si rivolse al suo amico con un solo sguardo; Albus, benché fosse chiaramente curioso di sapere cosa stesse accadendo, sbuffò e se ne andò, sincerandosi di pestare i piedi per terra al fine di sottolineare il proprio disappunto. Un gesto che sarebbe potuto appartenere giusto ad un bambino di due anni.
Vidi un lieve sorriso alzare un angolo della bocca del biondo in risposta a quella scenata infantile, ma come si ricordò del motivo per cui eravamo lì diminuì di colpo.
Incrociò le braccia al petto muscoloso, il silenzio della stanza che premeva come un macigno contro le mie orecchie. "È per questo che mi hai scacciato in quel modo, prima?" domandò, aggrottando la fronte. "Perché pensavi che avessi colpito il tuo prezioso ragazzo?
"Senti," dissi, "abbiamo già affrontato l'argomento la settimana scorsa. Hai esposto decine di volte la tua insofferenza nei confronti di Julian, quindi è normale che non appena l'ho visto in quelle condizioni abbia subito pensato a te. Non dico di essere nel giusto, perché avrei dovuto chiedertelo prima invece di attaccarti, però—"
Posò i palmi delle mani sul banco, fissandomi con quegli occhi adesso del colore del cielo in tempesta, al di sotto delle lunghe ciglia bionde. "Allora perché lo stai facendo? Perché," continuò, "ora ti è venuto il dubbio della mia non colpevolezza?"
Scrollai le spalle. "Ho visto le mani di Teddy. Erano rosse e scorticate, come quelle di chi ha appena preso a pugni qualcuno. Ecco perché te lo sto chiedendo... sembra assurdo che possa essere stato lui, di tutti, ma mi ha fatto capire che non devi per forza essere stato tu."
Nel dire quelle parole mi accorsi che se avevo fatto tutto da sola, se la mia mente era immediatamente saltata a Malfoy, era poiché una parte di me aveva voluto che fosse stato lui. L'idea che si scagliasse contro Julian per me era sbagliata, ma sarebbe stata la dimostrazione pratica e concreta del suo interesse nei miei confronti.
Oltre lo "spiacevole inconveniente del quasi-bacio", ovvio. Che stupida!
Però la reazione del biondo mi prese in contropiede. Prima parve perplesso della mia affermazione, poi, in maniera graduale, una strana consapevolezza si fece spazio in lui, fino al portarlo a guardarmi come gli avessi appena annunciato l'apocalisse.
"Che c'è?" chiesi, sorpresa, "tu sai qualcosa, non è vero?"
Sembrò pensarci un secondo prima di rispondere. Si passò la lingua tra le labbra, già riuscendo a distrarmi così.
Quando era stata l'ultima volta che ci eravamo baciati?
Mi invase il panico. Non riuscivo a ricordarlo. Non riuscivo a ricordare la nostra ultima volta. Non ricordavo nulla.
"Ti sei chiesta," iniziò, lento, con il tono che userebbe qualcuno per tranquillizzare un animale ferito senza farlo fuggire, "perché non è andato in Infermeria?"
Ancora riflettendo e ripercorrendo ogni memoria prima della sera di febbraio in cui mi aveva lasciata, le sue parole mi parvero confusionarie e aliene. "Cosa?"
Si avvicinò a me, facendo leva sulle mani aperte sul banco che ci divideva e fissandomi con fare imperativo. "Perché Walker non si è fatto guarire l'occhio livido da Madam Pomfrey? Perché ha voluto che tu lo vedessi in quello stato?"
Alzai gli occhi al cielo. "Cosa ne posso sapere? Magari non ha avuto tempo, o—"
"La ferita non è fresca," mi fermò subito Malfoy, "l'avrà ricevuta minimo ieri sera. E il solo fatto che tu sia qui a chiedermi se sono stato io significa che si è rifiutato di parlarti di chi l'ha aggredito, sbaglio?"
"No, ma—"
Il ragazzo ebbe uno scatto in avanti e mi prese le mani tra le sue. "Non capisci cosa sta facendo, Rose? Lui ha imparato a conoscerti. Ha visto come ti sei comportata con Caleb, ha visto che la gente, come ha un problema, viene da te per farselo risolvere. Lui ha visto tutto, e ha trovato il modo."
"Il modo di fare che cosa?" rimasi turbata e stordita dal tono incalzante che stava utilizzando.
"Il modo per tenerti con sé," rispose, pressante, urgente nella voce e nei gesti, "tu hai un istinto innato per aiutare le persone. Quando vedi qualcuno in difficoltà, la tua prima reazione è quella di soccorrerlo. L'hai fatto con Caleb, l'hai fatto con tuo padre, l'hai fatto con i bambini dell'Orfanotrofio, con i problemi di Noah e Livia, con la situazione di Isabelle e di Sanguini, tu lo fai tutti i giorni. Avere di fronte una persona che sta male ti porta a mettere tutto da parte, a concentrarti solo nel soccorrerlo. L'ho vissuto anch'io, quando mi hanno colpito al Ministero. E lui l'ha compreso quando Lumacorno l'ha sputtanato davanti a tutti con la Pozione Comparaurica, e sei stata l'unica che gli è rimasta accanto, nonostante tutti gli altri avessero paura ad andargli vicino."
Ciò che disse mi colpì e mi rintronò con la forza di un fulmine. Debolmente scossi i polsi per fargli capire di lasciarli andare, ma rafforzò la presa. "E questo che c'entra?" protestai, fiacca, ma il punto del suo discorso era chiarissimo.
"C'entra che per lui mostrarsi debole e bisognoso di aiuto è l'unico modo per tenerti accanto a sé," infierì, ogni parola come una spina nella mia pelle, "più fa vedere che tu sei la sua forza, che prova a fare da solo ma che non ci riesce, più ti fai in quattro per stargli accanto. Sei fatta così, e sei meravigliosa per questo, ma è l'appiglio che ti impedisce di distaccarti, di vederlo com'è realmente, e il suo aggancio per non lasciarti andare."
A quel punto mi scrollai la sua presa di dosso. Provai un'ondata di fastidio, ma solo perché sapevo che aveva ragione.
Me l'aveva detto Noah, me l'aveva detto Albus, me l'aveva detto Izzy, e io non avevo mai trovato modo di ribattere. Mi ero rifiutata di credere che Julian fosse quel tipo di persona, ma adesso era molto più chiaro. Con l'episodio dell'occhio nero e con il modo in cui aveva cercato di screditare Malfoy ai miei occhi dicendo di averlo visto con Amanda, il ragazzo aveva davvero raggiunto il limite. Mettermi con lui non era neanche stato mia intenzione: non avevo risposto al suo bacio, non dicevo mai che lo amavo, perché sarebbe stata una bugia, e cercavo di ridurre al minimo il tempo che dovevo passare con lui.
Ero riconoscente nei suoi confronti perché mi aveva aiutata davvero a superare la rottura, ma questa lealtà mi aveva portata a perdere l'opportunità di risanare le cose con Malfoy. Questa relazione in realtà non esisteva, e ciò non faceva che essere più evidente ogni giorno che passava.
Allo stesso tempo, però, come stava agendo Scorpius era irritante. Dopo avermi brutalmente messa da parte riprovava a baciarmi? Perché non poteva darmi una volta per tutte una spiegazione? Perché doveva farsi pregare ogniqualvolta gli chiedessi che cosa fosse successo quella notte?
Gli lanciai un'ultima occhiataccia e feci per andarmene, ma non appena raggiunsi la soglia la sua voce rimbombò nella stanza, vuota tranne che per noi due.
"Lui lo sa?"
Presi un lungo respiro, chiudendo gli occhi per distendere i nervi quel poco che bastava per avere una conversazione civile e non lasciarlo di nuovo lì impalato, con il rischio di pentirmene quella sera stessa. Appoggiai il gomito allo stipite della porta, mi passai le dita tra i capelli e finalmente fui abbastanza stabile dal punto di vista emotivo per girarmi.
Non si era mosso di un millimetro, ancora al suo banco, ma ora guardava me. "Sa cosa?" domandai, sospirando.
Levò le mani dal ripiano di legno, e con movimenti lenti e misurati venne nella mia direzione.
Lo ricordavo più basso, senza dubbio, pensai, nel panico, quando fu a un metro da me. Molto più basso. E brutto. Soprattutto brutto.
Bugiarda!
Con passo lento si iniziò a dirigere verso di me, misurato, come quello di qualcuno che si avvicina ad un animale selvatico con cautela per non spaventarlo ulteriormente.
"Lo sa," ripeté, "di come mi guardi?"
Un altro passo.
"Lo sa che mi cerchi, che mi vuoi? E che io voglio te?"
Il suo tono si ridusse notevolmente. "Lo sa che per quanto possa provarci e riprovarci, non riuscirà mai a farti sentire come ho fatto io?"
I suoi occhi non lasciarono i miei nemmeno per un secondo. La sua voce risultò melodiosa come musica alle mie orecchie, il silenzio che rendeva tutto più grave, tutto più profondo.
Quando fu a un metro da me, dovetti reclinare il capo all'indietro per poterlo continuare a guardare, e intanto il cuore mi batteva così forte nel petto che ero certa lui potesse sentirlo.
"Lo sa che sei mia?"
Mi accorsi che la mia mente era del tutto annebbiata, che i pensieri erano avvolti da un velo di opacità, e che avevo il palato del tutto asciutto.
Giunsi ad una semplice conclusione: se solo avesse fatto un singolo passo in avanti, se si fosse avvicinato abbastanza, se avesse inclinato il volto verso il mio, facendomi capire che mi voleva ancora - se avesse provato a baciarmi, io ci sarei stata. Glielo avrei permesso senza battere ciglio, accogliendo la familiarità del suo corpo statuario sul mio, le sue braccia forti.
Non ci sarebbe stato, questa volta, Magiorologio da polso che mi avrebbe fermata.
Ero sua.
La Isabelle nella mia testa mi avrebbe detto che non appartenevo a nessuno e che ero una donna forte e indipendente, ma era troppo impegnata a compiere i suoi salti di gioia per farlo.
Ero tesa, i nervi rigidi come corde di violino, e il mio stomaco era talmente attorcigliato che mi faceva male; la bellezza del suo volto mi dava continue coltellate, tramortendomi, togliendomi la sensibilità.
Alla fine di quella tortura si avvicinò, e le sue labbra perfette si accostarono il mio orecchio, il respiro caldo smosse appena i miei capelli. Era così prossimo, e il suo profumo mi invadeva, buono da star male, e il calore del suo corpo mi impediva di respirare correttamente dalla voglia di toccarlo, le spalle, il petto, la vita...
Sentii definitivamente le ginocchia deboli quando mi sfiorò la pelle con la bocca.
"Ti riavrò indietro, Rose," sussurrò, e prima che lo realizzassi si era già allontanato, "è una promessa."
^^
🌻Sorpresa (:
Leggendo i vostri commenti negli ultimi capitoli mi è sorto un dubbio... che pensate di Rose? xx🌻
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