76 - 𝐿𝑖𝑡𝑡𝑙𝑒 𝑏𝑙𝑎𝑐𝑘 𝑑𝑟𝑒𝑠𝑠
{Diciottesimo compleanno}
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Quando aprii gli occhi, la prima sensazione che provai fu la paura. Non in modo razionale, ovviamente, ma più istintivo: allungai la mano accanto a me, e mi resi conto che il letto era vuoto, e freddo.
Una piccola parte di me si chiese se quel che era successo quella notte non fosse stato altro che un sogno, un sogno iniziato nel peggiore dei modi e finito nella più assoluta tenerezza, ma non era nulla rispetto a quella che si ritrovava immersa nel terrore. Mi tirai a sedere velocemente, adattando in fretta gli occhi alla luce azzurrina che veniva dall'acqua del Lago Nero attraverso le finestre. Non solo lui non era nel letto, ma nemmeno gli altri erano nei loro. L'intera stanza era deserta.
Senza pensarci due volte afferrai una felpa dall'armadio di Albus per coprirmi dalle basse temperature e mi precipitai verso l'uscita. Poteva essere successo di tutto, e sicuramente c'era una spiegazione logica a quell'assenza, ma ero troppo agitata per fermarmi a riflettere. E se gli fosse capitato qualcosa? Se avesse avuto un altro incubo, se si fosse fatto male, se—
Dovetti fare un balzo all'indietro per evitare che la porta, aprendosi, mi prendesse in pieno. La scena che mi si presentò era a dir poco idilliaca, quei quattro babbuini che ridevano con dei cartoni di caffè fumante in mano e l'aria rilassata. Poi mi notarono, con gli occhi sgranati, un diavolo per capello e il volto pallido, e smisero di sogghignare tutti insieme.
"Rosie?" chiese Albus, corrugando le sopracciglia e venendomi incontro. "Tutto bene? Che succede?"
"Niente," trovai la forza di rispondere, indietreggiando, "stavo—stavo tornando nel mio dormitorio."
Noah, Albus e Dave mi superarono, forse mi chiesero qualcosa, ma io non vidi nulla che non fosse Malfoy. Aveva il bicchiere di carta alle labbra, e gli occhi brillanti, mi resi conto con un singulto, fissi proprio nei miei. Mi sfilò accanto con un sorrisetto. "Ti trovo bene, Weasley," disse, ridendo sotto i baffi per la mia espressione sbalordita.
Nel percorso fino al dormitorio, che dovetti fare a passo veloce essendo in ritardo per le lezioni e la colazione, non feci altro che chiedermi che cosa fosse appena successo. Insomma, fino al giorno precedente non c'era stato nessun tipo di contatto tra di noi, non da quando gli avevo restituito la collana di Astoria. Eravamo rimasti lontani come poli omologhi di calamite, respingendoci senza nemmeno accorgercene, senza guardarci, parlarci o sfiorarci. Era stata una settimana davvero orribile, perché quella condizione per noi era assolutamente innaturale.
E poi quell'incubo, quell'incubo terrificante. Non sapevo che cosa vedesse - sapendo del suo passato, e dalle sue parole, c'entrava con sua madre - ma il ritrovarmelo davanti in quello stato mi aveva scossa nel profondo. Lo Scorpius che conoscevo era sparito, in favore di uno spettro colmo di insicurezze e fragilità. Anzi, lui le sue fragilità le aveva sempre avute, e io le avevo viste e amate, ma... Dio, la notte prima era stato vulnerabile. Era rispuntato fuori il ragazzino di tredici anni che aveva perso la madre, e sparito il meraviglioso uomo che era diventato - quello che si era preso una fattura mortale per me, che aveva trascorso le settimane di Natale all'opera per aiutarmi, e che mi aveva dato così tanto, senza nemmeno saperlo. Il progresso che aveva fatto da quella notte lontana di agosto, la paura che aveva vissuto e superato e i ricordi belli, come quello delle sere passate con lei a guardare le stelle, tutto era scomparso, avvolto in una spirale di terrore e dolore senza precedenti.
Ero riuscita a svegliarlo, però. Non mi importava che avesse effettivamente sentito la mia dichiarazione di affetto nei suoi confronti, se era servita a farlo stare meglio. Il modo in cui si era accoccolato sul mio grembo, stringendomi la vita con quelle braccia che mi mancavano ogni giorno, sfregando il viso sul tessuto del mio pigiama... mi sarebbe mai stato concesso di smettere di amarlo, se ogni volta che sorgeva una difficoltà il mio istinto più forte mi obbligava a gettarmi da lui? I suoi capelli erano risultati più morbidi che mai, il profumo più buono, i lineamenti del suo viso più belli. E che dire, poi, dell'essere ritornata nel suo letto? Era stato come un sogno, uno stupendo sogno che si era infranto al mio risveglio, lasciandomi sola in un luogo che, per quanto lo desiderassi con tutta me stessa, non mi apparteneva.
Stupida, stupida, stupida, mi rimproverai seccamente. Non è cambiato niente tra di voi, non per una notte trascorsa vicini. Lui ha chiarito che non ti ama, no?, e tu non sei uno zerbino. Tra l'altro, avresti anche un fidanzato.
Un fidanzato, ripetei a me stessa con tono più amaro di quanto intendessi. Vero, avevo un fidanzato, ma non era stata mia intenzione procurarmelo.
Se volevamo essere fiscali, la colpa era stata anche di Malfoy stesso - sì, mi ero sbloccata: adesso riuscivo a pensare il suo nome. Dopo che lui con tanta rigidità e fermezza aveva preteso indietro il ciondolo stellato della madre, e dopo un'iniziale disperazione, era sopraggiunta l'irritazione. Perché non poteva comportarsi in modo civile? Il fatto che ci fossimo lasciati non significava che gli fosse concessa la maleducazione. Non tanto per la sua richiesta, in quanto effettivamente capissi che se non significavo più nulla per lui, allora non aveva senso che custodissi un ricordo che gli era tanto caro; più per come l'aveva fatto, senza nemmeno ascoltarmi, senza interessarsi se ci fosse stato un motivo logico dietro la mia scelta di levarla, cui io avrei risposto con il viaggio nel tempo. Si era lasciato prendere dalla rabbia e dall'emozione come al solito, e ne avevamo risentito entrambi.
Julian, al contrario, era statico. Una presenza costante e rassicurante, che non cedeva al panico, all'ira, con cui si poteva dialogare di tutto senza doversi preoccupare di nulla. Il suo bacio mi aveva spiazzata, vero, e a essere sinceri continuava a spiazzarmi tutti i giorni con le sue dimostrazioni di affetto, ma solo perché non c'ero abituata - Malfoy, effettivamente, non era un tipo plateale, e preferiva mostrare il suo lato romantico in privato piuttosto che attirare l'attenzione del mondo. Dovevo ammettere che era sempre Julian a baciarmi, in modo lieve, sulle labbra o sulle guance, ma io sapevo che era solo questione di tempo. Amavo ancora quel testone di Serpeverde, non potevo mentire a riguardo, ma lui aveva messo le cose in chiaro, e non volevo dare un dispiacere a nessuno, tantomeno a quel ragazzo dolce che era Julian, precludendomi la possibilità di stare con qualcun altro.
Era presto, prestissimo, tant'è che non ci avevo neanche mai pensato dalla rottura a mettermi con qualcun altro, ma intendevo seguire l'insegnamento oraziano del carpe diem, o sapevo che altrimenti me ne sarei pentita. E poi, magari, stare con il mio compagno di Casa mi avrebbe aiutata anche nel superare più in fretta Malfoy, chi poteva dirlo. Julian sapeva, in qualche modo, di non avere l'esclusiva sul mio cuore, e se a lui andava bene, se poteva accettare quel compromesso, allora potevo farlo anch'io.
Quando tornai nel dormitorio, c'era soltanto Izzy che si stava truccando appoggiata al ripiano in marmo del bagno. Come mi vide rimase con il lucidalabbra a mezz'aria, ma subito un sorriso malizioso le si formò sul viso. "Allora..." fece, ghignando, "com'è andata la nottata?"
"Oh, non ti ci mettere anche tu," sbuffai, aprendo i cassetti per trovare la divisa pulita con cui sostituire il pigiama. "Non è successo assolutamente nulla. Piuttosto, tu sapevi che soffre di incubi?"
Lei fece spallucce. "Ieri Albus mi aveva accennato qualcosa, ma niente di che," rispose, ma la tensione traspariva nella sua voce. Sapevo che non mi stava dicendo tutto, ma ero troppo scombussolata da quell'esperienza per insistere.
Mi lasciò il bagno per permettermi di fare una doccia veloce. "Sbrigati," mi disse da fuori la porta, "o faremo tardi a Difesa. Un'altra brillante giornata, iniziata proprio con il professore migliore del mondo, Hector Sanguini..."
Stavo per replicare quando le sue parole mi colpirono con la violenza del Platano Picchiatore. Rimasi a fissare il getto d'acqua, che nel frattempo si era fatto bollente, stupefatta. Era venerdì, considerai, con il sangue ghiacciato nelle vene.
Venerdì trentuno marzo. Il mio compleanno.
Perché nessuno mi aveva fatto gli auguri?
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Lanciai un'occhiata furtiva ai miei compagni disposti attorno a me. Julian, alla mia destra, stava chiacchierando con Livia su una partita di Quidditch negli Stati Uniti, e Troy fissava la mia amica come se gli avesse ucciso il gatto. Isabelle era seduta accanto ad Albus, che per il pranzo si era unito a noi, e con le teste scure vicine ridevano per qualcosa che non potevo sentire. Kalea stava ripassando insieme a Simon i compiti per Erbologia, che avremmo avuto appena finita la pausa, e i gemelli Charles e Harry progettavano un qualche scherzo diabolico insieme a Hugo e Lily, e guardavano mio fratello e mia cugina con fare adorante.
Una giornata perfettamente comune, se solo non fosse stato il mio compleanno.
Non ero affatto una persona piena di sé, almeno questa dote potevo riconoscermela, ma in genere l'ultimo giorno di marzo era tutto un festeggiamento. Non solo per me; si celebrava l'arrivo della primavera, la superficie ghiacciata del Lago Nero che si scioglieva, il Giardino che si copriva di nuovo di foglie, e le sciarpe che venivano riposte negli armadi per essere ritirate fuori a novembre. Aprile significava le vacanze di Pasqua, le giornate più lunghe che permettevano uscite ad Hogsmeade durature, significava calore, significava amicizia.
Per noi c'era, poi, un motivo in più per festeggiare. Neville mi regalava sempre una piantina speciale dalla sua collezione curata e amata, Hagrid mi preparava i biscotti, mamma e papà mi inviavano lunghissime lettere piene di cuori e firme svolazzanti dei nonni e degli zii e dei cugini, come James, rimasti a casa. E poi c'era Albus, che dal primo anno si fiondava nel mio letto per svegliarmi con baci, abbracci e solletico fino a non avere più fiato. Isabelle si inventava sempre modi fantasiosi per celebrarmi, e la volta precedente aveva convinto il coro della scuola perché si mettesse a cantare Stayin' Alive dei Bee Gees davanti a tutti a cena. La giornata era istituita all'insegna della spensieratezza, e dei libri - ricevevo sempre un mare di libri che mi facevano scoppiare il cuore di gioia.
Non capivo perché quell'anno se lo fossero tutti dimenticati.
All'inizio avevo pensato a uno scherzo. Magari aspettavano il momento in cui gli avrei gridato contro per tirare fuori chissà quale sorpresa dal cappello, ma le ore erano passate senza che ci fosse alcun segno di vita, nemmeno da mamma e papà, che di solito erano puntuali come un orologio su queste cose. Nemmeno Hugo mi aveva detto nulla, salutandomi come al solito nel sedersi al tavolo della colazione e chiedendomi se potessi fargli un compito di Astronomia.
Ero quindi giunta alla conclusione che si trattasse di una serie di coincidenze: il nostro gruppo era ancora sconvolto per la nottataccia vissuta da Malfoy, alcuni si erano dimenticati, altri magari avevano confuso il giorno, oppure non erano sicuri che fosse oggi e nel dubbio tacevano, altri ancora non sapevano la data. La sensazione di abbandono che provai mi lasciò spaesata, tanto che non riuscii a dire nulla.
L'ipotesi che stessero fingendo era, del resto, poco realistica. Come avrebbero fatto a mettersi tutti d'accordo per non farmi gli auguri, per rimanere in silenzio, compresi professori e famiglia? Queste cose finivano sempre male - bastava pensare alla festa a sorpresa di Malfoy, di cui alla fine sapeva chiunque, anche lui. No, evidentemente avevano altro per la testa. Come biasimarli, con tutto quello che era successo in quei mesi, un compleanno di certo non rientrava tra le priorità di nessuno. Me l'ero dimenticato persino io stessa, stamattina, presa dall'ansia che Malfoy si fosse fatto male.
Per la fine della giornata scolastica, alle sei, avevo voglia di piangere. Non mi era mai successo prima di non essere stata considerata, tantomeno in un giorno importante come quello, in cui facevo diciotto anni. Le persone continuavano a cercarmi e parlarmi come al solito, certo, ma nessuno si era preoccupato di ricordarsi di me. Possibile che fossi un'attrice così capace che non mi si leggeva in faccia ciò che provavo? Non si vedeva che ero smarrita, confusa, triste, desolata, malinconica?
"Ho un incontro con dei ragazzi di quarto anno per aiutarli in Trasfigurazione," mi avvertì Julian, facendomi sollevare gli occhi dal mio libro. Eravamo seduti sulle poltrone in Sala Comune, in un angolino troppo lontano dal fuoco per i miei gusti, cercando di isolarci rispetto alla massa di studenti di ritorno dalle lezioni che la affollava. Potevo vedere Livia e Noah giocare come al solito a scacchi, e Isabelle venire letteralmente assediata da un gruppo di ragazzine più piccole che le chiedeva se potesse prestar loro delle riviste Babbane, e poi Albus, che con Patricia Williams, una delle giocatrici di Quidditch dei Corvonero, faceva dei calcoli per sapere chi avrebbe vinto la Coppa a fine anno.
L'atmosfera era, appunto, delle più tranquille, ma io non avevo alcuna voglia di stare con loro, nessuno di loro. Mi sentivo tradita e infastidita da quelle persone che amavo con tutta me stessa, e a questa sensazione si aggiungeva l'irritazione proveniente dal non aver visto Malfoy per tutto il giorno, tranne che per tre ore a lezione, trascorse lontani e senza guardarci. Non era niente di diverso da quel che avevamo vissuto da fine febbraio, giusto, ma dalla sera prima avevo creduto che avessimo riallacciato un minimo di amicizia, che ci fossimo dimostrati che magari l'amore tra di noi era finito, ma che la complicità che ci legava sarebbe rimasta. Invece era tutto tornato come prima, e io avevo perso la capacità di sopportarlo.
Avrei solo voluto afferrarlo per la divisa e chiedergli che diavolo di problema avesse con me. Insomma, non mi aspettavo nulla, avevamo rotto, per l'amor del Cielo, ma avevamo gli stessi amici, le nostre famiglie stavano sempre insieme, e avevamo condiviso qualcosa che non avevamo mai provato con nessun altro. Almeno poteva fare lo sforzo di impegnarsi nel conservare un rapporto decente. Però non ne avevo il coraggio, e ciò mi confinava su quella poltrona, con lo sguardo basso e un libro sulle ginocchia.
"Rose?" mi fece di nuovo Julian, con una ruga tra le sopracciglia corrugate. Lo fissai senza espressione. L'affetto che provavo per lui era enorme, e sapevo che se le cose con Malfoy non fossero migliorate prima o poi avrei imparato ad amarlo, anche con il suo aiuto, ma non se l'unica cosa a cui pensavo era il maledetto Serpeverde.
"Mh?" replicai, finalmente realizzando che stava parlando con me, e scacciando l'immagine del biondo dalla testa.
"Ti ho detto che devo aiutare dei ragazzi del quarto anno," ripeté con pazienza. "Vuoi venire con me? In biblioteca, intendo."
L'ultima cosa che volevo era andare in biblioteca, al momento, però era sicuramente meglio di restare lì dentro, con tutti felici e contenti senza prestarmi la minima attenzione. Almeno così avrei potuto mettermi da qualche parte senza dover per forza parlare con nessuno, e leggere in santa pace. Allora annuii in risposta, e accettai volentieri la sua mano per alzarmi.
Julian era l'unica persona al momento che non mi irritava vedere. Fui io a insistere perché le nostre dita restassero intrecciate anche mentre arrivavamo al quarto piano. Credevo fosse per due motivi: sia perché con la sensazione di essere trascurata sentivo la necessità di avere contatto fisico con qualcuno, e sia perché da lui, in fin dei conti, non mi aspettavo nulla. Stavamo insieme da una settimana, non eravamo mai andati oltre il bacio a stampo, ed era perfettamente credibile che si fosse dimenticato del mio compleanno. Non eravamo mai stati chissà quanto vicini, e se non c'era nessuno a ricordarglielo era tollerabile. Ma Izzy, Hugo, Albus, le mie persone più care. Come poteva passare di mente qualcosa di così importante? Non perché fosse il mio giorno nello specifico, ma in generale io non mi sarei mai dimenticata dei loro.
Di loro.
I ragazzini che lo aspettavano seduti ad uno dei grandi tavoli circolari si illuminarono come ci videro arrivare. Non sapevo se sperassero anche nel mio aiuto, probabilmente sì, e di norma non avrei esitato a offrirmi volontaria se non avessero capito qualcosa. Tuttavia, davvero ero stanca, arrabbiata e delusa e non avrei fatto nulla di costruttivo se non gridar loro contro. Lasciai che Julian mi desse un bacio sullo zigomo, e mi sussurrò qualcosa che ero troppo distratta per capire. Poi, sentendo il primo flusso di pacata gioia di quella giornata da dimenticare, lasciai quel gruppetto alla loro lezione e mi avventurai nella Biblioteca di Madama Pince.
Si trattava di una stanza grande quanto tutto il piano, fatta eccezione per l'aula di Alchimia, ed era composta da centinaia di stretti corridoi su cui si affacciavano migliaia di scaffali contenenti decine di migliaia di volumi. Era anche piuttosto piena per essere un venerdì, ma alla fine la mole di compiti si stava infittendo sempre di più in vista degli esami di fine anno, e quasi nessuno poteva permettersi di trascorrere un intero pomeriggio a non far nulla. Proprio perché quasi ogni tavolo era pieno, e i bisbiglii di ogni studente, nonostante i rimproveri della bibliotecaria, creavano uno sgradevole sottofondo, la mia attenzione venne attirata dalla Sezione Proibita.
Se superai quella corda che delimitava la parte accessibile da quella vietata, non fu tanto perché avevo voglia di trasgredire le regole, più perché non mi andava di preoccuparmi di rispettarle. Il miscuglio di emozioni nel mio stomaco mi impediva di riflettere lucidamente, aggravato dalla distrazione data dal chiacchiericcio incessante. Volevo che la gente smettesse di salutarmi e chiedermi come stessi, se poi a nessuno importava davvero di me.
Potevo suonare melodrammatica, frivola, ma sapere che il giorno del mio compleanno non rappresentava nulla per coloro che amavo era più che disturbante, era deprimente. Lanciai un'occhiata Madama Pince, occupata al momento a fare una sfuriata a qualche studente per un libro non riconsegnato entro la scadenza, e velocemente gettai la gamba oltre il cordone.
Quanto era diversa l'atmosfera dalla notte in cui io e Malfoy ci eravamo messi insieme, quanto era diversa la situazione, quanto eravamo diversi noi. Avevo trascorso il mese passato dentro la Biblioteca, eppure quello era l'unico ricordo che mi veniva in mente. Camminai tra i lunghi corridoi badando a fare meno rumore possibile, stando anche attenta a non sfiorare quei libri oscuri. Più volte mi era capitato di dimenticarmi della loro magia, e di aver fatto allarmare tutti i presenti. Dato che questa volta non avevo nemmeno il permesso per stare lì, ero più che mai intenzionata a non fare danni.
Così magari avrei passato pure la serata in punizione, come coronamento di un giorno perfetto.
Anche se, qual era l'alternativa?
Mi gettai un'altra occhiata alle spalle per sincerarmi che non ci fosse nessuno, poi presi il libro intitolato Oscuri Presagi dallo scaffale - che ero sicura non avrebbe gridato perché l'avevo preso in prestito qualche settimana prima - e iniziai a girare per i corridoi stretti per trovare un posto dove sedermi. Per evitare che gli studenti non autorizzati facessero capannello lì dentro, i larghi tavoli rotondi del resto della Biblioteca erano stati tolti, rimpiazzati da altre pile di libri a non finire; per questo potevo giusto sperare in un angolino confortevole dove accucciarmi, non di certo in una poltrona comoda come quelle della Sala Comune.
Almeno qui non avrei dovuto fingere, o parlare con persone che in quel frangente non avevo voglia di vedere.
"Ti stai nascondendo da qualcuno?"
La voce di Malfoy mi fece letteralmente sobbalzare. Mi dovetti portare una mano alla bocca per non gridare, gli occhi spalancati e il cuore che pompava in maniera furiosa. Mi girai nella sua direzione, e rimasi, come sempre, colpita dalla sua bellezza indescrivibile.
Era appoggiato con una spalla allo scaffale accanto a noi, il capo inclinato di lato e la cravatta gettata attorno al collo, sfatta. I suoi occhi, mercurio liquido, mi fissavano divertiti, e così la sua bocca perfetta era piegata in un sorrisetto.
Incrociai le braccia al petto. "No, non mi sto nascondendo da nessuno. Tu che ci fai qui?" domandai poi, "non dovrebbe essere questo il Reparto Proibito per un motivo?"
Lui sbuffò una risata, e scrollò appena le spalle. "Potrei chiederti la stessa cosa. Da come ti guardi intorno sembra proprio che tu non abbia l'autorizzazione per stare qui. Che fine ha fatto il Caposcuola perfetto?"
Lo guardai male. "Il Caposcuola perfetto," rimarcai, ripetendo la sua espressione, "potrebbe toglierti cinquanta punti."
Stavolta si mise proprio a ridere, il che mi fece controllare nervosamente che non ci fosse nessuno nei paraggi a sentirlo. "Ancora con questa storia?" chiese, con un sorriso brillante - di quelli che amavo, io, quelli che chiamavo da fossetta. "È una minaccia che non può funzionare se anche io sono Caposcuola, Weasley."
Mio malgrado venne da sorridere anche a me, e mi coprii la bocca con la mano simulando un accenno di tosse. Lui ovviamente lo notò - non gli sfuggiva mai niente - e il suo divertimento crebbe.
Era sbagliato che stare con lui non mi desse alcun fastidio rispetto a tutti gli altri, perché si era dimenticato di me esattamente come loro. Tuttavia, magari quello era stato uno dei motivi per cui ero stata nervosa tutto il giorno. Il non vederlo era stato un macigno sul mio stomaco, e solo quando mi ero ritrovata a ridere avevo notato che si era dissolto. Ma di che mi sorprendevo più, ormai? Lui per me aveva sempre rappresentato, nel suo caos e nella furia che mi suscitava, un porto sicuro. Poteva essere una contraddizione, ma preferivo essere irritata per le sue azioni che serena con chiunque altro, perché almeno voleva dire che c'era, che era una presenza stabile nella mia vita.
Quell'incubo così brutto, quell'evento che mi aveva stravolto la nottata, alla fine aveva avuto i suoi risvolti positivi: sapere che ci saremmo sempre stati l'uno per l'altra in momenti di bisogno, a prescindere dalla nostra situazione amorosa - al momento un disastro - era quel che ci era servito per mettere il comportamento infantile da parte. Adesso non era più strano e incredibilmente doloroso essere anche solo nella stessa stanza, ma solo malinconico e nostalgico; adesso potevo incontrare i suoi occhi e non vedervi solo rabbia e disgusto; adesso potevamo sostenere una conversazione civile, più o meno, come stavamo facendo in quel frangente.
Certo, vederlo equivaleva comunque per me ad una stilettata nel petto, ma alla fine era meglio averlo vicino e soffrirne un po' che averlo lontano e starci malissimo. Speravo che questo ragionamento valesse anche per lui, in realtà.
Roteai gli occhi, fingendomi scocciata ma segretamente sperando di poter prolungare quel momento il più a lungo possibile. "E allora che ci fai tu, qui?"
Si fece all'improvviso guardingo, come se avessi toccato un tasto in qualche modo dolente. "Oh, io..." si passò la mano sulla nuca, a disagio. "Stavo cercando un posto tranquillo, in verità. Sembra proprio che quando non vuoi incontrare nessuno, il mondo si metta d'accordo per rincorrerti."
Sospirai, appoggiandomi con le spalle allo scaffale. "Non dirlo a me."
Il suo sguardo assunse un aspetto tagliente. "Non mi dire che stai scappando dal tuo nuovissimo fidanzato," disse, con una nota arrogante nella voce.
Avrei potuto confidarmi con lui, avrei potuto dirgli che le cose con Julian non erano così semplici, e che tantomeno avevo scelto di mettermici insieme perché non amavo più lui; però il modo in cui parlò stuzzicò inevitabilmente il mio orgoglio Weasley, che ad essere sinceri non se la stava cavando tanto bene ultimamente. Possibile che non appena avevamo un attimo di tranquillità da condividere da soli doveva per forza dire qualcosa che mi dava sui nervi? Solo lui riusciva a farlo così spesso, e avevo la convinzione che lo facesse di proposito.
"E con questo cosa vorresti dire?" sbottai, anch'io risentita dalla sua affermazione.
Alzò un angolo della bocca in un sorriso altero. "Niente, mi chiedevo se non aveste già problemi in Paradiso."
Le sue parole mi fecero perdere la calma. "Fidati che anche se fosse, e non è," sottolineai con ferocia, "saresti l'ultima persona a cui lo direi."
Fece un passo in avanti, senza togliersi quel maledetto e infuriante sorrisetto dalla sua faccia stupidamente bellissima. "Ah no?" chiese, sogghignando, "e perché non a me? Sai che ti capisco più di chiunque altro. Ti conosco come le mie tasche, Rose."
Sapevo che era vero, che il rapporto che avevamo condiviso, al di là dell'aspetto propriamente amoroso, aveva permesso di stabilire una connessione indissolubile e oltremodo profonda, ma sentirselo dire con quella superbia, come se fosse stato un punto a mio sfavore, mi fece vedere rosso.
"Non conosci tutto di me, invece. E poi," anche io compii un passo verso di lui, che si era sensibilmente avvicinato a me, "che ne sai che stando con Julian non sia cambiata?"
Ero certa di aver toccato un suo punto debole, perché aveva sempre avuto una gelosia di fondo nei confronti del mio compagno di Casa; e infatti il suo volto si inasprì, indossando una maschera di furia. Si fece così vicino che le punte delle nostre scarpe si sfioravano, e dovetti reclinare il capo all'indietro per poterlo continuare a guardare negli occhi, a sostenere il suo sguardo di sfida. Quella prossimità, tanto simile a quella della notte precedente eppure rivestita di emozioni del tutto diverse, mi fece per un attimo annebbiare la mente. Mi riscossi tuttavia in fretta, in quanto mai permesso al suo fascino e ai miei ormoni di farmi avere la peggio in uno scambio.
"Se ti avesse cambiata, avresti la prova dell'essere schifoso che è," dichiarò, con una quantità di veleno nella sua voce che mi stordì.
"Non per forza deve essere un cambiamento negativo," gli feci presente, confusa da tanto risentimento nei confronti di una persona con cui aveva scambiato sì e no due parole.
Sbuffò. "Ma sentiti, Weasley. Gli sei già caduta ai piedi."
Sentii le guance imporporarsi contro la mia volontà. "Non è vero, sei tu che sei prevenuto. Credi che solo perché non sia tu—"
Si animò all'istante, quasi come se una pura scarica di rabbia lo avesse pervaso. "È questo che pensi che sia? Che si tratti di semplice gelosia?"
"Cos'altro dovrebbe essere?" chiesi io di rimando, sempre più perplessa. Quale altro motivo poteva esserci dietro il suo odio verso Julian?
Lui mi guardò a lungo, scrutandomi con quegli occhi grigi e verdi, come se fosse stato lui stesso alla ricerca di una risposta. Poi compì un ultimo passo, così vicino che i nostri petti praticamente si toccavano, e il suo profumo mi invase, riempiendomi di una sensazione dolceamara. Alzò un braccio e lo portò allo scaffale contro cui ero appoggiata, chinando la testa per portarla a pochi centimetri dal mio volto.
"Non ti farà mai sentire come vuoi tu," mormorò, a bassa voce.
"Questo non puoi saperlo, Scorpius," ribattei, anche se avrei voluto dirgli tutt'altro.
Devo accontentarmi, visto che tu mi hai lasciata, stupido che non sei altro.
Mollò la presa sullo scaffale e si allontanò, con una bassa risata sarcastica che mi fece solo sentire male. "Ridicolo."
Quella sua affermazione mi fece di nuovo arrabbiare. "Cosa è ridicolo, eh?" domandai, furibonda, facendolo voltare ancora nella mia direzione. Potevamo essere nella Sezione Proibita, ma non mi curai affatto di aver parlato a voce troppo alta. "È forse ridicolo il fatto che dopo aver rotto con me, tu abbia il coraggio di farmi la predica? Che ti senta in diritto di criticare colui che ho scelto al tuo posto? Che—"
"Lo vedi?" esclamò lui in risposta, "lo stai ammettendo tu stessa che è soltanto un patetico rimpiazzo."
Mi morsi immediatamente la lingua. "No, non è vero, io... insomma..."
Con due falcate fu davanti a me. "Almeno lui ti fa sentire viva?" mi guardò dritta negli occhi, senza fare una piega. La passione con cui pronunciò quell'ultima parola mi tolse il fiato dai polmoni: rimanemmo a fissarci, entrambi sbalorditi dall'intensità con cui aveva parlato.
Mi faceva sentire viva?
Ma come avrebbe potuto, se il mio cuore era già irrimediabilmente perso per colui che avevo davanti?
"Chi va là?"
E subito dopo la doccia ghiacciata: la voce di Madama Pince, la più intransigente del corpo docenti, capace di spaventare pure quel terrore conosciuto come la professoressa Keynes di Antiche Rune, risuonò per i corridoi della Sezione Proibita, minacciosa e letale.
Malfoy si portò un dito alle labbra a intimarmi di fare silenzio, anche se sicuramente non ce n'era bisogno, dato che ero pietrificata. Cercai di ragionare in fretta, ma non c'era molto da fare - nascondersi era impossibile, quella strega conosceva la Biblioteca come le sue tasche, e io non mi ero portata dietro il Mantello dell'Invisibilità. Lui sembrò giungere alla mia stessa conclusione, perché si fece serio. "Non ho alcuna intenzione di passare la serata in detenzione, e tu?"
Scossi la testa, cercando di capire dal rumore dei passi della bibliotecaria quanto fosse ancora lontana da noi.
Malfoy mi prese per le spalle. "Dobbiamo correre, Weasley."
"Dobbiamo cosa?" chiesi di rimando, stordita, ma lui non mi diede tempo di elaborare. Mi afferrò la mano e mi tirò in avanti, obbligandomi a seguirlo.
"Corri!"
Con l'unico contatto solido la sua mano stretta nella mia, misi in moto le gambe e mi lasciai trascinare. L'adrenalina mi schizzò alle stelle quando realizzai che c'era una sola uscita dalla Sezione Proibita, e per poco non gridai quando mi vidi sgambettare incontro la stessa Madama Pince.
Malfoy mi strattonò con più forza, e il mio frastornamento lasciò subito spazio alla lucidità più acuta, l'unica qualità che poteva impedirmi due ore di punizione quella notte. Mi dispiaceva per la signora bibliotecaria, ma il mio compleanno, festeggiamenti o no, non l'avrei trascorso a lucidare i trofei o a dare l'acqua alle piante di Neville.
Per questo mi resi conto che avevo ingranato la marcia, aumentando la corsa fino a superare il mio compagno; lui mi guardò stupefatto, chiedendosi probabilmente che diavolo mi fosse preso, e la sola risposta che riuscii a dargli fu una risata che aveva dell'isteria, ma anche dell'eccitazione pura.
Dovemmo prendere la rincorsa per non
fermarci di fronte alla corda che delimitava la Sezione, e fui certa che se non ci fosse stata la sua mano a darmi lo slancio sarei inciampata rovinosamente, facendo una pessima figura. Invece le mie gambe funzionarono a dovere, e con un salto coordinato con quello del biondo superai il cordone.
Mi arrischiai a guardarmi alle spalle, e trovai in lontananza la figura di Madama Pince che, in barba alle regole della Biblioteca, strillava come un'aquila, puntandoci il dito contro e sforzandosi di correrci appresso.
Vidi che anche Malfoy la stava guardando, e riprendemmo a correre veloci, senza interrompere quel contatto che ci legava, e con la risata pronta ad esploderci nel petto. Evitammo con maestria le numerose persone in piedi e i tavoli gremiti, con l'unico obiettivo quello di raggiungere la porta e filarcela dove la strega non poteva trovarci. Per fortuna sarebbe stata praticamente cieca, se non fosse stato per quegli occhialetti rotondi sul naso adunco, e dubitavo che in un inseguimento del genere avesse avuto modo di metterci a fuoco.
Non sentii l'impulso di fermarmi neppure quando passammo davanti a Julian, che come ogni studente lì dentro ci vide sorpassarlo con la bocca spalancata e lo sguardo indubbiamente ferito. Osservai come i suoi occhi si posarono sulle nostre mani intrecciate, e mi dispiacque per lui. Mi ripromisi che ci avrei parlato, avrei chiarito le cose, ma quella non era certo l'occasione più adatta, e per questo lo superai con il fiato corto.
Sperai con tutto il cuore che nessuno degli studenti avrebbe fatto la spia riferendo i nostri nomi alla bibliotecaria, ma alla fine, considerai, trascorrere la nottata con Malfoy non poteva dispiacermi così tanto.
Anche se era quella del mio compleanno.
"Di qua," fece Malfoy, una volta fuori dalla Biblioteca, senza darmi modo e tempo di riprendere fiato. Si gettò verso le scale, scegliendo, sfortunatamente, quelle che portavano al quinto piano anziché al terzo. Era ovvio che contasse troppo sulle mie capacità memorie, perché un altro minuto e sarei stramazzata al suolo.
Soltanto quando fummo davanti alla statua di Boris il Basito, che conduceva allo straordinario Bagno dei Prefetti - uno dei luoghi d'intimità preferiti di Albus e Izzy, - mi concesse di fare una pausa. Lui si mise con le spalle al muro, reclinando la testa bionda all'indietro, e io mi piegai sulle ginocchia, emettendo dei suoni per recuperare ossigeno che sarebbero potuti essere confusi con quelli propri di un tricheco. "Oh Dio," mormorai, con una mano sulla milza. "Se ci ha riconosciuti siamo morti."
Non riuscii a finire la frase che lui mi colse del tutto impreparata: scoppiò a ridere. Ora, io l'avevo visto e udito ridere molte volte, e il modo in cui lo faceva aveva sempre contribuito a farmi innamorare un filo in più di lui. Aveva una risata non troppo roca, contagiosa, profonda, che faceva vedere le sue bellissime fossette, e che ti obbligava a sorridere di riflesso. Ma la maniera in cui rise in quel momento, con ogni probabilità non me la sarei mai dimenticata.
Se avessi dovuto descriverla l'avrei definita la risata di un bambino. Sincera, gaia, dettata da una pura forma di divertimento. I denti bianchi brillarono alla luce delle lanterne, e il suono, il suono mi arrivò dritto all'anima. Mi portai di riflesso una mano al cuore, completamente rapita da quell'immagine, da lui.
"Hai visto la sua faccia?" mi chiese, venendomi incontro con gli occhi che rilucevano come animati da vita propria. Fece un'altra risatina, non accortosi di come lo stavo guardando, sbigottita e al contempo adorante. "È stato—"
Si interruppe di colpo, e perse ogni ilarità. Puntò lo sguardo alle mie spalle, e l'espressione del viso gli si indurì come se avesse colpito in pieno un muro. Mi voltai anch'io, temendo che ci avesse trovati Madama Pince, o peggio, la Preside, ma mi ritrovai davanti Julian - un Julian furibondo, dai pugni stretti lungo i fianchi e l'aria tempestosa.
"Che problemi hai, eh?" gridò, ignorando me e rivolgendosi al ragazzo che aveva di fronte.
Scorpius alzò un sopracciglio, il ritratto della calma. "Perdonami?" chiese, ironico e con una faccia da schiaffi.
Julian ebbe un tremito dalla furia. Mi affrettai a toccargli il braccio per tranquillizzarlo. "Jules, non stavamo facendo niente, non—"
Lui posò gli occhi su di me, neri a causa della rabbia invece che verdi come al solito. "Ma ancora non capisci, Rose?" domandò, collerico. "Non capisci come fa?"
Maledissi me e quella situazione in cui mi ero andata a cacciare. Avrei voluto risolvere il problema mentre stavamo da soli, non davanti a Malfoy. "Julian," sospirai, "non è il caso."
"Sì, Julian," intervenne il biondo, vanificando in un attimo i miei sforzi da pacificatrice, portando un ghigno sarcastico, "perché non dai retta alla tua fidanzatina?"
Il ragazzo digrignò i denti e gli puntò il dito contro, affondandoglielo nel petto muscoloso nonostante l'altro fosse più alto e piazzato. Mi ero dimenticata quanto Scorpius odiasse il contatto fisico con persone con cui non era intimo, e quasi mi spaventai nel vedere un'espressione da brividi oscurargli lo sguardo.
"Senti," fece Julian altrettanto violento, "voi due avete rotto. Non state più insieme. Devi imparare ad andare avanti, senza sbavarle dietro. E lo dico per il tuo bene, perché altrimenti non vivrai più."
Detto questo se ne andò, veloce e improvviso com'era arrivato.
Non aveva mai parlato con tanta sofferenza, con veemenza, come se ci tenesse davvero a me e alla nostra relazione; fosse stato chiunque altro avrei scelto Malfoy, avrei scelto Malfoy per il resto della mia vita, ogni giorno, ma era di Julian che stavamo parlando. Quel ragazzo mi aveva dato il beneficio del dubbio quando nessun altro l'aveva fatto, mi aveva sempre trattata come una persona a lui pari senza idolatrarmi falsamente o agire alle mie spalle; mi aveva aiutata a integrarmi di nuovo quando ero uscita dal dormitorio, distrutta, a pezzi per la rottura con Scorpius; in ogni gesto che faceva, dal portarmi da M.A.E.S.T.À. fino a rendersi disponibile per ascoltarmi ripetere gli studi scolastici fino a tarda notte, lui c'era. Si era dimostrato gentile, disponibile, una persona buona, a dispetto di un'Aura potenzialmente catastrofica.
E comunque, se c'era una cosa che davvero non potevo sopportare, era l'idea di star facendo del male a qualcuno a cui tenevo, e probabilmente fu quello che Malfoy mi lèsse nello sguardo - profondo rammarico, quasi disperazione, tristezza, sensi di colpa per la sofferenza che gli avevo recato e che mi aveva mostrato - quando annuì. Annuì, e si mise le mani in tasca, con un sorriso colmo di amarezza. "Vai, Rose," disse, "è giusto così."
Esitai solo per un istante, prima di voltarmi e raggiungere Julian, ovunque fosse.
^^
"Non sono in vena," mormorai, mogia, con il volto affondato nella felpa che un tempo era appartenuta a Hugo.
Le dita del mio ragazzo, che fino a poco prima stavano correndo tra i miei capelli, si fermarono. "Avanti, non fare la guastafeste."
"Non faccio la guastafeste," replicai, la voce soffocata dal tessuto dell'indumento premuto sul viso, "è che non mi va di uscire."
"Ma è venerdì," provò ad insistere. La sua mano passò a sfregarmi la schiena, con movimenti calmi e rassicuranti. "C'era una cosa che volevo farti vedere."
"Che cosa?"
"Be', devi venire con me per scoprirlo, no?"
Con un mugghio degno di una mucca gli feci capire che non ero della stessa idea.
Quella depressione che provavo da quella mattina, e che mi aveva lasciata solo quando avevo avuto a che fare con Malfoy, non aveva fatto altro che infittirsi nel tempo. Adesso era passata da due ore la cena, e mi sentivo più sola e abbandonata che mai. I miei amici non si erano nemmeno curati di trascorrere la serata con me: Izzy, con un sorriso enorme, mi aveva annunciato che lei e Albus sarebbero andati a fare una passeggiata ad Hogsmeade per il loro mesiversario; Kalea aveva, sorpresa delle sorprese, un incontro con Dave per parlare della nuova ossessione del mese, il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde; Livia e Noah stavano facendo un torneo di scacchi con Troy e Simon, e mio fratello, Lily e Roxanne erano in punizione per uno scherzo che aveva quasi fatto rompere una gamba a Lumacorno.
Mi sarebbe piaciuto, in circostanze normali, trascorrere una serata tranquilla con Julian a parlare e scherzare, ma diciotto anni non si compivano tutti i giorni. Avevo trascorso il resto della giornata nella speranza che tutti spuntassero fuori per farmi gli auguri quando meno me l'aspettavo, ma eravamo arrivati praticamente alle undici di sera e avevo ormai perso le speranze. Forse credevano tutti che sarebbe stato il giorno dopo, mi ero consolata, e alla fine era venuto il dubbio anche a me.
"Avanti, Cap," ridacchiò Julian, circondandomi con le braccia e facendomi girare nella sua direzione. I suoi occhi verdi erano pieni di ilarità, e le labbra piegate in un sorriso dolce. "Fidati di me."
Non ero affatto convinta e la voglia di uscire rasentava il livello del suolo, ma alla fine non avevo nulla da perdere. Annuii, e lui si chinò in avanti per darmi un bacio. La mia immediata reazione fu quella di scostarmi, ma la combattei, e quando le nostre bocche si unirono l'unica cosa che pensai fu che, anche se non era una sensazione sconvolgente come quella che mi possedeva quando baciavo Malfoy, non era affatto male.
I nostri baci fino a quel momento erano stati questione di secondi, fugaci, giusto per dimostrare l'affetto nei confronti dell'altro. Infatti lui si scostò subito, ma un miscuglio di emozioni contrastanti mi invase, prima fra tutte la nostalgia, e per questo afferrai la sua maglia e riportai i nostri volti vicini per prolungare quel contatto. Non eravamo mai andati, appunto, oltre il bacio a stampo, e quando socchiusi le labbra si lasciò sfuggire un gemito di sorpresa. Le sue braccia mi circondarono, portandomi sul suo bacino, e le lingue, dapprima timidamente, poi sempre con più enfasi, si cercarono, un misto di respiri affannati e eccitazione che mi diede il capogiro.
Non mi sarei neanche mai sognata di baciarlo in quel modo, ma gli ormoni giocarono buona parte della partita al posto mio, e fu solo quando i polmoni di entrambi furono a corto di ossigeno che ci separammo, con un ultimo schiocco rumoroso. Lo guardai, e riflessi nel suo sguardo v'erano passione, desiderio, sorpresa, affanno - quel che, ero convinta, stava anche nel mio.
"Non so se voglio uscire di qui, adesso," scherzò, portandomi indietro una ciocca di capelli che mi era scivolata davanti al viso.
Mi venne da ridere. "Su, mostrami questa grande sorpresa."
Dovetti ammettere che non gli prestai particolare attenzione. Ero da un lato, man mano che acquisivo maggiore lucidità, stupefatta di come fossi stata io a lasciarmi andare, mentre dall'altro non potevo fare a meno di paragonare l'esperienza appena vissuta con i milioni di baci con Malfoy. Per questo, essendo la mia mente così impegnata a vagare nello spazio, non mi resi conto di dove fossimo fino che non ci ritrovammo di fronte al ritratto di Beaumont Marjoribanks, l'Erbologo inglese che avevo già avuto modo di conoscere.
I miei piedi si fermarono come se fossero diventati di marmo. Fissai l'anziano signore dai baffi bianchi che dormiva serenamente seduto sulla sua poltrona, senza espressione.
"Non posso," fu l'unica cosa che potei dire.
Julian mi fissò con tanto d'occhi. "Sai già di questo posto? Ma è bellissimo," proseguì, "perché non vuoi andarci?"
Lo guardai a mia volta, provando pena nei suoi confronti quanta ne provavo nei miei. Come avrei fatto a dirgli che quel luogo, il Giardino Botanico, un piccolo gioiello incastonato nel Castello, custodiva anche uno dei ricordi più dolci che serbavo di Scorpius? Il campo di girasoli, il modo in cui mi aveva baciata, la sua voce soffice nell'augurarmi un buon San Valentino, erano tutti particolari di una serata che era stata perfetta, in cui il cuore mi era praticamente esploso di gioia nell'averlo al mio fianco.
Non l'avrei mai rovinato portandoci qualcun altro, anche se quel ragazzo era il mio attuale fidanzato. Contaminare quel ricordo avrebbe significato contaminare la mia stessa anima.
"Non posso," ripetei, distogliendo lo sguardo dal suo e posandolo sul ritratto. "Non posso, Julian."
Il ragazzo posò una mano sul mio gomito, facendomi girare nella sua direzione. Portò entrambi i palmi al mio viso, e lo racchiuse teneramente, cercando i miei occhi. "Rose, non voglio costringerti," sussurrò, accarezzandomi gli zigomi con dolcezza. "Non lo farei mai, per niente al mondo. È che—" scosse la testa, forse cercando le parole adatte. "C'è una cosa che dovresti davvero vedere."
Fu il suo tono urgente che, come al solito, mi persuase. Davvero non c'era nulla che non avrei fatto per farlo smettere di star male o di preoccupare, lui come chiunque altro: era la mia empatia a impormelo. "Giuro," aggiunse, con un sorriso gentile, "cinque minuti e ce ne andiamo."
Mi tenne la mano per tutto il tragitto. Io avevo il cuore in gola e ogni organo interno al posto sbagliato, convinta di star compiendo il peggiore degli errori nell'andare in quel luogo, per certi versi sacro, con qualcuno che non era Malfoy.
Julian afferrò con la sinistra la lanterna appesa alla parete mentre io mi scusavo per aver svegliato il signor Marjoribanks, e mi tenni stretta al corrimano per non cadere. Come la volta precedente, dopo solo un metro si rivelò la scala a chiocciola fatta di pietra, in cui i miei due appoggi - Julian e il corrimano - furono indispensabili per non finire a gambe all'aria sui gradini scivolosi. Non dicemmo una parola, io con una terribile sensazione viscerale di star sbagliando tutto e lui con la concentrazione di chi guardava dove procedere. Percorremmo lo stretto passaggio che costeggiava il rivolo d'acqua, quelle reflue che sarebbero poi state scaricate nel Lago Nero.
Anche se già ero stata nel Giardino Botanico sotterraneo, sbucarvi dal buio del passaggio fu una gioia e una sorpresa. Teoricamente l'ambiente non era affatto cambiato - un largo spiazzo dove la pietra lasciava il posto a terra fertile e coltivazioni selvatiche delle più svariate piante, tra cui qualche pianta di Giana, viole del pensiero e piante di fagioli magici di tutte le specie; lateralmente un piccolo laghetto, dove cresceva l'Algabranchia e le piante Zeus, faceva da recinto a una Pianta Caramella dai rossi frutti succosi; le pareti in roccia erano coperte da tentacoli di Frullobulbo e uno squarcio garantiva, di giorno, un'illuminazione adeguata per le piante e per la vista; e infine, appeso alla parete più grande, tra i rampicanti, era possibile dialogare con il dipinto di Artemysia Wickett, una giovane Erbologa.
Appunto, sarebbe stato tutto identico, se non fosse stato per un solo, minimo particolare: Isabelle Parker.
Non solo una "normale" Isabelle, per quanto normale potesse essere considerata, ma con un vestito corto davanti e lungo dietro, color viola e tempestato di minuscoli brillanti, scollato fino allo stomaco e ivi legato con un fiocco vistoso. Il pendente bianco e argento, che riempiva lo scollo, sembrava splendere di luce propria, così come gli orecchini coordinati. Rimasi a bocca aperta: non l'avevo mai vista più bella.
"Izzy, cosa..." provai a dire, ma non trovai le parole.
"Pensavi davvero," fece, mettendosi le mani sui fianchi, "che ci fossimo dimenticati del tuo compleanno?"
Tese in fuori il braccio che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro il braccio, e rivelò la bacchetta, che alzò con un ghigno divertito in volto. "Illuscindum," mormorò, sfruttando quella stessa formula che avevamo appreso in Difesa avendo a che fare con l'Hevardan. Nemmeno il tempo di pronunciare l'incantesimo e l'Illusione ambientale cadde, rivelando davvero l'ultima cosa che mi sarei aspettata, ovvero, be', tutti quanti.
Immersi nella floridezza del Giardino Botanico, stavano non solo tutti i miei amici, ma anche, avrei detto, mezza Hogwarts. C'era Albus, un passo dietro Izzy, con una camicia bianca che faceva sembrare i suoi capelli color dell'inchiostro ancora più scuri, quasi un buco nero; c'era Hugo, poco più in là, che si stava sporgendo per recuperare uno dei succosi frutti rosso acceso della Pianta Caramella; c'erano Noah e Livia, che avevano spinto il povero Dave in uno spiazzo dotato di Fagioli Engorgianti, che con il loro metro di lunghezza si erano attorcigliati attorno al suo busto scambiandolo per un sostegno; c'era Lily, che stava cercando di convincere James - quel ragazzo era ovunque - a toccare una delle infiorescenze della Pianta Zeus, che se infastidite potevano rilasciare una scossa elettrica capace di fulminare chiunque si trovasse nei dintorni del laghetto.
Vederli tutti alle prese con il posto che, adesso potevo dirlo, più preferivo dentro l'intera Hogwarts mi scaldò il cuore in modo incredibile. Il sorriso di Izzy crebbe in modo direttamente proporzionale al mio. Sentii l'animo man mano alleviarsi di tutte le sensazioni negative che vi si erano concentrate da quando mi ero alzata quella mattina.
Allora non si sono dimenticati di me, pensai, che stupida.
L'ansia, la sofferenza e la preoccupazione di quei giorni, lo stress per la situazione con Julian e Scorpius, la storia dell'incubo, l'alzataccia nel cuore della notte... com'era possibile che avessi pensato che non tenessero a me? Ero arrivata persino a dubitare io stessa della data - il che era una cosa davvero assurda.
"Voi—avete fatto questo per me?" chiesi, a bocca aperta. Erano vestiti tutti eleganti, e il Giardino Botanico era stato allestito per l'occasione, pur sempre nel rispetto delle specie botaniche e della sua guardiana, che non immaginavo come fossero riusciti a corrompere. C'erano lunghi tavoli recuperati chissà da dove, pieni di cibo e di bevande colorate, e con festoni ovunque, luci magiche fluttuanti per illuminare la grotta, palloni di ispirazione Babbana che però facevano a gara tra di loro per chi volava più veloce e si gonfiava maggiormente, fino a, molte volte, scoppiare.
"Vieni," fece Izzy, tirandomi in avanti. Mancava all'appello Kalea, oltre che Malfoy, la cui assenza avevo notato sin dal primo istante. Julian lasciò andare la mia mano, che non mi ero neanche accorta di aver tenuto, e mi sorrise incoraggiante. Albus si unì a noi, gli occhi che brillavano: sembrava contento come una pasqua.
Io ero stordita, almeno. Confusa, sorpresa, ma soprattutto stordita. Ricevetti in pochi minuti tutti gli auguri che non mi erano stati rivolti quel giorno, con abbracci vigorosi, pacche sulle spalle, baci appiccicosi e sorrisi e risate per la mia faccia sconvolta. Il cuore mi si gonfiò di gioia nel vedere tutti vicini a me, felici, entusiasti dall'idea che entro poco sarebbe iniziata una vera e propria festa clandestina, la seconda in pochi mesi.
"Va bene che mi dimentico di stendere i panni e di lavare i piatti," fece Hugo con la bocca sporca di zucchero rosso dal frutto della Pianta Caramella, "ma addirittura il tuo compleanno... è questa la fiducia che hai in tuo fratello, Rosellina?"
Non mi riuscii a trattenere e gli gettai le braccia al collo, sorprendendolo con uno slancio affettuoso che non rientrava nelle mie solite manifestazioni. "Non so come abbiate fatto a organizzare questa cosa, ma è stato uno scherzo di merda, Hugo."
Lui scoppiò a ridere. Non ci ero affatto abituata, perché ero sempre stata io la sorella grande, il suo punto di riferimento; per questo, quando mi lasciò un tenerissimo bacio sulla fronte, rimasi frastornata da quanto era cresciuto - non solo in altezza, ereditando quella di papà che aveva ignorato me, ma anche nell'animo. Era diventato grande, anche se continuava a combinare casini, a dare risposte come un bambino e a dimenticarsi di stendere i panni.
"Possiamo non stare insieme tutti i giorni, ma non potrei mai non tenere a te," mi disse, con la guancia posata sulla mia. "Sei la mia sorellona. Anche se non vuoi farmi i compiti di Antiche Rune. Il che è uno scandalo, dico davvero."
"Non passerai mai i G.U.F.O. se te li faccio io," gli ricordai, mettendomi le mani sui fianchi.
"Che Merlino ci assista," replicò lui, fingendosi disperato ma chiaramente divertito. "Anche al compleanno dei diciotto anni Posie Weasley non riesce a non fare una predica."
Izzy intervenne, prendendomi per il braccio. "Scusate, ma non è concesso parlare di scuola, stasera," dichiarò, seria. "Noi dobbiamo prepararci per una festa, e voi dovete finire di mettere gli addobbi e di accogliere i ritardatari." Si rivolse quindi ad Albus, che nel frattempo mi aveva circondato la vita con le braccia muscolose posandomi il mento sulla sommità del capo. "Stella, puoi assicurarti che nessuno fulmini nessuno e che non si faccia indigestione di caramelle? E stai attento ai Fagioli Soporosi, e, ti prego, che qualche idiota non si infilzi con la pianta di Giana."
Gli diede un veloce bacio sulla guancia e poi mi fece cenno di seguirla.
Io ebbi giusto il tempo di girarmi verso mio cugino, che stava osservando la sua fidanzata allontanarsi con le mani in tasca e un sorriso davvero ebete. "Stella?" ripetei, divertita.
Lui scrollò le spalle. "In qualunque modo lei voglia chiamarmi, a me va bene."
Mi scambiai uno sguardo con Hugo, e entrambi mimammo il gesto di dare di stomaco allo stesso tempo, scoppiando poi a ridere. Le risate attirarono l'attenzione di Izzy, che si accorse che non la stavo seguendo, e abbaiò il mio nome. "Scappo, che sennò mi picchia," dissi, agitando la mano, e lasciando i due uomini più importanti della mia vita, senza contare papà, a guardarci sorridenti.
"Non hai capito i salti mortali che abbiamo fatto per diffondere l'ordine di non farti gli auguri," ghignò Izzy, una volta presami a braccetto. "Può sembrare una cosa cattiva, e mi dispiace, Rosie, ma alla fine era l'unico modo per fare una vera festa a sorpresa senza che nessuno parlasse e la rovinasse. La gente era così impegnata a non farti gli auguri che non ci ha neanche pensato a dirti della festa! Ovviamente siamo dovuti andare di minacce, ma non è stato un problema. Scorpius sa essere molto persuasivo, su questo," e ridacchiò. Dalla velocità con cui aveva parlato e dalla luce un tantino da psicopatica che aveva nello sguardo, mi resi conto di quanto fosse eccitata nel fare quella festa. C'era, tuttavia, sicuramente qualcos'altro dietro.
Questo, ovviamente, mi fece riflettere: per cosa poteva mai essere esagitata Isabelle Parker?
La risposta temevo di saperla già.
"Dove mi stai portando, Iz?" domandai, quando mi accorsi che stavamo lasciando il cuore del Giardino Botanico per raggiungere lo spiazzo dove era appeso il quadro della signora Wickett, l'Erbologa. La ragazza aveva un viso molto carino, dalle fattezze asiatiche, forse coreane: capelli neri erano tagliati a caschetto, e nonostante la targhetta indicasse che era vissuta nel diciottesimo secolo, mostrava una ventina d'anni, non molti più di noi.
"Grazie ancora, Artemysia," sorrise gentile Isabelle, fermandosi davanti a lei. "Non so che cosa avremmo fatto se non avessi acconsentito ad aiutarci."
La ragazza si animò di colpo, mettendosi a ridere. "Oh, ma figurati," fece, "non ho praticamente mai compagnia, e di certo non mi aspettavo di partecipare ad una festa!"
"A proposito, lei è Rose," mi introdusse Izzy, affettuosa. "La festeggiata."
"Piacere," intervenni io, "mi dispiace se rivolteremo l'intero Giardino. Ti assicuro che rimetteremo tutto a posto, e nessuno farà del male alle piante."
L'Erbologa rise di nuovo. "Se vi presenterete di nuovo con il biondo come stamattina, penso che vi farò fare qualsiasi cosa..."
Aggrottai istintivamente le sopracciglia. Stava parlando di Malfoy, per caso? Con quella bava alla bocca?
Izzy spalancò gli occhi e poi sorrise, soffocando una risata. "Ah sì, il caro vecchio Scorpius. Meglio conosciuto come il fidanzato di Rose."
Sia io che Artemysia ci voltammo verso Isabelle, fiera come se avesse annunciato di aver superato i M.A.G.O. con voti eccellenti. "Il mio ragazzo?" ripetei io, allibita, mentre il ritratto esclamava: "Ohi ohi, è fidanzato!"
"Be', noi dobbiamo andare," tagliò corto la amica, contenta di aver scatenato il panico come al solito, "potresti aprirci la porta?"
Lei annuì, e prima che me ne rendessi conto Izzy mi aveva spinta attraverso una porticina di legno, già aperta, che dava su una piccola stanza scavata direttamente nella parete rocciosa, praticamente nuda, e illuminata da una lanterna posata sul pavimento. La vera fonte di luce non poteva che essere il vestito di Kalea, il quale sembrava brillare di luce propria, della più morbida, calda e invitante sfumatura d'oro, la stessa identica dei suoi occhi. La pelle scura risaltava su quel colore rendendola più bella e splendente che mai.
"Kelz, ma stai benissimo," mormorai, e Izzy annuì vigorosamente. "Una meraviglia!"
"Tieni," fece lei, sorridendo, e come si mosse l'oro sulla gonna si mosse come se fosse stato liquido, un effetto ipnotizzante. Mi tese una scatola di cartone, chiusa con un fiocco e con una busta di carta infilata sotto un lembo. Izzy prese il cartone permettendomi di leggerla. Chi poteva avermela spedita, e quale era il contenuto segreto?
Passai un dito sotto l'apertura della busta e ne estrassi il cartoncino, sentendone la consistenza rugosa sotto i polpastrelli. Mi sarei aspettata le mie amiche, i miei genitori, Albus, e, detestavo ammetterlo, anche Scorpius; il nome che lèssi mi allibì.
Cara Rose,
buon compleanno. Spero non ti dispiaccia che ti abbia preso le misure, e mi auguro di rivederci presto.
Il tuo petit ami ha insistito.
Sybille Schmitz
La signora Schmitz? Allora non poteva che essere... ma certo. L'entusiasmo di Izzy, la scatola con il fiocco, il segreto di quella stanza isolata.
"Che c'è, pensavi che avresti passato la festa del tuo compleanno in uniforme?" ghignò Izzy, in fibrillazione. Mi schiaffò la scatola tra le braccia. "Avanti, aprila!"
Quando tirai fuori l'abito, un gemito di ammirazione si alzò da tutte e tre. Il tessuto risultò morbido, gonfio al tatto, leggero e composto da molteplici strati sovrapposti sulla gonna. Quando, con l'aiuto delle mie amiche, lo provai, capii che raramente mi sarei sentita così bella nella vita. Era composto da una fascia nera da indossare senza il reggiseno, e che lasciava intravedere attraverso il tessuto la forma dei seni, nonché priva di spalle. Scendeva in una gonna ampia e soffice, lunga fino ai piedi dietro e che arrivava a metà coscia davanti, risultando elegante, semplice ma anche splendido, appariscente nelle sue linee semplici, nel suo gioco vedo-non-vedo. I tacchi alti diedero un tocco sensuale al tutto, aspetto incrementato anche dal modo in cui Kalea velocemente mi legò i capelli, alti sul capo e con due ciocche davanti naturalmente mosse che sfioravano il collo. Izzy tirò fuori una pochette con i suoi trucchi essenziali da una sacca di tela abbandonata lì sul pavimento, che aveva ospitato le scarpe che adesso avevo ai piedi.
"Credo di star per mettermi a piangere," disse Kalea, unendo le mani davanti a sé con gli occhi lucidi dalla commozione. "Non sei mai stata così bella, Rosie."
Izzy finì di applicarmi l'eye-liner e mi lanciò un'occhiataccia. "Non ci credo che hai un'amica che ti fa questo tipo di vestiti e non me l'hai ancora presentata. Sei scandalosa, scandalosa."
La porta si aprì salvandomi dal rispondere. Si affacciò Livia, con una tutina fiorita del solito colore nero - non avrebbe mai indossato nient'altro, conoscendola - e un sorriso smagliante. "Stiamo aspettando solo la festeggiata."
"È pronta!" esclamò Isabelle, prendendo la lanterna e la sacca di tela e riponendole in un angolo della stanza, vicino ad un masso.
Uscimmo all'aperto, al di fuori del ritratto, che gentilmente ci augurò buona serata. Avevo temuto che l'andamento sui tacchi sarebbe stato reso difficoltoso dal suolo su cui eravamo, ma il terriccio non era affatto molle, e ciò permetteva di camminare senza problemi. Il Giardino Botanico si era ancora di più riempito di gente, che chiacchierava con i bicchieri in mano, che rideva alle prese con le piante, che si spingeva nel laghetto per scherzo - ognuno si divertiva a modo suo, e io ero entusiasta di vederlo.
"Tanti auguri, Rose," mi venne incontro Wilhelmina, con le braccia spalancate, e con una Norah con un'espressione versione Grinch alle spalle. Con mia enorme sorpresa la ragazza di Serpeverde, ancheggiando in un meraviglioso vestito verde scuro, mi strinse a sé. "Scusaci se non te li abbiamo fatti prima, ma, sai, il segreto e via dicendo."
"Certo," sorrisi, "nessun problema. Anzi, grazie per essere qui."
Wilhelmina lanciò un'occhiata minacciosa a Norah, che si schiarì la gola, imbarazzata. "Auguri," disse, come se quella sola parola la facesse soffocare.
Apprezzai lo sforzo, sapendo quanto le costava quel gesto. In realtà avevo imparato ad accettare e gradire quelle ragazze, quindi speravo che anche lei prima o poi l'avrebbe fatto.
"Ti lasciamo alla tua folla di ammiratori," rise Wilhelmina, prendendo Norah sotto braccio, e insieme si defilarono.
Mi diedi un'occhiata intorno, cercando, mio malgrado dovevo ammetterlo, quella testa bionda che non avevo visto per tutta la serata. Fui impedita nel farlo da Julian, che sbucato dal nulla mi circondò la vita con un braccio e mi stampò un bacio sulle labbra. "Sei bellissima," mi sussurrò all'orecchio, e il modo in cui i suoi occhi scorsero il mio corpo, messo sicuramente più in risalto del solito, mi mise lievemente a disagio.
Il tuo petit ami, aveva detto Madama Schmitz nella lettera. Non ero una spada in francese, ma la mamma me ne aveva insegnato abbastanza perché traducessi quelle due parole - un piccolo amico, cioè un fidanzato. Julian era arrivato fino da M.A.E.S.T.À. e le aveva chiesto se poteva fabbricarmi un abito speciale, che non avesse nessun altro, che mi stesse bene, che mi facesse sentire la regina della serata. Come potevo non apprezzare un gesto del genere?
"Grazie, Jules," dissi in tono affettuoso, posando una mano sul suo petto. "Per il vestito e tutto questo. Siete stati davvero bravi," aggiunsi, incredula, "non avevo capito nulla. Che stupida, eh?"
"Ultimamente sei stata stressata e abbattuta," replicò lui, accarezzandomi il collo con il pollice. "Non essere così dura con te stessa. E poi, come hai detto tu, siamo davvero bravi," ghignò, ed entrambi ci mettemmo a ridere.
Forse poteva essere così. Forse non avrei mai avuto la passione e l'intesa e lo slancio romantico così intensi che avevano caratterizzato la relazione con Scorpius, ma di certo non mi ero aspettata, né mi aspettavo, di ritrovarli in qualcun altro che non fosse lui. Chissà se li avrei avuti di nuovo, in tutta la mia vita. Magari era questione della nostra affinità come anime gemelle, non avrei saputo dirlo. In ogni caso, con Julian le cose potevano essere semplici. Poteva essere un rapporto di amicizia anziché di indomabile e travolgente desiderio, poteva essere anche solamente un modo per guarire le crepe che mi portavo dentro. Julian poteva essere la mia medicina.
Anche se si sapeva: la medicina non aveva lo stesso sapore della caramella proibita.
"Ecco," Izzy sopraggiunse per mettermi in mano un bicchiere che, dal colore ambrato e dall'odore così forte, non poteva che essere Whisky Incendiario.
Preferivo essere lucida a quella che era la mia festa, ma non mi sarei mai sciolta abbastanza senza un piccolo aiuto. Mandai giù solo un sorso, e questo bastò a farmi andare a fuoco la gola - di qui il nome della bevanda, supponevo.
Julian lanciò un'occhiata oltre le mie spalle e corrugò le sopracciglia. "Torno subito," mi disse, accarezzandomi la spalla nuda per poi dileguarsi per fare chissà cosa. Quando mi voltai per vedere cosa l'avesse turbato, l'unica cosa che vidi fu James, il mio amato cugino casinista, che a sua volta si dirigeva verso il buco del ritratto per uscire dal Giardino. Lui e Julian non avevano nulla in comune, quindi probabilmente mi era sfuggito qualcosa.
Peccato che non potei prestarvi attenzione.
"Isabelle," sentii dire con tono perentorio, "hai per caso visto—"
Mi girai nuovamente, solo perché Scorpius Malfoy rientrasse nella mia visuale. Indossava una camicia grigia, che davvero faceva risaltare ogni sfaccettatura delle sue iridi color argento, e aveva pettinato i capelli in una piega più ordinata del previsto, lasciando l'effetto post-sonno in favore di un look meno selvaggio.
Ciò che però più mi colpì, e mi fece letteralmente arrossire fino alle orecchie, fu il modo in cui si bloccò quando si accorse che accanto ad Isabelle c'ero io. Le parole non gli uscirono dalla gola, tant'è che non seppi mai chi o cosa stesse cercando. I suoi occhi fecero come avevano fatto prima quelli di Julian - mi percorsero da capo a piedi. C'era una grande differenza, tuttavia: Julian mi aveva guardata come un rapace che fissa la sua preda, colmo di rozzo desiderio, mentre Scorpius... oh, mai nella vita avrei provato la stessa gamma di emozioni nel ricevere uno sguardo. Si notavano profonda ammirazione, desiderio, stupore, nostalgia, tutto era mescolato insieme, e tutto si rifletteva dentro di me.
Si portò una mano alla bocca socchiusa, riportando finalmente lo sguardo nel mio, e continuando a non dire nulla.
"Bene," intervenne Izzy, con l'aria di chi aveva raggiunto il suo scopo più alto nella vita. "Vi lascio soli." E senza neanche una scusa, una spiegazione, nulla, la mia amica ci abbandonò accanto alla Pianta Caramella, con l'adrenalina nel sangue e un languore nello stomaco.
Ci vollero diversi secondi perché entrambi recuperassimo la facoltà del linguaggio. Ritrovarmelo di fronte, alto e piazzato, le sue spalle larghe, la mascella affilata, lo sguardo acuto, mi diede la sensazione di deja-vu. Noi eravamo già stati lì, tutti in ghingheri, da soli come eravamo in quel momento. Perché potevano esserci anche diecimila persone attorno a noi, ma finché fossimo stati l'uno di fronte all'altra, non ci sarebbe stato confronto che avrebbe retto.
"Sei—" si interruppe di nuovo, e si schiarì la gola. "Stai molto bene," disse infine, con l'aria di uno che stava avendo una congestione.
Io, dal mio canto, forse me la cavavo con un'occlusione intestinale. "Grazie," risposi, soffocando nel mio stesso ossigeno.
Eravamo proprio due cause perse.
La situazione era più imbarazzante di quanto avrei mai creduto, ma ero anche in parte divertita dalle nostre reazioni, così impacciate e ammirate allo stesso tempo. Le cose non erano mai state così tra di noi, era come scoprire una nuova sfaccettatura del nostro rapporto - che magari non era degenerato irrimediabilmente come avevo temuto all'inizio.
"Non ci sono più i girasoli," osservai, esternando il primo dettaglio di cui mi ero accorta quando avevo messo piede lì dentro. Lo stupefacente campo di fiori gialli, il mio regalo di San Valentino, era scomparso, lasciandomi con la paura che non fosse mai accaduto.
Scorpius mi guardò, sorpreso, poi aggrottò la fronte. "Vieni con me," disse. Non suonò come una domanda, non fu un invito, ma quasi un ordine. Perché si era impensierito?
Si incamminò verso la parte del Giardino dove c'era stato il piccolo insieme di girasoli, verso quello squarcio nella roccia che di giorno permetteva l'illuminazione. Mi ricordavo ogni dettaglio riguardante la prima volta in cui eravamo stati lì: il modo in cui il suo braccio mi aveva cinta per supportarmi attraverso il cammino meno facile, come i nostri respiri, nel freddo e nella notte, si fossero mescolati, mettendo in allerta tutti i miei sensi, le nostre dita intrecciate senza volersi più separare.
Mi condusse su quel piccolo ponte che era stato costruito sopra il laghetto cristallino dell'Algabranchia e della Pianta Zeus, il legno scuro e pregno di umidità che scorreva morbido sotto i piedi. Ci appoggiammo entrambi con le spalle al parapetto, i gomiti sulla balaustra e il corpo in direzione del resto del Giardino Botanico. Lui teneva tra indice e pollice un bicchiere di carta con due dita di alcol, e di tanto in tanto se lo portava alle labbra, bagnandole appena, gli occhi chiari fissi sulla meraviglia che si distendeva davanti a noi.
"I girasoli non ci sono più perché li avevo chiesti in prestito al professor Longbottom," spiegò, lo sguardo sempre fisso sul paesaggio. La sua voce suonò quasi amara, ma non riuscii a spiegarmene il motivo.
"Erano bellissimi," risposi, senza distogliere l'attenzione dal suo viso perfetto. Potendone, dal suo fianco, vedere solo il profilo, lo ispezionai minuziosamente. La mascella dal taglio affilato, il naso perfetto, leggermente all'insù, le ciglia bionde che incorniciavano le iridi argentate, i capelli chiarissimi - ogni parte di lui aveva la capacità di farmi restare a bocca aperta. Non mi sarei mai stancata di guardarlo, in tutta la mia vita.
"Mi dispiace per oggi," disse all'improvviso, stringendo le dita attorno al bicchiere di carta, che se non fosse stato praticamente vuoto avrebbe rovesciato tutto il suo contenuto.
Corrugai le sopracciglia, girandomi per potermi chinare e appoggiare con i gomiti al parapetto, in direzione opposta alla sua. "Per cosa?"
"Il tuo ragazzo."
Non lo disse con tono velenoso, ma solo dotato di un'irrimediabile stanchezza.
"Non è stata colpa tua."
"L'ho provocato," specificò, strizzando gli occhi quasi se provasse dolore.
"È lui che dovrebbe scusarsi," ribattei io, convinta. "Ti ha detto cose orribili, che non ti meritavi."
Scosse il capo con un piccolo sorriso. "Non mi interessa quello che dice, né mi interessa di lui. Se mi sono scusato è solo per averti messo in una situazione scomoda," chiarì, facendo leva sui gomiti per reclinare la testa all'indietro, e fissare il soffitto. La chioma sfuggì alla pettinatura e assunse la solita aria scomposta che adoravo.
"Nessuna situazione scomoda," gli assicurai io, convinta. "Davvero. È solo geloso."
Soffocò una risatina, abbassando le palpebre ma lasciando che il sorriso continuasse ad aleggiare sul suo viso. "Conosco bene la sensazione."
Il cuore mi saltò un battito. Non solo era di bellezza fenomenale, ma ogni suo minimo gesto era capace di raggiungermi direttamente, di trascriversi nella mia anima.
"Comunque," riprese, "non ha motivo di essere geloso."
Mi sgonfiai come un palloncino.
"Non ne ha?" ripetei, ingoiando bile acida.
Quel fastidiosissimo atteggiamento amichevole aveva, lo compresi solo in quell'istante, riaperto in me la vecchia ferita d'amore che avevo creduto di aver iniziato a rimarginare dalla rottura. Il riavere ancora un rapporto decente, lo scambiarsi sorrisi e battute e il cercarsi con lo sguardo - tutto questo mi aveva riportata al prima, a quando ancora non stavamo insieme, a quando trascorrevo le giornate domandandomi se ci piacessimo, se io piacessi a lui, se ci fosse una speranza per noi. Senza neanche rendermene conto, avevo di nuovo iniziato a coltivare il dubbio, e la fantasia.
Scorpius dovette notare un cambiamento nella mia voce, perché riaprì gli occhi e portò il volto nella mia direzione. "Ti ho lasciata in modo misero," spiegò. "Non mi sorprenderei se tu ritenessi—insomma, ti sei consolata con lui. Io non c'entro più nulla."
Le parole mi uscirono dalla bocca senza che potessi frenarle. "Oh Dio," commentai, "sei stupido."
Si accigliò. "Come, prego?"
Arrossii vistosamente, imbarazzata nel profondo dalla mia esclamazione infelice, ma non per questo pentita di ciò che avevo detto. "Sei stupido, Malfoy," ripetei, alzandomi dall'essere chinata sul parapetto per mettermi le mani sui fianchi. "E molto, anche. Come puoi pensare di non c'entrarci più nulla?" chiesi, veramente sbigottita, citando la sua stessa espressione.
"Ti sei fidanzata," sbottò lui, iniziando ad innervosirsi. "Ed è anche giusto, non ho più alcun diritto di mettere bocca sulla tua vita privata."
Detto così sarebbe suonato rassegnato, una mera e amichevole constatazione, una rinuncia a tutti gli effetti, magari un augurio per una relazione felice - ma no, lui era Scorpius Malfoy, il Re dei Serpeverde, e il veleno colò dalla sua voce come l'oro fuso sul viso di Viserys Targaryen.
"E?" feci io, invitandolo a continuare con aria minacciosa. "Dì le cose come stanno, per una volta nella vita."
Afferrò il legno del parapetto accanto a me, portando il viso a pochi centimetri dal mio, un'espressione mortifera in volto. "E non credi," chiese, mellifluamente, "che sia avvenuto un po' troppo in fretta?"
Spalancai la bocca, non credendo alle mie stesse orecchie. "Mi stai dando della facile?" ringhiai, stringendo i pugni lungo i fianchi per non scagliarglieli addosso. Per una volta quella distanza non mi fece perdere lucidità, ero troppo accecata dalla rabbia. "Non posso crederci. Proprio tu, che mi hai lasciata senza guardarti indietro. Almeno abbi la decenza di non ficcare il naso in affari che non ti riguardano più."
Appena terminai di parlare indietreggiai per mettere la distanza vitale tra noi e gli diedi le spalle, pronta ad allontanarmi da lui e da quel ponte; peccato che Scorpius non fu della stessa idea, perché mi prese per un braccio, affondando le dita nella pelle nuda, e mi attrasse ancora verso di sé. Per un attimo persi l'equilibrio sui tacchi, e la mia reazione più immediata fu quella di tendere le mani in avanti per appoggiarmi a qualcosa. Qualcosa che risultò essere, tra le varie cose, il suo petto muscoloso. Al momento avrei preferito essere caduta nel laghetto e fulminata dalle piante Zeus, piuttosto che trovarmi nel fin troppo familiare cerchio delle sue braccia.
Mi aiutò a ritornare salda sui piedi. "Io non ti ho mai dato della facile, né lo farei mai. Prova a essere al mio posto, però. Appena ci lasciamo tu ti metti con un altro, e non un altro qualunque, ma quel coglione decerebrato che ti sta addosso da settembre. Che devo pensare? Immagina se a ruoli invertiti fossi stato io a mettermi con Amanda."
Assottigliai lo sguardo. "Se tu avessi provato a metterti con Amanda, io ti avrei fatto a pezzetti."
"Visto?" ghignò, "come sei prevedibile."
"Non sono prevedibile," controbattei, "e sei tu che hai lasciato me, quindi non hai facoltà di parola."
Mi fece un sorrisetto. "Ma tu adori il mio avere facoltà di parola."
Roteai gli occhi, lasciando che un piccolo sbuffo abbandonasse le mie labbra arricciate. "Ma smettila."
"Sbaglio?" domandò, inarcando entrambe le sopracciglia e assumendo un'aria strafottente.
Io finsi di non ascoltarlo. "Hai sentito? Oh, è per caso Izzy che mi chiama?"
"Isabelle si sta baciando Albus," mi fece notare, divertito.
"Ops—allora sarà Kalea. Devo proprio andare," conclusi, allontanandomi da lui.
"Io non sbaglio mai!" gridò dal ponticello, e quella fu l'ultima cosa che sentii, e ciò che fu in grado di riportare una volta per tutte il sorriso sul mio volto.
E non se ne sarebbe andato per tanto tempo.
^^
🌻Pensavo sarebbe stato carino inserire i modelli che avevo in mente per il vestito di Rose (anche se so che Kendall Jenner non è la presta-volto che avevo in mente per lei). Comunque, questo è il *little black dress*... ditemi se apprezzate xx🌻
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