75 [𝑁𝑜𝑎𝒉] - 𝐴𝑙𝑖𝑣𝑒
{Noah e la sua Rose}
{Forse una delle scene più intense della storia (?)}
(crediti: @bannxnah su Tumblr, come al solito le immagini non sono mie xx)
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Quando l'urlo di Scorpius fese l'aria, il cuore mi balzò in gola.
Non potevo dire di non essermelo aspettato, ma sentirlo gridare in quel modo ogni volta mi straziava l'animo. Balzai giù dal letto nello stesso istante in cui lo fece Albus, mentre Dave si apprestò ad accendere le lanterne per fare luce.
La luce aiutava. Scacciava via l'oscurità che impregnava la sua anima.
"Scorp," io e Al ci gettammo in ginocchio accanto a lui.
Era ancora immerso nel sonno, o meglio, intrappolato. Lui che in genere era sempre così calmo e misurato, adesso era avvolto nelle lenzuola che lo avviluppavano e stringevano, rendendogli più difficile ogni movimento; la maglietta grigia era madida, e gli si era incollata al petto e alla schiena, e il collo, al bagliore fioco della lanterna, riluceva di sudore. Ogni muscolo del suo corpo era in tensione, i tendini sembravano voler bucare la pelle delle braccia, le vene risaltavano pericolosamente.
Vederlo in quello stato equivaleva a cento, mille stilettate al cuore, e l'abitudine non aiutava mai a gestire meglio la situazione. Il dolore che invadeva e faceva contrarre i suoi lineamenti era inaudito: mai avevo visto nessuno soffrire così tanto. Era come se stesse rivivendo di nuovo gli eventi più brutti della sua vita, e vi fosse intrappolato, senza poterne uscire. Per una persona empatica come me, quello equivaleva a morire.
Le lacrime scorrevano sulle guance di Albus, mentre lui, quasi ignaro di questo, teneva Scorpius fermo per le spalle, per evitare che si facesse male nello sbattere contro i pilastri del letto a baldacchino, il comodino o la testata di legno - era già successo, e i lividi violacei risaltavano sulla sua pelle chiara come se fossero state prugne mature. Si accumulavano, insieme alla sofferenza, al tormento, alle lacrime, e lui teneva tutto dentro, tutte le mattine si alzava, e cercava di fingere che non fosse mai accaduto, e la sua paura aumentava con il passare del giorno, perché si avvicinava l'ora di andare a dormire.
"Scorpius, Scorpius, ascoltami, va bene? Sono io, sono Al, sono io, svegliati, ti prego," mormorava Al a bassa voce, con le dita affondate nelle sue spalle per tenerlo bloccato. "Scorp, Scorpius, ascoltami."
Forse chi più si penava per quella situazione - paradossalmente anche più di Scorpius stesso - era Albus. Lui non si riusciva a mettere l'anima in pace, il suo migliore amico, suo fratello, stava vivendo la pena peggiore della sua vita, e non poteva fare nulla per aiutarlo.
Solo il tempo lo guarisce, aveva detto il signor Malfoy con tono mesto, preparando delle pezze inzuppate di acqua fredda per calmarlo. Solo il tempo. Il tempo guarisce ogni cosa.
Avevo visto non più il celebre Capo Auror, il mago, insieme a Harry Potter e Ron Weasley, di maggiore successo dell'intero mondo magico inglese, non più colui che aveva vinto ogni pregiudizio come ex Mangiamorte, non più la persona più controllata e abile che avessi mai conosciuto - Draco Malfoy si era trasformato nel vedovo distrutto, nel padre di un orfano che voleva supportarlo ed evitargli problemi, ma che stava male quanto lui, nell'uomo che aveva perso l'amata moglie, e se stesso.
Ma la cosa peggiore di tutte non era vedere Scorpius in quello stato, bensì sentirlo.
Le grida che ci scorrevano nelle orecchie erano capaci di far raggelare il sangue, e mi sfregai con forza il volto per non piangere anch'io. Albus continuava a scuoterlo, a parlargli, ma era sordo, non rispondeva, non lo sentiva. Non era mai stato facile svegliarlo, in cinque anni di tempo non eravamo riusciti a farlo neppure una volta. Ciò non significava che non avremmo più provato a farlo, perché era impensabile rimanere a letto mentre lui si contorceva in quel modo.
"Mamma," gridò Scorpius, prendendosi la testa tra le mani, stringendo le lenzuola, graffiandosi la pelle. "Mamma, ti prego, non—non andare, per favore, per favore!" scoppiò a piangere, i singhiozzi gli scossero il petto, le vene del collo minacciarono di esplodere.
Lui alternava due nomi, solo due nomi, e sembrava che provenissero non dalle sue corde vocali, ma dal cuore, un cuore straziato e ferito e sanguinante.
Mamma, e Rose.
"No, no, ti prego, non lo fare... non abbandonarmi di nuovo," strinse i denti, gemendo con dei versi atroci, il viso congestionato.
Albus chiuse gli occhi, in ginocchio davanti al suo letto, con la fronte sulla sua spalla e la mano stretta nella sua. "Fratello mio," lo sentii sussurrare, sovrastato dai lamenti di Scorpius. Io e Dave ci scambiammo un'occhiata. In quella situazione c'era poco da fare, potevamo solo stargli vicino quando sveglio.
Ci vollero almeno venti minuti perché il tormento finisse. Scorpius ormai era immerso in una pozza di sudore, le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe, e il respiro spezzato come se avesse corso una maratona. Aprì gli occhi dopo diverso tempo, le ciglia bionde bagnate dalle lacrime, le guance rosse, e lo sguardo straziante, martoriato, angariato.
Spostò gli occhi iniettati di sangue verso di noi, che eravamo rimasti per tutto quel tempo seduti all'estremità del suo letto, in silenzio religioso. "È successo di nuovo," mormorò, riabbassando le palpebre.
Nessuno rispose. Non c'era nulla da dire.
"Vuoi un po' d'acqua?" chiese Dave, e Scorpius, nel voltarsi verso di lui, vide la bacinella d'acqua fredda sul comodino. Quello era uno dei modi per aiutarlo, aveva detto Draco. Abbassare la temperatura corporea lo faceva stare meglio.
Lui lo odiava.
Una smorfia gli piegò le labbra. "Il ritorno," sbottò, girandosi dall'altra parte per non vederla. Io e Albus ci eravamo dati il cambio per tutta l'ora, mentre Dave, con le sue risposte seccate e truci, si occupava di mandare via gli sciami di gente che aveva bussato alla porta per sapere che cosa stesse accadendo. Alcuni erano irritati, altri preoccupati, ma a noi non importava nulla.
"Come stai?" chiese sottovoce Albus, con la mano ferma sul suo braccio.
"Quanto è durato?" replicò lui, freddo.
"Mezz'ora," rispose Dave senza giri di parole.
Un'aria affranta fece capolino nel suo sguardo. "Più del solito," commentò, scostando le lenzuola e scendendo dal letto. Si diresse verso l'armadio, ne estrasse una maglietta pulita e si tolse la sua. Era di profilo, e sul suo petto scintillarono le cicatrici lasciate dal Sectumsempra. Quelle cicatrici, al contrario di quelle che si portava dentro, per lui non erano mai state un problema. Secondo me, perché le aveva ottenute per salvare Rose. Non si sarebbe mai pentito di aver fatto qualcosa per il suo bene.
Si infilò una felpa e con un cenno del mento uscì dalla stanza, diretto chissà dove, a fare chissà cosa. Sarebbe mai finito quel tormento?
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"Una settimana!" sbottai, allargando le braccia. "Un'intera settimana. Dobbiamo fare qualcosa."
Al si sfregò gli occhi, orribilmente segnati da delle occhiaie che sembravano il frutto di un litigio con un Pugnacio. "Che cosa vuoi fare, esattamente? Sappiamo come funziona. Ci vuole ancora un po' di tempo."
"Sì, così si suicida," replicai, nervoso. "Allora ciao, mio bel maschione."
"Non mi sarei mai aspettato di dirlo," intervenne Dave, togliendosi quei sexy occhiali da lettura, "ma Noah ha ragione. Dobbiamo poterlo aiutare in qualche modo... dev'esserci qualcosa da fare."
Roteai gli occhi. "Simpatia è il tuo secondo nome, eh, Nott?"
"Veramente è Aristarcus," ribatté lui inflessibile. "E abbiamo cose più importanti di cui occuparci. Scorpius, ad esempio."
Alzai entrambe le sopracciglia, divertito nonostante la spossatezza. "Aristarcus? Tuo padre deve proprio odiarti. David Aristarcus Nott. Uno più brutto dell'altro."
"Non te l'ho detto perché potessi prendertene gioco, Noah," mi fece notare, nascondendo un sorriso. Ormai avevo imparato a conoscerlo, dopo sette anni gomito a gomito, e sapevo che per quanto a tratti potesse sembrare irritato dalle mie battute, alla fine si divertiva sempre.
Mi misi a ridere. "Avresti dovuto sapere che non mi sarei lasciato sfuggire un'occasione del genere, Davidito."
"Davidito è anche peggio di Aristarcus."
"Niente è peggio di Aristarus, per l'amor del Cielo."
Sentii Albus sospirare. In genere si univa sempre ai nostri battibecchi, al contrario di Scorpius, che era troppo serio per le nostre stronzate, ma adesso si vedeva che aveva tutt'altro per la testa. La situazione in cui eravamo immersi fino al collo tornò a farsi sentire in tutta la sua pesantezza, e il diletto derivato da quel breve scambio sfumò in un sentimento di desolazione. "Scusate, non sono in vena," mormorò Al, prendendosi le mani tra i capelli. "E non so neanche come aiutarlo."
Eravamo arrivati tardi a colazione, occupati a discutere della faccenda, e la Sala Grande era praticamente deserta. Lanciai un'occhiata al posto che in genere occupava Livia, e lo sconforto aumentò in maniera esponenziale. Se ci fossero state quelle quattro matte insieme a noi, sicuramente il morale sarebbe stato più alto. Con loro era tutto più semplice, e non solo inteso come divertente, o spensierato, ma come più leggero, felice, tranquillo. Sapevano farsi volere bene, tutte, nessuna esclusa. E quindi l'idea sorse spontanea.
"Dovremmo dirglielo," dissi, senza neanche rendermene conto.
Albus spalancò la bocca, dandoci una disgustosa visuale dei cereali annaffiati di latte.
"Che cosa?" chiese Dave, sbalordito, interpretando l'espressione facciale del nostro amico.
"Scorpius ci ucciderebbe," osservò Al, deglutendo velocemente. "No, ci spellerebbe vivi e getterebbe in pasto alla Piovra del Lago Nero."
"No, prima ci torturerebbe," rettificò Dave.
"Ragazzi," li richiamai, posando entrambi i palmi delle mani sul ripiano in legno. "Ascoltatemi. Non c'è stata una singola volta in cui quelle ragazze non siano riuscite a risolvere in modo brillante un problema. Sono intelligenti, acute, sensibili, e, soprattutto, ci possono offrire una prospettiva fresca. Magari ci sta sfuggendo qualcosa che per chiunque altro non immischiato in questo affare risulterebbe chiaro," dichiarai, convinto. "Dobbiamo fidarci di loro."
Albus scosse la testa, i capelli corvini gli caddero sul collo. "Non so se ti è sfuggito, ma Scorpius se non fossimo in stanza con lui nemmeno ci avrebbe detto niente. Lui odia essere il debole della situazione, soprattutto quando non può farci niente. Se dovesse scoprire che abbiamo rivelato il suo segreto più nascosto perderebbe fiducia in noi, e tu lo conosci bene. Una volta che non si fida, il rapporto crolla."
"È un rischio," concordai, "e anche bello grosso. Probabilmente non abbiamo rischiato così tanto nemmeno nel chiuderti a chiave nella classe di Pozioni l'anno scorso," e qui ignorai il suo eravate stati voi? scandalizzato "ma dobbiamo tentare. Non so come vi sentite a riguardo, ma io non riesco a sopportare un'altra notte in cui uno dei miei migliori amici si contorce e si dispera senza che possa fare niente."
Dave spostò gli occhi su di me. Erano di una bella sfumatura, praticamente trasparenti, per quanto chiaro era l'azzurro dell'iride. Mi fissò a lungo, ma sapevo bene che quando faceva così non vedeva davvero me, bensì rifletteva, la sua mente spostata altrove. Alla fine alzò le spalle.
"Lui non deve saperlo."
Albus si girò verso di lui, ancora più allibito. "Che cosa? Avanti, Dave, pensavo che almeno tu—"
"Ti dirò quello che penso," replicò coinciso l'altro, inflessibile, senza farsi contagiare dal tono agitato dell'amico. "Come hai detto te, potrebbe significare se non la fine della nostra amicizia, almeno un grave e radicale cambiamento in negativo. Le ripercussioni sarebbero gravissime, perché la fiducia per Scorpius è tutto. Lui sa che noi manterremo il silenzio per il suo bene, e ha ragione. Io non avevo neanche pensato al poterlo infrangere," proseguì, parlando semplicemente e sinceramente. "Sai però qual è il problema? Che noi, tacendo, non stiamo affatto giovando a lui. Pensiamo di arginare il dolore nel non costringerlo a confidarsi, ma la verità è che lo facciamo chiudere ancora di più in se stesso."
Capivo la paura di Al: lui era senz'altro quello più vicino a Scorpius, quello che dall'inizio l'aveva sempre supportato e aiutato senza che noi nemmeno lo conoscessimo, ancora, però proprio questa vicinanza lo offuscava. Doveva guardare la situazione con occhio critico, per quanto impossibile sembrasse.
"E pensi," chiese infatti con entrambe le sopracciglia alzate e il tono scettico, "che sbandierare in giro questa sua debolezza lo aiuterebbe a superarla?"
Aggrottai la fronte. "Io penso," intervenni, deciso, "che quando mia nonna è morta e mio padre ha dovuto subire il processo giudiziario per il patrimonio che aveva lasciato, lui per me c'è stato. Quando Margaret è scappata di casa," continuai, riferendomi alla sorella maggiore di Dave, "e la situazione per i Nott era insostenibile, lui c'è stato. E quando ti hanno fatto l'imboscata a Nocturn Alley, Albus, lui ti ha curato le ferite."
Feci una pausa, perché ognuno ripensasse alle orribili cose che aveva dovuto affrontare. Il processo di mio padre era forse stato uno dei momenti peggiori della mia vita. Morta la nonna, eravamo rimasti solo io e lui: non avevo avuto, come i miei amici, la fortuna di conoscere mia madre, ma non mi pesava più di tanto, perché non avevo mai saputo di un mondo con lei dentro. Al funerale della nonna avevamo saputo di una somma che ci aveva lasciato, una somma da far girare la testa; e subito il Ministero aveva deciso di metterci le mani sopra, dicendo che doveva essere necessariamente frutto di azioni illecite del passato e che non potevamo avere in eredità del denaro sporco. Erano stati giorni difficili, con i giornalisti appostati fuori casa e degli sguardi sospetti e truci ovunque andassimo. L'aspetto peggiore, però, riguardava il nostro amore per quella donna. Le voci erano vere? Sul serio non si era fatta scrupoli a uccidere e depredare i patrimoni altrui per tutta la sua vita? Mi era parso impossibile. Colei che mi aveva davvero fatto da madre, che per me c'era stata ogni giorno della sua vita e della mia, non solo adesso era morta, lasciandomi un vuoto dentro incolmabile, ma soprattutto aveva rivelato di non essere la persona che avevo creduto che fosse.
Anche i miei amici avevano vissuto esperienze orribili, da Theodore Nott che ogni giorno era furioso e preoccupato per l'incoscienza della figlia, a sua moglie Berenice che si era chiusa in camera a piangere tutto il giorno, fino a Dave, che aveva perso in un colpo solo l'amata sorella, la madre, le attenzioni del padre e l'intera stabilità familiare. Quel peso era stato così insostenibile che Scorpius si era offerto di ospitarlo a casa sua per tutta l'estate, e quello era stato un balsamo per lo spirito ammaccato di Dave. E Albus durante le vacanze di Natale dell'anno scorso, mentre stava passeggiando per Diagon Alley, dei fanatici l'avevano afferrato e trascinato a Nocturn Alley per riempirlo di cazzotti. Per fortuna doveva incontrarsi con noi, e per evitare che i signori Potter lo vedessero in quello stato, Scorpius l'aveva portato da sé.
"Sentite," mormorai, scacciando quei ricordi dalla testa, "quello che sto dicendo, è che lui non ci ha mai fatto mancare il suo appoggio. Mai. Nemmeno quando sarebbe stato più facile voltarci le spalle e lasciarci da soli. Adesso tocca a noi fare lo stesso," affermai, "anche se dobbiamo nasconderci, creare un milione di sotterfugi, e accettare la possibilità che lui ci scopra. Forse potremmo stargli creando un immediato dispiacere, ma vedrete che a lungo andare questa si rivelerà la scelta migliore per tutti."
Dave annuì, incrociando le braccia al petto. "Non c'è altra alternativa," concordò. "Questa situazione non si è mai prolungata così tanto, e non sappiamo quando finirà. Dobbiamo tentare qualsiasi cosa."
Mi venne istintivo ghignare. "Dubito che quel genietto psicopatico di Isabelle Parker non troverà una soluzione. È capace di sovvertire le leggi dell'universo se si mette in testa qualcosa," dissi, e le linee che avevano marcato fino a quel momento il volto teso di Albus si dissolsero non appena sentì il nome della sua metà.
Lui sospirò - ma questa volta fu un sospiro diverso, arrendevole ma al contempo fiducioso. "Nessuno all'infuori delle ragazze deve sapere questa cosa, siamo d'accordo?" domandò, serio. Nei suoi esausti occhi verdi balenò la speranza, una speranza che non vedevo da giorni.
"Certo, altrimenti ci staccherà la testa e la appenderà ai pali del Quidditch."
"Noah," mi rimproverò Dave.
"Dici più stile da ti-butto-in-pasto-alle-Acromantule?"
Lui esasperato mi sbatté una banana sulla spalla. "Finiscila di fare il cretino ogni tanto."
Io ricambiai con un'occhiata maliziosa. "Signor Nott, che sono questi gesti? Se vuole tirarmi una banana addosso, direi che ha sbagliato orario. Il mio è disponibile da stasera in poi—"
Finalmente Albus alzò gli angoli della bocca in un sorriso che era lo spettro del
vecchio divertimento. "Che stupido," ridacchiò.
"Già, non sei il primo a dirmelo," replicai, agitando la mano per minimizzare la sua esclamazione. "Allora, abbiamo un patto?"
Dave e Al si scambiarono uno sguardo. "Patto," risposero all'unisono, e la fede invase i nostri cuori, proiettata verso un futuro migliore per il nostro amico.
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"Devi andare."
Ricevetti solo un mugolio assonnato che mi provocò un risolino morbido.
"Avanti, devi andare," ripetei teneramente. "Più che altro, devo andare io."
"Resta un altro po'," mormorò, aprendo un solo occhio e guardandomi. "Solo un altro po'."
Rimasi seduto sul letto sfatto, con la schiena appoggiata alla testiera del letto. Non avevo tempo da perdere, ma l'idea di abbandonare quel covo caldo e rassicurante non mi allettava per niente.
Sentii prendermi la mano, e se la portò al volto, lasciandovi un bacio nel palmo che mi fece il solletico. Sfregò il volto nel mio cuscino, circondandolo con entrambe le braccia, e sospirò. "Devi andare da lei?" chiese, la voce soffocata, e non mi sfuggì la nota irritata nella sua voce, arrochita dal sonno.
"Ho un incontro con i ragazzi," replicai, divertito. "Non c'è bisogno di essere gelosi."
Uno sbuffo, e si tirò su, sostenendosi su un gomito. I capelli biondi e ricci andavano ogni ciocca per conto proprio, arruffati dalla dormita e dal prima, e gli occhi azzurri sfolgoravano nel suo volto, bello e levigato come quello di un angelo. I lineamenti, di solito morbidi e rilassati, adesso erano contratti dal fastidio. "Non si tratta di gelosia. E' che—non lo so, è sbagliato."
"Sai che lei sa," risposi a bassa voce. "Se non è un problema per lei, perché lo è per te?"
Ero certo che se non fosse stato per la mia mano, che si infilò nella sua chioma accarezzandola con delicatezza, fino a massaggiare la sua nuca, quella conversazione avrebbe assunto dei toni ben più piccati. "Perché voglio uscire con te alla luce del Sole, Noah," sbottò, "è così difficile da capire?"
Sentii una stretta allo stomaco nel sentirlo così sofferente. "Non è difficile da capire, è difficile da fare," cercai di fargli capire, passando la mano dal collo alla linea tesa delle spalle, fino ai muscoli in rilievo delle braccia. "Essere omosessuale non è facile, Troy. E se fosse solo per me non esiterei a dirlo al mondo, benché non sia affare di nessuno il mio orientamento sessuale. Io lo faccio per te."
Troy mi restituì un'occhiata truce nella sua bellezza accecante. "Se io voglio dirlo, sono libero di farlo."
Sospirai, ritirando la mano, e appoggiando il capo alla parete dietro di me. Perché non capiva? Eppure avevamo affrontato quella conversazione almeno un centinaio di volte. Lui aveva scoperto la sua sessualità con me, non aveva dovuto combattere con anni e anni di pregiudizi. Perché credeva che io volessi mantenere la mia natura nascosta? Perché mi vergognavo? Sarebbe stata un'idiozia. La vergogna non era parte di me, non mi sarebbe mai nemmeno passata per la mente. Ero fiero di chi ero, non era un problema conoscere ragazzi e averci relazioni o rapporti di una sola notte - ma avevo un difetto: temevo per chi amavo. E Troy non aveva abbastanza esperienza per capire che nella società da regrediti in cui eravamo, nella comunità dei maghi, quello era un peccato mortale. Non erano abbastanza evoluti per accettarlo, e io avevo paura che lo trattassero male, che lo emarginassero, che lui si pentisse della sua scelta. Che si pentisse di aver scelto me, di aver scelto noi.
Tirai via le coperte, intuendo che quell'attimo di pace era finito. Recuperai dal pavimento i boxer e li indossai velocemente. "Tu non capisci, non puoi capire. Sei un Nato Babbano, non—"
"Noah," abbaiò, prendendomi per il braccio e obbligandomi a voltarmi. Era ancora più nervoso di prima, e mi dispiaceva vederlo così. "Non ti azzardare—"
Mi divincolai dalla sua presa e mi sporsi in avanti, prendendogli quel volto angelico tra le mani. "No, ascoltami. Hai scoperto di essere un mago a undici anni, e tutta la tua vita nella comunità magica l'hai passata nelle quattro mura del Castello. La storia degli ultimi decenni, la Grande Guerra, ne hai sentito parlare solo sui libri, e una parte di me ti invidia per questo. Non puoi sapere di che cosa succede nel resto del mondo, a parte quegli stupidi pettegolezzi che girano per la scuola."
I suoi occhi blu mi fissavano, affascinati e affascinanti, ma con chiaro risentimento. "Quello che sto dicendo, è che non hai idea di quello che dicono di me all'infuori di Hogwarts. Io, Dave, Scorpius..." scossi la testa. "Siamo dannati, Troy. Il nostro nome lo è. Il problema non è essere omosessuale o meno, è che non posso rischiare che tu e la tua reputazione veniate associati alla mia famiglia. È qualcosa di cui non ti liberi, che continueranno a rinfacciarti. Equivarrebbe a rovinarti, e io non voglio farlo. Non te lo meriti."
Aggrottò la fronte. "E perché lei può stare con te?"
Un moto di fastidio mi attraversò. Doveva sempre ridurre tutto alla competizione, alla gelosia. Era estenuante.
"Per quanto odi ammetterlo, i fidanzamenti qui a scuola non valgono niente se sono tra uomo e donna," replicai, lasciandolo andare e ricominciando a vestirmi. "Se però aggiungi all'equazione due uomini, e il cognome Zabini..."
Troy, seduto ancora sul mio letto, si passò una mano sul volto. "Da come parli, sembra che non nutra alcuna speranza che tu e i tuoi amici possiate trovare l'amore, in futuro," osservò.
Mi venne spontaneo ridere. Niente di più sbagliato, pensai, sporgendomi per lasciargli un bacio sulla fronte e uscendo dal dormitorio senza dargli risposta. I miei amici non avrebbero avuto problemi. Dio, addirittura quel testone di Scorpius aveva trovato quella che, ero certo, sarebbe stata la sua compagna di vita. Però loro erano diversi: erano innamorati di una Weasley e una Potter, due nomi di fama mondiale, che avrebbero contribuito a scacciare l'oscurità nei propri.
Io? Un figlio di un Mangiamorte, Purosangue da generazioni, e per di più amante dell'organo genitale maschile? Non ci sarebbe mai stato spazio per me, né nella comunità magica britannica né nel resto del globo, e per questo non potevo che continuare a fingere, sperando di poter trovare il modo di cambiare quel mondo che non mi riusciva ad accettare.
Mi avvolsi meglio la sciarpa attorno al collo, sentendo il freddo di fine marzo infiltrarsi sotto i vestiti. Io non ero fatto per quel clima gelido, ero fatto per prendere il Sole tutto il giorno alle Hawaii, con una noce di cocco in mano a guardare i gonnellini striminziti dei ragazzi sulla spiaggia.
L'unico momento di svago in quel disastro comunemente chiamato "la mia vita" era rappresentato dai festini illegali, e il giorno successivo sarebbe stato il compleanno di Rose. Io, Dave e Al eravamo tutti e tre così tremendamente sfigati da essere nati durante l'estate, ma le feste dentro Hogwarts... tutto un altro livello. Tra magie e alcol - molto alcol - la sera scorreva liscia come l'olio, senza ansie o preoccupazioni inutili.
Eravamo già arrivati al trenta marzo, realizzai. Forse avrei dovuto iniziare a studiare per i M.A.G.O., eppure perché pensarci quando avevo il cervello di Rose che lavorava come mille? Non sapevo cosa avrei combinato della mia vita una volta uscito da scuola, ma sapevo benissimo che la carriera da Auror, per cui si dovevano ottenere voti particolarmente alti, non faceva per me. Del resto, chi me lo faceva fare di zompare in giro dalla mattina alla sera e di avere a che fare con i criminali più pericolosi della comunità? Tanto valeva essere lo zio scapolo che veniva osannato alle feste di famiglia e che passava le sue giornate tra la lettura di libri dell'Ottocento e partite di golf sul tetto di casa.
"Ciao, stelle più luminose del mio cielo," salutai allegramente una volta approdato nella Sala Comune dei Grifondoro. Credevo che lo zio Salazar si sarebbe contorto nella tomba nel sapere che sapevo meglio la parola d'ordine per quella Torre rispetto che alla mia, ma lui era bello che ridotto in polvere, e io avevo un torneo da disputare.
"Ciao, Noah," replicarono in coro le mie tre ragazze disposte attorno al fuoco. Rose a malapena alzò gli occhi dal suo libro, ma non me la presi, essendoci abituato; Izzy, con uno sciarpone a quadrettoni bianchi e neri, si tirò in piedi dal divano e mi gettò le braccia al collo.
"Sei sparito per ore," mi rimproverò affettuosamente, "spero non stessi combinando guai."
"Nessun guaio," risposi, togliendomi il mantello. "Giusto un incendio di qua, un terremoto di là."
"Dillo che volevi solo rimandare il più possibile l'ora della tua sconfitta," intervenne la terza ragazza, seduta accanto al divano, ad un tavolino da due. Sul suo volto si formò un sorrisetto soddisfatto. "Preparati a mangiare la mia polvere, Zabini."
Le feci una smorfia. "Ti piacerebbe, Campbell."
Livia rise di gusto, e aprì la scatola che conteneva gli scacchi magici. "Iniziamo, è già tardi."
Mi sedetti davanti a lei, guardandola disporre i pezzi sulla scacchiera. Livia era forse la ragazza più bella che avessi mai visto, dopo Isabelle, ovviamente. I capelli biondi tagliati all'altezza delle spalle le incorniciavano un volto praticamente perfetto, dalle caldi iridi castane, il naso piccolo con l'anellino argentato, le sopracciglia eleganti, le guance rosee. Era altissima per essere una donna, pochi centimetri meno di me, slanciata, allenata. Capivo perfettamente perché avessi creduto di essere attratto da lei, quando ancora non avevo realizzato di essere omosessuale.
Certo, averci a che fare a volte risultava un tantino faticoso, perché non aveva il benché minimo freno inibitore, la bocca collegata direttamente al cervello, ed era un tornado di energia che non si esauriva per alcun motivo al mondo. Testarda come pochi, leale, una guerriera nata. Forse il suo grande difetto era la tendenza di serbare rancore per un tempo indeterminato, e questo avevo avuto modo di notarlo nel periodo difficile che avevamo appena affrontato, di ritorno dalle vacanze natalizie fino alla settimana precedente a quella corrente.
"Che leggi?" chiesi a Rose, vedendola rapita dalle pagine del tomo che teneva sulle gambe.
"Lascia stare!" fece Izzy, fingendosi esausta. "Non scolla gli occhi da quel libro di musica classica da giorni. Ora si è fissata su un compositore russo - Tchaikovsky, credo."
Vidi il rossore tipico suo e di Albus invadere le sue gote, e lo chiuse di scatto. "Non mi ci sono fissata," borbottò, imbarazzata. Alzai le sopracciglia, chiedendomi se non c'entrasse il fatto che fosse uno degli autori preferiti di Scorpius.
Lei fu salvata all'ultimo dall'arrivo del suo nuovo ragazzo, Walker. Lui spuntò da dietro le sue spalle e si sporse per lasciarle un bacio sulla guancia. "Pronta, Cap?"
Se possibile, risultò ancora più imbarazzata.
Io e Izzy ci scambiammo un'occhiata. La ragazza aveva perso la sua aria ilare, sostituendola con uno sguardo di ghiaccio, e incrociò le braccia al petto. "E dove stareste andando? Oggi è giovedì, non avete da studiare?"
Tutti, tranne forse Julian, sapevano che a Isabelle importava ben poco dello studio, per il semplice fatto che Rose non aveva alcun bisogno di farsi dire quando studiare - piuttosto quando smettere di farlo; e infatti quando usciva con Scorpius era solo felice di incoraggiarla, di certo non di trattenerla. Rose alzò un sopracciglio. "Abbiamo un incontro con la squadra," rispose, raffreddando anche lei il tono. "Se vuoi venire sei la benvenuta," aggiunse, quasi con aria di sfida.
L'altra fece un verso ironico, alzando le mani. "Oh, no, grazie," fece, acida. "Ho il mio ragazzo a cui badare. Anche se lui non ha bisogno di attenzioni costanti."
Spalancai gli occhi, stupefatto di fronte il suo veleno gratuito, e tutti e quattro la guardammo andare via senza dire altro. Livia fischiò. "Whoa - non l'ha presa benissimo, eh?"
Le tirai un calcio da sotto il tavolo, sibilando come un serpente per invitarla a tacere, ma il danno era fatto.
"Livia," la rimproverò Rose, ma Julian le mise una mano sulla spalla. "No, ha ragione," disse, fissando il punto in cui era sparita Isabelle. "Proprio non mi sopporta."
Rose si voltò. Come ogni volta che vedeva qualcuno abbattuto, il suo primo istinto fu quello di consolarlo. "Non dire così," affermò, posandogli una mano sul petto, "deve soltanto abituarsi. A me fidanzata, a te... sono un sacco di cose da affrontare tutte insieme."
Vidi Julian rasserenarsi immediatamente, e le alzò il mento per darle un bacio lieve sulle labbra. Io distolsi lo sguardo, e Livia mi fece il gesto di star per vomitare.
Ero forse l'unico che nel nostro gruppo allargato non volesse uccidere quel ragazzo, ma dovevo ammettere due cose: la prima, era che mi faceva una certa impressione vedere Rose insieme a qualcuno che non fosse Scorpius. Loro che si erano presi così tanto, che si erano mossi come calamite in presenza l'uno dell'altra, che avevano affrontato di tutto e si erano amati con un'intensità che avevo sempre invidiato: ora era tutto finito, e non se ne capacitava nessuno. La seconda, tralasciando la l'influenza della sofferenza di Scorpius e le doti da crocerossina di lei, consisteva nel fatto che mi faceva sorgere qualche dubbio l'atteggiamento di Julian. Sembrava tanto che lui fingesse sempre di essere il cucciolo ferito della situazione per suscitare in lei empatia e quindi tenersela stretta. Non l'avevo mai visto prima, ma una volta che Albus me l'aveva fatto notare, per me era stato impossibile non farlo più. Non potevo nemmeno comprendere come Rose, la quale era stata innamorata di un ragazzo stoico e tutto d'un pezzo come Scorpius, adesso potesse concepire l'idea di stare con una donnicciola del genere.
Albus, ecco - Albus, magari, era come me. Sicuramente risentiva del dolore che Scorpius mostrava adesso e che aveva provato Rose le settimane dopo la rottura, ma credevo che una parte di lui fosse grata a Walker. Lui era riuscito dove noi avevamo fallito, ovvero nell'intento di farla risollevare, di convincerla a riprendere in mano le redini della sua vita. E se lei, sua cugina, la sua migliore amica, la luce dei suoi occhi, era felice, allora non poteva essere che felice anche lui. Certo, Izzy gli faceva il lavaggio del cervello, fan di Scorpius com'era, e anche lui, come avevo detto, talvolta era critico nei suoi confronti, ma almeno non lo odiava con tutto se stesso.
"Noi andiamo, allora," fece Rose, distogliendomi dai miei pensieri, e Livia agitò la mano nella loro direzione. "Ci vediamo dopo," ribatté, così i due lasciarono la Sala Comune, gremita di gente. Ormai io, Al e Dave stavamo così spesso là dentro che nemmeno ci notavano più, era come stare da soli.
"Perché hai tu i bianchi?" chiesi, accorgendomi della disposizione della scacchiera.
"Perché sei arrivato in ritardo, quindi inizio prima io," replicò sorridente. La tranquillità durò un solo momento, perché subito riprese a parlare. "Quindi... novità con il tuo ragazzo?" domandò, intrecciando le dita sotto il mento in attesa che facessi la mia mossa.
"Non è il mio ragazzo," dissi, sbuffando.
"E lui lo sa?"
Mio malgrado, la sua risposta mi fece ridere. "Spero di sì."
"Io credo di no," mi fece notare, "altrimenti non sarebbe così geloso di me."
Roteai gli occhi. "E' geloso di te perché tutti credono che tu sia la mia fidanzata," mormorai.
"Noah, è palesemente innamorato, e tu lo stai illudendo," borbottò, e subito dopo imprecò fra i denti. "Dio, sai che odio la Variante Sveshnikov. Anzi, odio proprio la Siciliana, variante o non variante."
Io scossi la testa. "Lui sa che non c'è niente da parte mia. E sei tu ad avermi dato i neri, quindi ora stai zitta e gioca."
Lei si legò i capelli biondi in uno chignon. "Al cuore non si comanda," ribatté, "chi meglio di noi lo può sapere?"
Mi piaceva adesso la piega che aveva preso il nostro rapporto. Eravamo entrambi due persone molto schiette e sincere, forse a volte troppo, ed era stata una tortura non potersi parlare durante il brutto periodo da cui eravamo appena usciti. Io che non avevo il coraggio di dirle quel che provavo, dei miei sentimenti, così diversi e chiari, lei di come si sentiva, e della confusione che provava. Avevamo imparato a volerci molto bene, un legame strettissimo, ma questo era stato a lungo oscurato e ostacolato da rabbia, gelosie e incomprensioni, e non mi sorprendeva che fosse emerso solo ultimamente.
"Non sono pronto per una relazione, Livia, non dopo di te," dissi onestamente. "E comunque, Troy non è la persona giusta."
Livia mi rivolse un sorriso dolce, raro, perché molto spesso indossava un ghigno malefico; posò una mano sulla mia. "Lo so, e vedrai che troverai qualcuno che potrai amare con tutto il tuo cuore. Nel frattempo, scacco."
La situazione da giorni era insostenibile. La gola mi faceva male a forza di urlare, ma mai quanto l'animo a furia di litigare. Erano settimane che non facevamo altro, d'altronde. Potevano esserci periodi in cui le cose sembravano andare meglio, o comunque meno peggio, ma duravano mai abbastanza. E tutto questo, perché io non avevo il coraggio di dire che non ero mai stato innamorato di lei, che la vedevo come la sorella che non avevo mai avuto, e che l'avevo illusa fino a tutto quel tempo.
"Perché non me ne parli, Noah!" la sua domanda suonò più come una feroce esclamazione. "Ne ho fin sopra i capelli di queste tue bugie, della tua codardia del cazzo. Se hai un'altra dimmelo, okay? Mettiamo fine a questo delirio, non ce la faccio davvero più!" gridò, e il sangue mi si raggelò di fronte l'ipotesi che qualcuno potesse ascoltarci. Stavamo strillando come aquile in quel corridoio deserto.
Io ero immobilizzato sul posto, gli occhi sgranati. Odiavo discutere con le persone a cui volevo bene, era come se il mio cervello si bloccasse e imponesse un freno anche alla lingua. Non ne ero proprio capace. Se poi ci si aggiungeva quel che la parte razionale di me avrebbe voluto risponderle, be', la questione si faceva ancora più spinosa.
Livia fece un passo in avanti e mi afferrò il maglione, stringendolo tra i pugni. "Che c'è, perché non parli? Ci ho preso, vero? Hai un'altra, è questo. Altrimenti perché non vorresti nemmeno più baciarmi? A me non importa del lato sessuale, è che tu sei proprio distante, anche mentalmente. Ogni giorno mi sembra di parlare con un muro, muto e apatico e insensibile. Non ti importa più di me, non vuoi vedermi, va bene, posso pure accettarlo," proseguì, praticamente senza prendere fiato, "ma non hai nemmeno la decenza di lasciarmi? Io il tradimento proprio non lo concepisco, se non mi vuoi rompi con me invece di scoparti qualcun altro, o sbaglio? Non te ne frega niente del fatto che stia soffrendo come un cane, e si vede. Ti prego, dimmi qualcosa!"
Non ci stavo capendo più niente: già ero intorpidito di mio, e poi ero bombardato di domande continue, di stimoli, e lei mi toccava, mi spingeva, mi gridava contro, era tutto troppo da sopportare, da gestire. Come facevano Rose e Scorpius a litigare costantemente? Io non l'avevo mai fatto, e mai avrei voluto farlo.
"Non ci voglio credere!" assunse un'aria che se possibile risultò ancora più aggressiva. "Perché mi guardi come un idiota? Hai così paura del mio fottuto giudizio? Da un lato fai bene, perché ti giuro sul mio pappagallo che se mi hai messo le corna ti prendo a calci in culo, Noah Zabini, hai capito? Sono capace di ucciderti, altro che, e fai bene a essere così terrorizzato. Se fosse per me saresti già morto, mi senti? Morto! Io non sono una di quelle femminucce tipo chihuahua da borsetta, non mi faccio esporre, sono una creatura pensante, e se tu hai anche solo osato andare con—"
"Sono gay."
Realizzai soltanto dopo averlo sussurrato che avevo appena svelato il mio segreto, proprio alla ragazza che in quel momento stava minacciando di uccidermi.
"—un'altra persona io ti farò a pezzetti!" finì di gridare, con la giugulare che pulsava sul collo e il volto paonazzo a cinque centimetri dal mio.
Poi la mia dichiarazione sembrò colpirla con la violenza di un mattone in pieno volto, tanto che mollò la presa sul mio maglione, barcollò come un'ubriaca e cadde all'indietro, finendo con il sedere per terra. La scena sarebbe stata comica da vedere, ma era davvero tragica da vivere. Mi fissò senza proferire parola dal pavimento, ora pallida e muta come se avesse appena visto un fantasma.
Rimanemmo in quel modo per un periodo di tempo indeterminato, lei seduta che cercava di metabolizzare e io di comprendere come avessi fatto a dire una cosa del genere con tanta naturalezza.
Fu dopo un'eternità che aprì bocca. "Come—come—cosa è successo?" balbettò.
Presi un profondo respiro per non sentirmi male e svenire come Dante nella Divina Commedia, e mi accucciai per terra come lei, di fronte alla ragazza che stava avendo un tic nervoso all'occhio. "Vacanze di Natale," risposi. "Su una cosa avevi ragione—ti ho tradita, effettivamente, ma non per mia volontà, o comunque non ne avevo l'intenzione. Ho conosciuto un ragazzo, una sera. Si chiamava Kaliq. Ad una festa a Londra mi ha baciato. Non avevo la piena consapevolezza del mio orientamento sessuale, prima," chiarii. "Insomma, mi ero vagamente accorto che i ragazzi catturavano la mia attenzione più delle ragazze, ma credevo che fosse per avere un semplice metro di confronto, non perché trovassi attraenti i pettorali e le spalle larghe."
"Ecco perché non mi volevi più," mormorò, tirando le gambe al petto. "Non è che avevi un'altra."
"No," le assicurai, e vedendola così smarrita avrei voluto seriamente metterle una mano sulla spalla, consolarla, ma non volevo forzarla. Aveva necessità del suo tempo per sbollire. "Non ho mai guardato nessun'altra, mentre stavo con te. E nessuno, nemmeno un maschio, mi aveva mai fatto stare bene come hai fatto tu, Livia, te lo giuro. E' solo che ho capito—"
Lei deglutì. "No, cioè, va bene. Se le cose stanno così be', c'è poco che io possa fare."
Era talmente scossa che mi fece una gran pena. Mi diedi subito dell'idiota. Non solo quella era la ragazza più tosta dell'intera scuola, ma soprattutto quella situazione era colpa mia. Avrei voluto tanto poter aggiustare le cose sdrammatizzando con una semplice battuta, ma sapevo bene che il danno che le avevo arrecato era troppo ingente per cavarmela così facilmente. Che stupido, avrei potuto dirglielo in tanti di quei modi, magari seduti, non nel bel mezzo di una discussione furiosa, assicurandomi che la prendesse nel verso giusto, usando parole più adatte. Che mi era saltato in mente, facendole una confessione del genere? Avevo voluto stroncarla, per caso? Ero stato un vero insensibile, non avevo tenuto conto dei suoi sentimenti nei miei confronti, e adesso le avevo fatto un male affatto necessario.
"Noah," sentii dirmi, e Livia allungò una mano, e la posò sul mio ginocchio. "Conosco quello sguardo. Non farlo, va bene? Non hai nulla da rimproverarti, non è colpa tua."
"C'erano tanti modi per evitare di farti soffrire, invece," replicai, arrabbiato con me stesso.
"In qualsiasi maniera avessi voluto dirmelo, il succo sarebbe comunque stato quello," disse, convinta delle sue parole. "Non era indorando la pillola che avresti risolto la situazione. Non posso neanche immaginare quanto sia difficile per te."
Mi sfregai il volto. "Mi dispiace."
"Non dirlo nemmeno," sbottò, truce. "Sicuramente non è compiangendoti che affronterai tutto questo. Essere omosessuale ai giorni nostri non è facile, è vero," proseguì, "ma si hanno fatti tanti progressi. Il nostro mondo non è chiuso quanto pensi, e di certo non è un peccato. Lo affronteremo insieme, perché lasciarci di certo non altera il mio affetto per te."
Mi avvolse il collo con le braccia, e le mie si strinsero automaticamente attorno a lei, nel gesto d'amore più sentito che ci fossimo scambiati da mesi.
Posò la guancia sulla mia spalla, abbracciati sul freddo pavimento di quel corridoio dei sotterranei. "Sii fiero di chi sei, Noah. E promettimi che non rinuncerai mai alla tua vera natura. Non rinunciare a te stesso."
^^
Quando io e Livia entrammo nella Stamberga Strillante, il luogo dell'incontro segreto di oggi, trovammo già tutti lì. Tutti, eccetto ovviamente Scorpius, e Rose. Lui ci avrebbe ammazzati, e lei non sapevo se avessimo una spiegazione logica per il non averla chiamata. Forse era troppo coinvolta, o forse l'avrebbe detto a Julian, o forse, come credevo io, sapere del suo dolore l'avrebbe solo fatta stare peggio, ed era appena uscita da una spirale di sofferenza da cui l'avremmo volentieri tenuta alla larga. Era meglio che stesse con il suo ragazzo nuovo fiammante, senza affrontare altri drammi.
Isabelle, seduta al fianco di Albus, sollevò le orecchie come un segugio. Aveva un'aria indubbiamente nervosa, lei che in genere era la vera luce della situazione, e questo si rifletteva su Al. Non lo vedevo dalla fine delle lezioni, e non avevamo neanche cenato insieme, ma in quel momento mi accorsi di quanto stava male. Aveva delle occhiaie spaventose, perché trascorreva da una settimana le notti in bianco, ed era sbattuto, bianco in volto, affaticato, e la solita espressione acuta e vivace era totalmente sparita dai suoi occhi verdi. L'unica cosa che pareva tirarlo su era la mano di Izzy, stretta alla sua.
"Volete dirci perché siamo qui?" chiese Kalea, la dolce e intelligente strega francese che aveva conquistato tutti con la sua sensibilità. Era preoccupata, lei come il resto di noi. "E dov'è Rose?"
Io e Livia ci sedemmo vicini, e mi posò la mano sulla gamba, sorridendomi con fare incoraggiante. Da quando le avevo confessato della mia pena, rendendola l'unica conoscitrice del fatto oltre a Dave, aveva per me assunto la funzione di sorella, madre, ragazza tutto insieme. Mi vedeva come una persona cara da proteggere, non voleva che stessi male, o che avessi brutti pensieri. E adoravo questa cosa. Essere speciale per Livia era come vincere alla lotteria: rarissimo, e soddisfacente, e meraviglioso.
"Si tratta di Scorpius," disse Albus, e dalla sua faccia sembrava che stesse per vomitare. "Lui—lui non sta bene."
Quella breve premessa bastò per mettere le ragazze in allarme, soprattutto Izzy, che si era affezionata a Scorpius in maniera sincera e profonda. Subito, d'altronde, fu chiaro perché Rose non fosse presente.
"Non sta bene?" ripeté la ragazza, "è malato?"
"In un certo senso," rispose Dave, esitante.
"Spiegatevi, avanti," ci incitò Kalea.
Io attesi che i miei amici parlassero, ma capii che non erano in grado di farlo, non convinti della scelta di confidarsi con le nostre amiche. Ormai non avevamo più scelta. "Lui soffre di incubi," sbottai, e ognuno si voltò a guardarmi. "Incubi seri. Da quando è tornato dal periodo che aveva passato a casa, ogni notte ha questi sogni orribili. Non riesce, e non riusciamo, a dormire da giorni."
Isabelle si portò una mano alla bocca, gli occhi scuri sgranati.
"E' così grave?" chiese Livia, come sempre cercando di mantenere il sangue freddo. "Sono solo incubi, no?"
La fissai in modo serio. "Due notti fa è stato in Infermeria," le informai, con tono grave.
"Per cosa?"
"Quando gli succede, lui è come se perdesse il controllo del suo corpo," cercai di spiegare, ma era difficile farlo a qualcuno che non poteva nemmeno immaginare quello di cui stavo parlando. "Ha spasmi, si contorce, centinaia di volte è caduto dal letto, o ha tirato via le tende del baldacchino. L'ultima, ha afferrato la lampada dal comodino..."
Non potei non rabbrividire. Non ci fu bisogno di continuare nel racconto. Sebbene non sapessimo esattamente cosa fosse successo, ci eravamo svegliati con il suono di vetri infranti, e come avevamo acceso la luce, tutto ciò che avevamo visto era stato lui sul pavimento, in una pozza di sangue e di frammenti taglienti. Quella notte, il grido che aveva squarciato l'aria addormentata era stato quello nostro. Scorpius non aveva avuto facoltà di replica, e avevamo atteso l'alba nell'ala più isolata dell'Infermeria.
Isabelle rantolò. "Oh mio Dio."
"Posso—possiamo sapere che cosa sogna?" chiese, con maggiore ritrosia rispetto a prima, Livia. La sua mano era ancora sulla mia gamba, e mi riusciva a dare un conforto incredibile, considerato l'argomento delicato che stavamo affrontando. "Cioè, lui ve l'ha detto? Magari, sapendolo, possiamo fare qualcosa."
Rivolsi un'occhiata ad Albus. Era una cosa talmente intima nella vita di Scorpius, che lui era l'unica persona che poteva discuterne. Noialtri saremmo risultati sbagliati.
"Sì, lo sappiamo," disse infine Al, accettando la nostra silenziosa richiesta. "Lui sogna sua madre."
"Sua madre? Allora non deve essere così male," fece timidamente Kalea.
Albus si leccò le labbra. Le sue dita sbiancarono dalla pressione esercitata sulla mano di Izzy, ma lei non batté ciglio. "La sogna nel momento in cui muore," spiegò, e ogni parola equivalse ad una pugnalata nello stomaco. "Sapete che Astoria aveva una maledizione del sangue, quella della famiglia Greengrass. Ne hanno sofferto in molti nella sua linea, specialmente nel secolo scorso. Si credeva," continuò, battendo nervosamente il piede per terra, "che lei e la sorella Daphne non avessero l'allele della mutazione, perché la malattia aveva saltato due generazioni. Invece ne morirono entrambe."
"Come morirono, precisamente?" fece Livia, con una sorta di curiosità che se non si fosse parlato di Scorpius avrei condiviso.
Albus sembrava seriamente tormentato all'idea di continuare, ma era anche l'unico a poterlo fare. "La maledizione fa indebolire ogni fibra del corpo. Il malato perde le capacità motorie, di linguaggio, è stanco, spossato, confinato in un letto - almeno nell'ultima fase. Non era scritto da nessuna parte che avrebbe potuto avere conseguenze del genere, sennò—sennò Draco non avrebbe mai permesso—sì, insomma, permesso a Scorp di rimanere solo con lei."
La sua voce si spezzò; la ragazza al suo fianco si allungò e gli posò la mano sulla spalla. Lui voltò il mento nella sua direzione, all'improvviso dimentico della nostra presenza. Loro erano speciali, in ogni singolo contatto. Mentre negli sguardi di Rose e Scorpius aleggiava di tutto - scherno, divertimento, tensione sessuale, e via dicendo - nei loro c'era solo amore. Vero, indissolubile amore, in ogni sua forma, in ogni sfaccettatura. Non conoscevo nei dettagli l'evoluzione del loro rapporto, come fossero arrivati a quel punto, ma adesso per noi era impensabile che si potessero separare. Ero certo che non l'avrebbero mai fatto.
Izzy alzò un angolo della bocca in un sorriso dolce, e annuì, rassicurante. Al le strinse le dita tra le proprie, e tornò a rivolgersi a noi. "La sera in cui Astoria è venuta a mancare, Draco era nel suo studio. Il Guaritore le aveva dato ancora qualche giorno, nessuno si aspettava un peggioramento tanto veloce. Scorpius era nella stanza con lei, accanto al suo letto. Dormiva, perché nei giorni precedenti si era sentita fiacca, sempre più stanca, ed era tardi, quindi anche lui si era appisolato. Si è svegliato nel sentire il rumore di qualcuno che si stava strozzando, e quando ha guardato la madre, ha visto quello che l'avrebbe perseguitato per tutto questo tempo," oltre il freddo di quella stanza spoglia e rovinata, il gelo si impossessò delle mie ossa.
Albus l'aveva già raccontato a me e Dave, ma ogni volta era una tortura. Kalea e Dave non si toccavano, ma erano inclinati l'uno verso l'altra. Io circondai le spalle di Livia con un braccio, e lei si allungò per posare il capo nell'incavo del mio collo.
"Astoria era un bagno di sangue," riprese Al, "le fuoriusciva da ogni parte del corpo. Le lenzuola ne erano impregnate, l'odore riempiva la stanza, opprimente, rivoltante. Usciva dalle orbite degli occhi, dalle orecchie, dalle unghie, e la faceva soffocare. Non respirava, si dibatteva sul letto, le mani alla gola, ma non poteva parlare, chiedere aiuto. Non c'era nemmeno una parte di lei che non fosse imbrattata, ricoperta completamente. Quando Scorpius l'ha vista... be', immaginatevi la scena. Per tutto il mese successivo non ha chiuso occhio. L'hanno dovuto sedare, drogare in modo pesante, o la mancanza di sonno e lo stress gli avrebbero provocato danni permanenti. Ha visto psicologi, psichiatri, e nessuno è stato in grado di recargli sollievo. Lui è stato l'ultimo ad aver visto Astoria, e sua madre l'ha pregato, sull'orlo della morte, di aiutarla, ma non c'era nulla da fare. Non l'ha più vista, nemmeno al funerale, una volta pulita. Questa è l'ultima immagine che ha di lei, e questo è quello che rivive, ogni santa notte, e che non gli dà tregua."
Calò un silenzio pesante e spiacevole. Non potevo neanche concepire un'esperienza del genere. Chiaramente non sapevo che cosa avrei fatto al suo posto, ma lui doveva essere la persona più forte che avessi mai conosciuto, perché non sarei mai stato in grado di affrontarlo come stava facendo lui - in silenzio, senza disturbare nessuno, senza che la gente carpisse questo suo punto debole.
"E questi incubi," disse alla fine Kalea, in un filo di voce, "questi incubi li ha ogni notte da allora?"
"No," intervenne Dave, lasciando che Albus venisse sollevato dall'onere del racconto, "dopo un po' smette di averli. Da quando lei è morta e li ha avuti per un mese, ovvero in cinque anni, gli è capitato di riaverli una mezza decina di volte massimo."
"Cosa li scatena?" domandò Livia.
"L'alcol, in genere. Quando beve troppo, non ha più controllo di sé."
Lei allora si sollevò dal mio petto, confusa. "Scusate, ma se dopo qualche giorno smette di averli, perché ne stiamo parlando? Non finiscono da soli?"
Scossi la testa, sospirando. "Lo credevamo anche noi, per questo non abbiamo detto niente. Però questa volta è diverso. Io penso che sia stata la rottura con Rose che l'ha destabilizzato emotivamente. Non aveva mai detto niente all'infuori di invocazioni alla madre, ma ora tra le grida spunta fuori anche il suo nome, spesso, anche," affermai, combattuto. "Vederla con Julian, starle lontano lo sta distruggendo dall'interno."
Isabelle sgranò gli occhi. "Dio, lo sapevo. Non era proprio possibile, capite?" esclamò, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro. "Rose diceva di sì, del fatto della collana, della Sala Grande, ma non poteva essere. Lui l'ha amata così tanto, la ama così tanto, e non mi spiegavo proprio come potesse averla lasciata senza risentirne. Ma allora perché, perché si comporta così?" continuò borbottando tra sé, "perché non prova a tornarci insieme? Cosa diavolo è successo tra quei due..."
Aveva detto cose che non comprendevo - collana? Sala Grande? - ma il succo era chiaro. C'era qualcosa che né Rose, né Scorpius ci stavano dicendo.
Albus, che avevamo tutti preso tanto in giro per la sua innocenza e che alla fine ci aveva sorpresi mostrando di sapere più di quanto avessimo pensato, sbuffò. "Dobbiamo trovare un modo per aiutare Scorpius, non per farli rimettere insieme."
"No, no, non capisci," replicò Isabelle, andandogli incontro con le mani unite davanti a sé, "è questo, il modo. È Rose. Lei lo aiuterà, nessun altro può farlo."
Ma certo. Eravamo così stupidi. Era Rose, era sempre stata e sarebbe sempre stata solo lei. Per lui non esisteva altra persona.
Mi sfuggì un sorriso, un sorriso appena accennato ma ottimista. "Ve l'avevo detto che Izzy avrebbe trovato la soluzione."
^^
L'incubo arrivò, puntuale come un orologio.
Ognuno di noi aveva il suo compito da svolgere, e ne avevamo parlato così a lungo che ormai nella mia mente potevo benissimo immaginarmi quel che stava accadendo. Prima di tutto, Dave sarebbe piombato nella stanza delle ragazze, implorando l'aiuto di Isabelle. Avevamo pensato che sarebbe stato molto più logico chiamare lei piuttosto che Rose stessa, che aveva tagliato i rapporti con Scorpius. Poi avrebbe fatto finta di non sapere che lei non era in camera, e sarebbe parso ancora più disperato.
Albus e Izzy, infatti, nonostante fossero entrambi tesi come le corde di un violino, non avrebbero preso parte al piano. Del resto, noi quattro e la mora eravamo le persone più vicine a Scorpius, e non avremmo avuto modo di convincere Rose se fossimo stati tutti presenti. Comunque, mentre facevamo finta che quei due se la spassavano in giro per il Castello, Rose, mossa dall''empatia che la caratterizzava, avrebbe chiesto a Dave che cosa stesse succedendo di così grave, e lui avrebbe risposto solamente: "È Scorpius."
A quel punto, Rose sarebbe balzata giù dal letto, e me la immaginavo già correre a perfidiato per le scale, senza curarsi di Gazza, di Dave, del suo fidanzato, di nulla che non fosse lui.
Il mio ruolo nella vicenda era relativamente semplice: avrei dovuto chiudere le tende del mio baldacchino, fare finta che la stanza fosse vuota, così quei due sarebbero stati da soli, e avrei potuto spiarli e vedere se lei fosse stata capace di risolvere la situazione. Tra l'altro, sarei dovuto intervenire in caso contrario, ma dubitavo che ci fosse qualcuno in grado di svegliarlo, se nemmeno lei ci fosse riuscita.
Rintanarmi dietro il pesante tessuto fu tra le cose più difficili che avessi mai fatto. Andava contro ogni cellula del mio corpo il trattenermi dal cercare di aiutare Scorpius, ignorare le sue urla che mi perforavano le orecchie, fingere di non vederlo contorcersi sul letto con la maglietta attaccata al corpo e il volto tormentato. Ma lo stavo facendo per il suo bene, mi ripetevo. Speravo solo che quella benedetta ragazza facesse presto.
"Io vado a chiamare Madam Pomfrey," sentii infine dire da fuori da Dave, le cui doti recitative erano impressionanti, "tu intanto entra, vedi se riesci a fare qualcosa—"
Rose non se lo fece ripetere due volte, ed entrò, richiudendosi subito la porta alle spalle. Avevamo lasciato una lanterna accesa, per permettere a lei di vederlo, e a me di assistere alla scena. Era in pigiama, i capelli sciolti scompigliati e a piedi nudi, tanto che non osavo immaginare quanto freddo avesse. Si era fermata davanti alla porta, e mi accorsi che aveva una mano sul petto, e il respiro fermo fra i denti.
Fissava Scorpius con puro terrore, ma anche con una scintilla di nostalgia - come se fosse impaurita per lui, ma anche grata, perché lo stava rivedendo. Sapevo cosa stava pensando, perché aveva la stessa identica espressione che avevamo noi ogni notte, accentuata dalla sorpresa. Lei non sapeva nulla di quegli incubi orrendi, del malessere che possedeva il ragazzo ogni giorno, e quella visione doveva essere un vero trauma, uno shock violento.
Per un attimo rimase lì, a guardarlo. Le coperte erano state spinte giù dal letto, ed erano ammucchiate sul pavimento insieme ai cuscini. Avevamo allontanato i comodini per evitare che si provocasse altri lividi sbattendovi contro, e la maglia grigia era zuppa di sudore, così come i capelli biondi, ora ricci dall'umidità. Il volto non era bagnato dalle lacrime, segno che, per fortuna, la parte peggiore dell'incubo ancora non era arrivata. Magari per quella notte saremmo riusciti a risparmiargliela.
Le grida, però, quelle c'erano eccome. Straziavano le orecchie, il cuore, facevano rabbrividire. Strinsi il cuscino tra le braccia nel sentirli, come a poterli attutire con la sua morbidezza.
"Mamma, mamma, ti prego," gemette a bassa voce, afferrando con entrambe le mani il bordo del materasso, "mamma, non lasciarmi..."
I suoi lamenti sommessi, i movimenti inconsulti, le espressioni facciali agonizzanti; questo fu ciò che vide Rose, e questo la portò a mettere da parte settimane di litigi e indifferenza, la loro intera rottura, per precipitarsi accanto al suo letto.
"Scorpius," la sentii ansimare, e la vidi accucciarsi al suo fianco. La mano le tremò nel sollevarla per metterla sulla sua spalla, esitante. "Scorpius?"
Lui ebbe un tremito, uno spasmo, e sbatté con il gomito alla testiera del letto, con un breve e inconsapevole grido di dolore che ci fece paralizzare entrambi. Era assurdo che dopo una botta del genere ancora non si fosse svegliato, ma quegli incubi erano così, terrificanti, fuori dal mondo.
Rose deglutì, nervosa. Era in chiara difficoltà, non sapeva che fare, e io non sapevo come aiutarla. "Scorpius, devi svegliarti," disse, con voce più ferma di quanto mi sarei aspettato. "Avanti, svegliati."
Scorpius strinse i denti, e si prese la testa tra le mani. "Mamma? Mamma... non—non fare così, vedrai che troverò una soluzione, la troverò io," iniziò a cantilenare in modo incessante.
Lei aveva una mano sulla bocca, e lo fissava. Alla luce morbida della lanterna, vedevo i suoi occhi lucidi. A che cosa stava pensando? A come aiutarlo? O era bloccata dalla vista di tanta pena?
Un moto di delusione e preoccupazione mi invase. Avevamo sbagliato, ecco cosa. Credere che lei potesse risolvere quel tormento, come se il loro amore fosse stato ancora integro e forte, era stato un madornale errore. Adesso lei sapeva di quel segreto, e Scorpius non l'avrebbe mai perdonato, né a noi per averglielo detto, né a lui stesso per essere apparso bisognoso di aiuto ai suoi occhi. E la cosa peggiore era che era stato tutto inutile, perché non era riuscita a svegliarlo, anzi, era paralizzata dalla compassione, dallo sbigottimento, in un circolo vizioso che le impediva di pensare lucidamente.
Ero già pronto a intervenire, a portarla via, magari consolandola, quando accadde qualcosa.
Scorpius emise un lamento raccapricciante, un suono che ci si poteva aspettare da qualcuno cui si stava strappando via il cuore dalla gabbia toracica; così fece singhiozzare la ragazza, giunta ad un livello di stress estremo. Poi parlò, ma le parole erano cambiate.
"Rose, Rose, non andartene, non andartene mai..."
"Sono qui," rispose con le lacrime agli occhi lei, "non me ne vado più, Scorpius."
Sapeva che lui non poteva sentirla, ma non per questo rinunciò a parlargli. "Mi sei mancato, tantissimo," disse, "più di ogni altra cosa. Ti ricordi quando siamo andati nel Giardino Botanico, a vedere i girasoli? È stata una delle notti più belle della mia vita. Mi dispiace così tanto... le cose potevano andare meglio, dovevano andare meglio. Poi è tutto precipitato, e non me ne sono neanche accorta, che stupida. Mi hai detto di non amarmi più, e io ti credo. Solo che da parte mia non è così facile, anche se sto con Julian, e sono contenta di esserlo. Peccato che... be', che lui non è te."
E mentre parlava gli accarezzava il collo umido, gli sfregava le mani sul petto, abbassandogli la maglia che si era alzata mentre si era dimenato furiosamente, e spazzava via il velo di sudore dalla fronte perlacea. Era così bella, in quel momento, il volto animato dall'amore, dal dispiacere, dall'apprensione. Non lo era mai stata di più, più luminosa, armoniosa, affascinante di così. Era come se quella vita che era parsa averla abbandonata fosse rifluita in lei con forza, cancellando più di un mese di patimenti.
"Rose, Posie..." fece allora Scorpius, ma la voce, fino a quell'istante così angosciata e inquieta, si rivestì di una sorta di tranquillità, e le parole gli uscirono come in un sospiro.
"Shh," mormorò lei, non smettendo mai di accarezzarlo, chinata sulla ginocchia accanto al suo lungo corpo addormentato. "Va tutto bene. Non c'è bisogno di parlare. Stai bene, ora."
La situazione era cambiata radicalmente: quando era entrata, lui era un cumulo di nervi, non riusciva a stare fermo, borbottava, si contorceva, si lamentava; e invece mentre lei gli aveva parlato, stringendolo con quelle mani che dovevano essergli così familiari, la tensione lacerante lo aveva abbandonato, e adesso giaceva disteso, senza sobbalzare o gridare, come se fosse stato davvero solo immerso nel sonno.
Mi resi conto di aver assistito ad un miracolo soltanto quando lui parlò di nuovo. "Rose..." quel nome gli uscì dalla bocca, e in questo erano racchiusi sollievo, stupore, amore, dolcezza, gratitudine, qualcosa che non gli avevo mai sentito esprimere in sette anni di amicizia.
Ma soprattutto, mi accorsi che l'aveva fatto con consapevolezza. Con il cuore che mi martellava nelle orecchie, capii che si era svegliato. Rose l'aveva fatto.
Aprì gli occhi, che sfolgoravano nella luce calda della lanterna, come se l'argento delle iridi si fosse fuso. Il petto gli si alzava velocemente, il respiro spezzato, ma non ero certo che fosse tanto per l'incubo appena vissuto, quanto più per l'emozione di ritrovarsela vicina, dopo così tanto tempo passato lontano da lei.
Per diversi momenti non dissero nulla, e si guardarono, si guardarono a lungo, incapaci di parlare, di fare i conti con quel ritrovamento improvviso, con quel segreto svelato, con la gioia e il panico dell'essere di nuovo vicini, e da soli. Lui era preoccupato che l'avesse visto in quello stato, orgoglioso com'era, lei a disagio, perché il fuoco dentro di sé non si era di certo spento, e ferita, da come era stata lasciata... ma tutto ciò svanì dai loro occhi, incatenati, che si erano ritrovati dopo un lungo vagabondaggio, e che davano l'impressione di non volersi lasciare mai più.
Rimasi colpito dall'atmosfera tra i due, ma soprattutto dal gesto di Scorpius, che con ritrosia e delicatezza inaudite alzò lentamente la mano, appena tremante, e la posò sulla guancia di Rose. Lei aveva gli occhi sgranati, ma la testa le si inclinò verso il palmo, di istinto, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Socchiuse le palpebre, immersa in quel contatto fugace ma tanto desiderato. Lui era ancora sdraiato, ma l'intensità del suo sguardo era stupefacente. La distanza che li aveva tenuti separati in quel momento non c'era mai stata, si era dissolta quando la ragazza aveva scelto di gettarsi in suo soccorso.
"Forse dovrei andare," sentii dire da Rose, che riaprì gli occhi, pur senza allontanare il suo tocco.
Una scintilla di panico lo attraversò. "Avevi detto che non te ne saresti più andata."
Una ruga le si formò sulla fronte nel sentire quella frase. "Mi hai sentita?" domandò, stupefatta, e quando lui annuì appena, arrossì vistosamente. Potevo immaginare che cosa stava pensando: Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio!
"Resta, stanotte," ripeté allora lui, togliendo la mano e alzandosi per riprendere le coperte finite a terra. Mi accorsi che le mani gli tremavano ancora, ma stavolta era dall'emozione.
Rose non disse nulla, ma prese i cuscini e li rimise al loro posto. Quando si voltò, oltre all'ansia di quel contatto ravvicinato, vidi un lieve sorriso sul suo volto. Scorpius si sedette di nuovo sul letto, e le diede di spalle nel cambiarsi la maglietta con una pulita; lei si morse le labbra nel guardare ogni centimetro della sua schiena ampia, delle spalle larghe, della vita sottile. Fece finta di nulla, poi, quando lui si girò.
A quel punto avrei detto che lo spettacolo era finito, ma il ragazzo, con più disinvoltura di quanto mi sarei aspettato, si distese al suo fianco, e vedendola seduta le posò il capo in grembo. Il mio cuore si sciolse nel vederli entrambi socchiudere un attimo gli occhi dall'appagamento che conferiva loro quella posizione. Le dita di Rose si infilarono automaticamente tra i suoi capelli, come se non avessero mai fatto altro in tutta la vita, e le braccia di lui le circondarono il bacino, muscolose ma sempre delicate quando avevano a che fare con lei.
"Buona notte," fece allora la ragazza, assonnata, continuando a far scorrere le dita tra le ciocche morbide e chiare. "Se hai bisogno, sono qui."
Per la prima volta in un mese di tempo, vidi un sorriso sincero distendersi sulle labbra di Scorpius. "Buona notte, Posie," disse, e con loro mi addormentai, con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di grande.
Forse, ogni tanto, anch'io avevo ragione.
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