69 - 𝑇𝑟𝑢𝑙𝑦 𝑚𝑎𝑑𝑙𝑦 𝑑𝑒𝑒𝑝𝑙𝑦
{Un esemplare di Scorpius Malfoy in uno dei suoi capitoli più importanti}
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"Sei agitata?"
"No, perché dovrei esserlo?" replicai di getto, con voce stridula. Realizzai in quel momento che mi stavo mordicchiando l'unghia del pollice e smisi immediatamente.
"Di questo passo finirai per mangiarti la mano," brontolò Albus, abbandonato sul divano della Sala Comune dei Grifondoro con gli occhi chiusi e il braccio aperto verso destra, in modo da creare uno spazio dove Izzy potesse rannicchiarsi.
Scorpius gli lanciò un'occhiata fredda. "Un maestro del tatto."
"Senti chi parla, il Polaretto."
Dopo una lunghissima ed estenuante giornata di studi, ci eravamo tutti e otto raccolti da noi. Era venerdì, e avrei aggiunto un bel finalmente se solo non fossi stata con i nervi a fior di pelle.
"Smettetela di litigare," sbottai, lanciando un'occhiata nervosa all'orologio appeso sopra il caminetto.
"Ripetimi ancora perché non posso venire io con te," ringhiò mio cugino, fulminandomi con lo sguardo.
Roteai gli occhi, Izzy gli diede una gomitata e Scorpius sbuffò sonoramente. Quella conversazione andava avanti da due giorni, ed eravamo sempre fermi allo stesso punto.
"Perché tu li uccideresti entrambi, e invece è il loro momento di riconciliazione," risposi, asciutta. "Voglio che abbiano un giorno felice, per una volta nella loro vita."
"E cosa ti fa pensare che Scorpius non farebbe lo stesso?" ribatté, mettendo il muso come un bimbo di due anni.
Lanciai un'occhiata d'ammonizione al suo amico, stravaccato - posa inusuale per lui, sempre così elegante - sulla poltrona accanto al divano, la cravatta slacciata, i primi bottoni della camicia aperti e degli occhiali dalla fine montatura d'oro al posto delle solite lenti a contatto. Quegli occhiali mi facevano sempre morire: era bellissimo quando li indossava.
Lui notò il mio sguardo e mi fece un occhiolino. Che sfacciato.
"Perché sennò non lo aiuterò a fare i compiti di Aritmanzia, e lui ha un disperato bisogno di ripetizioni. Vero, Malfoy?" ghignai. Scorpius strinse le labbra, e voltò il capo per non guardarmi, stizzito.
Sapeva benissimo che non potevo dire ad alta voce ciò che gli avevo promesso veramente - non sapevo come si chiamasse quella posizione, perché era qualcosa che non avevo nemmeno mai visto, ma sembrava terribilmente piacevole - e quell'occhiolino era stata la fastidiosa prova del suo godimento di fronte la mia difficoltà; peccato che avevo saputo rispondere a tono, e adesso era lui a rimetterci.
I miei amici, almeno Izzy e Albus, perché Dave e Kalea stavano discutendo per conto loro di qualche altro libro che stavano leggendo, forse Il Grande Gatsby, e Livia e Noah giocavano a scacchi più in là, lo guardarono con tanto d'occhi. Non nascosi un sorrisetto di soddisfazione. Malfoy era bravissimo a scuola, capace in tutte le materie, e non si era mai sentito che avesse bisogno di ripetizioni.
"Vero," ringhiò fra i denti, facendomi scoppiare a ridere. Non mi sarei mai annoiata di stuzzicare quel ragazzo, cadeva nelle mie trappole troppo facilmente.
Lui si voltò di nuovo nella mia direzione, piacevolmente sorpreso nel sentirmi ridere. Mi resi conto che erano due giorni che, a causa di quell'enorme preoccupazione, non lo facevo così di gusto. Come lo feci, ripiombai nell'agitazione, e il cambiamento mi si lesse in volto. Ripresi a torturarmi le mani.
Scorpius sospirò. "È assurdo che tu sia così in ansia. Non è neanche il tuo, di padre, ringraziando Dio," borbottò, aggiustandosi gli occhiali sul naso perfetto con un gesto adorabile.
"Lei si sente responsabile per Caleb, ci vuole tanto a capirlo?" intervenne Livia dall'altra parte del divano. Era stata seduta in silenzio fino a quel momento, al tavolino da due di fronte a Noah, che ospitava la scacchiera della Sala Comune. Le pedine erano tutte sbeccate e mezze rotte, ma erano le più divertenti, perché si insultavano fino alla morte quando si colpivano a vicenda.
"Sì!" esultò poi, scattando in piedi e agitando le braccia in aria. "Scacco matto, idiota!" e appunto il suo grido di vittoria venne accompagnato dalle terribili imprecazioni della sua regina.
Albus sorrise, divertito da quella scena, mentre Malfoy, per niente impressionato, alzò entrambe le sopracciglia. "Dicevi?"
Non mi sarei mai spiegata come lui e Al riuscissero ad essere così amici nonostante le loro numerosissime differenze, ma la soluzione più vicina era il fatto che in apparenza potevano sembrare così diversi, ma nell'animo erano identici - buoni, altruisti, pronti a combattere per chi amavano.
Io, che mi ero stancata a furia di camminare febbrilmente avanti e indietro per la Sala Comune, mi andai a sedere sul bracciolo della poltrona di Malfoy, e lasciai scivolare una mano furtiva dietro i suoi capelli, accarezzandogli la nuca senza farmi vedere dagli altri. Accolse con piacere le mie carezze, e la linea dura delle sue spalle si ammorbidì.
"Dicevo che Caleb adesso sembra praticamente innamorato di Rose," continuò Livia, tuffandosi sul divano di fronte a quello di Albus e Izzy, e stendendocisi sopra come un delfino spiaggiato. "E lui non sa neanche chi è Shacklebolt. Cioè, sa che è il Ministro, ma non sa che è suo padre. Se l'incontro andasse particolarmente male, Caleb potrebbe prendersela con lei perché ha mantenuto il segreto tanto a lungo, e Shacklebolt, uomo malato, in fin di vita, perderebbe quell'ultima occasione di riconciliarsi con il figlio perduto. Quadra tutto, no?"
Tutti e quattro la fissammo con tanto d'occhi. Mi aveva decifrata alla perfezione. Non mi sarei mai aspettata che proprio lei, il tornado vivente dei Grifondoro, la biondissima ragazza capace di mettere in difficoltà un docente e di ammaliare al contempo mezza Hogwarts, fosse anche così abile nel leggere le persone.
"Oh, smettetela di guardarmi così," ci ordinò con un sorriso soddisfatto. "Non sono un completo Troll, sapete."
Tutto quello che aveva detto era vero: non riuscivo a stare pienamente tranquilla di fronte l'incontro che avrei avuto a breve, alle nove meno un quarto, con il Ministro Shacklebolt. Gli avevo spedito la lettera che lo informava della permanenza di Hogwarts ormai più di venti giorni prima, e lui mi aveva risposto con due notizie: la prima, che sarebbe venuto al più presto al Castello, e la seconda, che aveva trovato una medicina che l'avrebbe aiutato a combattere la sua terribile e avanzata malattia.
Sfortunatamente, come mi aveva informata una sua lettera giunta all'inizio della settimana, non era stato in grado di venire per complicanze al Ministero, ma si era messo d'accordo con la McGranitt per una visita segreta proprio quel giorno.
Io non sapevo che cosa pensare - ero contenta che si riunisse finalmente con suo figlio, dopo tanti anni passati distanti e dopo la terribile tragedia della moglie Bianca, ma al contempo ero in pensiero per Caleb. Lui non sapeva nulla: credeva di essere il figlio di Dean Thomas, di aver perso sua madre a dodici anni, e non sapeva di essere uno Shacklebolt. E io già tremavo di fronte l'idea di dirglielo, perché sarebbe andato in pezzi. Anch'io, al posto suo, avrei reagito in modo imprevedibile, perché i miei genitori erano le mie rocce, e senza di loro sarei stata persa. Caleb aveva sofferto così tanto nella vita che avrei volentieri voluto risparmiargli una cosa del genere, ma doveva sapere, era suo diritto farlo.
Mi infossai ancora di più nella curva che il bracciolo componeva con l'attaccatura al corpo centrale del divano, e raccolsi le gambe al petto.
"Almeno ci sei tu," sussurrai, riprendendo a far scorrere le dita tra i folti capelli biondi sulla nuca di Malfoy. Lui si voltò verso di me, distogliendo lo sguardo dall'accesa conversazione che stavano portando avanti Noah, Livia, Isabelle e Albus.
I suoi occhi arsero come tizzoni infiammati nel rispondere. "Io ci sarò sempre per te."
Da quando Albus ci aveva visti arrivare insieme alla festa di Lumacorno, pochi giorni prima, e aveva letto chissà quale complicità nelle nostre espressioni, eravamo giunti ad un tacito accordo, di cui nessuno aveva mai parlato ad alta voce, ma che tutti sembravano accettare: lui non faceva domande, e noi non mentivamo. Ero sicura che presto mi sarei piazzata davanti a lui e gli avrei detto, io e Scorpius stiamo insieme, ma quel giorno non era ancora arrivato. Avrei voluto avere un po' più di stabilità nell'urlarlo ai quattro venti, soprattutto perché ero sicura che una volta venutolo a sapere Al, anche Lily, Hugo e tutta la nostra famiglia avrebbero fatto lo stesso, per non parlare dei mille e passa studenti di Hogwarts.
"Se l'idea di andare a quello stupido incontro ti fa soffrire così tanto, posso andarci io al posto tuo," proseguì. "Possiamo inventare che stai male."
"Magari," ribattei sospirando, cullata dal suo profumo fresco e familiare. Alzai le spalle. "Temo che l'ira di Caleb mi perseguiterebbe persino nel dormitorio."
Scorpius si accigliò. "Provasse ad avvicinarsi, quell'idiota... a proposito," e qui assunse un tono tagliente che identificai immediatamente come gelosia, "sbaglio o Livia ha detto che è innamorato di te?"
Sorrisi, e sfruttai la copertura offerta dalla sua ampia schiena per posare la mano sulla sua, vicina a me. "Non intende letteralmente."
"Oh, io credo di sì," replicò, stizzito. "Ogni volta non riesce a toglierti gli occhi di dosso. Per fortuna non può usare le mani, altrimenti—"
"Scorpius!" lo rimproverai, nascondendo il mio divertimento e il piacere nel vederlo risentito a causa di Caleb. "Questo è esattamente il genere di commenti che faresti meglio ad evitare stasera."
Mi restituì un sorriso genuino. "Non so se sarò in grado di sopportare Thomas che ci prova con la mia ragazza," asserì, intrecciando le dita con le mie. Abbassò lo sguardo, ora pensieroso, sulle nostre mani unite. "Mi piace dirlo—che sei la mia ragazza, intendo. E ora ti bacerei, se non ci fosse tuo cugino a fissarci."
"Non dire così," replicai, accarezzando con il pollice il suo anello d'argento, che amavo così tanto. Glielo sfilai per rigirarmelo al dito, ma era così grande che era impossibile farlo aderire bene. "È il tuo migliore amico."
Lanciai un'occhiata ad Albus, adesso impegnato a sussurrare qualcosa di dolce a Izzy, che sorrideva, guardandolo con una quantità spropositata di amore negli occhi. Erano così belli insieme: si completavano, per citare lo stomaco senza fondo di Isabelle, come due fette di torta.
"Se quello che è successo a Izzy l'avessi subìto io," mormorai, seguendo il filo dei miei pensieri, "pensi che saresti stato così bravo com'è stato Albus?"
Lui mi guardò, sorpreso, gli occhi grigi e verdi illuminati morbidamente dal fuoco del caminetto. "Perché me lo chiedi?" chiese, non trattenendosi e alzando la mano per accarezzarmi lo zigomo. Era una posizione strana, lui seduto di traverso sulla poltrona con le gambe incrociate, dando le spalle al divano degli altri due, e io sul bracciolo, i volti vicini e il calore dei corpi che permeava attraverso i vestiti.
La notte di San Valentino, io e Scorpius, impegnati in non mi ricordavo quale conversazione con chissà chi, avevamo visto Izzy e Albus scappare da dietro una tenda dell'Aula Ventisei, e vedere lei così sconvolta era bastato per afferrare il ragazzo al mio fianco e rincorrerli. C'era stato un momento in cui tutti e quattro ci eravamo guardati, noi confusi e preoccupati, loro arrabbiati - Albus - e sconvolti - Isabelle.
Poi io mi ero gettata in avanti e l'avevo abbracciata stretta, e lei aveva affondato il volto nel mio collo, ed era scoppiata a piangere, riuscendo, se possibile, a terrorizzarmi ancora di più. Ci eravamo tutti sistemati nella nostra Sala Comune, deserta tra la festa del Lumaclub e il giorno di San Valentino e l'orario, Izzy tra le braccia di Albus e Scorpius alle mie spalle, la mano sulla mia schiena.
Ci aveva raccontato di quello che aveva dovuto sopportare, delle terribili azioni di Sanguini, di tutto quello che era successo a giugno e di come avesse avuto paura da quel giorno in poi. Io mi ero sentita così disgustata che quando era stata l'ora di mettersi a dormire, e mi ero appena infilata nel letto, ero stata costretta a correre al bagno da una violenta contrazione del mio stomaco, e avevo rigettato anche l'anima. Izzy mi aveva sentita, e mi aveva tenuto i capelli, e poi ci eravamo messe a piangere tutte e due. Non avevamo chiuso occhio, parlando di quello che era successo, fino alle cinque del mattino, e l'unico conforto era stato l'aiuto e il supporto che Albus le aveva continuato a dimostrare.
Incontrai gli occhi del mio ragazzo. "Perché se fossi stata al posto suo, io non sarei stata come lui. È riuscito a stare così calmo..."
Scorpius sospirò, lasciando scivolare la mano sul mio collo, sfiorandomi la clavicola. "È stato calmo perché sennò Isabelle avrebbe sofferto ancora di più. Pensa quanto si sarebbe spaventata se lui avesse iniziato a prendere a cazzotti quel verme, e quanto si sarebbe sentita in colpa se lui fosse stato punito o espulso per proteggere lei. Fidati," aggiunse, "Al avrebbe voluto, ma ha pensato al bene di lei prima."
Mi accigliai. "Avresti fatto lo stesso?"
Lui sollevò gli occhi e li posò sul soffitto. Passarono alcuni istanti in cui non rispose, poi tutto d'un tratto i suoi lineamenti si serrarono, prendendo la forma di una maschera di furia. "No, non l'avrei fatto. Se avesse fatto qualcosa del genere a te, l'avrei ucciso. E so che è sbagliato, ma non credo che sul momento avrei avuto la lucidità di trattenermi."
Ecco, quello sarebbe stato il momento migliore per dirglielo: ti amo, Scorpius. Avrei voluto farlo così tanto, aprirmi, ma c'erano altre sei persone con noi, e quello bastava a rovinare un momento perfetto.
Nel mio sguardo però dovette notare qualcosa, perché portò due dita sotto il mio mento e fece incontrare, con dolcezza inaudita, le nostre labbra - fregandosene di Albus, di tutti gli altri, del fatto che chiunque uscito dai dormitori o di rientro nella Sala Comune ci avrebbe potuti vedere.
"Dobbiamo andare," mormorò poi, lasciandomi un altro bacio sulla fronte e alzandosi in piedi. Si lisciò le pieghe sui propri pantaloni, poi mi rivolse un sorriso sghembo. "Sei pronta?"
"Vuoi una risposta sincera?" replicai con una smorfia, accettando la mano che mi tendeva per rialzarmi anch'io.
"Andate di già?" intervenne Izzy, sollevando i grandi occhi scuri su di noi. Li animava un barlume di preoccupazione, l'ultimo sentimento che avrei voluto provasse; dopo quello che aveva passato, si sarebbe soltanto dovuta sentire in pace e tranquillità.
Mi infilai le mani in tasca. Dave e Kalea misero giù il loro libro - sì, era proprio Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, - e Noah e Livia si distrassero dalla seconda partita di scacchi, la quale, dai lamenti che stavo sentendo, stava per essere vinta dal primo. "Sì," risposi, avvicinandomi a lei con un sorriso. "Non vorrei fare tardi."
"Andrà tutto bene," replicò, ottimista. "Entrambi ti adorano."
Avevo le mie perplessità sull'affetto che il Ministro poteva provare per me, ma non l'avrei mai contraddetta in quel momento.
Albus, con le braccia ancora attorno alla sua ragazza, posò il libro di Pozioni e aggrottò la fronte. "Sei proprio sicura che non vuoi che venga, vero?"
"Non ho bisogno della guardia del corpo, Al."
"Però lui lo fai venire," mormorò scontroso, indicando Scorpius con un cenno del mento.
Scoppiai a ridere. "Albus, per favore. Questa gelosia è insensata!"
"E aspetta di vedere zio Ron," ribatté lui, adesso con un sorrisetto malizioso.
Gli feci il dito medio, e mentre tutti gli altri ridevano afferrai Malfoy per il braccio e mi allontanai.
L'appuntamento con Caleb era davanti alla Sala Grande alle nove meno un quarto appunto, e poi tutti e tre saremmo andati nell'Ufficio della Preside, che avrebbe sorvegliato l'incontro. Del resto, il fatto che ci fosse una visita al Castello era un fatto ben più che straordinario, perché venivano solo familiari per studenti gravemente malati o feriti, com'era successo a me con la dose della Pozione Vulnerante, oppure personaggi illustri per tenere lezioni particolari. Adesso si poteva fare giusto un'eccezione, perché si parlava del Ministro della Magia in persona, ma generalmente tali eventi non erano permessi. Era quindi d'obbligo che la McGranitt tenesse tutto d'occhio, e comunque l'unico modo per entrare comodamente era usare il caminetto nel suo studio.
Non ero sicura che la presenza di Scorpius avrebbe veramente giovato alla situazione, poi. Caleb non era esattamente a suo agio quando era nei dintorni, dato che, come aveva avuto l'occasione di spiegarmi, lo percepiva troppo protettivo nei miei confronti, e comunque ancora non si era dimenticato di come avesse cercato di convincermi a mandarlo ad Azkaban dopo che eravamo atterrati giù dalla torre, a dicembre, e avevamo svegliato i professori. Sapeva e capiva che aveva fatto bene, ma gli risultava difficile averci anche solo una conversazione, perché incuteva timore, e lo guardava sempre con aria tagliente.
Avevo anche cercato di spiegargli che lo faceva con tutti, ma lui era rimasto della sua idea, e avevo rinunciato.
Shacklebolt, dal canto suo, costituiva per me un'incognita - la maggior parte dell'ansia che avevo era a causa sua, in realtà. Non riuscivo a scrollarmi di dosso la paura che avrebbe detto qualcosa di sbagliato a Scorpius, qualcosa che riguardava la sua famiglia. Se avesse accennato alla situazione di Daphne e alla sua parentela con Brierley, credendo che io, chiusa quella storia, ne avessi parlato con lui, allora la serata sarebbe finita in tragedia.
Avevo cercato di dissuaderlo in tutti i modi dal venire, dicendo che non c'era bisogno, che era stanco e via dicendo, ma non c'era stato verso. Mi aveva risposto brevemente che voleva essere sicuro che stessi bene, che la situazione non mi stressasse e che nessuno mi torcesse un capello, e non erano valse a nulla tutte le mie argomentazioni. Allora, per fargli promettere di comportarsi per bene e non come un bisbetico vecchio stralunato, gli avevo promesso che avrei provato quella strana fissazione sessuale che aveva, e avevo chiuso lì la conversazione.
"Rose," mi salutò con un cenno della mano Caleb, sbucando dal pavimento con leggiadria e svolazzando davanti a me. Mi rivolse un sorriso entusiasta, che però si spense quando vide Malfoy alle mie spalle. "Ah, ci sei anche tu."
Quelle parole bastarono per far perdere la pazienza al mio compagno, che si irrigidì. "Sì, non pensare che io invece sia felice di passare la serata con te."
"Ragazzi," li ammonii, incrociando le braccia al petto con aria severa. "Avevate promesso che vi sareste comportati bene."
"Se lui non mi guardasse sempre male."
"Se lui riuscisse a tenere chiusa quella bocca."
Roteai gli occhi, esasperata. "Quanti anni avete, cinque? Finitela."
"Ha iniziato lui," ribatté subito Scorpius, con una smorfia di superiorità verso Caleb, che gli fece il verso.
Dio mio, non sarei mai riuscita a farli andare d'accordo, neanche con Ghandi e Nelson Mandela come spalle.
"Comunque," riprese subito Caleb svolazzandomi attorno mentre, irritata, mi dirigevo da sola verso l'Ufficio della McGranitt. "Non mi hai detto perché ci stiamo incontrando."
Il mio compito, come mi aveva spiegato Shacklebolt, si articolava in due fasi: la prima era portare il ragazzo-fantasma nella Presidenza senza dirgli nulla del vero motivo dell'incontro, altrimenti si sarebbe potuto rifiutare o spaventare, e la seconda era lo stargli accanto, fungendo da presenza rassicurante qualora le emozioni l'avessero travolto.
Io, dal canto mio, non mi sentivo in grado di svolgere nessuna delle due.
"Mi—mi serve che mi aiuti in una cosa."
"Nell'Ufficio della Preside?" insistette, scettico, quando raggiungemmo il settimo piano.
"Sì."
"Cosa mai—"
"Dacci un taglio," abbaiò Malfoy in mio soccorso. "Tanto siamo arrivati. Non puoi aspettare cinque secondi che saliamo?"
Decisi di lasciarli ai loro battibecchi senza interromperli, grata al biondo per avermi aiutata, e per questo risparmiandomi una predica. La Presidenza, appunto, si trovava nello stesso piano della Torre dei Grifondoro, e per chi non c'era mai stato poteva passare del tutto inosservata. Era protetta da un gargoyle, il quale, una volta dettagli la parola d'ordine per entrare, si animava e balzava d'un lato; la parete dietro di lui si apriva, rivelando una scala a chiocciola di pietra in continua movimento, come una scala mobile Babbana. In cima, dietro una lucida porta di quercia con il batacchio a forma di grifone, c'era l'Ufficio della Preside. Era una stanza circolare, grande e bella, solitamente ricca di rumorini strani. Su alcuni tavoli dalle gambe lunghe e sottili, avvolti in nuvolette di fumo, erano posati molti curiosi strumenti d'argento. Le pareti erano ricoperte di ritratti di vecchi e vecchie Presidi, garbatamente appisolati nelle loro cornici, - adocchiai Silente, mentre il quadro di Newt era vuoto, - e di scaffali con vecchi libri ed altri oggetti, come il Cappello Parlante e una teca di vetro, dietro la quale c'era la spada di Godric Grifondoro. Al centro c'era un enorme scrivania con le zampe ad artiglio. Su una parete c'era un grosso armadio nero, mentre su un'altra un camino, collegato alla Metropolvere. Erano presenti anche delle finestre, dalle quali si potevano vedere le montagne che circondavano Hogwarts e il campo di Quidditch.
Io non notai quasi nulla del paesaggio, sia perché le finestre erano oscurate dalla notte e dalla presenza di Shacklebolt in piedi davanti ad esse, e sia perché venni travolta dai ricordi. L'ultima volta che ero stata là dentro, a parte quella in cui io e la mia famiglia avevamo usufruito del caminetto per trasportarci a casa, era stato a causa della Pozione Vulnerante. Scossa dalle visioni, quello era stato il rifugio dove riacquisire calore e tranquillità, con i quadri e la McGranitt che vegliavano su di me, e la presenza di Malfoy al mio fianco.
D'istinto, nella frazione di secondo in cui gli adulti si accorgevano di noi e ci salutavano, io lasciai scivolare la mano nella sua, che la strinse delicatamente.
"Ragazzi," esclamò la Preside, rivolgendoci un raro saluto, forse dovuto all'occasione informale in cui ci trovavamo. "Buona sera."
"Buona sera," ripeté cordiale Scorpius. "Salve, Ministro," aggiunse, quando vide Shacklebolt, ma lui a malapena lo udì, impegnato a fissare Caleb alle nostre spalle.
Non lo biasimavo, ma aveva addosso uno sguardo adorante e al contempo addolorato, di chi aveva perso il proprio figlio, e l'aveva trovato sotto spoglie diametralmente opposte. Caleb, al contrario, sembrava messo in difficoltà dallo sguardo dell'uomo - e come dargli torto? Non lo conosceva, non sapeva del legame che li univa.
Fui sorpresa, poi, di vedere quanto il mago fosse in forma. Addirittura aveva scelto di non portare il bastone, e la schiena, sebbene non fosse mai stata ricurva come quella di un anziano, adesso era più dritta che mai, e sembrava che fosse ringiovanito di qualche anno. Che medicina miracolosa avevano mai scoperto il Guaritore Martens e suo nipote Nick?
"Perché non vi accomodate?" interloquì la McGranitt, notando, con i suoi occhi felini, l'aria nella stanza che si andava gradualmente raffreddando. Ci indicò le poltroncine davanti alla sua scrivania: in genere ce n'erano due, ma adesso erano raddoppiate per ospitare tutti e quattro noi ospiti. Un gesto di cortesia, perlomeno, perché Caleb di certo non ne aveva bisogno, e Scorpius preferì, come al solito, sistemarsi in piedi alle mie spalle, le mani sullo schienale della mia poltrona. Da un lato questa posizione mi piaceva, in quanto così mi stava più vicino di quanto avrebbe fatto da seduto, però mi inquietava anche, dato che non potevo vederlo.
La McGranitt incantò un servizio per il tè, che versò il liquido bollente in quattro tazze decorate con motivi floreali. "Mirtillo," mi spiegò, vedendomi interessata nello scrutare il ricco color viola scuro. Le risposi con un sorriso e presi la mia tazza, tenendola tra le mani per scaldarmi. Per un attimo ognuno di noi tacque, io, Scorpius e la Preside consapevoli che non era il nostro turno di parlare, e Shacklebolt forse in difficoltà, o solo intento a racimolare le parole giuste.
"Potrei sapere cosa sta succedendo?" sbottò Caleb, interrompendo quel silenzio gravoso. "Rose," si rivolse a me, "perché siamo qui?"
Non era di certo a me che doveva fare riferimento, ma come poteva saperlo se il Ministro non parlava? Scorpius questa volta si trattenne dal dirgli di chiudere il becco, e sentii le sue dita affusolate sul mio collo, come consolazione.
Neanche quella domanda diretta sembrò smuovere il Ministro dal suo mutismo; e sapevo che non toccava a me, parlare, ma non mi rimase che farmi coraggio, perché quell'uomo stava buttando all'aria l'occasione di avere qualcosa di veramente bello nella sua vita. Quel figlio tanto atteso era arrivato tardi nella vita, superati i quarantacinque anni, e gli era stato strappato via insieme alla moglie... adesso doveva combattere per riaverlo.
"Okay," sospirai, muovendomi sulla sedia con lieve disagio, ma fingendo di ignorare il tremore che aveva iniziato a scuotere le mani del Ministro. "Quando siamo tornati qui ad Hogwarts, finite le vacanze di Natale, ti ho raccontato per filo e per segno come sono andate le nostre indagini, giusto?"
"Giusto," confermò, esitante ma meno nervoso, calmato dal fatto che gli stessi spiegando il tutto.
Annuii. "Bene, quindi ti ricorderai di quando ti ho detto che io e Scorpius siamo riusciti ad entrare dentro Azkaban usando il Mantello dell'Invisibilità di zio Harry," e qui la McGranitt sbuffò un certo malcontento. "È successo che nel capire quale fosse la sezione dove ti avevano messo, in modo da poter parlare con i tuoi compagni di cella e avere qualche notizia in più, siamo entrati in un dipartimento..."
"L'Ufficio per la Segretezza," mi aiutò Malfoy nel vedermi impegnata nel ricordarmi il nome.
"Sì, sì, esatto—grazie. Bene, siamo entrati in questo ufficio, e abbiamo trovato la tua cartella. Non so come abbiano fatto ad avere queste informazioni, ma..." scossi la testa, poi sollevai la parte posteriore del mantello e tirai fuori una cartellina, prima frapposta tra la mia schiena e la cintura dei pantaloni.
Il Ministro seguì con occhi attenti la mia mano mentre prendevo il fascicolo e lo aprivo. Essendo un essere incorporeo, Caleb non poteva né toccare né manipolare alcun oggetto, e per questo dovetti io aprire la pagina giusta, e sollevarla in modo che potesse leggerla.
Il ragazzo-fantasma impiegò alcuni istanti per trovare il punto focale del foglio, che andasse al di là delle sue generalità e della data della sua morte, e quando lo fece la sua espressione divenne piatta come una tavola da surf. Se fosse stato umano, probabilmente l'avrei visto sbiancare.
Il cuore mi si strinse dolorosamente nel constatare la sua immediata sofferenza, come una scarica di dolore attraverso il corpo.
Fissò per altro tempo quel misero foglio di carta che avevo in mano, poi gli angoli della bocca gli si piegarono all'ingiù, in una smorfia di disgusto, amarezza, e soprattutto di delusione. Avrei voluto non esserci, avrei voluto lasciare quella rivelazione nelle mani di Shacklebolt, ma invece mi ritrovavo lì, ad assistere ad una scena alla quale non avevo alcun diritto di partecipare, come se avessi aperto una finestra che dava direttamente sull'animo di quelle persone.
Alla fine, dopo un silenzio quasi straziante - Shacklebolt era impegnato a decifrare il volto del figlio, la McGranitt conservava il suo cipiglio e io e Scorpius eravamo muti dal disagio, - Caleb si decise ad aprire bocca. "Quindi—" e la voce gli si incrinò, un gesto totalmente umano che mi spiazzò, "quindi mio padre non è mio padre."
Questa volta non riuscii ad attendere che il Ministro parlasse, perché l'afflizione che aveva avvolto Caleb era troppa per restare a guardare. "Non è così," risposi io, reprimendo l'istinto di posargli una mano sul braccio per consolarlo, "Dean rimarrà sempre tuo papà, ti ha cresciuto e ti ha amato come se fossi suo. Solo, adesso sai che anche il Ministro ha la stessa funzione. Credo," aggiunsi, con delicatezza, "che dovremmo lasciarvi soli—"
"No!" ruggì Caleb, gridando così forte da prendermi totalmente in contropiede. Scorpius affondò le mani nelle mie spalle, e io fissai, desolata e spaventata, i connotati del volto del fantasma cambiare, deformarsi, e gli occhi diventare del tutto neri; persino la voce diventò cavernosa e distorta.
"Ti prego, resta," terminò, una volta ritornato se stesso, un millisecondo dopo.
Quel grido inaspettato aveva spezzato quella calma apparente, e adesso avevo i nervi a fior di pelle. "Va bene," cercai di suonare rassicurante, "resto."
Ma perché mi ero lasciata convincere? Certe volte credevo non ci fosse limite alla mia stupidità.
"Caleb..." sussurrò colui che non aveva spiccicato parola da quando eravamo entrati nella Presidenza. Sorpresi, tutti e quattro ci voltammo verso di lui.
Ed ecco che finalmente lo riconobbi: quell'incondizionato, purissimo e meraviglioso amore che non poteva venire che dai propri genitori, e che io milioni di volte avevo visto sullo sguardo di mamma e papà, dello zio Harry, di nonna Molly, di Draco; una tenerezza e una dolcezza uniche, capaci di farti aprire il cuore, e di farti commuovere. Quelli erano esattamente gli stessi occhi che tanto avevo agognato quando mio padre era stato confinato in quel lettino del San Mungo, che parlavano di gioia, di amore, di sincerità, di fedeltà, di orgoglio, occhi che un figlio non si sarebbe mai dimenticato nella vita.
Vederli nel viso stanco e segnato di Shacklebolt mi fece venire voglia di singhiozzare, e non potei trattenere una singola lacrima, di commozione e di felicità. Che quei due avessero il lieto fine che meritavano, era stato uno dei miei desideri più grandi negli ultimi mesi.
La McGranitt colse quella lacrima fugace e con un sorriso rabbonito mi tese il proprio fazzoletto di stoffa, che accettai di buon grado, mimando delle parole di ringraziamento con la bocca per non interrompere quel momento magico.
"Tu—tu sei mio padre?" chiese Caleb, con gli occhi neri sgranati.
"Lo sono," fece Shacklebolt, alzandosi in piedi ed eguagliando così la sua altezza. Il ragazzo si prese il tempo di guardarlo meglio: in quanto Ministro, raramente ci era stata, da piccoli, concessa la possibilità di avvicinarsi a lui abbastanza da notare quei piccoli particolari, ma adesso erano inconfondibili. Oltre la stazza e la sfumatura scura della pelle, li accomunava la forma ovale del viso, il naso lungo, il mento, l'attaccatura dei capelli - tutti dettagli che sarebbero sfuggiti a chiunque non sapesse la verità sulla loro parentela, ma che risultavano chiari a chi invece ne era a conoscenza.
Mi dissi che Caleb doveva assomigliare molto anche a sua madre, e forse era dovuto anche a questo lo sguardo puramente estetico di suo padre. Aveva di fronte non solo il figlio perduto da piccolo, ma anche colui che costituiva il legame più stretto con l'amata moglie.
"Dean..." iniziò Caleb, ma non seppe come concludere la domanda, e per questo Shacklebolt lo aiutò.
"Sono successe tante cose in questi anni," rispose il Ministro, scegliendo accuratamente le parole da utilizzare. "Se avrai voglia, e anche un poco di pazienza, ti spiegherò tutto. Altrimenti sarai liberissimo di tornare alla tua vita, e io non ti disturberò oltre." Era evidente quanto gli costasse dire una cosa del genere, e Caleb parve notarlo, perché annuì.
"Ti ascolto."
Improvvisamente capii che noi altri eravamo veramente di troppo, e lo fece sia la McGranitt, che disse: "A questo punto io mi ritirerei per la notte," sia Scorpius, che fece pressione sulla mia spalla perché mi alzassi.
"Te ne vai?" mi chiese ansiosamente il fantasma, vedendomi in piedi al fianco del mio fidanzato - mi venivano i brividi a considerarlo così, nonostante la prossima settimana avremmo fatto un mese.
"Vi lasciamo un po' soli," risposi, stanca ma contenta. "Se vuoi aspettiamo fuori."
Ricevetti in cambio due sorrisi e un gesto affermativo, e così io e Scorpius ci incamminammo verso la scala a chiocciola, e poi superammo il gargoyle. Seguii il suo corpo alto e slanciato fino alla finestra che dava sul Lago Nero, e ci accomodammo sul davanzale.
Tirai le gambe al petto, posando il mento sulle ginocchia. Guardai il paesaggio fuori: splendeva la luna piena, che illuminava morbidamente il Lago ghiacciato, il Platano Picchiatore spoglio e addormentato, e lo strato di neve che ricopriva il prato dei Giardini. Era uno spettacolo mozzafiato. Sulla neve, poi, osservai, si potevano intravedere le orme lasciate da piccole zampe, come quelle di una volpe. Le seguii con lo sguardo, cercando di allungarmi per sorprendere anche l'animaletto che le stava lasciando, quando sobbalzai di colpo, appiattendomi contro il vetro.
Al margine della Foresta Proibita, vicino ad un grosso albero, ero sicura di aver visto una figura, nera come la pece, rivolta verso di noi.
Con un brivido di terrore lungo la spina dorsale - Izzy mi aveva fatto vedere troppi film dell'orrore perché potessi calmarmi di fronte una scena simile, - allungai cautamente il collo di nuovo verso la Foresta, sentendo i battiti del cuore pulsare fastidiosamente nelle mie orecchie, ma come ebbi una visuale completa, quella figura si era volatilizzata.
Me l'ero immaginata? Però era passato da un pezzo, o almeno si sperava, il periodo delle allucinazioni...
Lanciai un'occhiata a Scorpius per vedere se si fosse accorto di niente, o quantomeno della mia reazione, ma lui aveva reclinato il capo all'indietro contro il muro, le gambe incrociate, e teneva gli occhi chiusi. Solamente guardarlo fu di grande aiuto, e calmai i miei nervi impazziti. Era bello come il Sole, o meglio, come la Luna che gli illuminava il volto di bianco.
Non era forse il momento perfetto per una dichiarazione? Non avrei potuto togliermi quel groppo in gola con cui giravo da settimane? Io volevo dirgli che lo amavo, dirgli che l'avrei sempre amato e che quel sentimento era covato dal mio animo già dalla notte di Capodanno.
Come avrei voluto fare, però? Non potevo uscirmene così, senza un minimo di previsione, un piano per sapere come comportarmi in base alla sua risposta. Sarebbe parso imbarazzato, perché mi ero dichiarata troppo presto? Sarebbe stato solo a disagio, per il medesimo motivo? Avrebbe detto che anche lui mi amava? O mi avrebbe risposto 'grazie'?
Se mi avesse risposto 'grazie' l'avrei lanciato dalla finestra.
Era così difficile. Quella era esattamente il genere di confessione che poteva spezzare l'equilibrio di un rapporto. Noi potevamo aver trascinato avanti quella relazione per mesi prima di darle un nome preciso, ma comunque stavamo insieme da tre settimane. Non che fosse, d'altronde, un fidanzamento normale, con tutto quello che avevamo passato, però non volevo che un passo così importante lo stabilizzasse, o gli facesse, paradossalmente, cambiare idea su di noi.
La sua mano, che non mi ero accorta essersi sollevata, trovò la base del mio collo, e il pollice mi accarezzò la clavicola, spostando di poco il maglione che indossavo. "Sei sempre impegnata a pensare, tu," sussurrò, ma nel completo silenzio in cui eravamo avvolti, fu perfettamente udibile. "Perché non stacchi la spina ogni tanto?"
"A volte lo vorrei," sospirai, godendo delle sue carezze delicate sulla pelle. "È solo che poi non saprei che fare."
Una risata sommessa provenne dal suo petto, un suono che ben si amalgamò con la calma e il silenzio che ci circondavano. "Potresti rilassarti," mi fece notare, e poi azzardò un sorriso. "Ma a quel punto non saresti più tu."
Gli diedi un piccolo calcio alla caviglia con la punta della scarpa. "Ha parlato il re dei rilassati," ghignai, sarcastica. "Tanto lo so che anche tu sei più stressato di quanto non dai a vedere."
Diglielo, diglielo, diglielo! Non perdere tempo con queste stronzate, ti prego.
"L'unico motivo per cui potrei essere stressato adesso," replicò svelto Malfoy, "consiste nell'essere obbligati a rimanere qui fuori al freddo invece che di stare al caldo e da soli in una Sala Comune deserta - e tutto perché dobbiamo mediare in un dialogo padre-figlio potenzialmente catastrofico."
Alzai gli occhi al cielo. "Non ti passa mai per la mente che compiere un'azione buona nella vita non è per forza una perdita di tempo?"
La sua mano si fermò dallo sfiorare la mia clavicola, e lui alzò entrambe le sopracciglia. "Fare un'azione buona che vada a vantaggio di qualcuno che non sa nemmeno cosa buono voglia dire?" chiese, ironico. "Certo che è una perdita di tempo."
"Ti prometto che dopo quest'ultimo sforzo non ti trascinerò più in niente del genere," sorrisi, posando le dita sul suo ginocchio.
"Certo che no, sarai troppo impegnata a darmi ripetizioni di Aritmanzia," sbuffò, rivelando tutto il disappunto che si era tenuto dentro quando mi ero inventata quella bugia davanti Izzy e Al.
Mi venne da ridere. "Avanti," scherzai, allungandomi per prendergli una guancia tra due dita e strizzandola come faceva nonna Molly, "non ti sarai mica offeso."
Lui mi scoccò un'occhiataccia. "Puoi giurarci."
La serata trascorse così, mentre stavamo accoccolati, vicini, sul davanzale di una finestra di Hogwarts, parlando di tutto ciò che ci veniva in mente. Il nostro compito sarebbe dovuto essere quello di aspettare che Caleb e Shacklebolt finissero di parlare, in modo da sapere come fosse andata e di salutare il Ministro prima che partisse; invece, loro si dimenticarono di richiamarci, e noi ci dimenticammo di andare a controllare come stesseremo procedendo le cose. Rimanemmo in quella posizione per ore, a tratti scherzando, a tratti scambiandoci carezze affettuose, a tratti bisticciando come eravamo abituati a fare.
A pensarci bene, nelle settimane a venire, avrei facilmente etichettato quella serata come una delle migliori passate con lui: senza interruzioni, senza distrazioni, solamente puro tempo concesso per noi, un lungo momento di intimità, così rara nel contesto della vita frenetica al Castello. Parlammo di tutto, quella notte, di sogni e desideri, di paure, di ricordi, di ciò che ci avrebbe riservato il mondo una volta fuori da Hogwarts. Non eravamo affatto certi di come avremmo vissuto, e se saremmo stati ancora insieme, oppure se quei mesi sarebbero stati gli ultimi - e i primi - della nostra relazione.
Non sapevamo niente, non avevamo alcuna certezza: però, per la prima volta nella mia vita, mi andava bene così.
^^
Nel Castello si era diffusa una voce che, nel giro di qualche mese, era diventata un'usanza.
Non sapevo chi l'avesse fatta partire, né perché, ma da quando stavo al quinto anno si vociferava nei corridoi il seguente detto: se hai un problema, a fare i compiti, a trovare il fidanzato oppure a parlare con i professori, Rose Weasley ti aiuterà.
A suo tempo avevo creduto che fosse stato Malfoy a spargere tale pettegolezzo, forse perché, dopo appena due settimane, tutto il mio tempo libero era stato occupato da gente che, disperata, mi chiedeva di aiutarla nelle più varie cose, e io non avevo avuto tempo per respirare per tutto il resto dell'anno; e quello era esattamente il tipo di astuto tiro mancino che mi avrebbe fatto lui, convinto di starmi facendo chissà quale danno.
In realtà io ci avevo preso gusto, ovviamente. Aiutare le persone in difficoltà mi era sempre piaciuto, e mi dava un senso di pace che altrimenti avrei ottenuto solo con lo studio o con i miei amici, e quindi man mano che mi dimostravo entusiasta nel farlo, gli studenti erano diventati sempre più inclini a chiamarmi. La situazione si era fatta un minimo più tranquilla solo dopo che due ragazzi si erano presi a sberle nel cortile perché entrambi sostenevano di avere la precedenza nel chiedermi di soccorrerli prima di un compito, e quindi era intervenuta la McGranitt con polso fermo.
Comunque, il business non si era fermato, ma solo ridotto, e per questo mi capitava ancora di ricevere richieste, specialmente per un compito o in vista degli esami. L'unica regola era che, iniziato maggio, chiudevo i battenti - e non perché avessi chissà quale fretta di studiare o perché fossi arretrata, dato che per quel mese così frenetico mi ero già portata avanti, ma perché iniziavano a fare così anche i miei amici più stretti, e considerando che erano almeno una decina non avrei avuto il tempo materiale per aiutare altra gente.
Comunque, eravamo arrivati a sabato, il giorno prima c'era stato il secondo incontro tra Caleb e Shacklebolt, che dai racconti del primo si era svolto ai Tre Manici di Scopa, e quell'essere odioso e ripugnante di Sanguini ci aveva annunciato che a fine aprile ci sarebbe stata la lezione tenuta dallo zio Harry sul potere dell'amore, e io non vedevo l'ora di sentirla.
Per il momento invece, l'ultimo sabato di febbraio, in cui bene o male le temperature erano lì lì per alzarsi permettendo passeggiate più piacevoli, non ero ad Hogsmeade con il resto dei miei compagni a godermi il weekend - ero inchiodata al tavolo dei Serpeverde della Sala Grande per aiutare uno del secondo anno a fare i compiti.
Lanciai un'occhiata a Malfoy, seduto di fronte a me, dall'altro lato del tavolo. Stava leggendo la Gazzetta del Profeta con l'espressione leggermente annoiata, e gli occhiali dalla montatura dorata in bilico sul naso. Da quando gli avevo detto che mi piacevano da impazzire li metteva più spesso, specialmente nei fine settimana, quando non doveva seguire le lezioni o giocare a Quidditch.
Soffocai un sorriso, e per fortuna lui non mi notò. Quando avevo detto ad Albus e agli altri che sarei rimasta al Castello per ripassare con un ragazzino, loro avevano tutti sbuffato, ma Malfoy si era subito offerto di rimanere con me, certo che fosse chissà quale modo sottile, magari in codice, per comunicargli che avremmo avuto un po' di tempo da soli nel suo dormitorio. Invece, e lì aveva spalancato gli occhi in maniera quasi dolorosa, aveva scoperto solo una volta che il gruppo si era già avviato che stavo dicendo la verità.
Non che io fossi chissà quanto entusiasta di ripassare i Troll.
"Ascoltami," interruppi quel povero studente che fissava le pagine del libro di Difesa Contro Le Arti Oscure con puro sconforto. Si trattava di un ragazzo che sembrava più piccolo della sua età, con due grandi orecchie a sventola e gli occhi castani. I capelli erano ricci come pochi, e a furia di tirarseli dalla disperazione si erano sparsi in tutte le direzioni.
"Non c'è bisogno che ti impari tutte queste cose," lo confortai, "capisco che possono sembrare tantissime. Sanguini non esigerà mai che ti impari chissà quali dettagli, però è importante che tu conosca le informazioni di base in caso dovessi mai incontrare una creatura del genere. Vogliamo fare," proseguii, vedendo i suoi lineamenti rilassarsi appena, "che io ti leggo le cose più importanti e tu prendi appunti? Così a lezione aggiungerai solo le nozioni fondamentali, e per il resto li avrai già pronti."
"Grazie," rispose lui, confortato dal mio sorriso e dal mio tono tranquillo. Forse aveva pensato che sarei stata chissà quale pazza nevrotica, o forse era solo spaventato da Sanguini, o in ansia per il futuro esame. Chi avrebbe potuto dirlo?
Diedi una veloce letta alle pagine in attesa che prendesse carta e penna. Non alzai gli occhi su Malfoy, perché poi mi sarei distratta. "Allora, vediamo un po'. I Troll sono alti fino a tre metri e mezzo e pesano oltre una tonnellata," iniziai, vedendolo scrivere velocemente e in modo disordinato.
"Terribilmente forti e notoriamente stupidi, i troll sono spesso violenti e imprevedibili. Sono originari della Scandinavia ma tutt'oggi si trovano in Gran Bretagna, Irlanda e altre zone del nord Europa. Queste sono le informazioni più generali: è fondamentale sapere della loro astuzia - se sono intelligenti sono più pericolosi, come gli Orchi - e di dove si trovano. Certo, se ti trovi in una palude nel nord Europa, sarai sicuramente più a rischio che su una spiaggia in Grecia. Ci sei?"
Il ragazzo, Ben, annuì. "Circa tre metri, forti, violenti ma stupidi. Scandinavia, ora Nord Europa," lesse le proprie note.
"Bravo," concordai, "il segreto nel prendere appunti è quello di scrivere soltanto le parole più importanti, senza perdere tempo con connettivi vari. Se si scrivono frasi intere poi è facile perdersi il seguito, perché il professore di certo non si ferma per aspettarti."
Ripresi, accavallando le gambe. "Tutti i Troll hanno un naso adunco, tre o quattro dita delle mani e dei piedi e, tranne quelli completamente calvi, la chioma che sembra muschio. La loro pelle è coriacea—"
Un ghigno mi interruppe. Alzai lo sguardo su Malfoy, e vidi che aveva messo giù la Gazzetta, e che aveva le braccia incrociate. "Ma tu guarda, Weasley—vuoi smetterla di dare le tue descrizioni? Sei eccessivamente egocentrica."
Roteai gli occhi. "Ah, ah, quanto sei spiritoso. Mi sto sentendo male dal ridere. Continuiamo," dissi rivolta a Ben, che però aveva un sorrisetto divertito.
Malfoy parve soddisfatto dalla sua reazione.
"Quindi... ecco. La loro pelle è coriacea, non hanno bisogno di armatura, e poi non la sopporterebbero. Un troll può vivere circa il doppio di un uomo ma, considerando che sono piuttosto litigiosi, nessuno di loro arriva neanche ai cento anni," controllai che Ben avesse scritto tutto prima di andare avanti. "In genere comunicano con grugniti, anche se alcuni capiscono e sanno pronunciare parole umane—"
"Ahia," intervenne Scorpius, pronto a rovinare tutto come al solito, "abbiamo appena scoperto la tua specie d'appartenenza."
"La vuoi piantare?" sbottai, dandogli un calcio al di sotto del tavolo. "Stiamo cercando di studiare, qui."
"Scusa," sogghignò, "è solo che queste somiglianze sono così evidenti che è impossibile non notarle."
Gli puntai un dito contro, irritata. "Se continui questa conversazione, le uniche somiglianze che troverai saranno quelle tra la tua faccia e il gabinetto del mio bagno, mi hai capita?"
Lui scoppiò a ridere, ma alzò il giornale e riprese a leggere. Mi voltai verso Ben, e mi accorsi che stava ridacchiando; gli scoccai un'occhiataccia e ricominciai a leggere. Tra tutti e due, un Troll li avrebbe battuti in astuzia.
"I più intelligenti sono addestrati come guardiani. Si nutrono di carne cruda di qualsiasi specie. Vivono di solito in comunità, solitamente nascosti nel sottosuolo specialmente di giorno. Odiano il rumore e anche per loro l'esposizione alla luce del sole è fatale, infatti li trasforma in pietra. Sono molto avidi e hanno un debole per i tesori rubati. Vi sono cinque tipi di Troll: di caverna, dei fiumi, di collina, di montagna e dei ghiacci."
Qui alzai lo sguardo per controllare che quel cretino del mio ragazzo non stesse aspettando il momento giusto per interrompermi, ma lo trovai immerso nella lettura. Allora guardai Ben, che mi restituì un'occhiata interrogativa.
"I Troll di caverna si sono adattati a vivere nelle caverne assieme ai vari clan di Orchi; poiché sono molto robusti, vengono sfruttati dagli Orchi e utilizzati per trasportare grosse quantità di rocce e altri materiali o per attaccare i pochi avventurieri che si inoltrano negli antri orcheschi. Punti deboli invece sono la loro lentezza, che li rende facilmente aggirabili, e la loro scarsissima intelligenza, che li porta alla mercé dei più piccoli ma furbi e crudeli Orchi."
Presi un breve respiro e un sorso d'acqua, gentilmente offerto dagli elfi delle cucine durante le ore di studio, e proseguii, leggermente più calma. "I troll dei fiumi hanno brevi corna e possono essere pelosi. La loro pelle è violetta. Li si trova spesso in agguato sotto i ponti con qualche bastone rudimentale come arma—"
E a quel punto Malfoy, che davvero non poteva resistere alla tentazione di urtarmi i nervi, scoppiò fragorosamente a ridere, attirando l'attenzione di mezza Sala Grande, e riuscendo a farmi uscire il fumo dalle orecchie. Anche Ben ridacchiò, trovando la risata del ragazzo contagiosa.
"Scusa," esclamò quell'idiota, "è che ogni cosa che dici—come fai a non trovarlo esilarante?"
"Perché dovrei?" ringhiai, indispettita. Mi stavo iniziando ad arrabbiare sul serio. Quel povero ragazzo come avrebbe fatto a studiare qualcosa se ci fosse stata la sua presenza irritante a disturbare ogni due per tre?
Malfoy rise ancora, una risata così divertita da assomigliare ad un ululato. "Perché se ricordi bene, anche tu hai aspettato, ieri, il momento giusto per darmi una mazzata," replicò, gli occhi luminosi dall'eccitazione.
Sbuffai pesantemente. Erano state le dieci di sera, e le ragazze erano uscite con i propri fidanzati, mentre io stavo studiando in dormitorio; avevo sentito un brutto rumore, e così mi ero spaventata - avevo afferrato il manico della mia scopa e avevo atteso che chiunque fosse si facesse avanti. Peccato che si era rivelato solo Malfoy, e che, non avendolo riconosciuto in tempo, si era beccato una bastonata nello stomaco.
"Anzi che non ti ho preso in testa," replicai con una smorfia. "Adesso me ne stai facendo pentire."
Lui ridacchiò. "Ieri non ti dispiaceva così tanto."
Mi impegnai con tutte le mie forze per non arrossire dolorosamente di fronte la frecciatina riguardo il modo in cui mi ero fatta perdonare ieri. "Senti," ringhiai, "c'è chi sta cercando di studiare, qui. Solo perché a te non passa neanche per la testa di farlo, non significa che sia così anche per gli altri. Ergo, dato che hai tutto il tempo del mondo per farmi incazzare, cerca di tacere almeno per una mezz'ora! Chiaro?"
"Cristallino," replicò lui, sorridendo beffardo. Si portò le dita alla bocca e fece il gesto di chiudere le labbra con una chiusura lampo, e di gettarsi la chiave alle spalle.
Adoravo quando metteva da parte la solita aria arrogante e pretenziosa e imperturbabile per adottare quell'atteggiamento morbido e scherzoso, ma con Ben e nel bel mezzo della Sala Grande non era né il tempo, né il luogo adatto.
"I Troll di montagna," dissi, e Ben quasi rovesciò il mio bicchiere nel tentativo di riprendere velocemente la piuma per scrivere, "sono caratterizzati da una folta pelliccia, prediligono i climi più rigidi e gli ambienti più spogli e rocciosi. Come i Troll di caverna, i Troll di montagna abitano spelonche e grotte e non sopportano la luce del sole, per cui rappresentano un pericolo sicuramente meno incombente, a meno che non ci si introduca nelle suddette grotte di propria spontanea volontà."
"Weasley?" mi chiamò Malfoy.
Io digrignai i denti e feci finta di ascoltarlo, non sopportando più quella tortura.
"Non è sicuramente consigliabile trovarseli di fronte poiché, a differenza degli altri Troll, sono piuttosto astuti e, essendo di una stazza più piccola, riescono a muoversi con una velocità maggiore rispetto agli altri esponenti della propria razza."
"Rose?" fece ancora Scorpius, con tono sempre più divertito.
Mi girai verso Ben, che cercò di smettere di ridere come mi vide fissarlo male. "Hai capito tutto fino a qua?" e lui annuì febbrilmente.
"Posie?" insistette il biondo, e lì battei le mani sul tavolo. Non potevo ignorarlo per sempre, perché quel bambino piccolo avrebbe insistito a chiamarmi ogni due secondi; decisi di estirpare il problema alla radice.
"Che c'è?" sibilai, pronta ad ucciderlo a mani nude.
Lui sorrise, un sorriso diverso, un sorriso sì divertito ma anche sentito dal profondo.
"Credo di essermi innamorato di te."
^^
🌻 Per chi si aspettava una dichiarazione plateale, be', sappiamo che Scorpius non è il tipo... ma comunque (ricordatevelo) non verrà deluso. La dichiarazione plateale prima o poi arriva sempre! buon Natale pischelli xx 🌻
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