68 [𝑰𝑠𝑎𝑏𝑒𝑙𝑙𝑒] 𝑶𝑣𝑒𝑟 𝐴𝑔𝑎𝑖𝑛
{La ragazza più bella di Hogwarts...}
{... e il suo altrettanto bello ragazzo}
🌻Per chi non ha mai sentito questa canzone, vi prego, fatelo mentre leggete, perché è davvero meravigliosa. Come sempre, i crediti dei disegni vanno agli autori xx 🌻
^^
Continuai a guardare quella rosa bionda come l'oro che Alice Longbottom mi aveva appena consegnato. Sperai che la mia espressione fosse rimasta impassibile, ma al contempo ero consapevole di quanto fosse difficile. L'unica cosa che forse poteva tradirmi era il vago rossore sulle mie guance, che, sapevo bene, essendo così chiare non potevano nascondere una reazione del genere.
Hector mi aveva mandato un regalo, il Giorno delle Rose. Sapeva che ero fidanzata, sapeva che non poteva esserci nulla tra di noi, eppure aveva persistito.
Avevo cercato di fingere di essere sorpresa, di aggrottare le sopracciglia in modo convincente, ma non sapevo a quanto fosse valso. I fiori arrivati a Rose probabilmente avevano costituito una distrazione perlomeno decente, eppure non ne ero certa. Avevo visto come i suoi occhi mi avevano scrutata, in cerca di qualcosa che non le avevo ancora detto - ed effettivamente era così, perché io non le avevo detto tante, tantissime cose, e non ne trovavo mai il coraggio.
Mi salì un groppone in gola, e tenni gli occhi abbassati sulla pozione che avevo davanti per tutto il tempo che mancava alla fine di quella lezione. Temevo che sarei scoppiata a piangere nel bel mezzo della spiegazione, se non avessi tenuto i nervi saldi, di crollare sotto il peso agonizzante delle mie stesse bugie.
Avevo già deciso da diverso tempo di parlarne con le ragazze, ma si sapeva, capitava spesso di decidere una cosa e non essere in grado di portarla a termine... e così mi trascinavo dietro quel fardello dall'estate, nove lunghissimi mesi di silenzio, di assoluta omertà.
La mia risolutezza, poi, benché piuttosto scarsa già di per sé, si volatilizzava nel nulla non appena mi sfiorava l'idea di aprirmi con Albus - il che era davvero ingiusto da parte mia. Al trovava in me un porto sicuro, una persona che potesse sempre aiutarlo in caso di necessità, e io adoravo essere quello di cui lui aveva bisogno.
Come potevo non farlo? Albus era tutto per me. Rose era la mia migliore amica, quella sorella che non avevo mai avuto, - Stephen e Trevor, del resto, erano miei fratelli e li amavo alla follia, tuttavia con i loro undici anni non potevano eguagliare ciò che lei rappresentava per me, - ma lui era diverso. Con Rose era stato tutto immediato, era come se le nostre anime, quel giorno di sette anni prima, sull'Hogwarts Express, ci avessero condotte l'una dall'altra, e poi avessero fatto click. Un legame indistruttibile che non si sarebbe mai sciolto, un'amicizia che non poteva essere approfondita più di così, perché già aveva raggiunto il picco più alto possibile.
Il mio rapporto con Albus, invece, era stato totalmente differente. L'avevamo costruito passo dopo passo, aggiungendo gradini inconsapevolmente, avvicinandoci e allontanandoci, ma senza mai perderci di vista. Se avessi dovuto fare degli esempi pratici, avrei paragonato me e Rose a due manette, che una volta agganciate costituivano un legame ferreo, e l'acciaio non si sarebbe mai più allentato; me e Al, invece, ad un filo - si poteva consumare, aggrovigliare, allentare, ma anche se fosse stato reciso, i due lembi tagliati si sarebbero sempre potuti riunire in un nodo, e quel nodo avrebbe rappresentato il punto più forte dell'intero filo.
Sin dal primo anno, con lui non c'era mai stato niente di normale. Certo, all'inizio eravamo solo dei bambini, cosa potevamo capirne dell'amore, dell'attrazione, dell'indistruttibile forza che ci avrebbe avvinghiati a sé di lì a poco?
Fino a quando avevamo quattordici anni, le nostre interazioni erano state quasi limitate. Lui per me era il cugino della mia amica, e a sua volta l'amico di colui che la faceva uscire dai gangheri, quindi quando Rose e Scorpius erano impegnati a litigare, noi, invece di guardarli senza dire niente, avevamo imparato a dialogare cordialmente, ma senza mai dire o fare nulla di particolare. Il suo amore per Rose però l'avevo visto sempre come esempio: avevo voluto anch'io una famiglia che mi amasse così, e invece mi era stata negata alla nascita. Ogni tanto potevamo fare qualche compito, magari tutti insieme, con Kelz e Noah e Dave, ma raramente, se non mai, rimanevamo da soli, e nessuno di noi cercava occasioni per farlo, perché non avevamo quasi nulla da spartirci.
La situazione era cambiata al quarto anno, e ancora adesso non sapevo se fossero stati la pubertà e i nostri ormoni, a giocare una parte così importante in tutto ciò che sarebbe successo da quel momento. Fatto stava che, dopo aver passato tutta l'estate in vacanza con i miei genitori e Stephen e Trevor, quando l'avevo visto di nuovo al Castello mi ero sentita come se mi avesse colpita un fulmine, e il mio cervello da fangirl impazzita l'aveva subito paragonato a Percy Jackson.
Anche durante quella noiosa lezione di Pozioni, a diciassette anni compiuti, se avessi chiuso gli occhi e mi fossi concentrata un attimo, mi avrebbe investita come un treno la valanga di pensieri ed emozioni che avevo provato nel ritrovarmelo davanti. Sicuramente la prima domanda che mi ero posta era stata la seguente: ma da quando è così alto?
Le ragazze del mio anno avevano iniziato ad assumere forme più femminili già al terzo, e io, cresciuta solo in altezza - di essere donna ancora me lo sognavo, specialmente quando guardavo Kalea, che già era completamente sviluppata, - mi limitavo a svettare sopra qualsiasi maschio conoscessi, con il mio metro e settantaquattro di altezza. Non c'era altra ragazza che fosse alta come me, per il momento, ma tutte avevano almeno due taglie di reggiseno di più - questo fino a quell'estate, certo. Finalmente anch'io avevo potuto dire di essere diventata più femminile...
Peccato che anche i ragazzi avevano avuto la loro crescita, e Dio mio, Albus Potter più di tutti messi insieme. Me l'ero visto venire incontro insieme a Rose, già infastidita da come tutta la scuola stesse parlando di quanto bello fosse divenuto Malfoy, e io mi ero chiesta come fosse possibile che lei fosse così immune al fascino del ragazzo accanto a lei. Albus era cresciuto non sapevo quanto, e da un mese all'altro era riuscito a rimpiazzare la corporatura magra e esile con due spalle larghe, il torace definito e delle gambe chilometriche. I capelli corvini erano cresciuti, e diventati scompigliati come quelli del fratello James, che era appena entrato al Castello e già aveva fatto colpo sulle ragazze più grandi, e su quelle più piccole, come al solito.
Non mi sarei mai permessa di dimenticare il modo in cui gli occhi, verdi come delle pietre preziose, mi avevano riconosciuta tra la folla che riempiva la Sala Grande, e poi mi avevano squadrata, mangiata, osservata, divorata, prima il viso, con il nuovo taglio di capelli, poi il corpo, e io mi ero sentita così bella. Già allora avevo capito quanto fosse un'emozione sbagliata - e non solo perché non spettava certo ad un uomo il potere di far sentire bella una ragazza, ma perché era l'adorato cugino di Rose, e io per la prima volta l'avevo visto come qualcos'altro.
I due anni successivi furono strani. Non c'era più quel rapporto di pura formalità tra di noi: chiacchieravamo con entusiasmo ogni volta che ci incontravamo, facevamo in modo che i gruppi di studio fossero più frequenti, e quando uscivamo per andare ad Hogsmeade nei fine settimana, spesso, forse di proposito, forse no, facevamo in modo di arrivare al punto di incontro con una ventina di minuti di anticipo, per ritagliarci un angolo tutto per noi. Io in cuore mio avevo iniziato a tifare per lui a Quidditch, e quando si era fatto male ad una partita mi ero preoccupata così tanto che avevo trascorso un'intera notte, all'oscuro di chiunque altro, accanto al suo capezzale. Io fingevo di non essere abbastanza capace in Pozioni per studiare sola con lui, e lui a sua volta improvvisava delle carenze in Difesa Contro Le Arti Oscure, perché era la materia in cui eccellevo. Si trattava di una sorta di amore molto precoce, infantile, quasi, per cui nessuno dei due era capace di portare le cose ad un livello superiore, ma al contempo non eravamo neanche pienamente soddisfatti della condizione che stavamo vivendo.
Non c'erano pensieri complicati di mezzo, non a quindici anni, non quando l'amore mi sembrava così facile, meraviglioso, non quando desideravo una storia grandiosa, come quella di Pretty Woman, di Titanic, di Casablanca, persino di Grease. Si trattava solo di essere impacciati, tipicamente impacciati, come perfetti adolescenti.
Era al sesto anno che tutto era cambiato radicalmente, e io quella notte ancora me la ricordavo, dettaglio dopo dettaglio, parola per parola, ogni emozione provata.
"Ma quanto hai bevuto?" mi gridò Rose per sovrastare il volume della musica, afferrandomi per le spalle. Alzai lo sguardo e le rivolsi un sorriso che sapevo benissimo essere ebete, e strinsi di più la bottiglia di Whiskey Incendiario che avevo in mano.
"Un po'," risposi, sentendo la bocca impastata dall'alcol. In genere neanche Rose si faceva pregare, ma di rado superava quel limite che portava dall'essere ubriachi allo stare male il giorno dopo. Anche perché, come mi ricordava sempre lei, poi non avrebbe potuto seguire le lezioni. A me non importava molto di sentire Lumacorno blaterare tutto il giorno, mentre zompettava allegro come un Barbapapà tra i calderoni fumanti, e quindi quando ad una festa avevo l'occasione di divertirmi tendevo a coglierla.
Non ero sicura che Tosca Tassorosso avesse inizialmente concepito la Stanza delle Necessità come rifugio più o meno sicuro per gli studenti del Castello per fare baldoria e bere fino a distruggersi il fegato - un intento molto meno nobile del celebre Esercito di Silente, guidato anni prima da Harry Potter, - eppure eccoci là, a festeggiare il compleanno di James, nel cuore di novembre. Neanche a dirlo, quel ragazzo, dotato di un'autostima di grandezza incomparabile, si pavoneggiava in giro per la stanza godendo delle attenzioni che gli venivano rivolte; e poco importava che si fosse diplomato già da un anno, e che quindi fosse già uscito dal Castello.
Rose, ancora di fronte a me, mi schioccò le dita davanti al volto, riportandomi alla realtà, per quando il mio cervello annebbiato me lo consentisse. "Santo il testicolo peloso di Merlino, vuoi per favore ascoltarmi?" sbottò, mascherando come al solito la preoccupazione sotto una maschera di fastidio.
Malfoy sbucò alle sue spalle. La festa andava avanti da ore, dovevano essere almeno le tre di notte - eppure nulla nel suo aspetto impeccabile lasciava presagire come da tempo fosse stato stipato in una stanza dall'aria bollente, in mezzo ad altri corpi ricoperti da un velo di sudore. L'elegante camicia grigia, che faceva risaltare i suoi occhi argentei, era priva della minima piega, i capelli biondi in ordine, o comunque come ce li aveva di solito, un bicchiere in mano e l'usuale ghigno stampato in faccia. Da un lato, osservandolo in quel modo, non potevo non ammettere che capivo perché così tanta gente fosse attratta da lui, ma dall'altro la sua costante perfezione ed eleganza e compostezza e raffinatezza mi davano l'impressione di un che di alieno, e non riuscivano ad attrarmi in senso fisico.
"Che delicatezza, principessa," apostrofò Rose, con lo stesso ghigno.
Lei roteò gli occhi e gli lanciò un'occhiata di sufficienza al di là della propria spalla. "Senti, non so se il tuo cervello ottuso ha notato, ma ho circa una miriade di questioni più importanti da affrontare che non parlare con te, quindi, se non ti dispiace—"
"Calmati," la interruppe lui, roteando gli occhi. Incrociò le braccia al petto, e attese che lei, innervosita, si voltasse per bene prima di continuare. "Albus ha bevuto troppo," dichiarò infine. "Devi riportarlo in dormitorio prima che si faccia male."
"Io ho già la mia ubriaca a cui pensare," gli fece presente Rose, indicandomi, spazientita. "Perché non lo fai tu?"
Malfoy alzò un sopracciglio, poi gettò uno sguardo verso una ragazza che lo stava evidentemente aspettando, appoggiata ad una parete, e quindi riportò gli occhi su di noi, un'espressione eloquente e maliziosa.
Rose sbuffò. "Dio, sei assurdo."
"Ne consegue," riprese Malfoy, come se non l'avesse sentita, "che non puoi certo portarlo da noi. Fallo dormire da te stanotte, o comunque tienilo buono per un paio d'ore."
"Un paio d'ore?" ripeté la mia amica, incredula. "Credi davvero di metterci così tanto?"
Lui si aprì in un sorriso sornione, così luminoso che per un attimo mi accecò. "Se non fossi così insopportabile lo sapresti."
Rose lo fissò con tanto d'occhi mentre si allontanava da noi, senza mai girarsi; lo guardammo entrambe raggiungere la ragazza, una Corvonero dell'ultimo anno, avvolgerle la vita con un braccio e sussurrarle all'orecchio qualcosa che la fece arrossire. Ci sapeva fare, era innegabile. Era già dal quinto anno, quindi dallo scorso settembre, che riusciva a far perdere la testa anche a quelle dell'ultimo.
Sentii Rose imprecare, e senza perdere altro tempo mi afferrò per il polso e mi iniziò a tirare perché la seguissi. Quando vidi che era diretta verso Albus, collassato tra le braccia di Noah, aggrottai la fronte. "Ma come, fai davvero come ti ha detto? Gli lasci libero il dormitorio senza—"
"Voglio tenervi d'occhio tutti e due," tagliò corto lei senza fermarsi, e neanche a dirlo, trascinare Albus, praticamente svenuto, fino alla nostra Sala Comune fu una vera impresa. Noah e Dave contribuirono il più possibile, ma portare un metro e ottantacinque di muscoli, seppure per lo stesso piano, non era certo un'impresa da poco. Loro ci abbandonarono a noi stesse dopo aver scaricato Al sul letto di Rose, che sembrava più nervosa che mai.
Io sapevo di averla delusa - mi ripeteva sempre come bere oltre il proprio livello di sopportazione fosse una pazzia, e del tutto inutile, - perché confidava che fossi abbastanza matura per evitarmi di stare male. E anche se, evidentemente, abbastanza matura in fondo non lo ero, pur di non farla arrabbiare mi impegnai per schiarirmi la mente ed evitare di farla irritare ancora di più, e mi sedetti docilmente sul mio letto.
Quante volte di lì in poi mi sarei chiesta come sarebbe stato, se Rose non fosse stata chiamata per conto di Kalea, che aveva avuto una pesante litigata con Logan e per questo aveva bisogno di essere rinfrancata. Se lei non fosse andata via dal dormitorio, chiudendosi la porta a chiave dietro per non farci vagare da ubriachi in giro per il Castello, con il rischio di incorrere in una punizione di Gazza. Se non ci avesse lasciati da soli, in balìa di noi stessi.
Ero talmente ubriaca che non avrei neanche saputo dire come finimmo a fare ciò che facemmo. Il momento prima eravamo entrambi stesi sulla schiena a fissare i soffitti dei baldacchini, quello dopo ci stavamo guardando, e quello dopo ancora eravamo avvinghiati in un bacio così intenso che ci aveva sottratto l'ossigeno dai polmoni.
Avevo sognato così spesso di baciare Albus che poterlo finalmente fare risultava un vero e proprio sogno. Per tutto l'anno non avevamo fatto altro che lanciarci occhiate di sbieco, prendendo lentamente e in modo confuso le misure l'una con l'altro, cercando di accettare quanto fossimo cresciuti, e diventati attraenti agli occhi altrui; e in quella sera di fine novembre il mio desiderio più grande, quello che covavo in silenzio, all'oscuro da chiunque altro, si era avverato, e io mi ero ritrovata nel cerchio delle sue braccia, le sue labbra morbide sotto le mie, la lingua calda, le mani affusolate su di me, e gli occhi verdi brillanti come fuoco greco. Il mio cuore era stato vicino allo scoppiare di gioia, ed ero così immensamente felice di averlo accanto che non avevo pensato a nulla che non fosse lui.
Quando ci eravamo svegliati la mattina dopo, però, sempre nel mio dormitorio, completamente nudi e soli, la realtà mi aveva colpita in faccia come un macigno - ma non i ricordi. No, quelli no: non riuscivo a rimembrare un singolo evento della notte passata, che fosse successivo al dialogo tra Rose e Malfoy. Non mi ero chiesta che fine avessero fatto le mie tre amiche - forse Kalea era finita con Logan, e Livia aveva ripiegato nella Sala Comune trovando la porta serrata - perché l'unica cosa che riuscii a fare fu gridare.
Mi tirai le lenzuola fino al mento, gli occhi sbarrati e il cuore che palpitava veloce come una Ferrari nel mio povero petto. Ero nuda come un verme, neanche un paio di misere mutande addosso, e quel che era peggio, Albus Severus Potter era sdraiato accanto a me, sullo stomaco, nudo anche lui, la pelle chiara liscia e levigata come neanche sapevo cosa, profondamente addormentato.
Che diavolo avevamo combinato?
"Albus!" gridai, sentendo il panico crescere sempre di più, afferrandolo per la spalla e iniziando a scuoterlo con forza. "Cazzo, Albus, svegliati!"
Lui dopo qualche istante sollevò il capo, spaesato dal brusco risveglio, e si girò sulla schiena con uno sbadiglio; peccato che così facendo mi diede modo di vedere ciò che non avrei dovuto, e perciò risucchiai il respiro dalla sorpresa e obbligai la mia stessa mano a coprirmi gli occhi. Dalla mia reazione si accorse che qualcosa non andava, e allora la sua mente, che man mano si andava rischiarando, uscendo dalla confusione, comprese il suo stato, e con un movimento brusco afferrò a sua volta le lenzuola per nascondersi. Così facendo, quel cretino mi prese alla sprovvista, e mi lasciai sfilare la coperta dalle mani; i suoi occhi si allargarono spropositatamente nel vedere il mio seno, e con un altro grido strepitante mi aggrappai al cuscino e me lo schiacciai contro il petto.
Per alcuni secondi nessuno fu in grado di dire niente, i respiri corti e le membra tremanti, gli occhi sgranati. Io avevo appena visto Albus, e Albus aveva appena visto me, e noi eravamo nudi, e per l'Angelo, avrei voluto ammazzarmi.
"Che cosa—" si interruppe da solo, quando riuscì a fare due più due. La sua espressione fu identica a quella che avevo indossato quando avevo visto Jaime Lannister abbandonare Brienne per tornare da Cersei. Si fece cinereo in volto. "Isabelle..." pronunciò il mio nome totalmente sgomento, fissandomi come se mi avesse vista per la prima volta.
"Albus," dissi a mia volta. "Siamo stati insieme, stanotte?" deglutii nervosamente. Ero finalmente stata con la mia cotta di anni, cugino della mia migliore amica, che avevo sempre considerato un fratello, e non me lo ricordavo neanche?
"Non lo so," rispose lui, con un tono talmente sofferente da spiazzarmi. "Non ricordo niente."
"Neanch'io."
Altra pausa.
Finalmente trovai il coraggio di guardarlo, le dita ancora aggrappate a quel cuscino. "Però siamo qua."
"Senza vestiti," concordò, massaggiandosi le tempie. "Merlino, che casino."
"Tutto ciò è assurdo!" esclamai, non potendo contenermi. "Abbiamo davvero fatto sesso? Come possiamo non ricordarcelo? Quanto abbiamo bevuto la scorsa notte?"
Non sapevo se ero finita nel peggiore degli incubi o meno. Ogni mia possibilità con lui era svanita del tutto con quella bravata, e nemmeno avevo la memoria per tirare avanti. Che stupida, che stupida!
Si passò entrambe le mani tra i capelli corvini, morbidi e profumati, prima di rispondere. Se possibile, erano ancora più scompigliati del solito. Fosse stata una mattinata normale, avrei constatato con piacere quanto fosse bello appena sveglio, con la pelle illuminata dolcemente, gli occhi stanchi, il petto nudo e l'aria confusa, però non era una mattinata normale, quella. "Io non poco," ammise.
Mi lasciai sfuggire un lamento e appoggiai il capo all'indietro, contro la testata del letto. "Dio mio."
"Iz?"
Aprii gli occhi e lo guardai. "Sì?"
Per un attimo parve esitare, come se volesse chiedermi qualcosa ma gli mancasse il coraggio di farlo, poi si decise ad aprire bocca. "Era la tua prima volta?"
No, non era stata la mia prima volta, perché quella era accaduta quella stessa estate, insieme ad un ragazzo con cui ero stata in vacanza in Italia. D'altro canto, non sapevo bene come spiegargli la situazione.
"Sicuramente con te è stato più piacevole," borbottai, richiudendo gli occhi e sospirando. Non mi importava neanche di aver fatto un certo tipo di ammissione, preferivo essere sincera con lui.
"Cioè?" adesso aveva le sopracciglia corrugate.
Scrollai le spalle. "Questa è stata la seconda," dissi. "La prima è stata un fallimento totale, e se ci penso ancora rabbrividisco."
Non sapevo perché gli stessi confidando queste cose: il mio rapporto con lui non era approfondito fino a quel punto. Negli ultimi mesi ci eravamo piuttosto avvicinati, complice la pubertà che ci aveva fatto crescere, di fisico e di testa, ma c'era sempre stato una sottile barriera che ci impediva di flirtare così apertamente, ovvero il conoscerci da così tanto tempo - barriera che evidentemente quella notte era caduta senza troppi complimenti.
Sentii la sua mano posarsi sul mio ginocchio, coperto dal lenzuolo, e tirai su velocemente la testa. La sua mano era calda, e le iridi color smeraldo lo erano di più.
Avrei pensato mi avrebbe chiesto se volessi aprirmi, confidarmi, raccontargli qualcos'altro, o se stessi bene; qualsiasi cosa, tranne quello che invece disse: "dovremmo rifarlo".
Non ho capito bene, erano le parole già pronte a scivolarmi sulla lingua, ma cercai di non suonare un'idiota totale. "Tu vuoi rifare sesso?"
Brava, così sì che non sembri un'idiota.
"Vorrei che tu avessi un'esperienza da ricordare con piacere, che non ne parlassi con così tanto pentimento," sussurrò, mordicchiandosi il labbro inferiore. "Però, ovviamente, se non te la senti..." si affrettò ad aggiungere.
Io non credevo alle mie orecchie. Lui, il ragazzo più bello e popolare di Hogwarts, voleva me? E aveva davvero avuto la faccia tosta di chiedermelo così, senza giri di parole?
Apparentemente Albus voleva veramente me, perché sfruttò la mia sorpresa per fare quello che io avrei voluto fare da tempo. Lasciò andare il lenzuolo, permettendo che il suo busto scolpito venisse scoperto, e allungò una mano verso la mia guancia, accostando il viso al mio. Per un attimo si fermò, e rimase così vicino che riuscii a vedere ogni piccola sfaccettatura di verde nel suo sguardo - verde giada, verde mirto, verde chiaro, verde foresta, verde marino, verde pino, tutte milioni di sfumature affogate in un profondo e luminoso smeraldo; notai che anche lui mi guardava rapito, rapito come ero rapita io, ma fu un flash, perché poi la sua bocca morbida e invitante catturò la mia.
Assaporammo entrambi quella vittoria: dopo mesi e mesi eravamo finalmente riusciti a farlo, a baciarci, e Dio, ero così contenta. L'idillio, quel momento così dolce, durò ben poco, però. Fu come se i nostri corpi improvvisamente si fossero, in qualche modo, riconosciuti, perché una scarica di eccitazione pura mi inondò le vene, e con un mio gasp ben udibile lui portò una mano alla base della mia schiena e mi fece scivolare in avanti per far unire i nostri fisici, e io d'istinto agganciai le gambe attorno al suo bacino, dimentica del fatto che nessuno di noi stesse indossando alcun abito.
Fu terribilmente piacevole, naturale, dolce, un'esplosione di emozioni che mi avvinghiarono e non riuscirono a lasciarmi andare per giorni. Bastò, nelle ore successive, solo chiudere gli occhi per ricordarmi di quel che era successo, e arrossire, e sentire lo stomaco torcersi dal piacere. Non mi importava che non stessimo insieme, che fosse stata una cosa da una notte, e da brilli, perché il mio cuore era già pienamente innamorato di lui, ed io ero sua.
"A cosa stai pensando?" sentii il suo respiro leggero incresparsi sulla curva del mio collo, e sospirai dalla beatitudine.
Adoravo quando me lo chiedeva, e adoravo sapere che gli interessava davvero la risposta. Adoravo il modo in cui i suoi occhi assumevano un taglio attento nell'ascoltarmi, e come seguissero il ragionamento che gli esponevo. Adoravo vedere quanto tenesse allo scoprire la mia opinione, che concordasse o meno con la sua.
"Alla cena. Non possiamo rimandare, e rimanere qua stasera?" mormorai in risposta, appagata nel sentire la sua bocca calda sfiorare la mia pelle.
Eravamo nel suo letto, circondati dai colori verde e argento del dormitorio dei Serpeverde, sotto il piumone morbido. Per una serie di fortunate coincidenze, eravamo finalmente soli: Scorpius era fuori con Rose, anche se Al questo non lo sapeva, Noah e Livia stavano facendo una passeggiata per conto proprio ad Hogsmeade, nonostante tutti i loro problemi, e Dave era stato rapito da Lily che aveva richiesto la presenza del suo fidanzato nello scegliere i vestiti da indossare quella sera.
Mancava una sola ora alla cena indetta da Lumacorno, eppure né io né il ragazzo accanto a me sembravamo avere alcuna intenzione di alzarci. Le sue braccia forti mi spinsero di più contro il proprio petto, dove ero appoggiata.
"Temo di no," rispose, con un altro bacio delicato. "Lumacorno ci tiene."
Se fossi stata fidanzata con Scorpius, e lui mi avesse amata quanto amava Rose, avevo la certezza che di fronte la mia domanda lui avrebbe mandato l'insegnante al diavolo e mi avrebbe accontentata. Il biondo non teneva affatto a quelle formalità, e non si sarebbe fatto problemi a saltare quell'incombenza pur di rendere felice chi gli stava al fianco.
Albus era diverso, invece. Lui era pronto a sacrificare la propria, di felicità, al fine di non rendere nessuno scontento. Teneva più a non recare un dispiacere a Lumacorno, che ci aveva invitati con tanta allegria, anche se magari avrebbe preferito rimanere in quel letto tutta la sera. E io non volevo uno Scorpius: amavo il suo essere così altruista, l'attenzione che dimostrava anche verso chi non conosceva, la bontà, la testardaggine nel difendere coloro che amava.
Ero convinta che non ci fosse altra persona pura e di cuore e onesta come Al, e proprio questa convinzione mi portava a ringraziare ogni giorno della sua presenza nella mia vita.
"Comunque non durerà molto," cercò subito di consolarmi, di contagiarmi nel vedere il lato buono delle cose affinché quell'evento trascorresse il più velocemente possibile. "Il tempo di mangiare una pizza e andare via."
Annuii e mi tirai in piedi svogliatamente, uscendo dal bozzolo di coperte che i nostri corpi intrecciati avevano formato. Lui non si curò di ricoprirsi, dato che la temperatura nella stanza era gradevole, e rimase appoggiato con la testa al cuscino a vedermi fare avanti e indietro. I capelli colore dell'inchiostro erano sparsi sul bianco, creando il più bello dei contrasti, e si arricciavano leggermente sul collo chiaro, ancora un pelo umidi dalla doccia appena fatta. Non mi soffermai troppo ad osservare il suo petto perfetto, altrimenti sarei risaltata con un tuffo di testa addosso al mio Percy Jackson e non l'avrei più lasciato andare.
Al contrario, mi sedetti con il bacino sul bordo del lavandino nero e iniziai a truccarmi, prima con la base e poi procedendo con gli occhi, scegliendo un ombretto rosa, e la bocca, con un rossetto sulla medesima tonalità. Se solo ci fosse stato uno specchio nella camera da letto di quei quattro babbuini non avrei dovuto gridare per farmi sentire da lui.
O meglio, fu Albus a farsi sentire, perché ciò che disse ebbe il potere di farmi quasi strozzare.
"Ti ricordi il compleanno di James?"
Per un attimo non dissi niente. Aveva parlato con un tono non tranquillo, ma nemmeno arrabbiato o infastidito - piuttosto molto prudente; come se temesse di parlare, per qualche motivo a me estraneo.
Anch'io mi servii della stessa prudenza quando cauta scesi dal lavabo e mi appoggiai allo stipite della porta, facendo spuntare la testa in modo che potessi guardarlo in faccia. "Sì, perché?"
Come potevo non ricordarla alla perfezione? Era stato l'inizio di tutto, di una relazione iniziata come uno sbaglio e proseguita come il più grande dei regali.
"Quella è stata la notte in cui ho capito di essermi innamorato di te."
I suoi occhi verdi mi scrutavano come se non mi stessero vedendo veramente, come se davanti avessero quell'avvenimento invece di me. Con passo felpato mi allontanai dalla porta del bagno e lo raggiunsi, posando la tempia sul legno che costituiva uno dei sostegni volti a sorreggere il baldacchino.
Perché me lo stava dicendo adesso? A che cosa stava pensando, veramente?
"Da quel momento per me è cambiato tutto," proseguì. "Qualsiasi cosa facessi, ti avevo davanti agli occhi. Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse la tua bellezza, o la gioia nel sentirti ridere, o i ricordi di quella mattina. Tu eri diventata tutto ciò su cui la mia mente riusciva a concentrarsi."
Continuai a guardarlo senza parlare, perché non c'era nulla che potessi dire in grado di eguagliare il discorso che mi stava facendo. Mi continuava a guardare dall'altro lato del letto, la testa sul cuscino, e gli occhi che ardevano nei miei.
"Poi Scorpius mi ha praticamente costretto a confessarti quanto ti amassi, perché si era stancato di vedermi in questo stato confusionale," e qui un'ombra di un sorriso, "e io ti ho detto come mi sentivo. Ti ho aperto il mio cuore, ti ho offerto me stesso, un ragazzino di sedici anni innamorato per la prima volta. E tu mi hai rifiutato," concluse, senza inflessione nella voce, senza cambiarne il tono. "Mi hai rifiutato."
E lì si mise in attesa, in attesa di vedere che cosa avrei risposto.
Scivolai in avanti e mi appollaiai sul bordo del letto, fissandolo. "Ti ho rifiutato," concordai.
Albus mise su un sorrisetto. "Se non l'avessi fatto, chissà dove saremmo ora."
Incrociai le gambe, i piedi nudi che sfioravano il suo corpo al di sotto del piumone. "Non so dove saremmo," replicai, "però so dove siamo noi, e noi siamo qui, ora. E io ti amo. Ti amavo anche prima, dal compleanno di James, ma era un amore diverso. Adesso siamo più consapevoli l'uno dell'altra, non credi?"
Al, serio, mi guardò al di sotto di quelle ciglia lunghe e nere come la pece, del tipo che le ragazze avrebbero fatto carte false per averne di simili. "Adesso so che non c'è niente che non farei per te," mormorò, sottovoce, come se mi stesse dicendo un segreto.
Portai la mia mano sopra il piumone in corrispondenza della sua gamba, e fissai quegli occhi verde smeraldo. Avrei voluto dirgli tante cose, spiegargli quanto lo amavo, quanto fosse, in alcuni giorni, l'unica persona che non mi facesse venire voglia di avere un crollo nervoso, come le sue carezze riuscissero a capovolgere totalmente una giornata da pessima a meravigliosa, ma non mi uscirono le parole. Era tutto così troppo, per me. Non avevo mai sperimentato niente di simile, e proprio ora che le cose con lui andavano così bene, il mio passato si rifaceva avanti con prepotenza, mettendomi in difficoltà.
Intanto però, in un angolo della mia mente, serbavo un ricordo, che a ripercorrerlo ora costituiva il più dolce e al contempo amaro che avessi, e lo custodivo gelosamente.
"Ecco, l'ho detto," terminò Albus, con il cuore in gola e le mani intrecciate tra di loro dal nervosismo. "Tu... tu non hai niente da rispondere?"
Avevo seguito la sua appassionata dichiarazione d'amore senza battere ciglio. Mi ci era voluto ogni singola briciola della mia forza d'animo per non mettermi a piangere, e circondargli il collo con le braccia, e gettarmi a baciarlo. Le mani mi dolevano dalla violenza con cui le unghie affondavano nei miei stessi palmi.
Quante volte avevo sognato che mi dicesse quelle cose? Quante volte mi ero immaginata la sua voce profonda che mi spiegava quanto mi amasse, che mi chiedesse se ricambiassi, se volessi stare con lui. Era così bello, e io l'avevo desiderato con ogni singola cellula del mio corpo.
Però non era giusto, e non era giusto, e non era giusto.
In quel momento avrei solo desiderato che smettesse di parlare, che si rimangiasse tutto, perché mi stava mettendo nella peggiore delle situazioni, e io non potevo sopportarlo.
"Io—non posso, Albus, scusa," singhiozzai, e non tollerando lo sguardo da cerbiatto ferito che indossava, strinsi forte gli occhi, mi voltai e mi avviai.
"Non puoi o non vuoi?" furono le parole che mi costrinsero a fermarmi, accompagnate da delle dita strette al mio polso.
Gli occhi di Albus mi scrutarono a fondo, come a cercare la risposta nei miei, scuri e spalancati, invece che nelle mie parole. Io sollevai la mano e la posai sul suo petto, stringendo il tessuto del maglione tra le dita. "Voglio," affermai. "Però mi stai mettendo in difficoltà, Al."
"Perché?" insistette, esasperato, sebbene non si sottrasse alla mia presa.
Di certo non potevo dirglielo, perché era un segreto non mio. Non avrei mai potuto dirgli che avrei voluto stare con lui con tutte le mie forze, specialmente dopo il compleanno di James, e dopo i giorni che avevamo passato a rincorrerci con lo sguardo; non avrei potuto dirgli quanto quella dichiarazione d'amore fosse stata tutto ciò che era stato nei miei pensieri da tre anni; non avrei potuto dirgli che soffrivo come non mai di fronte la scelta che dovevo compiere.
Sarebbe stato, infatti, per me impensabile tradire una mia amica in quel modo, e quindi la buttai su un'altra argomentazione, ugualmente convincente benché meno sentita.
"Perché siamo i migliori amici di Rose, ecco perché," risposi, scivolando io due passi più lontana di lui. "Non possiamo metterci insieme: ne soffrirebbe troppo. Sarebbe come un tradimento nei suoi confronti."
Non era vero, e lo sapevamo entrambi - Rose non si sarebbe mai sognata di mettersi in mezzo in una relazione, e avrebbe tenuto ben nascosta la sua infelicità se ne avesse provata alcuna. Era questa una delle caratteristiche più altruiste e meravigliose della mia amica, ed ero così fiera di lei.
D'altra parte, non potevo fare a meno di maledire quel giorno, quel freddo lunedì di novembre, in cui Kalea aveva accettato di prestarmi un libro, e io avevo dovuto rovesciare il suo baule per prenderlo... se non l'avessi fatto, probabilmente non avrei mai saputo quello che provava, e Albus non se ne sarebbe andato con così tanta amarezza stampata negli occhi.
Indossai il mio tailleur pantalone rosa incarnato una volta terminato il trucco agli occhi. Infilai il paio di tacchi che mi ero portata dal dormitorio, cercando di decifrare il mio stesso sguardo. Era imperturbabile, sereno, ma non certo rilassato e contento come ci si sarebbe aspettato dalla sottoscritta.
Non ero esattamente spaventata, all'idea di andare a quella cena, ma il sentimento che mi stringeva le viscere tra le mani era molto simile a quello. Non avevo mai partecipato ad un evento del genere, dove il mio professore e il mio ragazzo sarebbero stati a così stretto contatto; da giugno avevo accuratamente evitato che succedesse. L'estate era passata in modo tranquillo, anche se da quando eravamo ritornati a scuola quell'ansia non mi aveva mai abbandonata. Ogni volta che io e Al incrociavamo Sanguini nei corridoi, mi saliva un groppo in gola.
Difatti, quella era la prima cena di Lumacorno che non avevo potuto evitare, magari fingendomi malata o molto impegnata nello studio - e io davvero non sapevo come sarebbe andata a finire.
Avevo il timore che qualcuno che mi conosceva particolarmente bene, come Rose o Al, se mi avessero guardata con un filo di attenzione in più si sarebbero accorti che c'era qualcosa che non andava. Decisi però che alle brutte mi sarei semplicemente inventata un terribile mal di testa, e mi sarei defilata alla velocità della luce.
"Sei bellissima," sussurrò Albus, distogliendomi dalla catena di pensieri nefasti che aveva preso il controllo della mia testa. Mi accorsi che ero rimasta impalata a fissarmi allo specchio, e ciò gli aveva permesso di avvicinarsi senza farsi sentire, sfruttando quel suo strano passo felpato, così particolare per un ragazzo che sfiorava il metro e ottantacinque.
Guardai sorpresa il suo riflesso, e trovai la solita e lucente espressione tenera sul suo viso. Quello era uno sguardo che ispirava amore soltanto a vederlo, e io non ne avevo mai ricevuto uno simile prima di lui, in tutta la mia vita. I miei genitori erano quelli che vi andavano più vicini, ovviamente, ma il loro affetto era molto diverso da quello di Al, forse anche meno intenso, perché stavano più dietro ai miei fratelli piccoli. Poi Rose, e lei mi guardava come una sorella, ma non c'era paragone con le occhiate che si scambiavano lei e Scorpius ogni volta che erano insieme.
Albus era l'unico che mi guardava con puro amore, ammirazione, fiducia, dolcezza, come se fossi stata un vero angelo sulla Terra - e riusciva persino a farmici sentire, nonostante, paradossalmente, fossi io quella fortunata ad avere vicino lui, unico e inimitabile. A cui mentivo ogni giorno.
"Ti amo," dissi, con voce vibrante dall'emozione, e difficilmente avevo pronunciato prima parole così vere, così piene di sentimento. Le sue iridi verde smeraldo mi avvolsero ancora prima che lo facessero le sue braccia.
"Ti amo," ripeté, una volta che mi ebbe circondata la vita. E dalla sua aria seria e fiera, capii che anche per lui era lo stesso.
Considerando i tacchi che avevo, mi bastò alzare di poco il volto per far sì che le nostre bocche si incontrassero, in un bacio dolce e casto e delicato. Letteralmente mi pervase la paura di potermi sciogliere, così stretta al suo corpo, ma era una paura così gradevole che si trasformò presto in un piacere diffuso, e venne rimpiazzata dalla voglia di tenerlo più vicino a me, e rimanere così per sempre.
Forse il nostro amore non era plateale come quello dei nostri amici, non consisteva in costanti bisticci, scenate, gelosie, ma non per questo era meno vero. Anzi, tenendo la sua mano stretta alla mia e sentendo le labbra replicare d'istinto il sorriso da ragazzino che mi stava rivolgendo, fui certa che quello che condividevamo era un sentimento puro, autentico, e destinato a durare per sempre.
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"Quest'anno Luma ha fatto le cose in grande," osservò con entrambe le sopracciglia alzate Dave, indossando una camicia bianca che rendeva i suoi occhi ancora più trasparenti. Peccato per l'espressione scettica sul suo volto, che stonava con l'eleganza che lui, pur inconsapevole, aveva.
Lily, con il braccio di lui attorno al proprio e un'espressione raggiante - non era affatto comune essere invitata alle cene del Lumaclub quando si era solamente al quinto anno, - si lasciò sfuggire una risatina ammirata. "E gliene siamo più che grati."
L'Aula Ventisei, quella che ospitava la benedetta serata, era famosa nel Castello. Era una semplice aula in disuso, situata nel corridoio dei sotterranei, vicina alla Sala Comune dei Serpeverde. Non era molto grande, ma era spaziosa, considerando che molti dei banchi erano accatastati da un lato e che spesso veniva semplicemente usata dagli studenti per esercitarsi o per riunirsi nel qual caso avessero fondato un club ed avessero bisogno di spazio. C'era una piccola lavagna mobile dietro la cattedra, anch'essa messa da parte, e un armadio, contenente oggetti come una bacheca antica e impolverata, una pila di cuscini, una sfera di cristallo rotta e oggetti per la pulizia come una scopa, un secchio ed una scatola con del Solvente Magico di Nonna Acetonella per Ogni Tipo di Sporcizia, utilizzati dal custode. Dall'altra parte, invece, c'era un pianoforte a muro, altrettanto vecchio ed altrettanto impolverato, forse usato tempo prima per qualche occasionale interpretazione dell'inno della scuola.
Quando invece Lumacorno ci metteva le mani, essendo riuscito ad impossessarsene per queste sere a furia di pregare la Preside McGranitt, si era totalmente trasformata. I banchi che prima erano stati accatastati erano misteriosamente spariti, e così come per la lavagna; il pianoforte era stato pulito, riparato, messo a nuovo e ridecorato, forse anche con un pizzico di magia, dato che sembrava nuovo di zecca - spesso Lumacorno chiedeva a qualche studente particolarmente dotato di suonare a fine serata, e quel povero malcapitato non si sarebbe certo potuto rifiutare di fronte la sua insistenza.
In particolare, per il giorno di San Valentino l'insegnante di Pozioni aveva appeso decine di decorazioni a forma di cuore, che viravano dal rosa pallido fino al rosso rubino, ed erano appese ai soffitti insieme a grossi fiocchi dei medesimi colori che ornavano anche le finestre. Addirittura sui tavoli riccamente imbanditi erano disseminati dei petali di rosa, e altri venivano fatti volteggiare con la magia in aria. Lumacorno poi, pareva aver deciso di volersi trasformare in un Cupido vivente, simile a quello della mitologia arcaica, per cui indossava un attillato completo rosso Borgogna, e le sue guance, dal calore della stanza, si erano tinte vivacemente.
Cercai con lo sguardo le mie amiche, ma sapevo che, benché fossero state invitate tutte e quattro, Kalea non sarebbe venuta, e Rose stava ancora con Malfoy chissà dove. Lumacorno sembrava piuttosto ansioso di avere quei due sott'occhio, ma non avrei saputo dirne il motivo. Mi occupai inoltre di individuare dove fosse Sanguini, ma con un flusso di sollievo nelle mie vene vidi che non c'era. Incrociai infine lo sguardo di Julian e Troy, gli unici del loro gruppo ad aver ricevuto l'invito, e ci scambiammo un sorriso cortese prima che la mia attenzione venisse attirata da Amanda Finch-Fletchley.
Quando si parlava di lei, bisognava partire col dire che non era affatto una brutta ragazza - capelli di un'intensa tonalità di color cioccolato al latte, simili a quelli di Kalea, e degli enormi occhi azzurri, che combinati ad un fisico molto esile e alto avevano un effetto che ricordava quello di una modella - però si conciava malissimo. Comprendevo che ero io ad essere esagerata, perché mi piaceva passare ogni singolo minuto del mio tempo libero a guardare vestiti e sfogliare riviste di moda, però lei non si sapeva affatto vestire, e me ne dispiaceva persino, perché se si fosse valorizzata un minimo sarebbe stata davvero carina.
Non avevo niente contro di lei, perché ovviamente la faida con Rose non mi riguardava, e provavo sempre ad essere gentile, anche se lei me lo rendeva molto difficile. Avevo ragione di credere che mi detestasse in modo particolare, ma non avevo idea del motivo, dato che a conti fatti lei aveva perso la testa per Scorpius, e non per Albus.
Si era piazzata davanti a noi quattro mentre davamo un'occhiata in giro per prendere le misure con le decorazioni di quella sera, e io non me n'ero neanche accorta. Fu Lily che quando se la trovò di fronte si lasciò sfuggire un galante: "Porca miseria!"
Indossava un abito che lasciava ben poco spazio all'immaginazione, corto in modo imbarazzante e a fascia, quindi privo di qualsiasi spallina o scollatura particolare; il problema risiedeva però nel colore, di un oro metallizzato, su cui campeggiava la scritta posta in verticale GOLD CARD, seguita da un numero di conto bancario.
"Non che tu sia meglio, Potter," la apostrofò subito Amanda, in tono acido, sentendosi attaccata. Lily alzò un sopracciglio, assottigliando gli occhi con aria da felino, pronta a riattaccare; Dave notò quello sguardo che non preannunciava nulla di buono e si affrettò a trascinarla via.
Non capivo come quel ragazzo potesse conciliare questo suo aspetto di pacificatore con quel carattere che si ritrovava nel dover affrontare Noah e chi non gli andava a genio, come aveva ampiamente dimostrato nella partita di Quidditch due settimane prima.
Amanda, rimasta sola con me e Albus, si piazzò le mani sui fianchi e mi rivolse una lunga occhiata. "Stai... bene," decretò infine, con la faccia disgustata di una che aveva appena ingoiato un rospo.
"Grazie," risposi, rivolgendole il migliore dei miei sorrisi, "anche tu."
Lei mi rivolse un cenno del capo e si dileguò, per quanto fosse possibile farlo con quel vestito scintillante e i tacchi che facevano un baccano terrificante.
"Hai battuto persino Amanda," mi fece notare Albus, divertito, che era rimasto al mio fianco senza muoversi. "Se neanche lei ha avuto niente da ridire, hai la prova provata che stasera sei davvero perfetta."
Uno stupido sorrisetto, a metà tra l'imbarazzato e il compiaciuto, si fece spazio sul mio volto, seguito da una risatina. "Avrei voluto l'avesse visto Rose. Questo è stato davvero il mio momento di gloria."
"Ragazzi!" Lumacorno attirò la nostra attenzione sventolando una mano, con il rischio di far cadere lo champagne che teneva nell'altra. "Ragazzi miei, venite, venite."
Io e Al ci scambiammo un'occhiata, ma con il professore che si sbracciava per farci cenno di raggiungerlo lui aveva già indossato quella maschera di perfetta cordialità e buona educazione che sfoggiava sempre nel parlare con qualcuno. Non importava che il suo interlocutore fosse un adulto o un ragazzo della nostra età, lui era sempre impeccabile nell'atteggiamento, e riusciva a far sentire chiunque a proprio agio.
Non a caso noi due, del resto, costituivamo una delle coppie più celebri ad Hogwarts: non credevo fosse tanto perché i suoi genitori erano così famosi, ma più perché insieme riuscivamo a dare il meglio di noi, e perché eravamo oggettivamente entrambi dotati di caratteri estroversi e socievoli, che ci permettevano di stare bene con la gente.
"Allora, che ne pensate?" esclamò su di giri l'insegnante, che in barba ai suoi cento e passa anni possedeva una giovialità che si sognava la maggior parte degli adolescenti.
Albus mise su un sorriso gentile. "Non ho mai visto questa aula decorata così. Sembra un'altra."
"È vero," dissi, "e sembra che tutti si stiano divertendo."
Strano a dirsi, ma dicevo sul serio. Non c'era nessuno che non fosse pienamente rilassato, che sorseggiasse champagne con un sorriso, che chiacchierasse con il primo che capitava, stretto al fianco della sua dolce metà oppure con i propri amici. Avrei creduto che, come me, molti avrebbero preferito passare quella festa da soli con il fidanzato o la fidanzata, e invece pareva che tutti stessero al meglio.
Osservai meglio lo spumante raccolto nei bicchieri di cristallo a stelo lungo e aggrottai appena la fronte. Magari Lumacorno ci aveva buttato dentro qualche pozione.
"Sapete," fece il mago, "era proprio questo il mio intento. Io amo l'amore," aggiunse, con fare sognante che ci divertì, "e l'idea che tutte queste coppie non possano avere la propria serata mi distrugge. Con il coprifuoco e tutto, intendo... alle dieci tutti a nanna, e i giovani innamorati sono costretti a separarsi dai loro compagni. Almeno qui possono stare tranquilli!"
Non avrei mai pensato che potesse essere quella la motivazione dietro la cena organizzata dall'insegnante di Pozioni, e ne rimasi piacevolmente sorpresa.
Era un po' ingenuo, perché la sera di San Valentino non c'era nessuno che non ignorasse il coprifuoco per stare con fidanzati o amici - io e Albus per primi, - però era carino da parte sua fare ciò per noi.
"È stata davvero una bella idea," concordò Albus, che poi mi passò il braccio attorno alla vita, rivolgendomi il più bello dei sorrisi, e non potei non ricambiarlo, sentendo il cuore scaldarsi di fronte quella pubblica dimostrazione d'affetto.
Con i tacchi era appena cinque centimetri più alto di me. Non avevo mai apprezzato la mia altezza, mi faceva sentire a disagio con le altre ragazze, e anche con i ragazzi, che preferivano quelle più minute e basse. Ad esempio, semplicemente adoravo la differenza che c'era tra Rose e Scorpius, lui quasi un metro e novanta e lei venticinque centimetri di meno, e mi era sempre dispiaciuta l'idea che non avrei mai avuto niente del genere, a meno che non avessi avuto un fidanzato di due metri e passa.
Albus però era riuscito a farmi sentire bella, a mio agio con la mia altezza e con me stessa, e di questo gliene sarei stata grata per sempre.
"Avete visto per caso Malfoy e la Weasley?" chiese poi Lumacorno, guardandosi intorno con occhio attento, setacciando la folla di studenti in cerca dei nostri amici. Il suo sguardo si posò su Julian, che stava parlando con Hugo, essendo compagni di squadra, e si adombrò appena.
Rose mi aveva detto che sarebbero passati, ma che prima Scorpius avrebbe voluto mostrarle qualcosa, e che per questo avrebbero fatto ritardo; stavo per rispondere che no, non l'avevamo visti, quando ci pensò Albus a parlare.
"Perché, verranno insieme?" domandò, confuso, guardando a intervalli me e Lumacorno, sospettando che noi sapessimo qualcosa di cui lui era all'oscuro.
Io cercai di mantenere il sangue freddo, ma Lumacorno allargò gli occhi verdi come un ranocchio, mostrando pura incapacità nel sopportare la pressione. L'insegnante mi gettò un'occhiata quasi spaventata. Rose e Scorpius dovevano avergli detto di mantenere il silenzio, e lui stava per mandare all'aria mesi e mesi di segreti!
Per fortuna lo sguardo di tutti e tre venne attirato proprio da quei due, che avevano appena varcato l'uno di fianco all'altra la porta dell'aula, e che sembravano re e regina per come erano comparsi. Rose, con quella gonna dai toni sul viola e sul blu, aveva i capelli mossi che davano l'impressione di essere lingue di fuoco vivo sulle sue spalle, stava dicendo qualcosa, e Scorpius, gli occhi fissi sulle persone davanti - o meglio, sotto, - a sé, pareva una statua di marmo, sia fisicamente che in base all'espressione. Comunque, bastò qualsiasi cosa Rose stesse dicendo per rompere quella maschera di marmo, perché lui scoppiò a ridere, creando un sorriso anche sul viso di lei, e le gettò la più tenera delle occhiate, reazione che non avevo mai visto su di lui.
Come facesse quel cretino accanto a me a non aver capito dell'amore che c'era tra quei due era un vero mistero.
"Oh, eccoli!" esclamò nervosamente Lumacorno, tirando fuori un fazzoletto di stoffa ricamata dal panciotto rosso borgogna e asciugandovi la fronte imperlata di sudore. "Vado-vado a salutarli! È stato un piacere, ragazzi miei, un vero piacere..."
Poi la situazione degenerò in fretta, così in fretta che neanche me ne accorsi.
Albus alzò una mano e mormorò: "Aspetti!" verso Lumacorno, mentre lui, per liberarsi di Al, afferrò la prima persona che gli capitò sotto tiro e la spinse verso di noi, quasi ad usarla come uno scudo protettivo.
"Vi lascio nelle sapienti mani del professor Sanguini!" bofonchiò prima di dileguarsi.
Quindi un momento prima stavo cercando di impedire al mio ragazzo di rincorrere il mio professore e venire a sapere della relazione segreta tra sua cugina e il suo migliore amico, e quello dopo mi ero ritrovata davanti il Vampiro e insegnante di Difesa che aveva una cotta per me.
Hector mi guardò il modo esitante, con quei suoi strani occhi scuri che non riflettevano la luce. Si mise le mani in tasca e incurvò le spalle esili, un gesto molto umano per uno della sua razza, chiaramente a disagio. "Buona sera," disse, con tono educato ma piatto. Non mi era sfuggita l'occhiata glaciale che aveva rivolto ad Albus, più alto, bello e piazzato di lui. Questo si lamentava sempre dell'odio che il nostro professore sembrava covare nei suoi confronti, ma non sapeva che quel sentimento era stato concepito a causa mia.
A questo punto, Albus, la persona più tenace e testarda di questo mondo insieme alla cugina, fece l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare, ovvero lasciarmi sola con lui. "Scusate," borbottò, e poi verso di me, "torno subito, Iz."
Provai a fermarlo, ma le parole non mi uscirono, e così lui, come un falco che ha avvistato la sua preda, si diresse ad ampie falcate verso Rose, Scorpius e Lumacorno, che stavano parlando tranquilli.
Deglutii, un gruppo di nervosismo in gola. Hector, in modo quasi rispettoso, non staccò mai lo sguardo dal mio viso, e tenne le mani lungo i fianchi. "Vuoi seguirmi?"
"Veramente non proprio," replicai. Rose e Kalea non avrebbero mai risposto ad un professore così, ma loro non sapevano quello che era successo. Incrociai le braccia al petto e gli restituii un'occhiata stizzita. Non l'avrei accontentato, assolutamente.
"Ti prego, Isabelle," sussurrò lui, e per farsi sentire dovette avvicinarsi di un passo. Io di riflesso ne feci uno indietro. "Voglio solo spiegarmi," insistette. "Sono mesi che mi eviti."
"Vorrei vedere," sbottai, velenosa.
Gli occhi privi di luce si fecero terribilmente afflitti, e incurvò ancora di più le spalle, come soccombendo al peso del mio rifiuto. Avrei voluto mantenere la mia fermezza, ma quella tristezza mi colpì direttamente al cuore. Sapevo di essere troppo buona per lui, perché mai avrei dovuto concedergli tanto considerando quello che aveva fatto, però al contempo non potevo evitarlo.
Mi assicurai che nessuno stesse prestando attenzione a noi - perché avrebbero dovuto?, eravamo solo un docente e un'alunna che parlavano, - e poi gli feci cenno di seguirmi. Adocchiai l'unico angolo della stanza coperto da una leggera tenda bianca decorata con rose rosse, che copriva la nicchia che ospitava una grande finestra, la quale faceva penetrare la luce azzurrina del Lago Nero. Forse il blu avrebbe stonato con il rosa e il rosso, non l'avrei saputo dire, in ogni caso offriva un nascondiglio perfetto per affrontare una volta per tutte quella conversazione. Se fossimo usciti dall'aula ci saremmo fatti notare dai miei amici, da Albus, o comunque dagli altri invitati; invece quel posticino, così protetto allo sguardo, combinato con la musica classica appena fatta partire, avrebbe impedito ad occhi curiosi di spiarci.
Non vedevo l'ora che quell'enorme peso si sollevasse dalle mie spalle, finalmente, e se da un lato avevo timore di ritrovarmi sola con Hector, dall'altro ero quasi sollevata che lui mi avesse obbligata a portare avanti quello scambio, perché così la mia coscienza si sarebbe ripulita una volta per tutte. Avrei solo dovuto parlarne con Albus, vincere la paura, e sarei stata in pace.
"Se credi che delle semplici scuse possano in qualche modo riparare il danno che mi hai fatto sei fuori strada, Hector," lo misi subito in guardia, sentendo man mano il mio lato buono svanire in favore di quello da Intrepida di Divergent.
Hector mi guardò desolato. "So di non avere scuse per quello che ho fatto," disse, "però vorrei con tutto me stesso che tu non mi odiassi."
"Io non ti odio," replicai, inflessibile. "Tu mi disgusti. È diverso."
"Isabelle..."
"No," lo fermai subito, e la voce mi uscì quasi in un ringhio. "No, non te lo permetterò. Sono stata fin troppo tollerante con te, ma adesso basta. Non ho intenzione di mantenere alcun rapporto che vada al di là di quello professionale, e sai perché? Perché io amo me stessa," conclusi. "Non permetterò ad un essere vile come te di farmi a pezzi."
Hector se possibile si fece ancora più miserabile. Era un atteggiamento così differente da quello cordiale ma distaccato che teneva in classe con tutti quanti: anche quando chiamava noi ragazze l'Allegra Compagnia, e faceva qualche battuta, non superava mai una certa linea che delimitava il buonsenso dalla spregiudicatezza.
Peccato che con me, quel giugno così recente, non si era preoccupato di fare lo stesso.
Potevo non lasciarlo intuire, ma anch'io ero totalmente stressata a causa degli esami in vista. Eravamo a metà maggio, mancavano solamente quindici giorni all'inizio della sessione e la pressione che Rose stava facendo sentire era insostenibile. Cercavo di sdrammatizzare, di non lasciar intuire quanto avessi paura all'idea di quelle prove, di prendere lei e Albus in giro, ma ogni volta che stavo da sola l'ansia tornava a scorrere nelle mie vene.
Fu appunto in un tiepido Sole di maggio che il professor Sanguini mi fermò, finita la lezione di Difesa Contro Le Arti Oscure. Ho notato che ultimamente ti vedo sulle spine, mi aveva detto, gentile. Ti va di parlarne?
Era strano: Sanguini non aveva mai dato quel genere di confidenza a nessuno, neppure a Rose e me, le più coinvolgenti ed espansive tra noi quattro. Accettai, sia perché mi sembrava scortese rifiutare, sia perché avevo davvero bisogno di parlare con qualcuno. Non avevo mai sofferto così per gli esami finali, però quell'anno i miei genitori mi avevano detto che se non avessi preso voti alti non mi avrebbero fatto vedere i miei amici durante le vacanze, e io non ce l'avrei mai fatta a passare tre mesi senza Rose, Albus e Kalea.
Sanguini ascoltò pazientemente il mio sproloquio su quanto fossi in ansia, e mostrò empatia nel chiedermi perché non ne avessi parlato con le mie amiche; gli risposi che non volevo farle preoccupare, dato che loro contavano sulla mia tranquillità per calmarsi a loro volta.
La conversazione sarebbe potuta finire in modo cordiale, se solo non mi fosse, tra un fiume di parole e l'altro, sfuggito quanto fossi terrorizzata nello studiare per il futuro compito di Difesa Contro Le Arti Oscure. Sanguini sgranò gli occhi, e, ma se sei la mia studentessa migliore!, disse, con tono sinceramente sorpreso. Non ho mai conosciuto nessuno di più portato, te lo assicuro.
E ancora: se hai così paura, però, posso aiutarti.
Delle lezioni private, ecco cosa mi propose: e io, stupidamente, contenta e sollevata, accettai. Ero pronta a fare delle ottime prove in modo da passare l'estate con i miei amici, senza dover fare per forza i conti con il volere della mia famiglia, composta solo da non maghi che avrebbero voluto tenermi il più lontano possibile dal mio mondo.
Gli incontri si svolgevano in pace, ed eravamo capaci di perdere totalmente la cognizione del tempo, rimanendo a studiare fino a tardi. Eravamo sempre sereni, contenti di spendere tempo insieme, io per realizzare il mio proposito e lui perché faceva qualcosa che amava. In Sanguini avevo trovato un compagno pronto a mettersi al servizio altrui, disposto ad aiutare, in grado di far sentire a proprio agio l'altra persona, e in quel mese che eravamo stati così vicini mi ero accorta di come avesse conservato alcune parti fanciullesche di sé, senza cedere tutto all'adulto tutore di trenta e passa ragazzi. Inoltre, avevo imparato a non considerarlo un vampiro, ma un uomo prima di tutto, un uomo buono, coraggioso, gentile.
Ero arrivata a considerarlo un amico, un confidente, un qualcuno nel quale riporre la propria fiducia, cui raccontare tutto... non avrei saputo dire con esattezza quando mi resi conto che i suoi sentimenti per me erano mutati, ma quando lo feci, era già troppo tardi.
"Ho finito!" annunciai, spalancando la porta dell'aula di Difesa, non curandomi del tono di voce sicuramente troppo alto e gioviale per essere quello usato verso un insegnante. "Hector, sono arrivati i risultati! Ho preso una E!"
All'inizio la stanza mi parve vuota, ma mi accorsi in seguito della presenza del mio professore appollaiato su una delle travi del soffitto. Sventolai il pezzo di pergamena su cui avevo ricopiato in fretta i risultati appesi nella bacheca davanti la Sala Grande: vantavo tutte O e E, voti che per me erano stati del tutto impensabili. Non ero mai stata chissà quale cima a scuola, sempre nella fascia media, ma evidentemente quelle lezioni avevano dato i loro frutti.
"Lo so," replicò lui, e con un volo di tre metri atterrò, senza fare alcun rumore, direttamente davanti a me. Mi rivolse un sorriso che gli scoprì le zanne acuminate. "Ti ho corretto io il compito."
Gli puntai scherzosamente un dito contro. "Spero tu non abbia fatto favoritismi."
Sbuffò una risata, si allontanò in direzione della scrivania, rovistò tra i fogli e poi si sedette ad uno dei banchi della fila più vicina a me - il tutto in meno di tre secondi. "Che fai, non vieni?" mi chiese ironicamente, divertito dal fatto che lo stavo fissando a bocca aperta. Non aveva mai fatto nulla di così vampiresco in tutto il tempo in cui ci eravamo incontrati, quindi da un mese abbondante.
Mi accomodai sulla sedia al suo fianco. "Hai fatto un solo errore," mi informò, "riguardo le uova di Chimera..."
Ma io ero troppo contenta per prestargli ascolto: continuavo a pensare all'incredibile estate che avrei passato con tutti i miei amici, e magari, chissà, avrei potuto anche sistemare le cose con Albus. Albus... quanto mi aveva ferita quel rifiuto così misterioso che ero stata costretta a rifilargli! Erano passati pochi mesi, eppure il solo ricordo equivalse ad una stilettata al cuore. Vederlo, e sentirlo, innamorato di me era stato come un sogno che si realizzava, ma quello che Kalea provava per lui mi aveva fatta fermare.
Lei era stata così delicata nel non dirci del suo amore per lui, così gentile, perché sapeva che io provavo la medesima cosa e non voleva mettermi in una brutta posizione. Ma adesso lei si era fidanzata ufficialmente con Logan, il Capitano della squadra di Quidditch dei Corvonero, e quindi io ero moralmente libera, libera di correre da Al, confessargli che l'avevo sempre amato, e che avevo mentito, per il bene della mia amica...
Chissà cosa avrebbe risposto. Mi avrebbe sorriso, abbracciato, confessato di nuovo il suo amore? O forse avrebbe aspettato un mio discorso, forse pensava che fosse il mio turno di aprirmi? Oppure, e qui mi vennero i brividi, dopo così tanto tempo aveva scelto di voltare pagina, e mi avrebbe detto che mi vedeva solo come un'amica?
Scacciai il pensiero con fermezza. Non potevo paralizzarmi di fronte la possibilità di un rifiuto, non era da me. Avevo faticato tanto per raggiungere questo traguardo, e non avrei permesso al pessimismo di rovinare un bel momento.
"Isabelle," mi redarguì con dolcezza il docente, "mi stai ascoltando?"
"Mi dispiace," risposi, mettendo subito le mani avanti, "ero un po' distratta..."
Lui scosse la testa, e i liscissimi capelli neri gli caddero sugli occhi. "Non c'è bisogno di giustificarsi. Sei stata brava, hai tutto il diritto di allentare la presa."
Gli rivolsi un sorriso smagliante, e d'istinto posai la mano sulla sua. "Grazie, Hector. Senza di te non ce l'avrei mai fatta."
In futuro mi venne da pensare che dovette aver inteso quelle semplici parole colme di gratitudine come chissà quale via libera. Di sicuro io non avrei mai immaginato quello che avrebbe fatto: con la mente ancora vagavo, ferma su quei pensieri che riguardavano Albus, solo Albus, sempre Albus...
E poi sentii la sua mano scivolare sul mio fianco, e alzai gli occhi, sorpresa, solo per vedere in tempo la sua bocca catturare la mia, e non lasciarla più andare. Sgranai gli occhi, lui forzò le mie labbra e fece scontrare la propria lingua con la mia; cercai di chiuderla, e iniziai a spingerlo per il petto.
Lasciami, lasciami, lasciami!, continuavo a pensare, e avrei voluto gridarlo, ma la sua bocca tappava la mia, il suo odore pungente invadeva le mie narici, mi impregnava i vestiti. Era un vampiro, un maledetto vampiro, e le mie contestazioni non valevano a niente - neanche mi sentiva, mentre soffocavo suoni disperati, mentre artigliavo le sue vesti nel tentativo di allontanarlo.
Poi al viso si aggiunsero le mani, e lì iniziò l'incubo. Sentivo le sue dita artigliare i miei fianchi, alzare di poco la mia divisa, insinuarsi sotto la camicia, toccare, gelide, la pelle bollente del busto. "Basta," riuscii a bofonchiare, rimanendo praticamente senza respiro.
Mi afferrò saldamente, troppo saldamente, e mi sollevò dalla sedia come se fossi stata leggera come un neonato, e poi mi fece aderire con la schiena al banco, infilandosi tra le mie gambe nonostante io avessi lottato fino a sentire i muscoli bruciare, pur di tenerle chiuse.
Mi sentivo morire. Ero del tutto impotente, e avevo paura, una paura gelida, puro terrore che scorreva nelle mie vene al posto del sangue. Senza accorgermene, mi ritrovai le guance bagnate dalle lacrime.
Perché non la smetteva? Perché non poteva lasciarmi stare? Volevo solo andare a casa, dimenticare tutto...
"Non sai da quanto volevo farlo..." sussurrò, e spostò la bocca sul mio collo, e iniziò a succhiarlo avidamente. Non aveva inserito i denti nella pelle, bucandola, ma l'idea che potesse farlo provocò in me una disperazione tale che, finalmente libera di respirare, un singhiozzo mi scosse il petto.
Non avevo mai subìto niente del genere, alcuna violenza in diciassette anni di vita. L'avevo sempre pensata come una cosa orribile, ma così distante da me, così remota, qualcosa che non mi sarebbe mai accaduto. Mia madre mi aveva rifornita di spray al peperoncino, fatto milioni di discorsi per proteggermi, ma in quel momento, stretta nella sua morsa implacabile, ero debole, fiacca, incapace di ribellarmi, con il panico che montava nello stomaco e la cocente e irrazionale paura di non riuscire ad uscirne viva.
"Basta, basta..." piansi, sentendomi esausta, deprivata di ogni forza, il torace che mi faceva male e i punti in cui toccava il mio corpo ardere come fuoco. "Ti prego, lasciami andare... non ti ho fatto niente di male, ti prego... ti prego... lasciami... non ho fatto niente..."
E poi tutto finì, veloce e improvviso com'era iniziato, e io potei tirarmi su dal banco, e stringermi al petto la camicia che lui aveva aperto, e piansi, piansi come se fossi stata una bambina di pochi anni, piansi fino a perdere i sensi. Avrei pensato che mi sarei sentita meglio una volta finito, e invece, quando lui fu scappato e io fui sola nell'intera aula silenziosa, mi sentii morire, e avrei voluto esserlo, essere morta, e non aver mai provato una sensazione del genere.
"Mi dispiace," la sua voce mi riportò al presente. Non mi ero accorta di essermi circondata il busto con le mie stesse braccia, a mo' di protezione verso quell'uomo che avevo davanti. "Tu non hai idea, Isabelle, di quanto mi dispiaccia."
"Come fai a guardarti nello specchio tutti i giorni, Hector?" domandai, con un leggero tremore negli arti. Lessi nei suoi occhi il mio stesso sguardo disgustato, e ogni traccia di indulgenza sparì dal mio animo. Lo odiavo, così tanto, con tutte le mie forze, che avrei voluto picchiarlo.
Sanguini sospirò, e si appoggiò con le spalle alla parete che costituiva la nicchia ospitante la finestra. "Ho cercato di parlarti da giugno, ma tu mi hai sempre evitato. C'è-c'è una cosa, che io vorrei dirti, e poi ti lascerò odiarmi in pace, e io sparirò dalla tua vita, lezioni escluse. Non mi vedrai più, te lo prometto."
Alzai il mento. "Avanti, allora. Facciamola finita."
Niente di ciò che mi avrebbe detto avrebbe mai cambiato quello che provavo nei suoi confronti, né la mia decisione imperturbabile di stargli alla larga, anzi, però se con quel breve discorso l'avrebbe fatta finita di rincorrermi, allora ero disposta ad accettarlo.
"L'anno scorso, i Vampiri rientravano tra le creature Oscure da studiare per gli esami," iniziò, fissandomi con quegli occhi profondi. "Il Vampirismo, come il Mannarismo, è una maledizione che deturpa sia il corpo che l'anima del contagiato, una trasmissione che funziona allo stesso modo per l'antitesi mannarica. In cambio di magnetismo ed agilità, la maledizione richiede l'anima in pasto, che viene consumata con l'andare del tempo, ecco perché – i vampiri più anziani – divengono man mano sempre più lontani dai concetti di etica e morale. Più passano gli anni, meno resta dei lembi di spirito umano: un vampiro anziano si farà molti meno problemi per il raggiungimento di un obiettivo, favorendo la razionalità alla moralità."
Concluse con un secondo sospiro, e poi portò entrambe le mani dietro la schiena. "Non ti sto dicendo questo come una giustificazione, Isabelle. È solo che man mano che vado avanti con gli anni, io perdo la mia anima, la mia umanità, e tutto ciò che può sembrare giusto e sbagliato smette di esserlo, ed è confuso, e io automaticamente smetto di domandarmi se lo sia. Quando ti ho baciata," riprese, ignorando la mia espressione glaciale, "non mi sono chiesto se fosse contro la tua volontà o no, e di questo non può che dispiacermi enormemente. Era come se il mio lato umano si fosse del tutto spento."
"A me suona come una scusante."
"Non lo è," ripeté, e fece un passo in avanti. Questa volta non mi spostai, o sarei andata a sbattere contro la parete alle mie spalle. "Solo, vorrei che tu immaginassi cosa avresti fatto al posto mio, se la tua natura ti avesse spinta a—"
Quelle parole mi fecero andare su tutte le furie. "Non ti azzardare neanche!" proruppi, stringendo i pugni lungo i fianchi per non scagliarglieli addosso. Lo fissai come se fosse stato il mio più terribile nemico - cosa vera, al momento. "Io mai, in tutta la mia vita, mi sarei mai sognata di fare un torto del genere ad un'altra persona! E soltanto il fatto che tu l'abbia proposto, l'abbia preso in considerazione, significa che non hai capito niente, e che non ti senti neanche in colpa per quello che hai fatto. Si chiama violenza, Hector, tu mi hai violentata - e poco importa che tu non mi abbia stuprata fino in fondo. Sai che," ripresi, traboccante di veleno e di furia, "la dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne definisce la violenza qualsiasi atto di violenza di genere che provoca o possa provocare danni fisici, sessuali o psicologici alle donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichi nella vita pubblica o privata? Questo significa che se io solo immaginassi di farne parola con la McGranitt, tu incorreresti in guai molto seri," conclusi, decisa come non mai.
A casa mi interessavo di moltissimi argomenti, di correnti - il riscaldamento globale, il massacro inutile di milioni di animali all'anno, motivo per cui ero diventata vegetariana, l'inquinamento ambientale, e tra questi rientrava la maledetta violenza. Dal giorno in cui Sanguini aveva osato alzare le mani su di me, non c'era stata ora della mia vita che non avessi speso facendo ricerche, leggendo di donne e uomini che avevano subìto la mia stessa tortura, di persone morte per il medesimo motivo, e io ero arrivata ad un punto di non ritorno. Se sapevo a memoria quella definizione, era perché l'avevo letta così tante volte, cercando di imprimere a fuoco il suo senso nel mio cervello, in modo che mai più avrei permesso a nessun altro di avvicinarsi anche solo con l'intento di farmi del male.
Ero andata dallo psicologo, in quei mesi di vacanza, combattendo l'afa e l'insensata vergogna e di nascosto dai miei genitori, che se avessero saputo una cosa del genere mai più mi avrebbero fatto andare ad Hogwarts, e avrebbero sicuramente fatto causa, in qualità di avvocati, a Sanguini stesso, sebbene non fossi sicura che le leggi Babbane si applicassero anche ai maghi. Le sedute mi avevano talmente aiutata che tutta quella sporcizia che avevo sentito addosso da quel pomeriggio di giugno man mano era scivolata via, lasciando il posto ad una corazza. Non avrei permesso a quel vile, né a nessun altro di rovinarmi, di distruggere il mio carattere, la mia sicurezza, il mio atteggiamento benevolo verso il mondo, perché nessuno meritava di cambiarmi in quel modo drastico.
"Tu non capisci," provò ancora lui, afferrandomi per il polso. Solamente quel gesto ebbe il potere di risvegliare in me tutto il terrore profondo provato mesi prima, e sgranai gli occhi, strattonando il braccio via dalla sua presa con così tanta forza da inciampare all'indietro e finire contro la parete.
"Cosa ti sfugge del concetto?" chiesi ancora una volta, tremante di furia, stavolta, invece che di paura. "Devi lasciarmi stare. Prova anche solo un'altra volta a toccarmi, e giuro che—"
Sanguini fece un ultimo, disperato tentativo, ignorando le mie proteste, ignorando le mie parole, ignorando i miei sentimenti, e mi prese per le spalle. "Io sono innamorato di te!" mi gridò, il volto a pochissima distanza dal mio.
Per un attimo, un solo attimo, rimasi del tutto impietrita. Era amore, quello?, mi chiesi, stupefatta. Poteva essere amore quello che ti spingeva a prenderti un bacio con la forza? Amore, quello che ti obbligava ad usare la prepotenza per piegare l'oggetto della tua ossessione al tuo volere?
"Questo non ti dà il diritto di toccarmi," replicai, spintonandolo per il petto. Questa volta lui mi lasciò fare, senza opporre resistenza. "Avvicinati a me un'altra volta, Hector, e ti farò pentire di essere nato. È una promessa."
"Ma, Isabelle—"
"L'hai sentita."
Ad intervenire era stata una voce che invase le mie orecchie dolce e familiare come il miele. Alzai lo sguardo, e vidi le tende tirate, e Albus Potter al loro posto. Aveva assunto la stessa espressione di quando eravamo andati a parlare con il medico legale per Caleb, al San Mungo: fredda, sicura di sé, micidiale. I suoi occhi verdi scintillavano come se fossero stati accesi con un interruttore, e lo sguardo denso di ira era tutto per il nostro professore. Insieme a quei capelli corvini e alla camicia della stessa tonalità, sembrava un angelo della morte.
Albus fece un passo. "Prova a sfiorarla, ti sfido. Vedrai in quanti modi dolorosi un vampiro può essere torturato. Ne saresti sorpreso."
Sanguini scoprì i denti e soffiò nella sua direzione, dimentico del suo ruolo di insegnante, e che quello era un suo alunno. Si acquattò sulle ginocchia, come un gatto. "Non sono affari tuoi, Potter. Vattene via, invece di fare il cavaliere e salvare la principessa."
Al accennò un sorriso, ma era più una smorfia, distorta, colma di furore, ma anche calma. Ricordava l'aria elettrica prima di una tempesta. "Ma io non devo salvare nessuno. Isabelle è perfettamente in grado di cavarsela da sola, come avrai ben notato." Fece una pausa, e il mio cuore, prima così pesante, si alleggerì di poco nel sentire le sue parole. Potevano suonare fredde, ma erano convinte, e dense di fiducia. E io lo amavo.
"Sono solo venuto ad avvertire te, che se provi ad avvicinarti di nuovo sei morto. E non lo dico perché penso che non sia capace di difendersi, ma perché non voglio che soffra - un concetto che forse a te sfugge, ma che si chiama amore," terminò il ragazzo, alto almeno dieci centimetri più dell'altro, e letale il triplo. "Adesso sparisci," aggiunse, e allungò un braccio verso di me. "Prima che ci pensi io a fartelo fare."
Sanguini mi lanciò un'ultima, lunga occhiata che ebbe il potere di far rabbrividire me e irritare ancora di più il ragazzo; ma io lasciai scivolare la mano nel palmo aperto di Al, e concessi alle sue braccia di cingermi, e allora il vampiro se ne andò, lasciandoci da soli.
Mi accorsi che le mie dita, ora aggrappate alla sua camicia nera, stavano tremando. Alzai gli occhi nei suoi, e li trovai completamente diversi, splendenti di una tenerezza inaudita, che ebbe il potere di scaldarmi, di spazzare via tutto il gelo che la presenza di Sanguini mi aveva recato.
"Sono fiero di te," mi disse, deciso. Lasciò che solo un braccio mi tenesse la vita, e portò l'altra mano sulla mia guancia, che racchiuse delicatamente.
Io chiusi gli occhi. Sentii un paio di lacrime scorrermi sulla pelle, ma le sue dita abili le catturarono subito. "Mi dispiace."
Mi dispiace di non averti detto niente, di aver fatto tutto di nascosto, di averti mentito.
"Sei forte," replicò lui. "Non avevi bisogno di me, e l'hai preso a calci in culo. Sei meravigliosa, e io ti amo. Anche se," aggiunse, più scherzosamente, "avrei preferito dargli io stesso una bella lezione."
La bocca mi si piegò in un sorriso, l'ultima cosa che credevo di essere in grado di fare al momento. "L'ho fatto anch'io anche per te. Siamo una squadra, ricordi?"
La sua mano scivolò via dal mio volto e afferrò la mia. Le nostre dita si intrecciarono. "Certo che lo ricordo," rispose, sorridente. "Siamo una squadra."
Sì, lo eravamo. Lo saremmo sempre stati, mi dissi, con più sicurezza del previsto. Anche quando grigi e vecchi, io e Albus ci saremmo sempre stati l'uno per l'altra, a sostenerci, tenerci compagnia, amarci.
Eravamo una squadra: ne ero certa.
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