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67 - 𝑰𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑦

{Il Giorno delle Rose}

{La Sala Grande, allestita per il giorno di San Valentino...}

^^

"Buon San Valentino!" mi gridò nelle orecchie una voce ben conosciuta, non appena mi fui svegliata. Avevo fatto a malapena in tempo a mettermi a sedere che il tornado vivente chiamato anche Isabelle Parker mi si era gettato addosso di peso, ributtandomi tra le coperte calde. Mi stampò un bacio sulla guancia, appiccicaticcio di lucidalabbra, e mi sorrise. "Pronta per il tuo primo giorno degli innamorati in compagnia di un vero fidanzato?"

"Vero fidanzato?" ripetei, confusa. Avevo ancora la bocca impastata dal sonno, e il suo volto così vicino la mattina non mi aiutava a mettere a fuoco.

"Sì, be', so essere un sostituto fantastico, ma di certo non posso far finta di essere Malfoy," sorrise a trentadue denti. "Che cosa pensi che farete oggi?"

Ripensai alle ultime due settimane, trascorse con lui. Non c'era stato neanche un singolo giorno che non fosse stato tremendamente meraviglioso. Ormai avevamo smesso di preoccuparci che qualcuno ci scoprisse mentre ci baciavamo nei corridoi, studiavamo insieme, trascorrevamo le serate libere alternando attività tranquille con altre, meno convenzionali... mi sentivo felice. Ero così felice che ogni giorno mi alzavo con il sorriso, pronta ad affrontare qualsiasi cosa quelle ore mi avrebbero riservato. E oltre che felice, ero innamorata, profondamente innamorata.

Mi accorsi che avevo addosso uno stupido sorriso smielato, e che Izzy, nel vedermi così, aveva la stessa espressione. "Ha detto che vuole farmi vedere un posto," le confidai, non riuscendo a trattenermi. "Da quasi un mese, in realtà, ma non ha mai avuto l'occasione. Sto morendo di curiosità."

"Ah, mamma mia," fu ciò che rispose, sopraffatta, e anche se vestita di tutto punto si lasciò cadere sul mio letto sfatto. "È la persona più romantica del mondo. Sono sicura che ti sorprenderà. E poi," aggiunse, "oggi è il Giorno delle Rose. Non vedo l'ora di vedere quante ne manderà!"

Il Giorno delle Rose era una tradizione iniziata ad Hogwarts dopo la Grande Guerra. Il giorno di San Valentino di vent'anni prima, nel febbraio del 2003, un ragazzo aveva deciso di mandare una rosa in formato anonimo alla ragazza che gli piaceva, e così si era scatenata una caccia per capire chi fosse il mittente. Quella ricerca si era fatta così intensa che quando la ragazza aveva scoperto chi fosse il suo ammiratore segreto, aveva deciso di mettersi con lui. Di conseguenza, l'anno successivo diversi ragazzi decisero di seguire le sue orme, e così, nel 2024, il nostro anno, il Giorno delle Rose era diventato un evento attesissimo, in cui gli studenti di Hogwarts potevano ricevere rose dai propri fidanzati, o in modo anonimo, e scegliere se ricercare o meno i propri ammiratori.

"Scorpius non è tipo," alzai le spalle, in segno di pura rassegnazione. "Non credo mi manderà niente. Comunque, il numero di rose non cambia nulla."

"Tranne la popolarità," precisò Livia, scostando le pesanti tende del mio baldacchino e lasciando che la luce invernale delle otto del mattino penetrasse attraverso la stanza.

Kalea, che si stava pettinando i ricci scuri allo specchio, la guardò di sottecchi. "Per me non è vero. Una ragazza può essere popolare senza ricevere così tante rose. Popolare non significa ammaliante."

"Parli tu, che ogni anno ricevi almeno trenta rose," si lamentò Isabelle, prendendole la spazzola di mano per dividerle la testa riccioluta in due e iniziare a intrecciare le ciocche davanti in una piccola treccia a mo' di coroncina.

"Lo scorso febbraio tu ne hai avute trentasette."

"E tu trentaquattro."

"Quest'anno sarà diverso," insistette Izzy. "E se i miei spasimanti fossero stati tutti degli anni più grandi, e ora fossi rimasta senza?"

Roteai gli occhi e mi chiusi in bagno per prepararmi. "Ma smettila," le gridai attraverso la porta, "non c'è il minimo pericolo: i ragazzini piccoli ti adorano."

"A me non conosce nessuno, ma non mi faccio così tanti problemi," sottolineò Livia, "questa cosa delle rose mi pare un po' una stronzata."

"È romantico," la sentii rimbeccare da Isabelle, "parola che sembra fuori dal tuo vocabolario."

"Fossi in te non mi preoccuperei," continuò serafica Kalea, mentre aprivo l'acqua per farmi una doccia al volo. "Noah l'anno scorso ha regalato quaranta rose alla sua ex ragazza. Come si chiamava? Becca?"

"Betty," la corresse Livia. "Sì, l'ho saputo. Non credo che lo farà anche quest'anno, ma a me non importa."

Ci fu un attimo di silenzio. Credetti le mie amiche stessero valutando se chiedere o no a Livia se i problemi con Noah persistessero, perché dal suo tono di voce così sembrava, ma alla fine Kalea optò per un'altra rivelazione che distogliesse l'attenzione: "Credo che Dave mi manderà una rosa."

Rimasi a bocca aperta, espressione che, quando mi avvolsi frettolosamente in un asciugamano e misi la testa fuori dalla porta, trovai ritratta anche sui volti di Izzy e Livia.

"Dave ti manderà una rosa?" ripetemmo in coro, scioccate.

"Esattamente," rispose la nostra amica, applicando del mascara sulle ciglia, che evidenziarono ancora di più il color ambra degli occhi, "però non è come pensate. C'entra con il libro che stiamo leggendo insieme, La Nuova Eloisa. C'è una scena... comunque, non credo di potervelo spiegare. Sappiate che non è concepito come un gesto romantico, ma più come uno... scherzo."

Ci scambiammo un'occhiata, come ogni volta che Kalea diceva qualcosa su Dave. "Ehm—sicura che non sia niente di che? Perché regalare una rosa il Giorno delle Rose... a me non sembra che possa essere solo uno scherzo, come dici tu."

"Veramente," mi sorrise lei, gentile e amorevole. "Sono sicurissima. Se Dave o io provassimo qualcosa l'uno verso l'altra, non credete che me ne accorgerei? Senza contare," proseguì, "che lui è fidanzato da mesi con Lily. Non ho intenzione di mettermi in mezzo, né ne sento il bisogno."

Con quelle parole, cui noi non riuscimmo a trovare una replica adeguata, concluse il discorso. Io non credevo affatto che Kalea fosse ingenua, o che stesse mentendo; però al contempo credevo che fossero convinti che non ci fosse nulla, ma che in realtà quel qualcosa ci fosse eccome. Magari ancora non sviluppato, magari ancora sotto forma di amicizia... quei due erano troppo compatibili, e avevano atteggiamenti troppo da fidanzati, per poter passare come nulla. Poi magari mi sbagliavo, assolutamente. Ero la prima a credere nell'amicizia tra donna e uomo, non credevo affatto che il sesso potesse impedirla, tuttavia, a volte questo genere di cose si sentiva a pelle.

Io riprovai a fare la doccia, stavolta con successo, e lasciai che Izzy mi intrecciasse i capelli, e che Livia mi mettesse un accenno di trucco. Non capivo perché non potessi fare tutto ciò da sola, pensai, mentre Kalea stendeva sul mio letto la divisa, ma poi pensai che quello che era solo il loro modo di dimostrare l'affetto, e che ci trovavano anche gusto nel giocare alla casa delle bambole.

La prima rosa per tutte e quattro arrivò addirittura mentre facevamo colazione, prima della lezione con Hagrid. La Sala Grande per l'occasione era stata decorata a festa da quelli del Comitato; centinaia di fiocchi rosa, bianchi e rossi erano stati appesi a finestre e pareti, al posto dei soliti stendardi delle Case che la riempivano durante l'ultimo pasto dell'anno. Il cielo era stato, inoltre, riempito di nuvole a forma di cuore, e c'erano ovunque coppie che si sbaciucchiavano. Per quanto riguardava noi, chiunque ci avesse trovate attraenti, e poi viste mangiare, specialmente me e Izzy, avrebbe cambiato idea, e per questo fui molto sorpresa dell'arrivo di queste rose. I ragazzi ancora non erano sbucati fuori, ma era così tardi che la Sala Grande era quasi vuota.

Ad essere addetti alle consegne delle rose, volenti o nolenti, erano i Prefetti, e Trevor Collins sembrò particolarmente scontento nel consegnarmi una bellissima rosa rossa. Io e le ragazze, avendole ricevute identiche, ci scambiammo uno sguardo emozionato, e in sincronia aprimmo i piccoli biglietti che vi erano legati.

Io, Kalea e Izzy sorridemmo nel leggere il nome di Noah, che ci augurava una buona festa e che con quella rosa avremmo incrementato la nostra popolarità; Livia invece, nel riceverla, aveva messo su una ruga tra le sopracciglia, e sembrava molto poco entusiasta.

"Che vi avevo detto?" mormorò, distogliendo lo sguardo e mettendo via la rosa, delusa. "Niente quaranta rose per me."

Noi non sapemmo che rispondere, e per questo lasciammo che furono i gesti a parlare, coinvolgendola in un abbraccio di gruppo. Restammo in quel modo per diverso tempo, gli occhi chiusi, le membra intrecciate. San Valentino era la festa degli innamorati, e gli innamorati per definizione erano coloro che provavano amore. Amore di tutte le forme, compreso quello dell'amicizia.

Gli Antichi Greci avevano diviso l'amore in sette parti: il ludus, l'amore giocoso, disimpegnato, il divertimento, poco informale, semplice, quello che avevo cercato con Trevor; l'eros, l'amore sessuale, passionale, ardente; il pragma, quello che subentra l'eros quando questo si spegne, che ti permette di capire se ci può essere una base oltre il desiderio, quello degli interessi a lungo termine, della compatibilità; lo storge, l'amore familiare, quello senza sforzo, perché perdonare, accettare e sacrificarti per qualcuno viene naturale; la philia, il tipo più profondo di amicizia, che sorge quando si condividono gli stessi valori, interessi e disposizioni, quando si coltiva un senso di comprensione reciproca e apertura, che dà agli amici sicurezza e appartenenza; la philautia, di importanza fondamentale, l'amor proprio, simile all'autostima, l'autocompassione; e infine l'agape, l'amore per tutti - estranei e non - e per tutto - natura, pianeta, Dio.

Non c'era un tipo di amore più importante di altri, più bello, perché nella giornata che lo celebrava tutti valevano nello stesso modo. Non era il giorno dell'eros, non era il giorno del pragma; era il giorno di Amore, e noi contavamo.

Le nostre rose continuarono ad arrivare durante le ore della giornata. Per l'ora di pranzo, in vantaggio era Isabelle, come sempre, con ben diciotto fiori, poi io e Kalea con diciassette, e Livia con quindici. Quest'ultima, benché avesse fatto un numero di gran lunga superiore alla media delle ragazze del Castello, era rimasta scontenta da quella di Noah.

Io che avrei dovuto dire, invece, che da Malfoy non avevo avuto niente? Eppure non ne facevo affatto un problema, anzi. Sapevo che lui non era tipo, e avevo evitato di farmi domande. Non c'era stato neanche un giorno in cui non mi avesse fatto una sorpresa o dimostrato il suo affetto in quegli ultimi giorni, perciò non sarebbe stato un fiore a fare la differenza.

Eravamo sedute a tavola da almeno mezz'ora, chiacchierando con il solito gruppo di Julian, Troy, Simon, Harry e Charles - quest'ultimo aveva regalato una meravigliosa rosa di un tenue rosato a Kalea, che era arrossita, quando si avvicinò Wanda Goyle, la sorellina del quinto anno di Wilhelmina, con un meraviglioso cesto pieno di fuori proprio davanti a noi. Aveva un sorriso enorme addosso, e gli occhi a forma di cuore.

"Ho un mazzo per Isabelle," comunicò, sollevando almeno trentacinque rose dal cesto, e Izzy, sorpresa, lo prese con entrambe le mani. Persino io, che ero seduta dall'altra parte del tavolo, ne sentii l'intenso profumo. Erano davvero meravigliose, di un rosso sangue stupefacente.

Istintivamente gli sguardi di tutti noi si andarono a posare sul tavolo dei Serpeverde, perché ovviamente già sapevamo chi fosse il mittente - Izzy era arrossita nel leggere il bigliettino. Trovammo, come ci eravamo aspettate, gli occhi verde acceso di Al fissi sulla sua ragazza, attento a studiarne l'espressione.

Quei due... non avrei mai smesso di ripetere come fossero la coppia più bella di tutto il Castello.

Izzy non si trattenne, e incurante dei professori seduti al tavolo per il pasto si avviò verso il fidanzato, e con un bacio plateale da film romantico degli anni Venti furono applauditi da tutta la Sala Grande.

Io con un sorriso commosso tornai al mio pasto, e sfiorai con un dito il mazzo di Albus. Dio, se erano belle. Poi mi accorsi che Wanda non era ancora andata via. "Ne ho altre," disse infatti.

Ne sfilò una, di un tenue rosso-rosa, e me la porse. Quando aprii il biglietto, lessi le poche righe vergate sopra, nell'inconfondibile scrittura disordinata di mio fratello. Mi ha detto James di fartela provare. È fatta di cioccolato, assaggia. PS: ne aveva mandate tre, ma non ho resistito. Buon San Valentino, Posie.

Certo, il suo stomaco senza fondo non si sarebbe mai lasciato sfuggire l'occasione di divorare un dolce. Comunque, anche se la sua classe sembrava essersi attardata a lezione, mi ripromisi di fermarlo per salutarlo, e per ricordargli dell'allenamento di Quidditch del giorno successivo.

"Un'altra," disse Wanda con un sorriso, e dallo stesso rosso di quelle di Izzy riconobbi subito il mittente della seconda rosa.

Raggio di sole,
Tu illumini
Le mie nude giornate

Non poté non venirmi da ridere. Livia accanto a me mi mostrò quello che aveva lei:

Biondi capelli d'oro
sguardo micidiale
meglio guardarsi le spalle

"Lasciate perdere," intervenne Izzy, che si era appena seduta di nuovo al tavolo, le labbra gonfie e le guance rosse, a mo' di spiegazione per le nostre facce divertite e confuse. "Albus adesso si è fissato con la poesia - con gli haiku, precisamente. Io non ci tengo particolarmente a dirgli che è terribile, perché ci rimarrebbe malissimo, e perciò lui continua."

Non poté quindi non sorgermi la curiosità di vedere quale fosse il componimento che aveva inviato alla sua ragazza.

Bocca di rosa lieve
cosce bianche d'avorio
tromberemo fino all'alba

Scoppiai a ridere, così forte che mi spuntarono le lacrime agli occhi, e attirai l'attenzione di mezza Sala Grande. "Ma è terrificante," commentai, e la testa mi crollò tra le braccia. Non riuscivo a credere che avesse avuto il coraggio di allegare quell'haiku disastroso a trentacinque rose rosse. Quello, quello era il James che era assopito in lui.

Isabelle allungò la mano per prendere il mio e lo lesse in un secondo, poi spalancò la bocca, offesa fino al midollo. "Non ci credo!" borbottò, "il tuo è più romantico del mio."

"A me non può scrivere cose del genere," le ricordai, con un enorme sorriso.

"Intanto a voi ha mandato qualcosa!" strepitò Lily, furibonda, sventolando la sua quindicina di rose senza particolare cura. Lei, popolare come lo era stata sua madre anni prima, riceveva anche lei una quantità di fiori enorme. "Mio fratello ne ha inviata una persino a mia cugina, e non a me, sua sorella."

Mi allungai per darle un colpetto rassicurante sulla spalla. "Non preoccuparti, Lils. Sono sicura che la manderà anche a te... e poi, non hai bisogno della sua. Mi pare che tu te la stia cavando perfettamente anche da sola, no?"

"Non sarei così arrabbiata se fosse solo Albus, il problema," replicò mia cugina, sempre più infastidita. Era seduta tre posti più in là rispetto a me, oltre Livia, Julian e Simon.

"Cioè?" fece Izzy, curiosa.

"Cioè che il mio fidanzato, il mio fidanzato, non crede in questa tradizione e per questo ha già messo in chiaro giorni fa che non mi avrebbe mandato alcuna rosa," sbraitò in risposta Lily, facendo ondeggiare i lunghi capelli rosso carota al ritmo del suo gesticolare. Era davvero furiosa.

Poi notò le nostre espressioni, puramente sbalordite. "Ehm—non credevo avrebbe destato tanto stupore..." commentò, perplessa.

Noi non potemmo non girarci verso Kalea, che aveva gli occhi chiari sgranati e la bocca socchiusa. Teneva tra le mani una rosa meravigliosa, della più pura sfumatura dell'ambra, precisamente identica a quella delle sue iridi. Era tra le più belle che avessi mai visto, e non poteva che essere di Dave.

Dopo quell'episodio, tuttavia, la giornata passò in modo tranquillo. Per quando arrivò l'ultima tra le due ore di Pozioni, al mio conto si era aggiunta una rosa bianca dalle screziature nere, proveniente, come diceva il biglietto, dal personale giardino di Hagrid, e una del colore dell'alba, stavolta vera, da parte di James.

Comunque, dopo lo spettacolo della Pozione Comparaurica, venti giorni prima, eravamo impegnati nella realizzazione della stessa, e lo saremmo stati per altri ventitré giorni.

La preparazione in sé era piuttosto complicata: prevedeva il predisporre un infuso di menta e alloro con dell'acqua di mare, facendolo sobbollire per dieci minuti prima di rimuovere le foglie; comporre a parte un infuso di Assafetida assieme alla polvere di cristallo in duecento millilitri di acqua piovana, stando attenti a non respirarne le esalazioni velenose; versare entrambi gli infusi in un mortaio contenente appena due cucchiai di latte e tre bacche di cipresso, possibilmente lasciate a bagno in dell'acqua di rose per tutta la notte; pestare il tutto energicamente, fino ad ottenere una poltiglia uniforme; sbriciolare - e questo l'aveva fatto Julian al posto mio - due ali di fata essiccate nel mortaio e, dopo aver pestato nuovamente il tutto, travasare in un calderone, riscaldando a fuoco lento per venticinque minuti; infine, aumentare il fuoco sotto il calderone e rimestare il composto, ripetendo il procedimento per ventidue giorni una volta ogni ventiquattro ore.

Il nostro compito, dopo aver mescolato, sarebbe stato il seguente, e cioè, dopo mezz'ora, quando l'impasto ormai era passato allo stato liquido, aggiungere la piuma di Jobberknoll e il pungiglione di Billywig. A questo punto la pozione avrebbe dovuto assumere immediatamente un colorito biancastro, non ancora del tutto omogeneo - poi avremmo dovuto spegnere la fiamma e lasciar freddare il tutto per diciotto giorni, impegnandoci con altre pozioni, e scaduto il tempo legare saldamente una ciocca di capelli di un neonato ad uno spago, immergendolo all'interno della pozione, al fine di renderla bianco perlaceo. Dopo averla lasciata riposare per due giorni, sarebbe stata pronta.

A prescindere da tutto il procedimento, complicato, sicuramente, preparare la Comparaurica era divertente, e i tempi morti venivano facilmente occupati dai racconti di Lumacorno sui suoi allievi più prestigiosi, e dal gossip.

"Vai a prendere tu la piuma di Jobberknoll?" mi chiese Izzy, impegnata a mescolare con entrambe la mani l'impasto della pozione, che stava assumendo l'aspetto liquido previsto dal nostro libro. Il calore che si sprigionava dal calderone appoggiato sul nostro banco era terribilmente piacevole, e permetteva di stare senza sciarpa e doppio maglione. Lei aveva i lunghi capelli neri legati alti sulla testa in una crocchia fermata da una bacchetta, e il collo chiaro riluceva alla fiamma davanti a lei.

Certo che lei era quella ad Hogwarts con più rose di tutti, da quando era uscita mia cugina Victoire: era indubbiamente la ragazza più bella che avessi mai conosciuto. Le trentotto rose che aveva accumulato nelle scorse lezioni erano legate da un elastico, e appoggiate in modo ordinato sul nostro banco; le trentacinque di Albus, invece, le aveva portate in dormitorio prima che finisse la pausa pranzo per evitare che si rovinassero nelle aule. Al l'aveva accompagnata, e per questo temevo un po' a tornare in dormitorio, sapendo quello che probabilmente ci avevano combinato dentro.

"Certo," mi allontanai dal banco per raggiungere la cattedra di Lumacorno, dove si era formata una breve fila di persone in attesa di ricevere piuma e pungiglione.

Mentre aspettavo pazientemente il mio turno, ripensai alla faccenda della Giornata delle Rose. Non capivo davvero la logica dei ragazzi. Dave, fidanzato da mesi con mia cugina Lily, non le aveva regalato neanche un fiore, affermando di non credere nella tradizione. Subito dopo, però, ne aveva donata una di rara bellezza a Kalea, per seguire un qualche ragionamento contenuto nel libro che stavano leggendo. E se per Malfoy fosse stata la stessa cosa? Se una della quindicina di fiori che Norah teneva tanto fieramente sul suo banco le fosse stata donata da lui? Non mettevo in dubbio che Dave tenesse davvero a Lily, però... no, non riuscivo a pensarci.

Del resto, anche io, come già precisato, non stimavo particolarmente quel giorno, tuttavia che il mio ragazzo non si fosse posto il problema non era strano?

"Cap," mi salutò gentile Julian, che non mi ero accorto essere in fila dietro di me. "Ricevuto tante rose?"

"Mi reputo soddisfatta," scherzai, sorridendogli. "E tu?"

Avrei creduto che l'episodio dell'Aura, per quanto accaduto venti giorni prima, avrebbe un minimo minato la sua popolarità; invece, come ogni anno, il suo numero non faceva che crescere. "Ventinove," rispose infatti, fiero di sé. "Aspetto quella trentesima che coronerà la mia giornata."

"Sono sicura che in queste due ore ti arriverà," replicai, ottimista.

"Tenete," ci interruppe Lumacorno. Alzammo gli occhi su di lui, e io trovai i suoi colmi di timore. Ci squadrava con preoccupazione, guardava la nostra vicinanza, il modo in cui ci stavamo sorridendo. Per me non era niente di che, ma per Lumacorno, che aveva paura dell'Aura di Julian, il nostro essere così uniti non poteva che rappresentare un problema. Ci diede velocemente a testa pungiglione e piuma, e mi scoccò un'occhiata intensa.

Neanche a dire che era la prima volta, perché assumeva quella faccia non appena ci vedeva insieme. Ero, da un lato, piena di tenerezza all'idea che quell'anziano insegnante trovasse il tempo di pensare al mio benessere, ma dall'altro credevo che tutta quella pressione fosse un minimo esagerata.

Quando tornammo a posto, ed ebbi consegnato a Izzy gli ingredienti appena presi, mi resi conto che l'intera classe, Serpeverde e Grifondoro indistintamente, era in fibrillazione. Man mano che si avvicinava la fine dell'ora, gli studenti non vedevano l'ora che si presentasse il Prefetto di turno per la consegna delle rose, fissata per ogni lezione.

Gli unici cui non interessava particolarmente erano Albus, Scorpius, Noah e Dave. Ognuno aveva totalizzato il suo buon numero di fiori, con Malfoy in testa, a quarantadue. Albus avrebbe vinto, se l'altro non avesse ricevuto un mazzo di ben quindici durante l'ora di Alchimia, evento che mi era valso uno sbuffo infastidito.

Quella lezione era stata l'unica in cui ci eravamo rivolti la parola. Non ero affatto arrabbiata con lui, anzi, però il modo in cui stava evitando di parlarmi e di guardarmi e la - fastidiosa, dovevo ammetterlo, - mancata consegna della mia rosa, mi faceva chiedere se non fosse lui ad avere qualcosa contro di me.

"Consegna delle rose!" annunciò Alice, il Prefetto dei Grifondoro, con la solita cesta traboccante di fiori. Chissà perché, gli occhi chiari le brillavano dall'entusiasmo.

Izzy mi diede una gomitata. "Sono tutte bellissime. Secondo te...?"

"Secondo me tu supererai le quaranta," le dissi, "ne hai già trentotto, e manca troppo tempo alla fine della giornata perché non ne riceva altre. Kelz ne ha trentasei, quindi anche lei potrebbe arrivare a quaranta. E poi, Livia... con le cinque mandatele da Carter Blossom, sta a trentuno?"

"Trentadue," mi corresse, divertita. "E tu, pensi che il nostro amico farà la sua mossa?"

"Malfoy?" chiesi a bassa voce in risposta, mentre Alice passava tra i banchi della fila all'estrema destra. La vidi, praticamente con la bava alla bocca, porgere un altro mazzo al biondo, che lesse il biglietto e sorrise. Si girò verso Wilhelmina e le rivolse un occhiolino. "Dio, con quelle è arrivato a cinquanta," sbottai, frustrata.

"Neanche Albus ne ha così tante," ridacchiò la mia amica, sicuramente rinfrancata.

"Ne ho una per te, Isabelle," disse, come da copione, Alice, arrivata al nostro banco. Kalea e Livia, da dietro di noi, si sporsero in avanti. Era di un tenue giallo, colore che negli anni passati era associato alla gelosia, ma che adesso sembrava indicare un amore puro ed eterno.

Izzy vide da parte di chi era, e corrugò le sopracciglia eleganti. "Strano."

"Non c'è il mittente?" chiese curiosa Kalea.

"No - cioè, sì, c'è," borbottò, in un filo di voce. "Però... è strano."

"Ma cosa è strano?" la incalzò Livia, non riuscendo a leggere. "Vuoi dirci da parte di chi è?"

Isabelle lo ripiegò, e lo infilò nel manuale di Pozioni, poi si voltò verso di noi, rossa in viso, gli occhi scuri animati da un sottile imbarazzo ma soprattutto da una grande impassibilità. "Ragazze, non dovete dirlo a nessuno."

"Così ci preoccupi," sussurrai io, sempre più confusa.

Lei prese un breve respiro, poi scarabocchiò un nome sull'angolo di pergamena dove avevamo preso gli appunti di quella lezione. Ci facemmo in avanti tutte e tre contemporaneamente: c'era scritto, con nostro enorme stupore, Sanguini.

"Non ci posso credere," Kalea si portò la mano alla bocca.

"C'è qualcosa tra di voi?" domandò Livia, e per la prima volta da quando l'avevo conosciuta la trovai sinceramente stupefatta. Scherzavamo sempre su quanto Sanguini fosse attraente, era vero, e in moltissime, come Norah, lo pensavano sul serio, ma non avrei mai pensato che Izzy condividesse quel pensiero, o che, peggio ancora, tra loro ci fosse più del semplice rapporto alunna-insegnante.

Isabelle arrossì ancora di più. "No, no, assolutamente no! Non ho la minima idea del perché mi abbia mandato questa rosa..." dal suo tono di voce l'avrei definita sincera, ma mi vennero in mente due episodi, cui sul momento non avevo fatto granché caso: il giorno della lezione sull'Hevardan, quando, di ritorno dalle vacanze natalizie, gli occhi scuri del professore si erano fermati sul volto della mia amica, e quando, la volta successiva, aveva pronunciato il suo cognome con una grande dolcezza, affettuoso.

Che diavolo stava succedendo?

"Rose?" ci pensò Alice a interrompere quella spiacevole conversazione. "Posso?"

"Certo, Alice, grazie," risposi io, forzando un sorriso, mentre nella mente avevo solo la possibilità che tra Izzy e Sanguini ci fosse qualcosa, e che quindi la storia tra lei ed Albus fosse meno idilliaca di quanto pensassimo.

La mia amica, dal volto tondo a forma di cuore, mi annunciò: "Ne ho ben tre per te. Anzi..." si accigliò nel leggere la lista che aveva in mano. "Di rose, be', di rose ne ho due."

Neanche io seppi bene che dire, né cosa intendesse, perciò la lasciai fare. Dovette essere curiosa quanto noi, perché non mi porse tutti i fiori come da protocollo, ma rimase impalata davanti a me. Mi diede in mano la prima rosa, rosso chiaro, che virava sul rosa scuro. Il rosa scuro, secondo il cartello appeso in bacheca dal Comitato delle Rose, rappresentava ringraziamento e gratitudine.

Slegai il cordoncino che legava il pezzo di carta al fiore, e Izzy lo aggiunse al mio mazzo, riposto nel sottobanco per non occupare tutto lo spazio da dedicare ai libri. C'era scritto solo un nome, quello del mittente: Caleb.

Mi commossi. Caleb non avrebbe mai smesso di sorprendermi: anche dal mondo dei morti riusciva ad esprimere ciò che provava nei miei confronti - ringraziamento e gratitudine, come diceva la tabella. Solo il giorno precedente avevamo trascorso tutto il pomeriggio, dopo le lezioni, insieme, a leggere e scherzare. Avevamo anche parlato dell'incontro che il Ministro Shacklebolt aveva fissato, entro pochi giorni, per conoscere finalmente il figlio.

Alice non mi diede il tempo di elaborare il regalo di Caleb, perché me ne porse un'altra, la più bella che avessi ricevuto fino a quel momento. Era bianca, di un bianco quasi splendente, perfetta in ogni suo aspetto, con i petali screziati di rosso corallo. Il bianco simboleggiava candore, purezza e innocenza; il corallo, invece, il desiderio.

Istintivamente seppi già chi me l'aveva mandata, e alzai gli occhi su di lui - il quale già mi stava guardando.

Le sue iridi verde chiaro erano traboccanti di sentimento, di... di desiderio.

Rimasi per un secondo stupefatta dall'intensità nel suo sguardo. Il pensiero attraversò la mia mente come un fulmine, ma parve lasciare una macchia indelebile: come sarebbe stato, se avessi dato a lui una possibilità, invece che a Malfoy? Avrei avuto quegli occhi così espressivi su di me tutti i giorni? Julian mi avrebbe amata, mi avrebbe voluta.

Invece no. Non mi interessava quante emozioni avrei avuto con lui, perché non potevano competere con tutto ciò che mi faceva provare Malfoy con un solo tocco, con la sua sola presenza nella stanza.

"È da parte sua?" Izzy interruppe la linea del mio ragionamento, e dovetti spostare la mia attenzione da Julian. Anche lei lo stava guardando, ma con la fronte aggrottata.

Annuii. "Sì, è sua."

Isabelle, come al solito, era l'unica che non cedeva di un millimetro al suo fascino. Pareva, come Scorpius, convinta che ci fosse chissà quale oscurità insita in lui. Era quasi imbarazzante, ma soprattutto fastidioso.

"Mi dispiace disturbarvi ancora," fece allora Alice, "è che... Rose, ho un altro fiore per te."

Avrei dovuto aspettarmi qualcosa di diverso dal solito già da come aveva detto fiore invece di rosa, ma non potei che rimanere con la bocca spalancata dallo stupore quando Alice, con le dita tremanti, sollevò fuori dal cesto un fiore che non mi sarei mai aspettata di vedere ad Hogwarts, né, tantomeno, durante il Giorno delle Rose.

Un girasole.

Ancora prima che leggessi il sottile pezzo di pergamena ad esso legato, intravidi, nella delicatezza dei petali color oro, nella morbidezza del cuore di un ricco marrone, nell'elegante stelo dritto, l'impronta del ragazzo che affollava i miei sogni, e che popolava le mie giornate.

Stasera alle sette. Porta il fiore, affermava la sua calligrafia perfetta.

Ringraziai Alice a mezza voce, quasi non sentendo le risatine delle mie amiche, che si passavano quel fiore, incredule e con gli occhi a forma di cuore, come in un cartone animato.

Non posso farlo, mi continuavo a ripetere, fissando il girasole, il quale veniva passato delicatamente da una mano all'altra. Non posso farlo, mi continuavo a ripetere, mentre le ragazze di tutta la classe mormoravano su chi potesse aver pensato ad un regalo così bello. Non posso farlo, mi continuavo a ripetere, voltandomi verso il suo banco.

Non posso saltargli addosso nel bel mezzo di una lezione, e con Albus accanto a lui, mi rimproverai. Mi obbligai a rimanere al mio posto, seduta ferma come una statua, ascoltando solamente i battiti accelerati del mio cuore, per tutti i lunghissimi dieci minuti che ci separavano dalla fine dell'ora.

Avrei voluto guardarlo, ringraziarlo almeno con gli occhi, ma temevo che mi sarei messa a piangere, o che non avrei resistito, e gli sarei andata incontro, e l'avrei baciato davanti a tutti.

Quando l'orologio a pendolo appeso sopra la cattedra batté i rintocchi delle cinque meno un quarto, per i miei nervi fu un vero sollievo. Lasciai che il resto della classe si preparasse senza che io facessi nulla, gli occhi fissi sul girasole, così peculiare, così meraviglioso.

Isabelle capì, e fece con il capo segno alle mie amiche di andare. Sapevo che Lumacorno sarebbe rimasto nell'aula, insieme a noi, però lui paradossalmente era uno dei pochi a sapere della nostra relazione, quindi non ci sarebbero dovuti essere problemi a parlare a bassa voce con Malfoy con lui presente.

Come avevo previsto e sperato, Scorpius era ancora nella stanza, e si avvicinò a me con lentezza. Sollevò una mano, e spostò i miei capelli, scivolati sulla spalla, all'indietro, fino a scoprirmi la curva del collo.

Quel fiore... allora non era arrabbiato con me. Ma non ci eravamo neanche augurati buon San Valentino.

"Ragazzi," sentii dire da Lumacorno. Non me ne ero accorta, ma di fronte alle sue carezze avevo chiuso gli occhi. Li riaprii di colpo, e focalizzai il mio insegnante. Mi alzai anch'io, e insieme lo raggiungemmo alla cattedra.

Aveva un'aria più gioviale di quanto mi sarei aspettata. "Questa sera alle otto e mezza ho organizzato una cena, sapete, per festeggiare con tutti voi questo evento, il San Valentino," ci annunciò, infilandosi le mani nelle tasche anteriori del panciotto. Dal luccichio degli occhi e le guance rosse, se non l'avessi conosciuto come le mie tasche avrei detto che era brillo. "Ho invitato i due giovani Potter, con i rispettivi accompagnatori, e altri di vostra conoscenza, e ne sono tutti entusiasti. Perché non fate un salto anche voi?"

Per miracolo riuscii a non assumere un'aria stupefatta. Lumacorno voleva passare la festa degli innamorati con noi? Ma era assurdo. Ancora più assurdo pensare che Albus e gli altri avessero risposto di sì.

E che ne fossero entusiasti.

La mano di Scorpius scivolò tra le mie scapole, e rivolse a Lumacorno un sorriso gentile. "Veramente avremmo già dei programmi."

Sia l'insegnante che io ci girammo verso di lui. Avevamo dei programmi? Ah, giusto. Il misterioso qualcosa che voleva mostrarmi da settimane. Mi aveva dato appuntamento alle sette, cosa avremmo fatto per un'ora e più, se la cena di Lumacorno era alle otto e mezza?

Vidi gli occhi del professore spegnersi di colpo, come se avesse premuto un interruttore. Mi sentii tremendamente in colpa. Il nostro rifiuto poteva essere paragonato ad un genitore che strappava di mano il dolce del figlio, magari con uno schiaffo sulle mani della prole. Quell'uomo grande, grosso e adulto abbassò gli occhi, gli angoli della bocca piegati all'ingiù, e io sapevo che mi sarei pentita di quella scelta.

Lessi l'incertezza anche sul viso di Malfoy, e la presa sulla mia schiena si allentò. "Però... credo..."

"Sì," lo appoggiai io, che come lui non sapevo bene che cosa dire. "Forse possiamo... sì, insomma..."

"Davvero fareste un salto?" e lì l'interruttore si accese di nuovo. Si allungò in avanti e tese le mani verso le mie, e me le afferrò. "Mi fareste il più contento del mondo!"

"Però - vede, non tutti sanno che stiamo insieme," aggiunsi io, cercando una scappatoia. Scorpius annuì vigorosamente al suono delle mie parole. "Non mi pare il modo migliore per annunciarlo."

Lumacorno agitò la mano per aria quasi come a scacciare una mosca fastidiosa. "Oh, di questo potete stare tranquilli. Non ho invitato solo coppie. Quindi verrete? Mi farete questo piacere?"

Io e Scorpius ci scambiammo un'occhiata, lui più scontento che mai, io alla fine divertita dal suo essere così infantile. "Certo," disse infine il mio ragazzo, costretto a sorridere dalla mia gomitata nel fianco, "ci saremo senz'altro."

^^

Quando tornammo in dormitorio, finita la lezione di Incantesimi, che era stata più noiosa del solito, scoprii che anche tutte le mie amiche erano state invitate alla cena del 'Lumaclub' - e che nessuna ne era stata particolarmente contenta. Solo Livia, che non aveva mai assistito a nessuno di questi eventi - a dicembre non era stata invitata, e io non ero stata ad Hogwarts - riusciva a vederne il lato migliore.

Trascorremmo un'ora intera, dalle sei alle sette, a decidere che cosa indossare. Io non sapevo dove Scorpius avesse intenzione di portarmi, perché poteva essere davvero ovunque, contando che bastava giungere ad Hogsmeade perché gli fosse possibile Smaterializzarsi; tuttavia volevo osare, volevo che il mio ragazzo rimanesse piacevolmente stupito dalla mia apparizione.

"Certo che è proprio una benedizione essere andate a farsi la ceretta sabato," commentò Izzy, ridacchiando, vedendo che ben tre di noi avevano optato per un abito che lasciasse scoperte le gambe. Lei si sarebbe messa un completo tailleur pantalone rosa acceso, che le stava meravigliosamente con la pelle chiara e i capelli scuri; Kalea un adorabile vestito rosso, con lo scollo a cuore, e Livia una gonna al ginocchio e una camicia da infilarci dentro, resa più vivace da una lunga collana con un pendente dorato all'altezza dello stomaco, unico tocco di colore su uno sfondo nero.

"Quindi, dite che questa mi sta bene?" chiesi facendo una giravolta. Indossavo una gonna che mi aveva regalato zia Audrey, la moglie di zio Percy per il compleanno. Era di quelle a coda di pavone, lunghe a balze dietro e corte sopra il ginocchio davanti, di mille colori - principalmente viola, con sprazzi di blu, bianco e celeste - e dei tacchi non troppo alti, sopra un top bianco non particolarmente scollato, e una giacca di pelle dello stesso colore di maglia e scarpe, che richiamava anche la gonna.

"Ti sta benissimo," sentenziò Kalea. "E i tuoi capelli sono, se possibile, resi ancora più belli dal colore della gonna. Però ti annuncio che sei in ritardo."

"Mi ucciderà," mi lamentai, "odia quando succede."

Izzy accorciò i tempi di preparazione scegliendo di acconciarmi i capelli mentre mi legavo il centurino dei tacchi. "Mi suoni un po' come Ana Steele quando fai così, dovrò essere sincera."

"Non sei spiritosa," la rimbeccai, roteando gli occhi. Sentii le sue mani portarmi la chioma mossa in alto, e con delicatezza mi sfilò dalla coda di cavallo due ciocche, che ricaddero morbide ai lati del mio viso.

"Oh, no, sono in ritardo!" mi fece il verso Livia, sdraiata a pancia in giù sul suo letto a mangiare i cioccolatini che qualcuno aveva inviato a Kalea. "Il mio Christian Grey mi legherà alla testata del letto, e poi mi frusterà, e—"

"Hai reso l'idea," sbottò Kalea, chiudendo il libro di Difesa, rinunciando al ripassare l'argomento del giorno successivo. "Possiamo passare, per favore, almeno un giorno in cui non parliamo di perversioni sessuali?"

Io e Izzy ci guardammo e scoppiammo a ridere. "Sei amica di Livia," le fece notare la mora, seduta dietro di me e impegnata a legarmi i capelli. Infilò la bacchetta di legno che prima aveva indossato lei per fermarmi lo chignon morbido.

"Veramente, se vogliamo essere precisi, io ho trovato un paio di manette nel cassetto del bagno. Non l'ho detto perché ho pensato che la Scorose volesse tenere segrete le sue pratiche," replicò Livia, usando, come da un mese a quella parte, il nome che aveva affibbiato alla nostra coppia per riferirsi a noi due.

Io alzai le sopracciglia. "Noi non abbiamo usato nessuna manetta."

Solo la sua cravatta.

"Ma smettila," ribatté Livia, sorridente. "Non dirmi che il bel tenebroso—"

"Non sono stati loro due," dichiarò Izzy, con il volto tra le mani, arrossendo come un pomodoro maturo.

Sgranammo tutte e tre gli occhi. "Tu e Albus?" esclamai, assumendo anch'io una sfumatura color melanzana. "Oh cielo," mormorai subito dopo, "non volevo saperlo. Decisamente non volevo saperlo."

Isabelle, che io conoscevo da quando avevamo undici anni, e Albus, mio cugino da una vita, con cui avevo diviso la culla, usavano le manette per fare sesso.

"Buona serata!" mi gridò dietro Livia, ridendo, quando mi infilai velocemente la giacca, afferrai il girasole come detto nel biglietto e sgattaiolai via dal dormitorio, prima che potessi sentire altre oscenità.

Solo quando attraversai la Sala Comune mi venne da ridere. Magari avrei potute prenderle in prestito... poi mi venne in mente la faccia che avrebbe fatto mio padre se l'avesse saputo, e rabbrividii. Avrei rimandato il tutto di qualche anno.

Quando aprii il buco del ritratto, sorprendentemente Scorpius, sempre così puntuale, non c'era. Mi guardai attorno con aria confusa, e la Signora Grassa, vedendomi così, ridacchiò. "Ci siamo messe in tiro per il bel biondo, Rosita?"

Adesso le era presa la fase spagnola.

"Sì," risposi, trovando inutile negare. "L'ha visto qua in giro?"

"Mi ha detto di dirti di andare al pian terreno, poco davanti l'ingresso dei sotterranei," replicò lei, stupendomi. Mi fece un occhiolino. "Mi raccomando, non fate cosacce."

Le rivolsi un sorriso, all'inizio concepito come di ringraziamento, ma che sfociò in un'espressione maliziosa che la fece ridere. Agitai la mano, e la sentii augurarmi buon San Valentino prima che non potessi più udire la sua voce alta.

Seguii le sue indicazioni, e raggiunsi il corridoio da cui si imboccavano i sotterranei del Castello. I miei tacchi risuonavano per gli ampi luoghi deserti, e per quanto non fosse affatto illegale uscire alle sette di sera con delle scarpe rumorose, comunque sentii un velo di disagio posarmisi addosso. E anche quel posto, come l'entrata del mio dormitorio, era deserto.

Dove si era cacciato quel cretino?

"Buona sera," mi salutò cordialmente un quadro che non avevo neanche notato, che ritraeva un uomo anziano dai lunghi baffi bianchi e lo sguardo acceso. "Sta cercando qualcuno?"

La targhetta d'ottone sotto la cornice recava scritto Beaumont Marjoribanks: famoso Erbologo inglese.

"Salve—sì, il mio ragazzo. Lei l'ha visto?" chiesi a mia volta, cordialmente.

Il signor Marjoribanks annuì, e aprì il proprio ritratto, mostrandomi un'apertura buia. "C'è una lanterna appesa qua in alto, e un corrimano, se vuole appoggiarsi," mi informò, educato e cordiale come un signore d'altri tempi. "Le auguro una buona permanenza."

Lo ringraziai, e afferrai la lanterna con la mano che non reggeva il girasole. Riuscii ad accenderla in tempo per non rimanere nel nero completo quando il ritratto si chiuse alle mie spalle. Seguii il suo consiglio e presi il corrimano per non cadere miseramente, e poi mi avviai. Bastò un metro perché mi si presentasse una scala a chiocciola in pietra, composta da una serie di gradini scivolosi. Non mi restò che percorrerli, con estrema lentezza e attenzione. Quando la scala si aprì, si rivelò un passaggio stretto, che costeggiava un rivolo d'acqua; dall'odore pesante che saliva capii che si trattava delle acque reflue di Hogwarts, destinate ad essere poi scaricate nel Lago Nero.

Ma dove mi stava portando? Sembrava l'esatto tipo di ambientazione di un film dell'orrore, di quelli che tanto piacevano a Lily.

Per pochi altri passi non vidi assolutamente nulla al di là del mio naso, con il rumore dell'acqua che scorreva e le dita aggrappate al corrimano per evitare che finissi a terra. La vista che però si aprì qualche metro più in là, ripagò del tutto la lieve paura che mi aveva avvolta stretta da quando ero entrata nel buco del ritratto di Marjoribanks.

Mi ritrovai in un largo spiazzo, dove la pietra lasciava il posto a terra fertile e coltivazioni selvatiche delle più svariate piante. Ad esempio, esattamente di fronte a me giaceva qualche pianta di Giana, arbusti dalle foglie ovali con terminazione acuminata dal margine dentato, di colore verde chiaro lucente. I fiori, di colore bianco, portavano numerosi stami color giallo oro. Ancora, viole del pensiero, e piante di fagioli magici di tutte le specie - Sopoforosi, dalla superficie rugosa di un intenso color marrone, Corridori, delle dimensioni di una noce e delle estroflessioni simili a zampette, ed Engorgianti, alti all'incirca un metro e dotati della capacità di attorcigliarsi attorno ad un dato sostegno.

Lateralmente sorgeva un piccolo laghetto, curato, dalla superficie azzurra, increspata come piccoli cristalli. In questo cresceva l'Algabranchia, utilizzata per respirare sott'acqua, che quindi faceva crescere branchie e mani e piedi palmati; e le piante Zeus, con le infiorescenze formate da migliaia di piccolissimi fiori di colore bruno circondati da peli, mentre le spighe cilindriche marroni ed a forma di salsiccia - infastidite, avevano la capacità di rilasciare una scossa elettrica che si propagava nell'acqua fino a fulminare il malcapitato.

Tale lago faceva da recinto a una Pianta Caramella. Si trattava di due metri circa dai rami di un particolare giallo canarino, piangenti, che sfioravano le acque, sulle quali si affacciava il fusto molto sottile e marrone chiaro, che ricordava vagamente il cioccolato. I fiori si presentavano come delle piccole campane a tre petali rosa chiaro e i frutti, che nascevano all'interno di esse, erano sferici e di un particolare rosso acceso - erano da considerare maturi solo quando il colore era rosso brillante ed i tre petali erano caduti a terra. In tale periodo, la vicinanza a quest'albero era riconoscibile grazie al forte profumo dolciastro che ricordava molto le caramelle, scaturito dal fiore e dal frutto stesso, ma rispetto a metà febbraio era ancora piuttosto lontano.

Le pareti in roccia dell'ambiente erano poi coperte da tentacoli di Frullobulbo, pianta simile al Tranello del Diavolo, che quando esposta alla luce presentava delle foglie verde chiaro molto grandi ed aperte. Inoltre, uno squarcio garantiva un'illuminazione adeguata per le piante e per la vista. Notai infine che appeso alla parete più grande, tra i rampicanti, si trovava il dipinto di tale Artemysia Wickett, giovane Erbologa.

Nel complesso quel luogo era un tripudio di fiori, suoni, odori, che facevano girare la testa senza fatica. Era uno dei paesaggi più belli che avessi mai visto, ed era davvero incredibile come fosse situato nel Castello, sotto i nostri piedi, all'oscuro di tutti gli studenti.

"Questo è il Giardino Botanico sotterraneo," mi informò in un fil di voce colui che avevo tanto cercato. Era alle mie spalle, e quel suono fu ciò che bastò a completare la mia visuale, e a renderla perfetta.

D'istinto strinsi tra le dita il girasole, ancora integro nonostante le ore trascorse da quando era stato colto. "È bellissimo."

"Ti direi che lo sei anche tu, ma la scorsa volta non è finita bene," scherzò, riferendosi al colpo che aveva seguito quel suo complimento durante la battaglia a palle di neve, e da come le parole uscirono dalla sua bocca capii che stava sorridendo. Anche se non potevo vederlo, lo stesso sorriso si replicò anche sul mio viso.

Allora mi girai, tenendo il fiore, e gli occhi mi si sgranarono automaticamente nel vedere quanto era bello. Aveva tirato all'indietro i capelli chiari, permettendomi di vedere ogni centimetro del suo volto perfetto, gli zigomi alti, le labbra disegnate, l'accenno di barba bionda sulle guance scavate, le profonde iridi grigio-verdi.

"Allora te lo dico io" sussurrai, stringendo il girasole con entrambe le mani, come se fosse un bouquet da sposa. "Sei bellissimo."

I suoi occhi, sempre così seri e imperscrutabili, si addolcirono. "Ti sorprenderà," disse, alzando un angolo della bocca, "ma non sei la prima a dirmelo."

"Idiota," borbottai, alzando gli occhi al cielo. "Ho visto le tue quaranta rose."

"Veramente sono cinquantaquattro," mi corresse, senza perdere quel fastidioso ma ammaliante sorriso. Alzò la mano e attorcigliò attorno all'indice la ciocca sinistra che Izzy aveva lasciato al di fuori dello chignon. "Di chi erano quelle che ti sono arrivate durante Pozioni?" aggiunse, cercando di mantenere un tono che restasse sul casuale, ma notai un vero interesse nel voler sapere la risposta.

Considerai se mentirgli, e dire che erano anonime, ma se avesse poi saputo la verità si sarebbe potuto arrabbiare, o preoccupare per la bugia; se invece avessi detto dei miei mittenti, con tranquillità e calma, allora non avrebbe avuto problemi. O almeno così speravo.

"Caleb e Julian," risposi. La sua mano, come previsto, scivolò giù dal mio viso.

"Pure da morto riesce a rompere il cazzo," sbottò, socchiudendo gli occhi grigi in un taglio affilato. "È incredibile."

Compiei i due passi che ci separavano e posai la mano libera sul suo petto, e l'altra vicina. I petali color oro del girasole gli sfiorarono il mento. "Perché non mi dici tu, allora, chi ti ha mandato i ben tre," e alzai tre dita a sottolineare il concetto, sventolandogliene sotto il naso e facendolo, suo malgrado, sorridere, "mazzi di rose che hai ricevuto tu?"

Sollevò la mano per prendere tra le proprie le dita che io avevo sollevato, e intrecciò le sue con le mie. "Lo sai già chi è stato."

"La odio," borbottai, esasperata. "Perché non può stare al suo posto?"

Inarcò un sopracciglio. "Potrei dire lo stesso di Walker."

"No," stabilii, perentoria. "Non parliamo di loro. È il nostro momento."

Annuì, e mi catturò il mento per avvicinarlo al proprio viso. Mi lasciò un bacio lieve come il battito d'ali di un colibrì, prima di riprendermi per mano e iniziare a tirarmi in avanti. "Andiamo, voglio farti vedere una cosa."

"Credevo che fosse questa la sorpresa," mormorai, alludendo al meraviglioso paesaggio che ci circondava. Mi continuò a sospingere verso il laghetto di Algabranchia e piante Zeus, e lo circoscrivemmo, scivolando sull'erba morbida.

Mi cinse la vita con un braccio per sorreggermi nell'intento di camminare con i tacchi. "Tieni stretto il girasole," mi disse, lo sguardo che brillava di entusiasmo, ignorando la mia precedente affermazione.

Che voleva dire con 'tieni stretto il girasole'?, mi domandai, e la pelle mi si riempì di brividi. Stare con Scorpius era un'eccitazione continua, una sorpresa dopo l'altra, dal potere di sottrarti il respiro dai polmoni - ed era esattamente questo di cui avevo bisogno, che io, inconsapevolmente o meno, cercavo in una relazione, nella vita.

All'improvviso il fiore iniziò a tremarmi in mano. Fu per miracolo che, memore delle sue parole, non lo lasciai andare, mossa da un riflesso spontaneo. Scorpius lo notò, e sorrise, un sorriso da ragazzino, che i diciottenni avrebbero dovuto indossare tutti i giorni, ma che per un motivo o per l'altro spuntava di rado sul suo viso glorioso. "Ci siamo quasi," mi informò.

Oltrepassammo il recinto della Pianta di Caramella, i cui fiori a campana erano appena dei boccioli, ancora di colore biancastro, protuberanze che ricoprivano i rami gialli, chini a sfiorare l'acqua del laghetto. Sembrava di essere finiti in quel film famoso, tratto da un libro... La Fabbrica di Cioccolato, ecco. L'avevo visto con James e Hugo, che subito dopo si erano ingegnati per costruire prodotti dei Tiri Vispi Weasley che prendessero spunto da quel mondo immaginario.

Superata quella pianta così particolare, utile nel combattere l'ipoglicemia, giungemmo davanti lo squarcio nella nuda roccia che di giorno si occupava di garantire un'illuminazione adeguata alla crescita di tutte quelle specie così particolari. Essendo notte profonda alle sette e mezza di sera nel cuore di febbraio, tutto ciò che avevo di fronte mi era stato possibile vederlo grazie a delle lanterne appese qua e là sulle pareti.

Scorpius estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni, e la agitò; le luci delle lanterne si spensero improvvisamente, facendoci calare nel buio più completo, un nero così profondo che quello del corridoio di prima in confronto era un grigio chiaro. Adesso che ero stata privata della vista, il mio udito e il tatto si raffinarono. Sentii i nostri respiri, resi gravi dall'eccitazione, mescolarsi dalla vicinanza; il suo braccio forte attorno alla mia vita, e le dita della mia mano che non stringeva il fiore intrecciate alle sue, posate sul mio stomaco.

Divenni improvvisamente consapevole del mio corpo, dei tacchi che affondavano nell'erba, della gonna che, alimentata da chissà quale alito di vento, mi accarezzava le gambe nude, e delle ciocche di capelli sciolte a sfiorarmi la base del collo - e del suo, alto, statuario, il profumo così buono e fresco dei suoi vestiti eleganti, e questi stessi abiti accanto ai miei.

Anche se non potevo vederlo, alzai il volto verso il suo. D'istinto, seppi che lui aveva fatto la stessa identica cosa. Il suo respiro caldo era più vicino a me, e il braccio che mi sorreggeva strinse la presa—

Dalla sua bacchetta scaturirono mille lucine argentate, dal diametro della capocchia di uno spillo, e si riversarono attorno a noi, illuminando del colore del metallo fuso l'intero Giardino Botanico sotterraneo. Mi accorsi che effettivamente lui mi stava guardando, come mi ero aspettata, con una dolcezza nello sguardo incredibile, che non avevo mai osservato prima, e che accompagnava il modo in cui scrutava il mio volto nell'atto di guardarsi intorno, rapito.

Fu allora che il fiore nella mia mano iniziò a muoversi, tremando forte, e rendendo quasi impossibile il mio lavoro, che prevedeva il continuare a tenerlo. "Lascialo andare," sussurrò Malfoy, e le mie dita si aprirono automaticamente.

La piantina si alzò, girando lentamente su se stessa a pochi centimetri dal palmo della mia mano, ancora aperto e rivolto verso l'alto. I petali, prima colore dell'oro più puro, si erano velati di argento, come ogni cosa in quel luogo speciale. Iniziò a levitare, e sotto i miei occhi stupefatti si allontanò da noi, per raggiungere quello che non avevo ancora visto - un campo, sterminato, pieno, meraviglioso, di rilucenti girasoli.

Mi lasciai sfuggire un mormorio per la sorpresa, e rafforzai la presa che la mia mano destra esercitava su quella di Malfoy. Come avevo fatto a non notarlo? Come potevo non aver visto prima quei fiori così particolari, che ondeggiavano lievemente, sospinti da un alito di vento quasi impalpabile? L'unico squarcio nel soffitto roccioso permetteva alla luna di illuminarli, e un piccolo ponte di legno, poco più in là, avrebbe permesso di osservare quella magia da un punto di vista privilegiato.

Avrei voluto guardare Scorpius, ricevere una risposta dai suoi occhi color mercurio, ma il girasole che prima avevo stretto, e che si era poi alzato in volo, si diresse verso la prima fila che i suoi compagni componevano, e si inserì con una manovra delicata nel terriccio morbido.

"Sapevi," sussurrò il ragazzo al mio fianco, con una voce vellutata, "che i girasoli, che normalmente si rivolgono al Sole, quando non riescono a trovarlo si girano l'uno verso l'altro?" indicò il mio girasole, e l'infinita fila di altri, e in quel momento il primo si voltò verso il suo compagno, e i propri cuori furono di fronte, i petali argentati a sfiorarsi con delicatezza.

Era forse la scena più bella cui avessi mai assistito. Delle lacrime si raccolsero ai lati dei miei occhi, ancora fissi sulla meraviglia offerta da quei fiori.

"Un po' come noi," dissi, realizzando all'improvviso il significato del suo gesto. "Alla prima difficoltà ho trovato sostegno in te."

"E io in te."

Finalmente riuscii a guardarlo, e fu come se il cuore mi fosse stato preso e stretto tra le dita. Sentii lo stomaco capovolgersi, e percepii di nuovo quel cocente, devastante desiderio, che mi pregava di dirgli quanto lo amassi. Quale momento migliore di quello? Soli, in un campo fiorito, nel posto più romantico del Castello?

Mi accarezzò il viso, e le sue labbra misero a tacere i miei pensieri sconvolti, incontrando le mie nel bacio più dolce che ci fossimo mai scambiati.

"Buon San Valentino, Rose."

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