57 [𝐾𝑎𝑙𝑒𝑎] - 𝑆𝑡𝑜𝑐𝑘𝒉𝑜𝑙𝑚 𝑆𝑦𝑛𝑑𝑟𝑜𝑚𝑒
{Dal fondo, Kalea, Isabelle, Livia e Rose, che condividono un momento su uno dei tetti di Hogsmeade}
{Segue: il perfetto Dave Nott - non sto scherzando. È lui. Giuro.}
^^
"Punizione, mi ha messa in punizione," annunciò Rose, furibonda, sedendosi a colazione. Scivolò sulla panca con un tonfo che fece voltare mezzo tavolo dei Grifondoro, una ruga tra le sopracciglia e le labbra contratte.
Livia non alzò gli occhi dalla Gazzetta del Profeta. "Fico."
Mi venne da ridere di fronte il suo assoluto menefreghismo verso ogni cosa. "Camp."
"Sapevi che sarebbe successo," disse Izzy, mangiando il quinto pancake nel giro di due minuti, e innaffiandolo di sciroppo d'acero direttamente nella bocca.
Gli occhi di Rose lampeggiarono, come facevano ogni volta che succedeva qualcosa che non le andava bene. "Perché io sì, e lui no?" sbottò furiosa, un braccio che indicava il tavolo dei Serpeverde.
Vi lanciai un'occhiata, e fui poco sorpresa di vedere che Malfoy stava guardando la mia amica, le braccia al petto e uno sguardo intenso e penetrante come al solito.
Come notò che l'avevo beccato, strinse le labbra e si girò per parlare con Norah Flint al suo fianco.
Ah, quei due non sarebbero mai cambiati.
"Perché non ti tranquillizzi?" mormorai cheta, mettendo una zolletta di zucchero di canna nel caffellatte. "È solo una punizione, e la Preside sa che ti sei praticamente immolata per salvare Baby. Non preoccuparti."
Baby era il nome che avevo affibbiato alla cucciola di Demiguise che Rose aveva trovato, ferita e spaventata, nella Foresta Proibita. Era semplicemente la cosina più carina sulla faccia della Terra, ed era impossibile non innamorarsi di lei a prima vista.
Lasciai che Rose e Isabelle proseguissero quella discussione senza né capo né coda, continuando a leggere il fantastico romanzo che mi aveva spedito papà ieri, La Nuova Eloisa di Jean-Jacques Rousseau.
Mi sarei dovuta aspettare, però, che tirando fuori un libro dalla borsa avrei attirato l'attenzione del topo da biblioteca comunemente conosciuto come Rose Weasley: gli occhi le si illuminarono, e fece un sorrisone. "Di che parla?" mi chiese, entusiasta, come se tutto il fastidio derivato dalla punizione della McGranitt fosse sparito all'improvviso.
Mi sistemai la bandana che mi teneva i capelli ricci e indomabili all'indietro. "È un romanzo epistolare di un filosofo svizzero, Illuminista," le spiegai, divertita dal fatto di vederla pendere dalle mie labbra. "Praticamente si interroga sul conflitto tra eros, l'amore passionale, e la felicità coniugale."
"Ha per caso qualcosa a vedere con quell'Eloisa della storia di Eloisa e Abelardo?" domandò curiosa, inzuppando un biscotto nel latte e mangiandolo al volo prima che si spezzasse.
Ridacchiai quando Izzy, colpita da alcune gocce della bevanda, le sbatté il giornale di Livia sulla spalla. "Sei un animale," la rimproverò.
"Comunque sì, proprio la natura di romanzo epistolare fa riferimento alla corrispondenza amorosa tra Abelardo e Eloisa. Entrambe le donne si innamorano perdutamente dei propri precettori, e sono corrisposte, ma per il resto Rousseau indaga su un conflitto tipicamente illuminista, dato che i genitori della sua protagonista vogliono che si sposi con un uomo più anziano, di una famiglia aristocratica. L'Eloisa medievale, invece, era una badessa, la superiora di un monastero," spiegai, contenta di avere qualcuno con cui parlare dei miei libri. Rose non si sarebbe mai stancata di sentirmi ciarlare, non era da lei.
"Ma è una storia tragica," commentò, rattristata, sfiorando con la punta delle dita l'immagine dell'Eloisa rousseauiana sulla copertina della mia copia.
"Esattamente come quella tra Kalea e Logan," dichiarò Livia, decidendosi ad abbassare la Gazzetta del Profeta per unirsi alla conversazione.
Roteai gli occhi. "Divertente."
"Invece sono seria," ribatté lei inaspettatamente. Indicò con un cenno del mento il tavolo dei Corvonero. "Non ti ha tolto gli occhi di dosso per un minuto."
Senza molto curarsi di essere discrete, tutte e tre le mie amiche si girarono verso Logan; io incrociai le braccia sul tavolo e vi seppellii il volto, con un lamento sonoro. "Ragazze, vi prego."
"Oh, è proprio vero!" ridacchiò Izzy, eccitata. Poi mise la mano sul mio braccio. "Avresti dovuto vedere com'è arrossito, Kelz."
"Siete indecenti," sbottai, ma mi azzardai anch'io a lanciargli un'occhiata di nascosto.
Come ogni volta che posavo lo sguardo su di lui, sentii una stretta allo stomaco. Non potevo farne a meno, era una reazione del tutto naturale, spontanea.
I suoi riccioli neri erano ordinati, e coprivano appena gli occhi, color liquirizia. Aveva la pelle ambrata, di qualche sfumatura più chiara della mia, che poteva perciò passare come semplice abbronzatura, anche se eravamo a gennaio, che metteva in risalto il suo sorriso bianchissimo quando parlava. L'orecchino con la croce argentata si muoveva sempre avanti e indietro se si metteva a ridere, ed era una risata bellissima, contagiosa, attraente.
Quanto stupida potevo essere stata nel decidere di non spiegargli com'erano andate veramente le cose? Perché mai avevo scelto di lasciar perdere e permettere che proseguisse per la sua strada?
"Anche lei non scherza," osservò Camp, prendendomi la guancia tra le dita e strizzandola fino a farmi male. "Guarda, è diventata rossa come un peperone."
"Certo, se la stritoli così," le fece notare Rose, interpretando correttamente la mia smorfia di dolore.
Camp fece un sorrisetto. "Colpa mia."
Le ragazze ripresero a parlare di un qualche argomento che ormai ero troppo distratta per seguire. Mi capitava spesso, di perdere la testa, la concentrazione, e ritrovarmi a fare inutili giri mentali che non mi servivano a niente se non a passare come la strana della situazione, ma non era qualcosa su cui avessi potere.
Nel momento in cui, inconsapevolmente, mi permisi di nuovo di controllare i Corvonero, mi sorpresi nel vedere gli occhi di Logan incrociare i miei, e non distogliere lo sguardo. Per un attimo l'intero mondo scomparve, la Sala Grande, le mie amiche, gli studenti che ci circondavano, e rimase quel singolo collegamento che ci univa, e che non avrei voluto si spezzasse mai.
"Non posso credere che gli hai rotto il naso!" esclamò Izzy, stringendo al petto il volume di Trasfigurazione, non riuscendo a non sembrare divertita.
Io le mollai una gomitata nel fianco. "Non c'è niente da ridere, Isabelle! E tu, Rose," aggiunsi poi, in direzione della mia amica, che aveva una mano sulla bocca per trattenersi dal ridere. "Spero tu abbia almeno la decenza di sentirti in colpa!"
Stavamo camminando per i corridoi del Castello, come facevamo ormai per la metà del nostro tempo libero da quando eravamo entrate a scuola, e venivamo fermate ogni due minuti da ammiratori che si complimentavano con Rose per la splendida partita appena conclusa - non senza risparmiarsi un commento svagato sulla sorte del Capitano dei Corvonero.
Era almeno mezz'ora, ovvero da quando la mia compagna era scesa dalla scopa, che continuavo a cercare di convincerla ad andare in Infermeria per scusarsi con quel povero ragazzo, ma lei era troppo presa dalla sua folla di adulatori per starmi a sentire. Be', non che non ce ne fosse ragione, aveva giocato in modo fantastico come sempre, ma un naso spaccato non era esattamente un qualcosa da sottovalutare.
"Oh, avanti, Kelz!" intervenne lei, circondandomi le spalle con un braccio e lanciando sorrisi qua e là che mandavano in giubilo chiunque li ricevesse, "perché non ti rilassi una volta tanto? Quest'anno, te lo dico io, la Coppa del Quidditch è nostra..."
Come al solito, quei quattro emersero dalla folla con dei mormorii di eccitazione da parte di ogni ragazza presente. Era impossibile non accorgersi di loro, sia perché a sedici anni erano comunque alti come cime di una montagna, sia perché Rose, di fronte alla voce che rise in modo sprezzante, si irrigidì di colpo, lasciando che l'euforia della partita abbandonasse la sua mente.
"Sogna pure, Weasley," commentò Malfoy, con il suo tipico sorrisetto sghembo addosso e una vera faccia da schiaffi. "Lo sappiamo tutti che quella coppa ha scritto sopra il nostro nome."
Fatto divertente: quell'anno i vincitori erano stati i Tassorosso.
"Quale nome, idiota?" suggerì Rose inflessibile. "Quello ce l'hai scritto te in fronte."
I tre amici di Malfoy con degli sbuffi li abbandonarono alla loro consueta discussione piccata e si unirono a noi.
"Niente male quel colpo del vostro Capitano, eh?" commentò Zabini, esaltato.
"Non direi," replicai, esasperata, "non è stato per niente carino. Quel povero ragazzo—"
"Quel povero ragazzo," esclamò Izzy, ripetendo le mie parole, "ha cercato di indirizzarle contro un Bolide al posto della Pluffa per metterla fuori gioco. Io direi che se l'è meritato."
Albus scosse la testa. Le ciocche corvine della sua chioma gli scivolarono sulla fronte, e mi presero a prudere le dita dalla voglia cocente di rimetterle al loro posto. Aveva uno sguardo severo, accentuato dal verde smeraldo dei suoi occhi, un colore forte e penetrante, e la bocca distorta in una piega dura. "È fortunata che Madama Hooch non le abbia segnato il fallo, invece."
Adoravo il fatto che Albus stesse sempre dalla parte del giusto, dalla mia parte. Aveva dei solidissimi princìpi morali, e non si faceva problemi, esattamente come me, a passare per il rompiscatole della situazione pur di farli valere.
"Non l'avrebbe mai fatto," rispose Dave, "lei la ama."
"Ciò non toglie che dovrebbe scusarsi," ribatté l'amico.
"Ti ci metti anche tu?" domandò Rose, abbandonando la lite con Malfoy e unendosi a noi. "Quel cretino se l'è meritato. Avrebbe potuto buttarmi giù dalla scopa. E comunque mi basta Kelz a fare la voce della mia ragione, Al, quindi mettiti in fila."
Albus si voltò verso di me e sorridendo mi fece un occhiolino, gesto che mi fece quasi andare in iperventilazione.
"Non sia mai che la cara Weasley decida di ammettere un proprio errore," considerò Malfoy con atteggiamento di superiorità.
Rose si voltò ostile verso di lui, e gli puntò un dito all'altezza del cuore, affondandolo nel suo petto. Ecco un'altra prova del loro rapporto privilegiato: Malfoy non si sarebbe mai lasciato toccare da nessuno, e invece il suo sorrisetto non vacillò neanche per un attimo. "Io invece li so riconoscere i miei sbagli, caro mio."
"A me non sembra," fu la replica, indifferente. "Dopotutto sei ancora qui, e quel povero Cristo è ancora in Infermeria."
"Che cosa ti aspetti, che lo guarisca io miracolosamente?" sbottò lei, incredula.
"Non ne avresti le capacità," le fece notare lui con un sorrisetto velenoso. "Sto solo dicendo che delle scuse siano d'obbligo. Ma non credo che tu sia capace di farne."
Allora vidi Rose raddrizzare le spalle, gonfiare il petto e socchiudere gli occhi, orgogliosa. "Veramente io ero diretta proprio da lui in Infermeria."
No, non è vero, pensai, divertita. È lui che riesce a farti fare tutto quello che vuole, e tu dopo sei anni ci caschi ancora.
"Kalea!" fece poi, agguantandomi per il braccio. "Andiamo, mi serve la tua diplomazia per non rompergli qualcos'altro," mi disse sottovoce. Malfoy, che l'aveva sentita, sbuffò una risata; lei replicò con un dito medio e iniziò a trascinarmi verso l'Infermeria, ma appena fu fuori dal campo visivo del Serpeverde permise che un sorriso le incorniciasse il volto.
Quando entrammo, il clima di ostilità fu evidente e anche piuttosto pesante. I quattro ragazzi attorno al letto dov'era seduto il Capitano dei Corvonero ci guardarono male, protettivi verso il loro compagno.
Io rallentai il passo, perplessa e anche indisposta dal loro essere così poco amichevoli, - anche se a ragione, considerato quello che era appena successo - mentre Rose non si fece pregare, e a testa alta raggiunse il letto, con me incatenata al suo braccio.
"Por Dios," sentii dire in spagnolo, "e adesso che c'è?"
La sua voce mi piacque ancora prima che potessi vedere lui, coperto com'era da quegli energumeni dei suoi amici. Era una di quelle voci calde, gentili, anche se in quel momento aveva quasi imprecato.
Poi mi fu concesso di vederlo, e fu come se un fulmine mi avesse colpita in pieno, lasciandomi tramortita e a bocca aperta. Insomma, non che non l'avessi già avvistato per i corridoi o comunque in giro per scuola, e dato che era del nostro stesso anno ci facevo anche lezione insieme, però fu come conoscerlo per la prima volta.
Era seduto a gambe incrociate sul lettino, la divisa di Quidditch che gli fasciava i muscoli e i capelli ricci e scuri scompigliati. I suoi occhi neri per un attimo guardarono Rose, e poi fissarono me, e si leccò le labbra piene. La sua pelle ambrata era bellissima, e la croce all'orecchino e quella alla base del collo brillarono.
Por Dios veramente.
Sembrava essere stato tirato fuori da una soap opera spagnola degli anni Venti, un angelo vendicatore, un Raphael Santiago catapultato nel mondo di Hogwarts.
L'unica pecca era l'enorme benda che aveva sul naso, e un fazzoletto di stoffa bagnato di sangue nella sua mano destra.
"Anderson," disse Rose, con un sopracciglio alzato, totalmente indifferente di fronte alla sua bellezza. "Sappi che te lo meritavi."
Le mollai un pizzico sul braccio. "Rose!" esclamai, inviperita. "È questo il tuo modo di chiedere scusa?"
"Ah già," fece allora lei, "che sbadata. I miei amici mi stanno costringendo a scusarmi," lo informò, facendomi sbuffare. "Quindi eccomi qui. Ma se provi un'altra volta a disarcionarmi—"
"Si chiama Quidditch, Weasley," le fece presente Anderson, con aria tagliente. "Che gioco è senza un po' di pepe?"
Poi, senza darle veramente l'occasione di replicare, tese la mano che non stringeva nella pezza insanguinata nella mia direzione. "Logan Anderson," si presentò, e quando mi avvicinai per stringerla lui la capovolse e lasciò un bacio morbido sul dorso, facendomi sgranare gli occhi. "Cautivado."
I miei rudimenti di spagnolo arrivarono a malapena a tradurre quella semplice parola: incantato.
I suoi occhi color carbone accarezzarono lascivamente i miei ambrati, mentre la bocca sfiorava la mia pelle olivastra, e per un attimo pensai che sarei voluta rimanere con lui, lì, per l'eternità.
"Andiamo, Kelz? Non abbiamo più nulla da spartire qui," dichiarò Rose, girandosi, e non mi rimase che seguirla, pur con il cuore che mi impazziva nel petto, e il suo sorriso candido stampato nella mente.
"Pronto? C'è nessuno in casa?" fece fastidiosamente Livia, schioccandomi le dita davanti agli occhi e riportandomi al presente. Mi lasciai, seppur con nostalgia, tornare con i piedi per terra.
Le tre mie amiche si erano alzate, e mi fissavano tutte: chissà da quanto tempo mi stavano chiamando, senza ricevere alcuna risposta.
"Che succede?" chiesi, rinunciando a malincuore a guardare verso i Corvonero e raccogliendo le mie cose.
Izzy mi prese sotto braccio. "Stiamo andando ad Hogsmeade, ti sei dimenticata?" mormorò con la sua solita aria gentile, un sorriso spettacolare. "È domenica."
"Ma non la nostra Rose, no cari!" disse Livia, gettando un braccio attorno al collo della rossa, e il suo gridò risuonò per tutta la Sala Grande, per fortuna semi vuota. "Lei ha un appuntamento romantico con il caro Jules Walker!"
Sorrisi. "Che acquisto, signori e signore."
Rose ghignò. "Puoi dirlo forte."
Il programma consisteva nel passare un'oretta noi da sole ai Tre Manici di Scopa, e poi nel dividerci, Rose con Julian, Albus e Izzy, e io e Camp a girare un po' per negozi.
La mia bionda sarebbe dovuta stare con il suo ragazzo, Noah, però ultimamente c'era stato più di qualche diverbio tra di loro, e comprendevo la loro decisione di stare lontani l'uno dall'altra per un po' di tempo.
Quindi io e le ragazze ci incamminammo verso il villaggio di Hogsmeade. Da settembre le cose tra di noi erano un tantino degenerate: riconoscevo di essere stata impegnata nella mia relazione con Logan, e poi tutta la situazione di Caleb, e Izzy e Albus... ognuna aveva preso strade diverse, e così Rose si era avvicinata ad Isabelle, e io a Livia.
Non che ci fossimo perse vista o niente del genere, però avevamo smesso di fare tutte quelle cose che facevamo prima, come le ore passate a chiacchierare prima di metterci a letto, lo studio in biblioteca a farci riprendere da Madama Pince perché parlavamo con un volume della voce troppo alta, le partite di Quidditch per cui noi facevamo il coro per Rose e i ragazzi... era tutto passato in secondo piano.
Da un lato non mi dispiaceva neanche troppo, perché Camp era fantastica. Un metro e settanta di energia, biondezza, ironia tagliente e accento americano, uno spasso e un balsamo per i nervi. Stare con lei era automaticamente facile, perché riusciva a farti ridere sempre, incurante di qualsiasi traumatico evento potesse esserti appena capitato.
Sapeva ascoltare, e dare buoni consigli, e non si preoccupava di prendere a calci la gente che le dava fastidio o che importunava noialtre. Per certi versi questi aspetti potevano ricordare Rose, solo che la nostra rossa era anche estremamente sensibile, romantica, altruista, mentre Livia mancava di un po' di tatto, ed era davvero estrema in certe situazioni.
Non avevo ben capito come una personalità esplosiva come la sua potesse aver trovato un buon partner in Noah, così calmo, riflessivo, dotato di un umorismo incredibile e gentile con le persone. Il punto di Noah era che anche lui, a differenza di Albus, alcune volte esplodeva. Era come se tutta la sua tranquillità fosse un modo per imbrigliare le emozioni più travolgenti che provava, e così quando uscivano fuori, come la rabbia, lo spavento, l'angoscia, erano veramente amplificate.
Comunque Livia era la mia migliore amica, e la consideravo una persona senza la quale non avrei potuto vivere, però il mio vecchio rapporto con Izzy e Rose mi era mancato, e anche tanto. Per cinque anni eravamo state noi tre, a tenerci compagnia, affrontare le nostre insicurezze e i dubbi, le paure, le gioie.
L'aver accolto Livia con noi non aveva affatto cambiato le cose, e poi c'era anche la curiosità nell'avere i rapporti con la ragazza nuova, la statunitense che si era trasferita da Ilvermorny, la scuola di magia americana, situata sulle montagne del Massachusetts. Per tutta la seconda metà del sesto anno eravamo state insieme, inseparabili, e poi erano iniziati i guai.
Comunque, e non sapevo se maledire o ringraziare quella maledetta Rosa dell'Oblìo che mi aveva fatto perdere il controllo durante la lezione di Erbologia, avevamo risolto tutto. Quando il profumo della Rosa si era fatto spazio dentro di me, per un attimo non avevo sentito più niente, e poi una rabbia, un'enorme rabbia devastatrice che mi aveva portata ad urlare contro Albus, e poi contro le mie amiche.
Io non avevo mai riflettuto su tutti quei sentimenti che avevo esternato nelle Serre. Non le odiavo affatto, non credevo che fossero false o ingannatrici, io le amavo con tutta me stessa, erano la mia famiglia. Erano le mie ragazze, loro, senza le quali non sarei sopravvissuta un solo giorno.
Mi avevano presa subito da parte, nonostante il mio primo istinto fosse stato quello di darmela a gambe, e ne avevamo parlato.
"Quindi... hai rivelato a tutti dei miei genitori," fece Livia, spezzando la tensione. Mi morsi il labbro senza dire niente. Dio, quanto mi dispiaceva. Mi ero comportata malissimo con loro.
Rose ghignò. "Perciò sei una famosa, eh? Figlia di ambasciatori, whoa. Roba seria."
Quella rispose agitando in aria la mano, gesto volto a minimizzare il tutto. "Be', sapevate già che mi sono trasferita da Ilvermorny. Solo non vi ho detto mai il perché."
Izzy portò il braccio sotto il mio, posando la fronte sulla mia spalla mentre camminavamo. "Come ti senti, Kelz?" chiese dolcemente, come solo lei, di tutte le persone che conoscevo, sapeva fare. "Deve essere stata una brutta scossa."
"Mi dispiace tanto, ragazze," mormorai allora, non riuscendo ad alzare gli occhi da terra.
Rose corrugò le sopracciglia. "E per cosa? Non è stata di certo colpa tua. Quella terrificante pianta la conosco bene, fidati."
Sapevo che anche lei era stata sotto l'effetto del veleno dell'Oblìo Rosa, e per questo fui un minimo rassicurata dall'aver qualcuno che già sapeva come mi sentivo. Poi mi ricordai come io l'avevo trattata, quando senza saperlo lei era stata influenzata da quella pianta, e mi sentii, se possibile, perfino peggio.
Livia prese fra i denti il ciondolo che portava sempre al collo, una pantera nera tipica del Nord America, che costituiva il simbolo della sua vecchia Casa a Ilvermorny, il Wampus, la Casa dei Guerrieri. Era un'abitudine disgustosa, ma per fortuna aveva preso a farlo solo quando era particolarmente stressata invece che quotidianamente. "Secondo me dobbiamo parlare di quello che è successo, invece di girarci intorno."
"Livia," la redarguì Rose, guardandola male. "Perché non impari ad avere un po' di tatto? Essere più sensibile non ti farebbe certo male."
"Sensibile come te, che piangi ogni volta che vedi un film con degli animali? Andiamo, Weasley, lo sai che sono più tosta di così," replicò l'altra con un occhiolino, e lei roteò gli occhi, esasperata. Ecco, l'esasperazione era un'emozione che si provava facilmente quando si aveva a che fare con Camp - il soprannome veniva dal suo cognome, Campbell. Non eravamo state abbastanza inventive per creare qualcosa a partire da Livia che non fosse Liv.
"Avete le capacità di concentrazione di un pesce rosso," le richiamò Isabelle, infastidita. Quando alzò la testa dalla mia spalla i suoi liscissimi e ordinatissimi capelli neri scivolarono accanto ai miei, una massa informe di ricci castani, quasi dello stesso colore della mia pelle, forse poco più scuri.
"Non c'è niente di cui parlare," provai a dire, sperando di scampare all'interrogatorio. "È stata la Rosa, io non c'entro nulla."
"Vuol dire che non provi assolutamente nulla di quello che hai detto?" fece Izzy, perplessa.
Io sospirai. Rose aveva provato la mia stessa cosa, non potevo mentire, non ancora. "Io—sì, forse qualcosa. Ma non è minimamente forte come l'ho detto prima, ve lo giuro."
"Andiamo," fece allora Rose, prendendo me e Camp per mano e facendoci deviare dal solito percorso per ritornare al Castello. "Salteremo l'ora di Aritmanzia. Questa faccenda ha necessità di essere risolta, subito."
Ecco la parte più bella di lei. Tutti dicevano che era la copia sputata del padre dal punto di vista fisico, e della madre da quello caratteriale, ma era molto più complicato di così. Aveva ripreso da Hermione il grande cervello, l'essere brillante, la strega migliore della sua generazione, ma aveva molte più cose in comune con Ron di quanto non sembrasse, come l'abilità a cacciarsi nei guai, la risata spontanea, la capacità di far stare bene chiunque le stesse intorno - aspetto che faceva venire voglia di tenerla vicina a tutti quelli che la conoscevano, Malfoy compreso. Era una perfetta combinazione tra i due, e comunque unica nel suo genere.
Come entrammo ai Tre Manici di Scopa, lei e Livia si occuparono di salutare Madama Rosmerta e spiegarle del perché eravamo lì, alle quattro del pomeriggio in pieno lunedì, e a convincerla, con le loro doti persuasive e il loro carisma, a non fare la spia alla McGranitt.
Io e Izzy ci accomodammo ad un tavolino piuttosto isolato, lontano dagli schiamazzi e dal chiacchiericcio degli altri commensali. Non ero mai stata a disagio con lei, forse perché dal punto di vista della personalità era sempre stata la più affine a me, anche se il suo rapporto con Rose ormai era quello di una sorella, però in quel momento provai un lievissimo imbarazzo.
Lei non poteva sapere del mio segreto, non lo sapeva nessuno, eccetto Logan, quindi nelle mie parole nelle Serre non poteva aver colto nulla che lasciasse intuire come mi sentivo nei suoi riguardi. Mi rivolse un sorriso dolce, di quelli che ti facevano sentire automaticamente bene. Doveva essere un dono. Oltre la bellezza, Isabelle Parker era stata davvero graziata dagli dèi.
"Eccoci!" esclamò Rose, piazzando sul tavolo due boccali di Burrobirra, per lei e per Livia, un Cioccolato Caldo per Izzy e un tè alla fragola per me. Erano sempre le stesse ordinazioni, da anni. "Madama Rosmerta ci ha fatte stare a patto che non bevessimo alcol. Non che alle quattro mi andasse di bere, però devo ammettere che come compromesso ci sta."
"Tutto grazie a James Sirius e al signor Weasley," ci informò Livia, scivolando sulla panca attaccata al muro vicino a me. "È ancora innamorata di loro, dopo anni."
Livia era l'unica che chiamava James in quel modo, e lo mandava sempre in bestia. Aveva provato anche a farlo con Albus, ma lui si era ribellato, e Rose l'avrebbe strangolata nel sonno, quindi si era adattata a lui. James la adorava, perché vedeva del chiaro potenziale distruttivo in lei, come una futura discepola, insieme a Lily e Hugo.
Per un attimo ci fu un silenzio meditabondo, per cui ognuna di noi trasse un sorso dalla sua bevanda, assaporandola, poi Rose ruppe il ghiaccio. "Secondo me dobbiamo procedere per ordine. Qual è la questione che più ti assilla, Kelz?" domandò con inaspettata gentilezza. "Parliamone insieme, vedrai che le cose si metteranno meglio."
Riconoscevo di essere piuttosto timida, chiusa, e riservata; però quelle erano le mie amiche, e perciò mi costrinsi a scacciare l'istinto di scuotere la testa e chiudermi in un mutismo di protesta e ad aprire la bocca. "I miei genitori, credo."
Era vero. Se le cose in famiglia fossero andate bene, probabilmente non mi sarei sentita così esclusa dal mondo, così in disparte. Quello che più invidiavo delle mie amiche, erano il fatto che tutte e tre avessero delle persone che le amavano e le sostenevano alle spalle.
"Parlacene. Non ci hai mai detto nulla," mi invitò Livia.
"Solo se vuoi," aggiunse Izzy.
"Anche se ti farebbe bene," concluse Rose.
Mi venne da ridere di fronte la loro coordinazione, e poi annuii. "Sì, probabilmente mi farà bene parlarne."
E così raccontai.
Parlai di come non fossimo stati benestanti, di come avessimo, per tutta la mia vita, arrancato per arrivare a fine mese. Parlai di come avessi vissuto fino agli undici anni in Provenza, Francia, perché mia madre era stata di lì. Mio padre, inglese, l'aveva seguita per amore, e l'aveva trovata che viveva insieme alla madre, mia nonna, e altri quattro fratelli, i miei zii. Raccontai del suo incidente, del fatto che fosse morta quando avevo otto anni. Raccontai della decisione di mio padre di rimanere in Francia per aiutare mia nonna, debole e povera, e di quanto fossi stata distrutta quando mi era stato annunciato che li avrei dovuti lasciare per andare in un Paese sconosciuto, da sola, e lasciare quei due senza di me. Raccontai dei tre lavori estivi che dovevo procurarmi l'estate, come cameriera o donna delle pulizie, per aiutarli economicamente e mettere da parte i soldi per farli stare bene anche durante il resto dell'anno, quando sarei tornata ad Hogwarts. Raccontai della paura di non poter pagare le bollette, del fatto che mio padre si spezzasse la schiena ogni notte per racimolare qualche soldo, e delle medicine che dovevamo comprare per la malattia della nonna. Non mi era mai mancato l'affetto, loro erano tutto ciò che avevo, ma ogni volta era difficile tornare a casa e ritornare in uno stato di miseria, con le tasche piene del cibo a lunga conservazione che ero riuscita a prendere dal banchetto dell'ultimo giorno, come le mele diventate troppo mature o i biscotti troppo secchi.
E poi c'era la questione della mamma. Lei mi mancava come respirare dopo essere stata sott'acqua, come dormire dopo un doppio turno al bar. Mi mancava con tutto il mio cuore, e ogni volta che mi vedevo nello specchio, e vedevo la mie pelle olivastra, i capelli scuri e gli occhi color ambra, tutte qualità che avevo ripreso da lei, mi sentivo male. Mi capitava spesso di pensare che avrei voluto esserci io, al posto suo, quando quella maledetta auto l'aveva investita. E invece lei mi aveva spinta via, ed era stata colpita, e io non avevo potuto fare nulla se non guardarla.
Quando riportai gli occhi sulle mie amiche vidi che Rose aveva le lacrime agli occhi, e Izzy aveva una mano davanti alla bocca. Livia, al mio fianco, fece scivolare una mano nella mia e la strinse forte.
"Perché - perché non hai mai raccontato tutto questo?" chiese Rose, sconvolta. "Ti avremmo potuta aiutare. Noi non sapevamo niente."
"Non preoccupatevi," intervenni, forzando un sorriso. "Apprezzo il pensiero, davvero, ma non c'era nulla che poteste fare."
"Nulla? Ma non è vero—"
"So come ti senti," intervenne Isabelle, interrompendo il debole tentativo di replica di Rose. "Fuori posto, come se indossassi degli abiti non tuoi. Va bene, sentirsi così. È giusto. Devi solo ricordare," proseguì, con una nota lievemente dolente negli occhi scuri, "che loro ti amano e ti ameranno sempre, nonostante tutto. Tu non sei costretta a farti carico delle loro difficoltà economiche, Kelz, lo fai perché li ami, e loro questo lo sanno."
Camp annuì, e mi avvolse il collo con le braccia, quasi rovesciando la sua Burrobirra. "Momento d'affetto!" gridò, e con una risata anche le altre si unirono a questo abbraccio sgangherato.
Era questo il modo in cui mi sarei dovuta sentire con loro, protetta e amata, benvoluta, parte integrante del gruppo. Ed era meraviglioso.
"Mi dispiace di aver detto dei tuoi genitori, Camp," mormorai, immergendo la bustina di tè nell'acqua calda. "E di averti attaccata perché sei famosa e popolare, Rose. E anche tu devi perdonarmi, Iz, se ti ho trattata male per la tua bellezza, e per il tuo ragazzo. Non sapevo neanche io stessa di sentirmi in questo modo," ammisi.
Ciò che mi fece sentire ancora peggio, esattamente come prima, fu il fatto che Isabelle mi sorrise incoraggiante. "Non devi scusarti. Ognuno di noi ha i propri scheletri nell'armadio, nessuno può incolparti dei tuoi."
Mi avrebbe detto le stesse cose se avesse saputo? Se avessi trovato il coraggio di dirle come stavano davvero le cose? Probabilmente no.
"Io non voglio sembrare invadente," iniziò Livia, e fu subito interrotta da Rose che borbottò, guarda che lo sei.
"Però credo che dovresti dirci di più su Logan. Ti sei tolta il peso della tua famiglia, affrontando l'argomento, quindi perché non liberarti del tutto?" continuò la bionda, ignorando l'altra.
Sospirai. Perché non capivano? Io non potevo dire niente, non senza spiegare anche il mio segreto. E non ero affatto pronta a farmi odiare da Izzy e Rose, non adesso che avevamo risolto tutto, e non adesso che mi avevano comunque accettata dopo la scenata ad Erbologia. "Ragazze, per favore."
"Non possiamo né vogliamo forzarti," dichiarò Rose. "È ovviamente qualcosa che ancora brucia, e non abbiamo alcuna intenzione di farti soffrire. È solo che siamo dell'idea, tutte noi, che parlarne non ti farà altro che bene. Non devi farlo ora," si affrettò ad aggiungere, vedendomi scuotere la testa. "Assolutamente. Quando sarai pronta, noi ci saremo."
Ma la vera domanda era: sarei mai stata pronta?
^^
L'ora insieme volò via fin troppo velocemente. Julian si fece vivo alle cinque spaccate, quando ormai era buio inoltrato fuori dal locale di Madama Rosmerta, e sorrise a Rose dall'altra parte del corridoio.
Quel ragazzo non mi quadrava. C'era qualcosa in lui di strano, perché troppo perfetto per esistere. Era bello, simpatico, solare, gentile, bravo a scuola e nello sport, con diverse ragazze che gli facevano la corte. Insomma, Walker era quel tipo di persona che doveva per forza nascondere un segreto, per raddrizzare la bilancia dell'universo.
Rose, che evidentemente non pensava nulla di tutto ciò, raccolse in fretta le sue cose e si gettò i capelli oltre le spalle, mettendosi la sciarpa. "Come sto?" chiese, affannata, e quando le rispondemmo che era fantastica come al solito ci salutò con la mano e lo raggiunse.
Julian sorrise, un sorriso enorme e sincero, e le mise un braccio attorno alle spalle, salutando noi con un cenno del mento, per poi aprire la porta dei Tre Manici di Scopa e sparire insieme alla nostra amica.
Noi restammo a guardare la scena, finché Izzy non si decise a commentare per prima. "Chissà se lui sa di essere il ripiego di Malfoy."
La guardai, sorpresa. "Cosa? Pensi che sia solo questo?"
Lei fece spallucce, sorseggiando il suo Cioccolato Caldo. "Conoscendo Rose, deve esserci sotto una dose di simpatia, o comunque deve starci bene, ma lei sta uscendo con lui solo per togliersi Scorpius dalla testa."
"Anche per farlo ingelosire," fece Livia, con un ghigno furbo sul viso. "E direi che ci sta riuscendo alla grande."
Fece un cenno con il mento in direzione di un tavolino, accanto alla finestra, dove era seduto Malfoy, insieme alla Flint che continuava a parlare. Aveva il capo biondissimo girato in direzione della porta, dove Rose era appena sparita, e si voltò di scatto quando la vide passare dalla finestra. Per un attimo si guardarono a vicenda, poi lei, con limpido nervosismo, seppellì il viso nella sciarpa e tirò avanti, il braccio di Julian sotto il suo.
Livia di fronte quella scena scoppiò a ridere, mentre io provai solo un senso di compassione verso di lui.
"Sei veramente terribile," dichiarò Izzy, che dal cipiglio che portava doveva essere d'accordo con me. "Cosa ti ha fatto di male?"
"Ha letteralmente gridato a Rose che non la ama e che non la amerà mai," rispose Livia, raffreddando il tono di voce e facendo emergere quella sua vena combattiva e protettiva. "Si merita una sprangata sui denti, una risata di scherno è il minimo che io possa fare."
Izzy sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga. "Oh, e tu credi che dicesse sul serio? Ma per favore, è di Malfoy che stiamo parlando."
Lanciò poi un'occhiata al suo orologio da polso. "Okay, sono definitivamente in ritardo, Al mi ucciderà. Mi raccomando, comportatevi bene," si premurò di mandarci un bacio volante mentre si avviava con passo svelto anche lei fuori dal locale.
Ah, Isabelle Parker, tesoro dell'umanità.
"Siamo rimaste io e te, Kelz," mi avvertì allora Livia, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Si sfregò le mani ridacchiando, una perfetta imitazione di Hagrid quando programmava di ucciderci con una delle sue amate creature. "Che danni combiniamo?"
Stavo per rispondere che per quel pomeriggio - almeno per un'ora, poi dovevamo tutti riunirci alla Stamberga Strillante - le davo campo libero, quando vidi Noah, con chiaro nervosismo, che si guardava attorno alla ricerca di qualcuno.
Capii immediatamente che cosa sarebbe successo, e decisi di non impicciarmi, alzandomi. In questo modo attirai sia la sua attenzione, facendogli trovare Livia, ovvero colei che stava cercando, e sia quella della mia amica. "Devo andare in bagno," le annunciai.
Come gli passai di fronte sorrisi a Noah, che mi rivolse un sorrisetto di ringraziamento. E così tutti avevano la loro brillante e meravigliosa storia d'amore, e io mi dovevo accontentare di fare una visita ai bagni dei Tre Manici di Scopa. La vita.
Ma alla fine era anche stata colpa mia se con Logan era finita, perciò non mi rimaneva che mordermi la lingua.
Ritornai al tavolo che Camp era balzata in piedi, e stava abbracciando Noah di slancio, che rideva, contento, e ne fui felice. Meritavano anche loro un po' di tregua, soprattutto con l'atmosfera gelida che si respirava ogni volta che si trattava di Rose e Malfoy.
Ovviamente non dissi nulla quando Livia mi chiese se mi dispiacesse di essere lasciata sola. Era giusto che si ritagliassero uno spazio per sé, più che giusto. Li incitai io stessa a farlo, nonostante l'idea di venire abbandonata al tavolo mi mettesse un po' di tristezza.
Quando la porta si chiuse dietro di loro, lasciai che il sorriso che mi ero costretta ad indossare svanisse, lasciando che una smorfia abbattuta, ovvero il mio attuale stato d'animo, prendesse il suo posto.
Tirai fuori La Nuova Eloisa e permisi che le lettere scritte da Rousseau mi tenessero compagnia. Che poeta che sapeva essere quell'uomo, leggere le sue parole poteva far venire la pelle d'oca.
Si dimentica mai ciò che si è amato una volta?
Avrei voluto saperlo con tutta me stessa.
"Che leggi?" chiese qualcuno, facendomi sobbalzare. Riuscii ad afferrare la caraffa dell'acqua calda prima che si rovesciasse sul mio preziosissimo libro.
Di fronte a me, sulla sedia che prima era stata occupata da Izzy, stava l'ultima persona che mi sarei mai immaginata potesse sedersi insieme a me.
Il ragazzo, alto ed esile, dai limpidi occhi celesti e la chioma castana liscia come se avesse fatto la piastra, mi guardava con un sorriso simpatico.
Qual buon vento portava Dave Nott ad unirsi a me?
"Niente di che," risposi, cercando di non lasciar trapelare la mia sorpresa. "Posso... esserti d'aiuto in qualche modo?"
Lui si mise a ridere. "Veramente sì. Ti ho vista qua, tutta sola, e ho pensato potessimo farci compagnia a vicenda finché non è ora di raggiungere gli altri. Sempre se non stai aspettando il tuo ragazzo."
Scossi la testa, e appoggiai la guancia sul palmo della mia mano. "Non stiamo più insieme," dissi di getto, e subito seguì un grosso respiro, come se aver pronunciato ad alta voce quella frase mi avesse privata del fiato nei polmoni - cosa che era effettivamente appena successa.
"Mi dispiace," fece lui, poi intrecciò le lunghe dita snelle sul tavolo. "Credevo che le cose tra di voi andassero bene."
Risposi alzando le spalle. "E tu perché non sei con Lily?"
"Oh, lei..." Dave si passò la lingua tra le labbra con una lieve risatina imbarazzata. "Lei è chissà dove con la sua posse di quindicenni, e io non mi trovo molto bene con tutti loro."
Ci scambiammo un sorriso. Era facile stare con lui, non eravamo troppo diversi.
"Quindi... perché non mi racconti qualcosa? Del tuo libro, ad esempio," fece, iniziando a togliersi anche lo sciarpone dei Serpeverde. "Sembravi molto presa. Ti ho chiamato almeno tre volte e non hai neanche alzato gli occhi."
Passai la mano sulla copertina del libro. "Scusami. Certe volte non sono esattamente presente a me stessa."
Lui sbuffò una risata. "Hai riassunto in dieci parole la storia della mia vita," mi confidò, divertito. A differenza di Malfoy e di Albus e di Logan, lui e Noah non erano belli da star male, ma compensavano con una dose di fascino che avrebbe steso persino un rinoceronte.
E quindi parlammo del libro. Gli parlai della trama, del conflitto che ripercorreva quelle pagine, già consunte perché appartenute in precedenza a qualcun altro - papà spesso mi regalava i libri acquistati alle bancarelle, gli unici che poteva permettersi; e poi continuai con le teorie illuministiche e rivoluzionarie lì contenute, e della vita tormentata dell'autore, e del modello cui si ispirò nel dipingere il ritratto di Giulia, la protagonista del romanzo epistolare.
Gli lessi anche alcune delle mie citazioni preferite, evidenziate in rosa, e le commentammo insieme. Dapprima avevo il timore di poter essere noiosa, ma lui partecipò sempre con grande interesse, ascoltandomi parlare e poi esprimendo le sue considerazioni, e mi resi conto di aver trovato in Dave Nott un valido compagno di letture.
"Sai, se ti è così piaciuto questo credo che potresti provare con le Affinità Elettive," mi consigliò, quando ormai entrambe le nostre bevande erano arrivate alla fine e avevamo entrambe le gote rosse dalla veemenza con cui stavamo parlando. "È di Goethe. Mi ha obbligato a leggerlo mia sorella, altrimenti non l'avrei mai fatto. Lo credevo troppo da ragazze."
Mi venne da ridere. "L'ho letto, è un libro meraviglioso. Secondo me però tu sei più tipo da, che ne so, I dolori del giovane Werther piuttosto che le Affinità Elettive. Hai detto che hai una sorella?" chiesi poi, curiosa.
Lui annuì. "Si chiama Margaret, ha vent'anni e la dote di far impazzire nostro padre. Adesso è da qualche parte in giro per il mondo con il suo fidanzato del momento," parlò con grande affetto, ma si sentiva subito che credeva ci fosse una grande differenza tra di loro, nonostante il bene che li univa.
"Suona molto diversa da te," commentai.
Dave alzò un angolo della bocca. "Ah sì? E come sono, io?"
Come ogni volta che parlava, e che in particolare poneva domande, sembrava incredibilmente interessato ad ascoltare la risposta. Era un aspetto di lui che ti faceva sentire speciale, come se le tue parole valessero veramente qualcosa.
"Tu... giudicando di primo impatto, sembri schivo, riservato, molto meno combina guai dei tuoi amici. Però adesso che ti ho conosciuto un filo di più, mi sei parso totalmente diverso. Aperto, spigliato, leggero. Non so che dire," ammisi, sentendo un forte interesse crescere verso quel ragazzo. Ovviamente non un interesse romantico, perché il mio cuore era già di qualcun altro, ma Dave era un tipo insolito, e quelli come lui non potevano che attirare la mia attenzione.
Si mise a ridere. "Credo tu abbia ragione in entrambi i casi. Quando sono a mio agio e sto bene con chi ho di fronte, mi risulta molto facile aprirmi. Non capita spesso," aggiunse, con aria scherzosa, "quindi ti è concesso montarti la testa."
"Credo proprio che lo farò," gli annunciai, ridendo anch'io. "Dopotutto, è un grande onore."
"Enorme," concordò lui.
Rimanemmo per un attimo a guardarci, senza parlare. Aveva proprio degli occhi stupendi, di un azzurro così chiaro da sembrare bianco. La gente mi guardava spesso per il colore dei miei, ma non in modo positivo: li chiamavano gialli, come quelli di un mostro, anche se l'ambra era completamente diverso. Io ci avevo fatto ormai l'abitudine, ma da come mi guardava Dave, credetti che lui non la pensava allo stesso modo.
Doveva essere un anticonformista, lui, uno contro corrente, silenzioso ma che non si faceva problemi a dire quello che pensava. Era una bella qualità.
"Vieni," fece poi, tirandosi in piedi e posando due galeoni sul tavolo per pagare le nostre bevande. "Ti voglio portare in un posto."
"Dove?" chiesi, dopo aver insistito perché pagassi io il mio tè, ma senza che lui cedesse. Mi regalò un sorriso sincero. "Vedrai."
Accolsi volentieri la sua proposta. Avevamo ancora più di venti minuti per raggiungere la Stamberga Strillante. Uscimmo dal locale parlando del più e del meno, tranquilli e sorprendentemente in sintonia.
Dave era una personalità meno rumorosa, che pretendeva meno di essere ascoltata e più di essere capita. E andavo d'accordo con lui, perché vicino due caratteri esplosivi come Rose e Livia e quello forte e caparbio di Izzy, anch'io ero la Dave del mio gruppo - e non perché fossi costretta, ma perché era nella mia natura.
Sfortunatamente, però, non mi fu dato sapere dove mi avrebbe portata, perché mi ritrovai davanti Logan. Era più basso di Dave, più muscoloso, sicuramente più scuro di carnagione.
Ci rivolse un'occhiata dura, poi sollevò il labbro superiore in una smorfia divertita. "Che c'è, Kelz, adesso te la fai pure con il fidanzato di sua sorella?"
Mi irrigidii immediatamente, sia per il freddo improvviso che per le sue parole taglienti. Dave mi guardò confuso, ma non disse nulla.
"Lasciami stare," sbottai, "sei un bigotto, non accetti di sentire le versioni delle altre persone prima di parlare. Tutto quello che è successo è colpa tua, Logan."
Sii forte, sii forte, sii forte.
Lui scoppiò a ridere, e l'orecchino a forma di croce dondolò, brillando come il suo sorriso. "Colpa mia," ripeté, "assolutamente. Infatti sono stato io, a tradire te. Dimenticavo, perdonami."
"Dave," dissi allora, voltandomi verso il mio compagno. "Ti dispiacerebbe...?"
"Vado," fece lui semplicemente, capendo al volo. Mi dispiacque vederlo andare via, perché eravamo stati benissimo insieme, ma dovevo risolvere la questione rimasta in sospeso con Logan, era imperativo.
Afferrai il ragazzo per il braccio e lo trascinai dietro l'edificio dei Tre Manici di Scopa, lasciandolo andare soltanto quando fui sicura che non ci fosse nessuno tra i paraggi, a parte un cane che abbaiava e il chiacchiericcio dei passanti per la via principale.
"Si può sapere che ti prende, eh?" chiesi, furiosa. "Che stai cercando di fare, vendicarti? È questo?"
Logan abbandonò l'aria fintamente divertita per assumerne una irritata, che sicuramente rispecchiava di più come si sentiva. "Cosa stai cercando di fare tu, invece. Che cosa sta succedendo nella tua dolce testa, Kalea?" fece, picchiettandomi il capo con la punta dell'indice. "Vieni da me durante le vacanze invernali, ti fai beccare con quelle stupide lettere, mi lasci senza dire niente, e poi mi baci quando torniamo qua al Castello? Mi vuoi dare qualche spiegazione logica, por favor?"
Quando si arrabbiava gli sfuggiva qualche parola in spagnolo, la sua lingua natia, ed era qualcosa che avevo sempre apprezzato; però non mi lasciai distrarre da quel particolare, dovevo rimanere concentrata e attenta. Con la memoria, però, stavo già scivolando via...
Era il tre gennaio, pomeriggio inoltrato. La neve scendeva turbinando fuori dalla finestra della camera di Logan, rendendo il paesaggio suggestivo, e soprattutto silenzioso.
Peccato che tra di noi le cose non erano silenziose, affatto.
"Voglio sapere di chi cazzo sono tutte queste lettere!" gridò il ragazzo, sbattendo un pugno sulla scrivania e facendo rovesciare i contenitori di piume e penne. Aveva in mano il plico di lettere che fino a quel momento era giaciuto in fondo al mio baule, ed era nero di rabbia.
"Perché non mi vuoi credere!" replicai io, con le lacrime agli occhi. "Pensi mai che ti potrei tradire, Logan?"
"Non è questione di crederti! Dimmi di chi sono, o giuro che faccio un casino," sbottò, minaccioso.
Dato che io non riuscivo neanche a muovermi, figurarsi spiccicare parola, dopo la così scarsa dimostrazione di fiducia nei miei confronti, lui fece un passo in avanti e me ne strappò una di mano, ignorando un mio singhiozzo.
Vidi i suoi occhi scuri cercare con avidità il nome del destinatario sulla carta, e quando lo trovarono si allargarono a dismisura. Vidi uno per uno i muscoli del suo viso contrarsi, una maschera di pura rabbia e dolore e tristezza tutti insieme; poi sollevò lo sguardo sul mio, e le due parole che pronunciò erano intrise di tutto il disgusto e l'amarezza che potesse provare.
"Albus Potter."
"Non ho nessuna relazione con lui, Logan," ribadii, impaziente di essere ascoltata e di risolvere quel malinteso. "Sono lettere che non ho mai inviato. Albus non poteva sapere—"
Tremò di rabbia, un vero e proprio spasmo che lo percorse da capo a piedi. "Cosa non poteva sapere, Kalea? Che sei innamorata di lui?"
"No, Dio mio, non capisci..."
"Hai ragione! Non riesco proprio a capire," esclamò, portandosi le mani tra i ricci e tirandoli forte, con pura disperazione, "come hai potuto conservare per tutto questo tempo, un anno e mezzo di tempo che stiamo insieme, le lettere d'amore che hai scritto a qualcun altro? E non uno a caso, por el amor de Dios, ma il fidanzato della tua amica!"
La sua domanda suonò molto come un'accusa. Passai i seguenti minuti a cercare di fare come aveva chiesto, a spiegargli le ragioni delle mie lettere, ma lui non volle - o forse non fu capace - di ascoltarmi.
Gli avrei detto della cotta che avevo per Albus da anni, di come spesso e volentieri nei nostri gruppi fossimo anime affini, di come fossimo le menti, le persone calme, quelle che riflettevano, e che ci alleavamo per impedire ai nostri amici di fare cose stupide; gli avrei detto che l'unico modo per me di non esplodere e raccontare tutto alle altre era scrivere, scrivere fiumi di parole in cui immettere le mie emozioni, e che avrei nascosto sul fondo del mio baule per evitare che venissero mai trovate; gli avrei raccontato della battaglia interiore che avevo portato con me per anni, nel vedere lui e Isabelle, la ragazza più splendida su questa Terra, innamorarsi reciprocamente ed essere felici; gli avrei raccontato di come fare la sua conoscenza avesse cambiato tutto, cancellato Albus dalla mia testa, e di quanto lo amassi.
Io gli avrei raccontato di tutto questo, ero pronta ad aprirgli il mio cuore, come non l'avevo mai fatto con nessuno, ma lui era sordo alle mie parole, cieco alle mie lacrime, insensibile, annebbiato dalla gelosia, e capii che non sarei mai riuscita a farlo.
"Dobbiamo prenderci una pausa," sussurrai, e per un attimo, tra le sue grida, temetti che non mi avesse sentita. Poi però guardai l'espressione sul suo volto, come se gli avessi appena lacerato il cuore con un pugnale, ferita, confusa, afflitta.
"Cosa?" disse, in un filo di voce. Il petto gli si alzava velocemente ad ogni respiro, e mi fissava come con la speranza che dicessi che era tutto uno scherzo.
Io però non potevo farcela. Era da codardi, lo sapevo, ma sopportare un litigio del genere senza la possibilità di esprimermi non era da me. Forse Rose avrebbe tenuto testa a Malfoy, Livia avrebbe spaccato la faccia a qualcuno, Izzy si sarebbe fatta valere con decisione, ma io non ero loro, io non ero capace di fare così, di predominare, di ergermi sopra qualcun altro e imporre con la forza il mio pensiero. E Logan, che mi conosceva come le sue tasche, adesso era troppo furioso per potermi ascoltare, e ricordarsi di me, e delle mie debolezze.
"Mi dispiace, Logan," mormorai, con le lacrime agli occhi e un dolore sordo nel petto. "Più di quanto immagini."
"Allora perché mi stai lasciando?"
Perché stai dando dimostrazione di un'enorme mancanza di fiducia nei miei confronti, perché sei incapace di vedere al di là del tuo naso, perché so di aver sbagliato anch'io e non riesco a perdonarmelo, perché ho bisogno di stare sola e piangere in pace.
"Perché è giusto così. Noi non andiamo più bene l'uno per l'altra."
"Kalea!" abbaiò, riportandomi bruscamente con i piedi per terra. Era visibilmente infastidito, quel genere di fastidio che rendeva i suoi lineamenti, se possibile, ancora più belli. Io ero abbastanza alta, poco meno di un metro e settanta, e ciò lo rendeva solo di pochi centimetri più alto di me; però quando faceva così sembrava una vera e propria montagna.
Mi sfregai le mani sul viso con un respiro profondo. "Che vuoi che ti dica, Logan?"
"Voglio sapere perché mi hai lasciato, dopo che io ho scoperto del tuo tradimento. E voglio anche sapere perché mi hai baciato."
Non gli avrei risposto alla prima domanda, e forse lo sapeva anche lui. Non era il momento né il luogo adatto. Però per quanto riguardava la seconda...
Era stato un attimo di debolezza, un gesto non pianificato. Dopo essere riuscite ad entrare nella Torre di Corvonero, io e Livia, con l'angoscia di essere beccate da Gazza, avevano attraversato l'accogliente Sala Comune, e raggiunto la camera dei ragazzi.
Avevo avuto i palmi delle mani sudati per tutto il tempo in cui avevo spiegato a Logan e ai tre suoi amici che cosa era successo, e gli avevo chiesto ospitalità per quella notte. I ragazzi non avevano fatto una piega; erano abituati a me, al fatto che dormissi spesso lì, e mi adoravano.
Logan era stato meno contento, ma aveva accettato senza replicare, indicandoci due delle quattro poltroncine che stavano ai lati del letto. Considerando quanto Cole e Tyler erano disordinati, e quindi le loro poltrone piene di vestiti e oggetti vari, ci eravamo accontentate delle rimanenti.
Poi non sapevo come fosse successo, o cosa avessi pensato di preciso, ma mi ero ritrovata accanto a Logan, e lui, forse un riflesso inconscio, forse no, aveva semplicemente alzato le coperte per permettermi di infilarmi lì con lui.
Mi aveva guardata con i suoi caldi occhi color liquirizia, che avevo sempre adorato, e una ruga d'espressione sulla pelle ambrata della fronte. "Che diavolo hai combinato stavolta, Kal?"
E così non ci avevo pensato. Nel cerchio delle sue braccia, con il suo respiro che sapeva di dentifricio sul viso, al caldo sotto le coperte, mi era presa una tremenda nostalgia, e avevo spinto la mia bocca sulla sua.
Per un attimo lui si era irrigidito: comprensibile, dovevo sembrargli una pazza scriteriata. Poi però, con un lieve lamento, aveva spinto il mio corpo perché aderisse al suo, e socchiuso le labbra, e il suo profumo dolciastro mi aveva invasa, e fatta sentire a casa.
E la mattina dopo, da perfetta idiota, avevo svegliato Livia di colpo e ce ne eravamo andate di soppiatto prima che si svegliasse.
"Ti ho baciato perché ti amo, Logan," risposi, cercando di farla il più breve possibile. Per un attimo mi godetti il suo essere così spiazzato. "Non ho certo smesso di farlo da un giorno all'altro, sai."
"E allora perché hai fatto così? Scappare senza dire nulla, come se io fossi il cattivo della storia..." mormorò, sconvolto.
Raccolsi tutta la mia capacità di restare calma. "Sono innamorata di Albus da quando abbiamo undici anni. Se ti fossi fermato per un solo attimo quando hai trovato quelle lettere, ti avrei fatto vedere che l'ultima risale all'estate del nostro quinto anno. Un mese prima che conoscessi te. Non ti ho mai tradito, né mi è piaciuta un'altra persona quando eravamo fidanzati. Ma tu non ti sei fidato di me, non mi hai dato la possibilità di spiegare, e io questa mancanza di fiducia non posso tollerarla," spiegai, torturandomi le dita per scaricare tutta la tensione che provavo in quel momento, e che stavo cercando di non lasciar trapelare.
Alla fine presi un respiro e alzai gli occhi nei suoi. "Tu sai la mia situazione a casa. Io ho bisogno di persone che mi vogliono bene e che credono in me. Non penso che tu sia in grado di soddisfare questo bisogno."
Oh, Cristo. Oh, mamma mia, stavo rompendo con lui. Stavo definitivamente rompendo con lui.
Ecco l'ansia che sale... ti prego, non fare la deficiente, non rimangiarti tutto. Stai andando alla grande, Stevens, alla grande.
"Tu... tu mi stai lasciando, una volta per tutte," si rese conto, e deglutì nervosamente. Probabilmente per trattenere le lacrime. Come mai non stavo piangendo?
Forse era vero, forse sul serio io avevo necessità di altro, di qualcuno che non fosse lui. Di qualcuno capace di ascoltarmi, di farmi felice, di non lasciarmi da sola, di prendersi cura di me. Sapevo di non essere forte come le altre, e avevo bisogno di qualcuno che lo fosse anche per me.
"Sì, e fidati, mi dispiace immensamente," dissi, mantenendo un tono di voce non troppo acuto. "Però è meglio così. Noi... noi non siamo fatti per stare insieme."
E così lo lasciai. Mi voltai una volta per tutte, e mi allontanai da lui, dal mio primo grande amore, da una relazione che non mi portava alcun beneficio né felicità. Dovevo iniziare a prendermi cura di me stessa, e quello era il primo passo verso una piena realizzazione di me. Non potevo stare con qualcuno che mi faceva sentire così, e per quanto me ne sarei dovuta accorgere prima, andava bene. Ora tutto sarebbe andato per il meglio.
Negli ultimi giorni ero stata malissimo, e avevo creduto che fosse perché mi mancava lui, mi mancava ciò che avevamo. Invece, adesso che avevo raccolto il coraggio una volta per tutte, e gli avevo detto ciò che pensavo, avevo finalmente capito che dovevo soltanto chiarire e spiegarmi, e concludere le cose in un modo che rendesse onore e rispetto alla lunga relazione che avevamo avuto, e che per certi versi mi aveva fatta stare bene.
Appena svoltai l'angolo dei Tre Manici Di Scopa, sul cui retro mi ero nascosta con Logan per parlare, trovai Dave, il fisico esile e longilineo appoggiato ad un muro, il colletto del cappotto rialzato per proteggersi dal vento freddo.
Quando notò me e la mia aria interrogativa alzò subito le mani. "Non ho sentito niente," dichiarò, sebbene non fosse quello a cui stavo pensando. Fece un paio di passi verso di me, le mani in tasca. "Pensavo che forse ti avrebbe fatto piacere se ti avessi accompagnata alla Stamberga."
Con una risata, provocata soprattutto dal grande sollievo che provavo al momento, annuii, contenta. "Uno chaperon potrebbe risultarmi utile," commentai, raggiungendo il suo fianco.
Dave mi sorrise. "Bene, signorina Stevens: la sua carrozza la attende."
^^
🌻 Personalmente ho amato scrivere questo capitolo... non ho mai posto Kalea come un personaggio importante, e ho cercato di redimermi così! È una ragazza splendida, che avrà un ruolo decisivo nella storia, ed è un modo per renderle onore xx 🌻
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